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Poeti italiani delVetà media ossia
Scelta e saggi di poesie dai tempi ...
Terenzio Mamiani della Rovere
J7. e , /S
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BIBLIOTECA SCELTA
POETI DELL' ETÀ MEDIA
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BIBLIOTECA SCELTA
POETI DELL' ETÀ MEDIA
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DALLA STAMPERIA DI CRAPELET
ROE DE YAUGUURD, 9
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IPAmifASn) TSA%>Z.S^Wu)
POETI ITALIANI
DELL' ETÀ MEDIA
OSSIA
SCELTA E SAGGI DI POESIE
DAI TEMPI DEL BOOCACaO AL CADERE DEL SECOLO XVIll
PARIGI
BAVB&Yy UBASllIA XSVSLOFSA
3, QUAI IIALAQCAIS, AD PREMIER ÉTAGE
PRÈ8 LE PONT DE8 ART8
1848
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PREFAZIONE.
SI
La presente Raccolta Ta parte d'un' altra mollo maggiore con la
quale tener dee proporzione ed accordo. Perciò non si maravigli il
lettore se qui dal poema del Mondo creato, in fuori, egli desidera
i versi deli' Ariosto e del Tasso , e non legge alcuna rima di ottime
poetesse, ne saggio veruno di componimenti drammatici. Tutto ciò
viengli offerto distintamente in altri volumi di questa Biblioteca
scelta. E nondimeno la dovizia del nostro Parnaso è tale che pur
sottratti que' larghi tesori, ne rimangono altri d' insigne bellezza e di
gran valsente. In questi splende sopratutto una sfoggiata varietà ,
invidiabile a molte letterature straniere , e la quale a noi è piaciuto
di far più visibile ordinando il libro per generi e specie di poesia.
Ben sappiamo che ancora in tal forma dì distribuzione e di ordina-
mento accadono molte inconvenienze , perchè sovente le specie sono
distinte e sceverate dall'abito estrinseco e accidentale anziché dal-
l'intrìnseco e sostanziale. E per modo d'esempio eì si vedrà in
questo libro che i componimenti morali, in luogo di mostrarsi tutti
adunali nella classe lor peculiare , vengono ripartili in più d' una ,
dappoiché la diversità grande e palpabile della forma ci ha mossi a
pome parecchj fra le poesie pindariche ed oraziane ed altri fra le
morali propriamente denominale. Però di tal difetto sentiamo dovere
più presto avvertire i lettori che chiedere scusa e indulgenza; con-
ciossiachè non conosciamo maniera alcuna d'ordinamento in cui
non s'incontrino alquanti svantaggi e disconci , ed esse tutte sono
trovate meglio per comodo della memoria e come mezzi di para-
gone, che qual genuino ritratto delle vere differenze e disgregazioni
delle cose. In ciascuna specie poi di poetare da noi registrata, i
componimenti (come delta il senso naturale) si succedono secondo
i tempi degli autori , il che fa scorgere con massima agevolezza
qualmente la materia medesima, e non di rado li stessi concetti, col
variare dei tempi variino la significazione e l'aspetto e, più che air
tro, il modo particolare con cui sono espressi.
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MIEF AZIONE.
SII
Ma per quello che 8^ appartient a Uilta ittsiene la collezione dei ge-
neri , e in ciascuno d' essi alla scelta dei nomi e per ciascun nome alla
scella dei versi, noi vogliamo con alquante parole renderne ragione al
lettore e definire un pò* per minuto le considerazioni e i rispelli diversi
con cui V abbiamo condotta. In prima sarebbe stato nel piacer nostro,
di non escludere dalla Raccolta o ninna o pochissime di quelle com-
posizioni a cui sia toccato di riscuotere lode assai generale e durevole.
Che per verità primo giudice naturale de' suoi poeti è il popolo in
mezzo di cui quelli cantano , e rarissimo accade che nelle rime ap-
plaudite comunemente e non troppo fugacemente, una qualche note-
vol bellezza non sia riposta o d* immagine o d'affetto o di elocuzione.
Ne' difetti medesimi loro (quando avviene che n'abbiano e sieno
frequenti e più che leggieri) appare uno sfoggio di fantasia e d'in-
gegno e un siffatto abuso dell' arte, per giungere al quale fa bisogno
aver sortito fÌBu;ollà gagliarde e non ordinarie, il che à veduto l'Ita-
lia singolarmente nelle poesie del Marino. Ma dovendo la Collezione
nostra capir tutta in un sol volume, e cionondimeno dar saggio del
poetare di quattro secoli , a noi è convenuto cogliere unicamente
qualche porzione del più bel flore e sciegliere e vagliare eziandio
nel buono e neir ottimo.
Non ostante cotale necessità, abbiam procacciato di porre in
vista tutte le varietà di stile un poco notabili e persino ogni
combinazione o nuova o difficile cosi di metro come di rime,
benché in ciò volemmo restare assai parchi , potendosi di leg-
gieri scambiare la novità con la bizzarìa e la stravaganza. Oltre-
ché toma a gran follia l'andare in accatto di maggiori malagevo-
lezze ed angustie in un' arte già per sé medesima la più malagevole
di quante ne esercita V uomo. Il mondo, innanzi ogni cosa, chiede
bella poesia e maravigliasi volentieri delle difficoltà occorse per via
e con felicità superate , ma non di quelle che il poeta fabbrica per
ostentazione e capriccio ; il bello é sempre difficile , ma mollo manca
che r inversa proposizione sempre si avveri. Certo é poi che quando
i poeti fanno studio e apparato di tal sorta di bravura , annunziano
quasi sempre la decadenza dell'arte. Ma v^à eziandio certi popoli
d'ingegno sottile e abbondante d'arguzie a' quali simili ricercatezze
vengono facilmente in piacere. E sembra che ciò incontri per ap«
punto negli Arabi , la cui poesia sfoggiò molto presto in lavori strani
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PREFAZIONE. HI
di ritmo, io immagfinetle e in bisiicci non guarì dìsrormi da quei
trìti oraameoti di meandrì e traforì che girano per le pareti e le
Tolte degli alcazari. Dagli Arabi si travasò il mal gusto ne* Catalani
e ne' Provenzali , e una vena non troppo scarsa ne Tu derivata ne*
prìmi nostri verseggiatori. Dante egli pure non se ne astenne affatto,
e noi stupiamo in pensare che a quel genio sovrano venisse scritta
la canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento,
con lo scadere dell'arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e
ogni cosa Tu piena di acrostici, d* anagrammi, d'allitterazioni e
altrettali scempiezze. Ma per buona ventura colesta sorta vanissima
di pedanteria non sembra ai moderni pericolosa, e dico ai moderni
italiani , perchè appresso gli stranieri non ne mancano escmpj , e
molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi
caprìcci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi ve-
nuti rinnovando tutti gli umori eie vertigini dei seicentisti. E nem-
manco ci pare immune dalle stranezze di cui parliamo quel conce-
pimento del Goethe di ordire la tragedia del Fausto con questa
singoiar legge che ogni scena fosse dettata in metro diverso ed una
altresì in nuda prosa , onde potesse affermarsi che ninna maniera
del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è ca-
pace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma ; nuova maniera e
poco assai naturale e graziosa di porgere idea e figura del pan-
teismo.
Ma tornando alla nostra Scelta, qui ne cade acconcio il notare che
quantunque gl'Italiani mostrinsi oggidì molto sazj e fastidili del
sonetto f come di forma vieta e troppo dai mediocri ingegni abu-
sata, nientedimeno, esso deve occupare non picciola parte d'una
Raccolta la qual sia fedele rappresentatrice delle più vecchie e rad icato
consuetudini del nostro Parnaso. Noi peraltro arbitriamo di avere
trascelto di quella specie i più belli e più celebrati componimenti, e
alcnni pochi eziandio che brillano di falsa luce , ma pur son piaciuti
troppo universalmente e per troppo tempo, come il sonetto famoso
del Maggi: Sciogli, Eurilla, dal lido; e sta qui ad esempio di quel
sentir manierato e di quello stile lezioso che proseguì a farsi am-
mirare dai medesimi restauratorì delle Lettere classiche, e della sem^
plicità antica, come stimarono di essere il Grcscimbeni ed i suoi col-
leghi e Mecenati. In fine facemmo luogo a parecchj sonetti solo
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fgrchè dMUfiMlirio <«> ioggà, imont e p«rUcol>pe mei geoere ; edi
qseiliaeiio i MulÉanrini ilei Caro, i Feiìfeinici del CaBaregi « if^i
altri die aimmmoko fcane^ deaaaikhirci wmetli Itlarici.
k noi sembrò parhnente buon senno di accogfiere m questo libro
ogni ooaiposizioBe in coi fosse an cominctamento ed an saggio ,
tuttoché imperfetto, d* alcun nuòvo abito di poesia, stato in prò-
ceaaa lU tempo con arte più fina e con maggior felicita coltiTSio.
Gasi ci i parso di dorer registrare due odi del Tasso seniore, per-
chè mostrano aperto il prìnio introdursi nella lirica nostra volgare
d'ima imitaùooe pie stretta d'Orazio e de' latini elegiaci. Con fai
nedeaiasa coasiderazioae dcbbe accettarsi lo squarcio non brerc
che diamo della Teseide del Boccaccio , e qualche altro dettato forse
mancbcTole e rozzo , mm, primitivo ed esemplare. Per lo contrario,
qualunque poeta che poco o nulla del proprio aggiunse alle attrai
invenzioni , ovvero non seppe con bel prodigio dcft'arte iunorare e
riflgio\*anire le cose antiche , fu da noi ragionevolmente esdoao e
tadntone il nome. Qo^sto a fatto che nella poesia Pastorale (per
fenìre a un caso specificato) da Bernardino Baldi si passi tosto e
senza alcun interponimento ai sonetti del Menzini e dcHo Zappi , nò
incontrisi altra composizione di moderni bocoKci ; stantecfaè qnei
sonetti sono il sol fiore campestre (a così domandarlo) che spnntò
leggiadro e odoroso nell'Arcadia romana , benché vi si radunassero
infiniti verseggiatori , né d'altro per ordinario vi si discorresse che
di greggi e capanne. LeggMMÌ pare, faUa innanzi prowttione
d' eroica pazienza , V egloghe , gì' idillj e le canzonette alia Mtoe ^«tvi
recitate per lunghi anni , e crediamo che ninno si richiamerà 4eifai
nostra sentenza; e per via d'esempio, le^^i il Veronese ^Noqid,
principale di quella schiera, e dicasi con iscfaieilena se bene gli
competeva il grido e la fama che mosse di aè con le«ie fradde ed
affettate canzoni.
Convenicntissimo è poi , e quasi non oooorre avvertirlo , €ke ab-
biamo anteposto sempre le composizioni più «ucooae e istmtlive
alle meno ; quindi Teleganza sola mai non ci à bastato per tilalo di
ammissione ; o per lo manco, à dovuto eataafolgorare d' nna^màa,
e^ d'una venuatà esemplare « (perfetta. Cbnoaoatanie gli è afiitto
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del tempi pie hMB, ao» ÌMDvptpi dft q«eilD
lÈÈà a pwagoae deUa ingtea» td aadie taliwlls della iranene. Ha
BOB dof^ta aìlriiPeaU accudcfo laddove al pcuaiaie amaa» foroao
A di iwoa'ora appiccati graviana» pion^ e idbbncatfmìUD catene,
e dove agU affeUi proToKli e gagliardi , appena i^NutaTaao , w vo-
leu recise tuUe le barbe. Ma coloro che dimeaCidii di queste a»-
aere condizioni d' Italia entraao a spiegare la troppa nM)llexza e h
ridondanza del nostro Parnaso riferendone le cagioni al clima vo-
lattooso, alla soverchia Tacitila del comporre e al predominio del
material oiondo sullo spirituale, e deUa forma sull'idea ^ scordano o
diacoiu»coBo a torlo non solo la poesia intera dei Latini padri no-
stri^ ma la sacra cpopeja di Dante» della quale si convien dire, e con
molto maggior fondamento, quello che de' poemi d'Omero a£Eeraia-
Tane i Greci» starvi cioè incluso tutto il senno ed il sapere della
civiltà antica. Che anzi per quella poca di cognizione la quale pen^
siamo di avere attinta dai libri e dall' esperienza intomo alla tempera
de^*ingegpi e all'indole delle nazioni, diremo assai Crancamoite
cbeio niun paese quanto in Italia puossi veder meglio comaiista ed
unificata la idea con la forma e il profondo sentire col vivissimo im^
raaginare, e in ninno veder associato con più saldi legami la scienza e
f intuizione, equcUo che da' filosofi si suol domandare mondo subbiet-
tìvo e mondo obbiettivo ; conciossiachè principal carattere del genio
italiano è la lega inlima e l'equilibrio delle opposte facoltà; laddove
nel Norte la potenza astrattiva e speculativa predomina e fassi tiranna;
ed anche agi' Inglesi , popolo di mento elevata e caldissima, accade
troppo sovente di trasformare in psicologia la lirica e la drammatica;
né pel grande studio che anno posto più volto nel greco, nel latino ,
e peranche nell' italiano, senesi condotti a senlire ed a possedere la
bellezze e gli arlificj più fini ed occulti della simmetria, deUa propor-
zione, della dignità, del decoro e della compiuta e continua conve-
aevolezza, ed a toccar l' eccellenza suprema dell'eleganza e dell'atti-
cismo ; o ciò almeno si può asserire senza ombra di dubbio , che non
mai tali doti sooosi lor fatte connaturali e spontonee.
Pnncipalmento abbiamo curato di scegliere quelle rime che inten-
dono alla educazione civile , e ne infiammano ad amare la patria econ
^regie opere glorificarla. Ma tali rime per isventura non riescono le
più numerose e le più celebrate ; e per alto d' esempio , noi pigiama
dairAlamauni, degno poeta e degnissimo cittadino, un sonetto pdi-
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Vr PREFAZIONE.
lieo che in DÌuna Raccolta abbiamo incontrato e da nessuno l'abbiam
sentilo mai menzionare, e cionondimeno, per la politezza dello stile
e maggiormente assai per la magnanimità del concetto, merita di
gire innanzi a moltissimi altri stati prescelti e applauditi, non ostante
la frivolezza del lor subbietto, meritevole per lo manco di silenzio e
dimenticanza. Quante lodi invece non si udirono fare e quante ri-
stampe non si annoverano delle ottave di quel medesimo Fiorentino
sulla morte di Narcisso cambiato in fiore?
SVI.
Questa noncuranza deflettori per la Civile poesia scusa in gran
parte i poeti e significa la ragione perchè cantassero eglino così di
rado le cose italiane e poco piangessero le nostre sventure, poco
s'infiammassero de*nostri lunghi e affannosi dcsiderj. Non può nò
deve il poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti
comuni deiretàsua; che da questi principalmente move Testro suo,
di questi accende e innamora le moltitudini; d'ogni altro pensiero
ed afietto, ove li possieda e li senta egli solo, avrà pochi intendi-
tori, pochissimi lodatori , e la Tavella delle Bluse langue e muor sulle
labbra se non suona ad orecchie benevole e a cuori profondamente
commossi. Altre volte avviene che i concelli e le passioni civili
quantunque non tacciano dentro al petto di molti , nientedimeno
mal si adattano alla poesia, perchè non consolati da alcuna spe-
ranza né infuocali da sdegno generoso e potente, né promossi e no-
bilitati da successi gloriosi e da splendide sventure. Tale, a nostro
giudicio, fu il caso de' poeti italiani dagli ultimi anni del secolo
decimoquinto sino al Parini e a Vittorio Alfieri. Questo disperare
della salute pubblica e veder la patria non pure infelice e serva degli
stranieri, ma prostrata e invilita e fatta quasi spregievole agli occhi
proprj, indusse altresì la persuasione che non s'ascondesse nella
poesia un'arte educatrice del popolo e un organo de' più cfiicaci per
iscaldarlo a senlimenii di grandezza morale e politica, ma fosse in
quel cambio una industria gentile e un grazioso intrattenimento per
consolarsi dei mali comuni, scuotendone via il pensiero, ricreandosi
con fantasie molliformi e leggiadre, trasportando tutto l'animo per
entro un mondo aflatlo ideale e porgendo pascolo alle afiezioni private
e luce ed appariscenza a molli accidenli della vita ordinaria. Tal de-
viare della poesia dall' ufficio suo gravissimo di prima e solenne arte
civile, è abito già vecchio assai e comune, oso dire, a tutte le nuove
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PREFAZIONE. tll
letterature. Imperocché non si vede che altrove la cosa abbia proce-
duto meglio che a casa nostra. La prepotente fortuna e grandezza degli
Spagnuoli attempi di Carlo Y e di Filippo 11 appena à suggerito ai
lirici loro qualche ode , e uno o due drammi al Lopez e al Calderon,
mentre diluviavano da ogni banda le egloghe e le redondillas, i sonetti
e le canzoni alla petrarchesca. ^eWAraucana, medesimo , nota un
buon critico castigliano, se v^à qualcosa di ben descritto, ciò sono
gl'Indiani e non gli Spagnuoli. In Inghilterra il Milton Gerissimo re-
pubblicano e segretario eloquente del gran Cromveilo, à quasi sempre
poetato di cose mistiche e teologiche e nulla v' à di politico , nulla
d'inglese e di patrio, né nel Paradiso perduto y nò in altri suoi canti.
In fine chi sMndurrebbe a pensare, qualora il fatto certo e patente
non l'insegnasse, che in Francia, innanzi al Voltaire, mai non cor-
resse alla mente d* alcun insigne drammatico di porre in iscena un
caso e un gesto di patria istoria ; né per altro i nipoti di Carlo Magno
e i soldati di Luigi XIV dovessero impietosirsi e spandere lacrime
se non per le nuore di Priamo e le sventure della casa d*Àtreo?
S VIL
Ma ciò menerebbe tropp' oltre il discorso, e però tornando a fare
rassegna delle considerazioni che ajutarono a compilare il presente
libro, per ullimo noteremo che ci à parso bene, quante volte T am-
piezza soverchia del componimento non l'impediva , darlo ai lettori
nella sua interezza; e però eziandio in fatto di poemi avranno essi
tutto intero il Mondo creato del Tasso e YAngeleide del Valvasone;
avranno le Stanze del Poliziano, le Api del Ruccllai, il Podere del
Tansillo, la Poetica del Menzini , V Invito del Mascheroni ; e olire a
queste dannosi loro molle composizioni non brevi , come le Ottave
del Martelli , il Celeo del Baldi, il Ditirambo del Redi e simili altre.
Dove poi ci é stalo forza di troncare il dettato e produrre di soli
frammenti, abbiam procacciato con diligenza che fossero tali da
chiudere in sé medesimi una parte compiala e perfetta dell' opera
onde sono levati; e talvolta abbiamo fatto seguire l'uno all'altro
parecchj brani , in tutti insieme i quali un sol pensiero e un solo di-
segno si vien ripigliando dall'autore. Cosi del poema del Fortiguerri
furono tolti ed uniti que' brani dove il carattere mollo strambo e
molto vero di Ferautle, é si maestrevolmente ritratto e spiegato. La
qual cosa abbiamo voluta non pure a vantaggio e onor de' poeti,
quanto a soddisfazione dei leggitori. A' poeti toma molte volte assai
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ym PBRFAZ10N&
bene che deUe opere loro Tengan moBlraie inìicamente le perii i
f^ condotte ; e Virgilio medesimo desiderò di essere tramandato
ai posteri come il torso del Belvedere , il qual fa stupire ognuno delie
rimaste bellezze e fa infiDÌtamente rimpiangere ciò ebe è perduto;
laonde (e questo sia detto per incidenza) riuscirà sempre a gloria
grande e invidiata d'Italia che )a Gerusalemme del Tasso con^pi^
tanto più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e consideim
intentivamente la perfezione del tutto. Ma ne* leggitori è certo biso-
gno inleliettualc di cogliere runilà dei concetti e delle composi-
zioni , e lor sembra nelP opere d*arte di non gustare cosi pienamente
come desiderano il bello in ciascuna parte diffuso , qualora non sia
paragonalo e giudicato insieme col tutto.
svili.
Ma chiederà forse taluno perchè in questa nostra scelta sia rice-
vuto per intero il Mondo creato del Tasso, dove in sul principiare
dicemmo che sì le rime di lui e sì quelle dell'Ariosto ne sarebbero
escluse. Similmente si chiederà la ragione perchè diasi intera VAn-
geleide del Valvasone conosciuta da pochi e da pochi lodata, e in
egual modo parerà strana la preferenza nostra per qualche altro
nome e scrittura. Noi primamente diciamo, in risguardo del Tasso,
che d'un poeta tragrande siccome eg}i è, questa Biblioteca del Bau-
dry dee di necessità contenere le opere più solenni. E di fatto la Geru-
iolemme sia nel volume de' Quattro Poeti Maggiori; e in quella ri-
stampa che d* esso volume s'adempirà fra non mollo, compariranno
aggiunte le liriche più celebrate del sommo epico. Nel volume poi
del Teatro scelto italiano, altra ripartizione di essa Biblioteca , leg-
gerannosi V Aminta ed il Torrismondo, A compiere pertanto la col-
lezione dei capolavori del Tasso accadeva di dar luogo in questa
Raccolla al Mondo creato, poesia nobilissima e, con fermezza il di-
ciamo, degna di più alta fama che forse non gode. Sono nel Mond^
creato rivestili d'abito spendidissimo i più rumorosi sistemi ddla
metafisica antica e della teodicea cristiana, insieme con tutto do
cbe di vario e dotto e di più inmiaginoso e poetico suggerivano le
storie naturali d'Eliano, d'Aristotele, di Teofrasto^ di Plinio » di
Dioscoride. Che se gran parte e forse anche la maggiore di qudk
dottrine è venuta meno, debbesi ridurre a mente che ciò non à posto
in dimenticanza e nemmanco à scemato gloria a Lucrezio ed al suo
poema; conciossiachè ogni discreto lettore procaccia. di situar L'in-
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t^ttelto lidie condiaoDi dei tenpi e Deircurdiiie delle oognizioiii in
cai terivei» il poeta. OIU*c a di che, quella magnificenza coniinua di
pensieri e di siile che appare nel Mondo ereaio, e queir aura biblica
iaflieme e platonica che spira in ciascuna pagina con tanta solennità
e con A vera caldezza di sentimento, sono pregi che sopravivono
al ouUare deUe opinioni; e d'altra parte compensano più che assai
qualche negligenza di elocuzione , e la poca varietà e lo scarso arti-
ficio nella testura dello sciolto, il quale pur nondimeno se a petto a
qfoello del Caro riesce monotono e languido, lasciasi infinitamente
addietro lo sciolto del Trissino e dell'Alamanni. Noi non bremo
discorso molto difierente per YAngeleide del Yalvasone, la qual re-
putiamo senza paura d'inganno, una gemma delle più rare e lucenti
del nostro antico Parnaso. E di fermo , a guardare con diligenza ,
dopo V Ariosto e il Tasso, in qual mai poema del cinquecento trovasi
una maggiore altezza e pellegrini tà di pensieri e (come dicesi mo-
dernamenle) una più spiccala originalità? Forse che lo siila non
vince di franchezza e di robustezza pressoché tutti i contemporanei?
Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del Tansillo, meno
fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de' più
corretti e limaii rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come
questa minor perrezione di forma, abbia potuto oscurare nella opi-
nione de* raccoglitori e de* critici il gran pregio dell' invenzione.
Che il Milton siasi giovato délV Angeleide non so, quantunque fra i
due poemi si vengan trovando molli e singolari riscontri che non è
beile a credere casuali ; ma questo io so bene che a rispetto della
guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso perduto,
il Yalvasone non perde nulla ad esser letto dopo T Inglese e con
quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per
V Adamo dell' Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere
■srìno, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton pa-
recchj pensieri e T ideal grandezza del suo Lucifero.
S »x.
Quanto è poi a qualche altra più breve composizione prescelta
da noi ed avuta in pregio contro forse il giudicio de' passati racco-
l^iari, direma assai volentieri che a noi non par bella quell' ardi-
temm troppo frecpsenle ne' moderni scrittori di contradire alla sen-
tOKa coniane; imporocchè ciò si compie assai volte per desiderio
di paiec nagolare e onde si ammiri il senno acutisaitto e coraggioso
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X PREFAZIONE.
del critico. Ma d'altra parte quando la virtù prepotente dell' intimo
aehso ne persuade e ne sforza, e un esame attento, ripetuto ed illu-
minato ne riconduce e conrerma nel Tatto giudicio, a noi non sem-
bra lodevole l'ostinarsi a dererire o per timidezza o per inopportuna
modestia alla opinione dei più. La quale poi non molto di rado
mantiensi viva per solo vigore deirabilo e per quella innata pigrizia
degl'intelletti di recarsi a indagare il vero da sé medesimi. Se per-
tanto in questa Raccolta s'imbatteranno i lettori in alcune rime che
il pubblico non à curate o non tenute per ottime, ciò è proceduto non
da voglia puerile di profferire nuovi e inaspeltati giudicj , ma uni-
camente dall'amore di verità e da quell'ufficio gravissimo che sem-
bra incombere agli studiosi di riparare dal canto loro agli oltraggi
e caprìcci della Fortuna , la quale si meschia più Torse che non si
crede, nella distribuzione della celebrità e nel prospero o sventurato
successo dei libri.
SX.
Con questi rispetti e considerazioni abbiam noi condotto e ordi-
nato il presente volume, onde sia specchio veritiero benché com-
pendioso della poesia italiana dell'età media; nel che fare ci siamo
giovati pochissimo del giudicio de* nostri migliori crìtici e precet-
tisti; che anzi in leggendoli ordinatamente e secondo i tempi, ci
venne osservato (cosa che per addietro non ben sapevamo) la crìtica
letteraria incominciata in Italia con Dante essere morta col Tasso e
gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile intelletto la nostra
supremazia nel ministero delle Muse, cosi venne meno la vera filo-
sofia estetica; e il nuovo dell'arte non Tu capito, l'antico fu dalla
pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi
promulgatori due grandi ingegni , il Muratori e il Gravina. Della crì-
tica nata dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di
poesia, non conosciamo in Italia alcun degno scrittore e rappresen-
tatore. Ai tempi del Tasso, T autorità per certo era di soverchio pre-
valente e le poetiche tiranneggiavano; ma chi ben considera la
sostanza degli scritti polemici del cinquecento e nota quelli segna-
tamente dettati a proposito della Gerusalefnme, dee confessare che
appresso de' letterati mai la notizia de' classici non fu cosi vasta e
così famigliare, né le dottrine grammaticali più affinate e compiute,
né la filologia greca e latina più profonda e diffusa; e mai nella in-
telligenza e nell'interpretamento degli antichi gran precettori non
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PREFAZIONE. XI
fa spiegato aUrettaiHo acume, larghezza, erudizione, luce di filo*
sofia, senso squisito d'ogni eleganza.
Né sembra inutile afiatlo per risuscitare la buona critica , il porre
d'innanzi agli occhj un volume in cui voltando non molte facce si
poBsa scorgere e comparare il vario andamento che ebbe in Italia la
volgar poesia dal Boccaccio iiiGno al Varano ed al Gozzi. E perchè
intomo ai pregi di lei, come intorno ai difctli, sono i pareri diffe-
renUssimi nel nostro secolo , mancando per intero la comunanza dei
documenti e del gusto, essendo le tradizioni interrotte e dimenti-
cate, e dominando (massime nella menle de' giovani) le esletiche
oltramontane, io non so indovinare aflalto dò che i lettori di questo
libro sieno per sentire e per giudicare del suo contenuto. Quindi mi
arbitro di qui esporre in brevi parole il criterio definito ed univer-
sale ch'io n'ò cavato, riconducendo ogni cosa a pochi principj de-
dotti (a quel che mi pare) dalle originali fonti della storia e della
filosofia.
S XI.
La poesia canta o T amore e T altre passioni umane, e ciò che versa
sulla moralità delle nostre opere, ovvero canta le armi e le geste
civili e politiche d'uno o di più eroi , come d*una o di più nazioni,
ovvero canta la religione e le cose oltramondane e celesti. A tali
subbietti di poemi e di liriche devesi, per creder mio, aggiunger la
scienza, la quale in mente de' poeti acquista vaghezza di colori e di
affetti , e con ciò scende dalle cattedre e divien nu Jrimento e ricrea-
mento del popolo. L' ingegno poetico , in versificare ciascuno di quei
subbietti, tende a spiegare una novità, un* altezza e una leggiadria
suprema di concetto, di sentimento, di fantasia e di stile. Dove man-
casse l'una di tali eccellenze, Tarte sarebbe diffettosa e quindi in-
crescevole. Di presente noi diciamo che la riunione e composizione
migliore e più nuova di tutte quelle materie trattabili e la sintesi
altresì più perfetta del pensiero, della immaginazione, dell'affetto e
della elocuzione, è senza contrasto apparita in Dante Alighieri. Ne*
poemi d'Omero, la passione profonda d* amore, ed in generale quel
sentir delicato e molteplice che il progredito incivilimento pro-
muove, è piuttosto in germe ed in facoltà che altramente. In essi del
pari , è deficienza della vita meditativa e interiore, e a lato a molta e
finissima scienza pratica, quella positiva e speculativa dei dotti non
vi si scorge. La fantasia v'è ammiranda, e neVi* Iliade segnatamente
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XII PR£FAZIOKK.
fa sbatordire, ma a* avvolge tra cose meno difficili a rìvealire di aplen-
dide immagiai , perchè tutte di lor natura sod figurate e belle di |^
mitiva bellezza. In fine lo stile omerico usa per istrumcnto il vagUa-
aimo di tutti gì* idiomi e s'adorna della semplicità maestosa de' teasfi
eroici , ma non ancora conosce la metà dei parliti e degli artifiq
onde si ottiene la copia la varietà» il numero e l'deganza*
Dopo Omero nessun poeta , per mio giudicio, può alzarsi a compe-
tere con r Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massiosa
deir Inghilterra, E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita
umana vcngon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati co»
nel profondo, che mai noi saranno di più. Ila le condizioni peculiari
della drammatica, e T indole propria degl'ingegni settentrionali im-
pedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione di
subbietti e di facoltà onde facciamo discorso. E veramente nelle
composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di
rado, e tra le specie diverse e delicatissime d'amore ivi entro àigaS^
ficate, manca quella eccelsa e spirilualissima di cui si scaldò l'amanle
di Beatrice. 11 sapere positivo e speculativo similmente vi fa difetto,
e la natura esteriore v'è si poco descritta quanto poco si lascian di-
stinguere i paesaggi e le architetture nel fondo dc'quadri storiali.
In fine, la elocuzione che sempre è viva e spontanea e insuperabile
sempre di proprietà e d' energia , diviene alcune volte negletta e pro-
saica nò va esente dai falsi tropi e dalle scurrilità.
Nel tutto insieme poi de* drammi shakspiriani desiderasi quel cor-
retto e finito, quella proporzione e armonìa , quella sobrietà e sod-
tezza continua, che solo al Genio d* alcuni popoli meridionali è dato
sentire ed effettuare con piena felicità.
S X".
Toccato un poco dei subbietti della poesia , e numerate le qualità
e le doti che principalmente le si appartengono , seguita il cooaide-
rare la persona medesima del poeta , le condizioni e lo stato della
sua mente e le attinenze di lui con la ragione dei tempi , deUacivillà
e del popolo in mezzo a cui vive; le quali coso noteremo i
mente no' lor gradi supremi e nelle intime opposaioni. Coi
che il miracolo della poesia consiste principalmente neU^eaercttaie
insieme quelle virtù deH' ingegno che sembrano in discordanza e ia
conflittazione, e Dell'esercitarle altresì con intensione
d* energia.
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IÌIEFA2I0NE. Xni
DidaHio adunque che taWdta il poeta è dall'ispirazione allacciato
e padroneggiato 8i forte, da non saper bene sottomettersi alPaite ed
alla meditazione. Da simile sovrabbondanza d^ istinto e scarsità di
rìllesaone e di scienza, derivano i canti primitivi delle nazioni mi
qoafi ò tanta rozzezza, negligenza e imperizia, quanta inimitabile
aenplicità, eCBcacia e caldezza. Altre volte , e molto più tardi assai
£ cpelle età iniziatrici ed eroiche, il troppo incivilirsi dei po-
poli aumentando di soverchio Posservazione e la critica e alBnan-
dovisi l'arte ogni giorno di più, per effetto medesimo dell'eser-
cizio e dell'esperienza e per desiderio dì novità, mena il poeta a
aoordar forse troppo l'aorea semplicità degli antichi, il sincero
aspetto ddla natura e i veri e spontanei moti dell* animo. Queste
differenze chi ben le guarda e chi le assume in gradi e aspetti di-
versi , fonno superiore e inferiore ad un tempo Virgilio ad Omero y e
sovrappongono poi ambidue agli epici tutti della media grecità e
latinità. 11 prodigio dell'umano ingegno consiste , senza dubbio , a
tener il mezzo di tali due termini, o a dir più chiaro, consiste a
nantener viva la 6amma pura e spontanea dello antiche ispirazioni ,
e aggiungere a ciò tutto il meglio che inducono dentro il cuore e
dentro i pensieri , la riflessione e speculazione , la critica e l'arte, il
sapere , Tuso e Tesperienza oltremodo cresciuti , T istruzione e i me-
lodi propagati ed assotligliati. Ora , Dante , al mio giudicare , acco-
sta e concilia per appunto in maniera portentosa cotali estremi ; ed
e^i è il sommo poeta (come direbbero i metafisici) intuitivo e rifles-
sivo. Ancora, su questo doppio carattere dell'intuizione e della ri-
lessione , egli è da notare che l'una esprime più volentieri la natura
Bniversale e comune, e T altra invece la propria e individuale.
Quando un popolo intero si fa poeta , e ciò è a dire , quando in lui
signoreggiano profonde e comuni credenze ed affetti, in guisa ch'ei
si raccoglie con lo spirito e vivesi tutto o nelle rammemoranze glo-
nose della sua storia o nelle speranze e promesse magnifiche del-
Favvcuire , colui il quale si consacra peculiarmente alle Muse non è
{MÙ quivi che un interprete e un banditore delle ispirazioni comuni , •
e sostiene officio simile a quel degli araldi che in nome e con le pa-
nrie di tutti favellano ; se non che il poeta trova più felice , più calda
e meglio ornata «ignificazione di ciò che il popolo intero pensa ,
ricorda e desidera. Quuido per lo contrario non v*è più vera citta-
dinanza, e le opinioni e gii affetti comuni son dileguali in gran
parie, e ad essi succedono a grado a grado sentimenti e cogitazioni
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\1V PREFAZIONE.
o affatto particolari e proprie o d' una porzione soltanto di popolo ,
e che nientedimeno la cultura deli* intelletto e dell'arie non cade ma
si propaga e si riforbisce; allora sorge una poesia o troppo indivi-
duale e affatto fantastica, o troppo boriosa e accademica, ignota e
inaccessibile al volgo, più elegante che passionata, più dotta ed
arguta, che vasta, efficace ed originale. Dopo ciò, egli divien mani-
festo che quella mente fortunata, la qual sa ritrarre ed anzi scolpire
i pensieri varj, gì* istinti e le passioni speciali del secol suo, e ri-
flette come specchio lucente T indole e le istituzioni tutte quante
della vita sociale e politica di cui partecipa, quella mente, io dico,
alla quale avviene per tutto questo di dilettare e commovere così
bene il volgo come i patrizj , i dotti come gì* illetterati , e che cio-
nondimeno imprime in ciascuna pagina il suggello dell* animo pro-
prio e i concetti , le opinioni e le dottrine sue personali , a segno che
il poetare di lei risplenda d*una novità nò prima nò dopo uguagliata,
colai mente sovrana raggiunge del sicuro V ultima perfezione della
poetica, e l'arte sua similissima alla natura, offre a un tempo me-
desimo la suprema bellezza individuale ed universale. E qui pure io
non m' imbatto in altro divino ingegno in cui si ravvisi attuala la
grande eccellenza di cui parliamo , eccetto Dante Alighieri. Da ul-
timo accade soventi volte che all'animo del poeta non sia tutta pre-
sente la solennità e importanza del suo magistero e dei 6ni morali e
civili a cui dee voltarlo. Ma colui per lo certo accostasi in ciò alla
perfezione dell'arte, il qual sente di lei cosi intera la dignità, l'aN
tezza, la proficuità e la morale bellezza che la fa istrumento efficace
di educazione pubblica e veicolo di sapienza; e tanto vuol con esso
istruire quanto dilettare, e chiama sé stesso sacerdote del vero e
della rettitudine , e canta quasi profeta per mezzo al popolo e tra-
manda alle più lontane generazioni la fiamma de' suoi magnanimi
affetti e la luce de' suoi apotegmi. E qui di nuovo a chi mai può
tornar difficile il confessare che Dante abbia a rispetto di ciò supe-
rato tutti i poeti del mondo ?
S XIII.
A raccogliere la sostanza del fin qui detto, noi primamente con-
cluderemo che il compiuto e 1* ottimo della poesia consiste in rac-
chiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di compo-
lEfizione tutto quanto il visibile ed il pensabile umano perciò che in
ambedue è più bello e più commovente; e consiste inoltre a ritrarre
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MfiPàZiaifB. XV
cotesto sobbietto ■mplwiìnio e «aiitertale con la aiaggiore novità e
k waaeffM leggiadiìa di coBoepimenlo, di iaiitasia, d'affetto e d'ek>-
coxioiie che posn mai conaeguÌTBL li conoepiiiieato cori Bel com-
pleaso come nelle aeoleiiBe partioolarì, dee riuscir aoataanoao ed
inaspettato e pieno dì recondita dottrina e saggezza; Taffetto dee
correre, quanto è possibile, per tutti i gradi e le differenze, e toc-
care il sommo della tenerezza e compassione e il sonmio della terri-
bilità. Dee rimmaginazione abbracciare lo spirituale e il corporeo,
il mondano e il sopramoudano, talché in compagnia dell'affetto e
con la scienza deUa vita e della natura, descriva e rappresenti le
meraviglie esteriori, i secreti dell'animo e le visioni della Fede. In
fine tutti tre insieme, il concepimento, l'immaginazione e l'affetto
debbono far consuonare la massima idealità con la massima concre-
tezza, onde ogni cosa peculiare riveli per virtù di poesia uno splen-
dido universale e sia al tempo medesimo un ritratto e un archetipo.
Noi fermammo dopo di ciò che ad attingere tal perfezione era
spediente sortire un abito d'intelligenza si privilegiato e divino da
poter collegare con una intuizione arcana e vivissima la meditazione
e la scienza , e con la impetuosità e caldezza dell' estro, il freddo e
squisito finim^to dell'arte. Di costa poi alla descrizione ed enume-
razione di queste doti e attributi, a noi fu lecito di pronunziare che
tutte appaiono impresse e tutte operanti nella Divina Commedim
meglio che in qualunque altro poema , e la quale è però da conside-
rarsi come il più alto prototipo dell'eccellenza poetica, qualora vo-
glia la mente dall'astrazione scendere al fatto e considerar nel con-
creto quel massimo accostamento all' idea che sino a qui son riuscite
di adempiere le Lettere umane. Noi fermammo eziandio che debbo il
sonuno poeta parlare al cuore e all'intelletto d' ogni ragion di lettori,
e farsi q>ecchio tersissimo del comune sentire » e serbare dò nondi-
meno ben rilevata e ben contornala la effigie del proprio animo e
della propria natura. In 6ne ricercasi dall'ottimo poeta che piena-
mente concepisca la grandezza e magni6cenza degli ufficj e de' fini
suoi , e che a questi venga di continuo concordata e proporzionata
la scdta materia.
§ XIV.
Con la scorta di tali considerazioni e la vista di tal modello a noi
basterà, perdiè si colga la ragion poetica vera dell'eia media ita-
Hana, il venire accennando per ordine, prima le tendenze morali e
e
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XVI PREFAZIONE.
ciyili, e le condizioni qualitative de* tempi ; appresso, l'elezione dei
subbietli e il carattere mentale degli scrittori. Ogni rimanente sarà
supplito dalla perspicacia ed erudizione dei leggitori, i quali reche-
ranno pure agevolmente ai principj medesimi le osservazioni e i
giudicj espressi da noi nell'anterior parte di questo discorso.
S XV.
Nello spegnersi del secolo xv, quando le Lettere e la poesia volgare
incominciarono a risorgere e ritiorire, un elemento vi si accoppiò
non nuovo ma notabilmente cresciuto, e ciò fu lo studio e l'amore
grande della classica erudizione, e un ossequio e un'ammirazione
forse soverchia per gli scrittori greci e latini. Ma si badi, che guar-
dandosi al tutto insieme della volgar poesia , dal primo comparir
suo nella corte di Federico, a questi nostri presenti giorni, ei si
vedrà manifesto che il culto degl' Italiani inverso le Lettere greche e
latine fu , di rado assai , intermesso , e sempre fra noi è stato a gran
pezza più fervoroso , più tenace e più famigliare che appresso qua-
lunque altro popolo; non rinasce adunque e non prospera esso in
Italia per matta superstizione o per cagioni transitorie ed acciden-
tali, ma conserva e profonda le ultime sue radici nel sentir proprio
e costitutivo della mente e dell'animo nostro. Tal culto à fatto in-
fra l'altre cose che, a rispetto dell' eleganza e dell' atticismo, mai non
siamo stati dalle nazioni moderne, non che superati , ma nemmanco
raggiunti; e pure in questi ultimi tempi in cui la poesia inglese e
tedesca sembra soverchiare la nostra, per novità e veemenza di
pensamenti e di affetti, nella sola Italia è tuttora ricoverato il per-
fetto buon gusto e il senso delicatissimo della greca venustà; e quivi
ancora qualche dettator fortunato procaccia d'intingere la sua penna
nell'oro di Virgilio. Né già per questo vogliam negare che più d'una
voltalo studio e la imitazione dei capolavori antichi, non abbiano
ne' nostri scemato novità e spontaneità , involle le lor fantasie nelle
viete immagini mitologiche; dato allo stile freddezza ed affettazione.
Solo desideriamo che si rifletta gli studj classici (come suolsioggi
domandarli) essere stati a ciò più presto occasione e concomitanza
di quello, che cagione prossima ed efSciente. Mai la notizia e medi-
tazione dell'eccellenza antica non à nociuto agl'ingegni veramente
grandi in secolo pur grande e animoso. Dante non mandava egli
alla memoria tutto Virgilio , e noi chiamava dottore e maestro suo?
Chi più versato nella latinità del Petrarca, che di quella fu primo e
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PREFAZIONE. XVII
solenne ristoratore? Di Lettere greche e latine sinudri il Boccaccio
fin da fanciullo , e in compagnia d'esse compiè la vita; le quali cose
non impedirono che Dante, in ogni suo scritto, e il Petrarca nel
Canzoniere e ne' Trionfi, e il Boccaccio nel Novelliere, nella Ftam-
metta, nel Corbaccio e in qualcun* altra prosa non sien riusciti ori-
ginalissimi. Quelli pertanto i quali osan dire che la illustrazione e
scoperta di molti volumi antichi succeduta nel secolo xv, e Tardore
vivissimo recato allora nella filologia greca e latina, tornò in somma
sventura per lo svolgimento libero ed originale delle Lettere nostre
volgari, scambiano troppo le cagioni apparenti e fortuite con le
reali ed intrinseche. Di fatto, egli ò da ricordare che ne* tempi me-
desimi di Lorenzo de* Medici , due impulsi ricevette la poesia ita*
liana, e per due strade diverse prese cammino; Tuna fuUe aperta
dal Poliziano, Taltra dal bizzarro ingegno del Pulci. Ora, in costui
non trovasi egli somma novità e franchezza di poetare e tanto spirito
di rivolta centra tutti i documenti dei rettori antichi, quanto il suo
Margutte ne mostra contra le cose più sante? E quella serie lunghis-
sima di poemi cavaliereschi che dal Ciriffo Calvaneo scende giù fino
al Bicciardello^ non si scosta pur tutta nella sostanza e nelle forme
dal poetar greco e latino? Nel Furioso medesimo quanti sono i
luoghi dove l'Ariosto apertamente imita e copiagli antichi? Non
son molti del sicuro, e non tali giammai che tolgano a quel poema
il pieno carattere di novità e noi facciano difierentissimo dalla poe-
sia classica. Ciò nondimeno , perchè ai tempi del Pulci il gran moto
repubblicano rallentavasi da ogni banda, e gì* intelletti più culti e
più ardili cessavano dall* infiammarsi dei sentimenti e delle passioni
comuni ; però accadde che il Pulci impresse nella volgar poesia un
carattere, nuovo bensì, ma troppo diverso da quello che abbiam
notato nell* Alighieri. Ben si vede da ogni pagina del Morgante che
il Pulci è poeta di corte e fa dell'arte sua un nobile ed elegante
trastullo. Egli ricrea le scelte brigate fiorentine con le avventure ca-
valleresche, e a quelle anime voluttuose ed argute, e spoglie oggimai
delle credenze e passioni gaglianle dei padri , egli sa soddisfare con
la sottile ironiae la befia leggiadra e dissimulata; e mentre il comune
interesse e la dignità delle plebi s* affievolisce, egli compiace allo
spirito individuale de*patriq e de' doviziosi mercatanti, i quali scor-
dando quasi la patrìae spregiando la modestiadel vivere repubblicano,
avvisavano nei casi de' paladini quel che possa l'audacia, la forza e
r accorgimento d'un uomo per giungere alla potenza e al dominio.
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XVIIl PUrAZMXfB.
S XVI.
D^akra parto, il Poliziano nelle ottaTe deOa Giostra ineornhicio
un Terseggiare raffinatissimo, e quasi a cfire , aristocratico e signo-
rile; tutto impregnato di latino e di greco, anzi greco e latino
espresso in eleganti tocì italiane; il quale pie non è accostevole al
popolo , e tìtc d'arte e d'ingegno pia assai che d'inspirazione. Vede
ognuno pel semplice paragone dei htti , quanto mai dissomiglino in
fra di loro i Tersi del Poliziano e quelli del Pulci ; e solo in ciò si
raCRrontano che per ambedue la poesia dantesca sì grande, si ma-
schia, si nazionale, è tenuta in disparte.
S xvii.
Nella stessa corte de' Medici , ed anzi nelle rime stesse di Lorenzo
il Magnifico, rinacque il petrarcheggiare , genere di poesia «he, de-
rivato in parte dai Provenzali, fecesi proprio d'Italia, e durowi, ai
pud dire , per cinque secoli ; conciossiachè ad Eustachio Manfredi ,
ben si compete il nome e la lode di ottimo petrarchista. E però le
Muse vereconde e soavi , ma stanche ed esauste degli amanti pla-
tonici, mandarono in sul finire il canto del cigno , dettando a quel
gentil Bolognese la immortale canzone ; Ihnna, negli occhi vostri.
Certo in tal foggia di poetare riapparsa nel cadere del quattrocento
m compagnia deir altre da noi ricordate , la imitazione divenne più
ancor manifesta e servilo , e (come gli accade pur sempre) andò co-
piando il peggiore; né studiossi di ricalcare eziandio in ciò le orme
dantesche, e partecipare a quella passione ingenua quanto profonda,
e a quel candore e a quella semplicità efficace di stile che adorna di
grazia ineffabile tutto quanto il Canzoniere del gran Ghibellino. Ma
qui pur noteremo che simile imitazione non procedo per nulla dal
soverchio amore dell* antichità e dal troppo sfogliare greci e latini
volumi ; bensì ebbe luogo e si dilatò per difetto ( di poi sempre cre-
sciuto) d'un' alta poesia comune ed intuitiva. E nemmanco è da
credere che il gir sonettando alla petrarchesca sia tanto durato in
Italia, e tanto siasi divulgato per cagioni accidentarie, o per sola
povertà d'ingegno e aridezza di vena. Il cuore tra noi sente assai di
leggieri la voglia impaziente di significare in versi gli affetti gentili
ond'è mosso ; e per quale anima non passò più o meno intensivo il
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nvàziom. xa
geotil fuoco d'amore? e nello spegnersi della vita cirile, e nel ere*
acere da ogni banda l'ozio lascivo ìb\ ricchi e dei culti , la galan-
terìa non fu rassegnata forse tra le nostre precipue occupazioni ?
D'altra parte quel mantello e quei veli che dal Petrarca rìcev& in
dooo l'Amore , il quale s* aggirava tutto nudo fra i Greci » die a eia-
senno facoltà di pubblicamente parlare de' propr] affetti salvo il pu-
dore» la convenienza e la dignità; ed anzi procacciando alle amate
donne bella e incolpevole fama. Oltre a ciò , quel platonizzare del
Petrarca confacevasi molto bene con T altra condizioue essenziale e
qualitativa della mente italiana, che è di cercare in qualunque cosa
la bellezza squisita e non qual s'incontra comunemente, o si può
immaginare da ingegni materiali e bizzarri , ma qual dee risultare
dalla perfezione, e comporre un modo eccelso di leggiadria che
segni l'ultimo termine dell' idealità, e però conduca il pensiero per
Io mondo invi>ibile degli archetipi , e svegli nel cuore le più sublimi
aspirazioni ond'esso è capace. La qual tendenza degl'Italiani com-
parisce dispiegata e manirestissima io tutte le arti , crea la maggior
meraviglia delle tavole di Michelangelo e di Raffaclle , e a noi con-
serva, pure in questi nostri miseri tempi (sia qui notato per inci-
dente), il privilegio della scoltura, come d' un'arte solenne che di
necessità porta seco sceltezza e nobiltà tragrande e perfetta di con-
cepimento e di forma.
S xviii.
In qoeUe scorcio adunquodi secolo tre laaniere distinte di poetare
iniziale o rifatte, e furono la romanzesca del Pulci , la clas^
i del Poliziano e la petrarchesca; e di queste in prìncipal modo
à rivesti la susseguente letteratura , eccetto alcune nuove specie di
lirica delle qjòali farem parola più avanti. Per vero , alcuni altri com-
peaiaMiità furono dettati in quella rinascenza medicea che raddur
1 ai posaoBo né al genere petrarchesco , né al classico , nò al ro-
» , coinè certe ballate e canzoni pastorali , come la Beca del
P«ki e la Neneia del Magnifico , e alcuni Rispetti e pochi altri simili
li ed amenità che erano pure le bellissime creazioni e gemme
ì del nostro Parnaso, vaghi fiori d' ingegno pieni di verità e sem-
plicilà, jtteni di greca fragranza e di popolari concetti e yaswoni.
ih>i>i^ he§àB la nostra letteratura, se quel Gare naturale» affetiuoae
esflendìdo, tonto di evidenza e di graaia natia, fosse stato introdoUe
Bi naiarie pia vaate e fià nobili l
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XX PREFAZIONB.
S XIX.
Ma ripigliando il breve confronto impreso da noi tra i poeti volgari
dell'età media e il prototipo sublime dell'arte che ci fornisce la Di-
vitia Commedia, noi non esiteremo a dire che la poesia dantesca
tentò di risorgere in parte col Tasso , e propriamente a rispetto della
gravità e solennità dei pensieri e dei documenti , e per quell'ufficio
suo d* esprimere e invigorire le comuni aspirazioni e gli afTetli eroici
d'un* età e d'una nazione, e di toccare i fini più alti e più profitte-
voli dell' epopeia, e insomma riuscire in tutto una poesia civile , re-
ligiosa e sapiente. A ninno è nascosto che da Paolo IV in poi, la
Religione veslì in Italia un abito di severità e un rigor di dottrine ,
tanto più stretto e geloso, quanto l'eresia cresceva all'intorno in
Europa e radicavasi forte in Germania , in Inghilterra , in Isvizzera e
in altre regioni settentrionali. Nò già debbe credersi che in quel
torno di tempo T ortodossia cattolica non acquistasse veramente
maggiore intensione di fede e di sentimento nella parte più pia e
meno infralita degl'Italiani. A questi doleva eziandio assaissimo ve-
der declinare ogni giorno la forza e l'autorità teocratica , della quale
stando la sede e lo splendor principale appresso di noi , tutta la pa-
tria comune riscuotevano lustro e potenza ; e maggiormente parca
necessario di conservare e consolidare quel principio d' autorità, in
quanto che in Italia tulle le altre vie di potere e di predominio si
dileguavano. Col desiderio poi di ritirare inverso alle origini sue il
papato , procedevano di pari passo altri sentimenti e principj , dai
quali si procacciava di fieramente resistere ad ogni spirito d'innova-
zione e rimettere in fiore antiche opinioni e istituti. E come le demo-
crazie in Italia erano tutte crollate e solo perduravano le aristocrazie,
e i baroni moltiplicavano; così entrò nel cuore di molti il pensiere
che alle plebi dovea stringersi forte il freno e ogni cosa dovea spe-
rarsi dalla saggezza degli ottimati e dei principi. Oltre a ciò, nel co-
mune pericolo s'erano, come ognun sa, concordali alla meglio
l'imperatore e il pontefice; del che era nato che mentre in Italia
spegnevasi di più in più il vigor popolare e le franchif^ie repubbli-
cane , sembravano crescere per lo contrario e spander radice i privi-
legi feudali e una specie ambigua di cavalleria principesca e corti-
giana. L'autorità poi che sforzavasi di risorgere da tutte parti e
sofibcare le novità temerarie, tiranneggiava non pur la scienza sulle
cattedre, ma eziandio l'arto nelle accademie, curvandola sotto il
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PKEFAZIONÉ. X\I
peso delle teoriche e dei precetti ; è il culto inverso i capolavori an-
Ucbi tanto più s'accostava a superstizione , quanto l'Italia nel suo
rapido declinare tenea più preziose e più venerande le ricordanze
del suo passato.
Di tali tutte cose fu rappresentatore fedele il Tasso, anima pia e
generosa, ma in cui (non so dir come) nulla v'era di popolare.
Qaindi egli s'infervorò della maestà teocratica dei pontefici e aderì
alla nuova cavalleria cortigiana e feudale ; quindi pure accettò con
zelo e con osservanza scrupolosa l'ortodossia cattolica, e nella vila
intellettuale come nella civile, fu dair autorità dei metodi e degli
esempi signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il divino
estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Pieno ancora
la fantasia della battaglia di Lepanto , e sperando che un'altro Marco
Antonio Colonna rinnovasse con più ragione quel simulacro degli
antichi trionfi che poco innanzi avea rallegrate le vie di Roma, dettò
quel poema non senza fiducia di persuadere i principi della cristia-
nità a desistere dalle loro discordie e ripetere con più senno e virtù
le gesta eroiche delle crociate ; adempiendo ogni cosa sotto il gran
patrocinio del padre e pastore comune dei popoli , benedicente in
Vaticano alle sacre bandiere. Ancora confidavasi d'innamorare e
princìpi e gentiluomini di quei costumi cavallereschi e magnanimi,
de' quali fin dall'infanzia s'era venuto componendo in mente una
norma e un idolo cosi difibrme dal vero come pien di vaghezza e
d*appariscenza , ed a cui pretendeva di dar fondamento scientifico
con un misto di dottrine platoniche e aristoteliche, come da più
d'uno de' dialoghi suoi si raccoglie. Insomma, a* di nostri, in cui
abbonda più la invenzione dei nomi che delle cose, verrebbe in
Francia ed in lughilterra denominato gran poeta conservatore.
Sxx.
Nel Tasso poi sono tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnifi-
cenza della poesia classica , e spiccano altresì in lui alcuni attributi
speciali del genio italiano in ordine al bello. In perpetuo si ammirerà
nella Liberata ciò che l'arte, i precetti e la dottrina possono fare,
ajntati e avvivati da una stupenda natura poetica. Quivi toccò il
sommo Gaudio quel maestoso decoro e quella sceltezza e nobiltà di
compo»zione e di forma propria degl' Italiani, più forse ancora che
de' Greci medesimi, e la quale può riputarsi che in noi proceda per
abito e per tradizione della grandezza romana, e per quel severo ed
e.
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XXll PRETAZIONB.
illustre di eoiiceiti e di senUmenti che nelle scuole di Piltagora trova
ì principi suoi remotissimi. Ugualmente nel Tasso ^à piena sod-
disfazione quel desiderio conlinuo dell* ingegno italiano che nel^
l'opere d*arte apparisca da ogni lalo e in qualunque cosa Y unità e
l'armonia , la convenienza e la forbitezza. Ma d'altra parte non è nei
poemrsuoi la novità e la creazione altissima della Divina Commedia,
non la energia tanto semplice quanto vera e terribile degli affetti e
del lor linguaggio , non la concisa evidenza delle descrizioni che fa
dello stile dantesco una perpetua scultura e cesellatura. Mancavi
similmente quella continua contemperanza del reale con V ideale , e
del proprio e individuo col comune ed universale. Ma T amore so-
verchio dello scelto e dello squisito, la obbedienza non sempre legit-
tima alle prescrizioni dei retori , il comporre freddo e compassato ,
e con in mente modelli troppo discosti dalla natura e per troppa
dignità e magnificenza uniformi , cominciato aveano a predominare
in Italia pure innanzi del Tasso , e venivano ammanierando eziandio
le scuole di Raffaello e di Michelangelo. Sotto quelle esagerazioni e
quei pesi affogò la drammatica, e si falsificò in buona parte il teatro
stesso pastorale ove fin da prima comparve gran novità e gran leg-
giadria , ma tutta fondata sopra V idea di tempi e di uomini che mai
non furono, e a cui le volgari opinioni negando fede, toglievano
verosimiglianza. Dai pastori di Virgilio già troppo azzimati, ebbero
nascimento quelli di Sanazzaro, e tutta la bucolica nostra italiana,
se tu n'eccettui il Baldi, fu elegante, ma fattizia; e del certo non
meritava che gli stranieri , massime gli Spagnuoli , si sbracciassero
ad imitarla.
S XXI.
Dicemmo che allato alla scuola latinizzante e accademica del Po-
liziano e del Sanazzaro, aprissi quella del Pulci, tutta libertà e
scioltezza; e da lui cominciò la serie de' poeti romanzeschi, i quali
attingendo ai racconti e alle tradizioni straniere , e trattando materie
alienissime dalle storie e dai costumi italiani , seppero ciò nondi-
meno , per sola virtù d'ingegno , produrre poemi invidiabili a quelle
nazioni nel cui seno la cavallerìa era sorta e fiorita. Ma se in costoro
move gran maraviglia la sonuna bravura e Tinesapribile fecondità
della fantasia, dall'altra parte, come notammo, sono da deplorare
le poco gravi e civili tendenze dell* arte, le quali, più si procede
oltre nei tempi, e più lasciansi riconoscere, talché infine cMmbat*
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HIEPAZIONE. XXW
titmo Del MiceiardeUa, oye la Mum non vuole altro &re ebe rìdere
e piacevolmeole buriarsi degli uomini e forse anche un poco del
Cielo. Splende fra essi come gran Sole TAnoato, se forse non è da
dire che egli non appartiene ad alcuna scuola ed è unico piuttosto
che primo. Ma paragonando il Furioso all'idea dell' ottima poesia qui
aopra deKneata e & cui dicemmo essere Dante un ritratto maravi-
fgàfmamente condotto e il più prosiimo all' originale , a noi sembra
di poter aentenziare che ritraendo rocchio dai fini solenni e sapienti
MI' arte, e divisando in essa non più che l'intento immediato di
mover diletto ed esprimere ogni ragione di bello, quel poema cele-
bratismmò a' accosta meglio di tutte l'altre composizioni italiane ai
pregi della Divina Commedia. Se non che, l'Ariosto significò la
commedia umana quale la veggtamo rappresentarsi nel mondo, lad-
dove Dante fece primo subbietto suo il sopramondano , e in esso
figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle
fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatisi
simi aspetti delle indoli e delle passioni , il simile adempiva V Ariosto
sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo
qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta , più immaginosa e
più moltiforme di quella dell' Orfane^ /uriojo.^ Quivi sono guerre
tra più nazioni^ nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sangui-
noso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di co-
stumi, e tutto il Ponente e il Levante per larga scena e strepitoso
teatro di colali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita pri*
vaia e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi ;
quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica , la novella e la storia ,
e ciò che il dramma à di patetico, Tepopeia di maestoso, il ro-
manzo di fantastico. Però io credo veramente che sieno pochi gli
aspetti e gli accidenti dell' esterior natura, poche le colleganze e
gl'inviluppi dei casi , poche infine le differenze e le tempre dei ca-
ratteri e degli appetiti che nel Furioso non abbian luogo , e tutte con
magisterio insigne ed inarrivabile vi vengou ritratte. Quivi è pure
la evidenza, la sicurezza e la incantevole flessibilità del pennello
dantesco e quella intuizione immediata e lucente della verità e bel-
lezza di tutte le cose che dalla inspirazione si origina e qualifica
peculiarmente il sommo poeta. Quivi per ultimo è quella difficile
significatone dell'universale e comune nel particolare e nel proprio,
sicché in ogni personaggio ariostesco appare ben definita e spiccata
una forma esemplare e una speciale e vivente individualità ; e mentre
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XXIV PREFAZIONE.
il sopranalurale (rascende di iaoto la realità e si spazia in un infinito
fantaslico , it complesso degli accidenti e il parlare e operare degli
uomini procede con tale verità e naturalezza che fa verisimile T im-
possibile. Ma nella Divina Commedia la intuizione si mescbia in
guisa stupenda con la più viva coscienza di sé medesima e con la
profonda e incessante meditazione. Del pari , nella Divitm Commedia
con la rappresentazione, può dirsi, di tutto il creato e con la imma-
gine fedele del secolo e della civiltà in mezzo a cui fu dettata , sem-
pre vi si scorge Y orma e lo stampo , a così domandarlo , dell' animo
e del genio dantesco , e tutta la persona del gran Ghibellino vi sta
improntata. Nel Furioso, la fantasia par sottomettere a sé ogni cosa
e, come avviene singolarmente appresso di Omero, l'arte vi giace
nascosta e , a volte, piglia T aspetto della negligenza e della srego-
latezza ; e similmente , la persona e il carattere del poeta rimanvi
occulto e ignorato , salvo che un poco il rivelano le narrazioni e
descrizioni non sempre caste, e quel leggier sorriso e quella blanda
ironia che per tutto il poema si sparge e vince in grazia e in dissimu-
lazione il cantor del Morgante.
S XXIl.
Non credo che in veruna straniera letteratura possa come nella
nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi
eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran
luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa chiarezza di
Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presuntuoso il dire che
per esempio la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di
Granata di Girolamo Graziani , sostengono bene assai il paragone o
con YAraucana dell' Ercillao coi medesimi Lusiadi 9\ quali anno
accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per
simile, io giudico che YAmadigi del Tasso il vecchio o Y Orlando
innamoratoAA Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata
di Spenser e con quanto di meglio in tal genere anno prodotto
l'altre nazioni. Ma non é da tacere che in quasi tutti questi nostri
poemi riconoscesi agevolmente o l'uno o T altro dei tipi che nel
Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca
giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni
posteriori ; e ne^ poemi eroici singolarmente a ninno é riuscito di ben
causare i difetti del Tasso , molti in quel cambio li esagerarono.
Deesi peraltro sceverare da tutti essi il Trissino , al quale molti anni
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PREFAZIONE. XXV.
avanti del cantore di Goffredo, venne desiderio di schiudere agl'Ita-
liani la via illustre e regìa dell'epopea, e trattar materie più conve-
nienti alla dignità e sapienza delle Muse. Fu il Trissino ing^pno
austero e animoso, ma freddo ed inelegante, e cosi alla cicca passio-
nato della semplicità e maestà omerica da non ravvisare che i carat-
teri della poesia primitiva sono in qualunque altro tempo inimitabili
affatto, e che gli uomini e i casi da Omero descritti toccavano il
aopraumano e il divino, dove quelli descritti nella Italia liberata
non d*altro sentivano che d*una civiltà tutta guasta ed intenebrata.
Né la scelta medesima del subbietto fu secondo ch'egli pensava,
molto italiana e molto civile; e piacendogli ad ogni modo di poetare
della liberazione d'Italia, come a lui Vicentino non venne in me-
moria la lega lombarda? Ma già cotal tema (quale ne sia stata mai
la cagione) a niun poeta illustre italiano affacciossì al pensiero né
prima né dopo il Trissino e il Tasso , e solo ne* volumi del Muratori
incontrasi qualche antico verseggiatore che ne cantò rozzamente e
con depravato latino ; tanto poco gli affetti ed i pensamenti nostri
attuali somigliano a quelli de' nostri avi.
S XXIII.
Dal Tasso in poi le sorti d'Italia ruinarono ancor maggiormente,
o a parlare più esalto, col processo del tempo la piaga del comune ser-
vaggio sentir facevasi più profonda e inguaribile, e T universale stem-
peramento degli animi palesavasi di più in più nel tenore del vivere *
e nella novità dei costumi. Ogni grande e generoso affetto era muto, e
i popoli procacciavano di ripararsi da tutte specie di tirannidi , ineb-
brìandosi di piaceri e brigando e bamboleggiando tra frivole occu-
pazioni di teatri , di giostre, di novendali , di paramenti e di pompe.
E ciò non pertanto é così scolpila e naturata negl' Italiani la forma
del bello e così continuo il desiderio di imitarlo e d'esprìmerlo, che
Tarte non si estingueva, ma bene si corrompeva. L'ìmmoderata
fantasìa suppliva ai Bacchi pensieri; T affettazione e la bizzarrìa, al-
l'ingenua e subita ispirazione, l'abbondanza lutulenta e verbosa,
all'antica sobrietà, i colori vistosi ed il liscio, alli schietti e parchi
ornamenti del vero. Ognuno à in mente che caposchiera e maestro
di tal sorta di poetare fu principalmente il Marino, al quale peraltro
non é da imputare colpa maggiore che dell'aver lusingato e secon-
dato più che troppo il suo secolo; e a dir più giusto, egli riusci per
appunto strepitosamente grande e famoso » perch'ebbe natura con-
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XKVl
¥«ùealìiMBa ft qtteRa ^lamdi tenpie di gusto; ùomàomimdkè %\
vmm Bella leUtrattira il medtstmo che Macchie? cUo Tiene inee^
gMDdo a rispetto dcUa politica. Scwabile mi si fa il Maarinsv e sca-
sabili gV italiani , ^nand' ìf^ consideto h> stalo di ler namna sotto
il cmiMe dominio degli Spagnooli, e fieramente mi sdegno con
qnesti medesimi che nella patria la<*o ancor A potente e si fortunata,
plandtvano a qoe^ delirj e incensavano il Gongora ^ meno ingegnoso
assai del Marino e di lui più strano e affettato. In fine gioverà il
licordaro che all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur
tanto ancora di prevalenza iutellctiuale appresso l'altre nazioni, che
dtf trionfi più insigni e delle lodi (ùù sperticate del cavaUer Marino
ffurono autori i Francesi, e per lungo tempo assai nessuno de'Ior
poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre
Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma
nd cui siile nondimeno avria dovuto il Boileau ri trovare assai spesso
di quel medesimo talco del quale parevangK luccicare i versi del
Tasso.
S XXIV.
Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fan-
tastica e meramente coloritrice la quale cerca l'arie solo per Tarte,
lassi specchio indiflerente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle
malvage, alle vane e giocose come alle grandi e inslruttive; sente
tutti gli affclti, e nessuno con profondila, e neiressere suo natu-
rale» canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come
delle bibliche narrazioni. In tal guisa quella poesia dantesca da noi
contemplala e alla quale convien sempre tornare con T occhio della
mente, se prima del Marino già compariva incompiuta e dispersa,
e con l'Ariosto risorgeva solo in alcune sue doti , e col Tasso nelle
intenzioni finali e nella dignità ed elevazione platonica, ei si può
dire che nel poema delV Adone più non lasciava riconoscere alcuna
propria sembianza.
S ^xv.
qnealo eorrospimesto ésU'aiie dal dìodersi dd dnqne-
» a ttttlo quasi il secolo xvn. E ciò nondiflaeno iorirao* in tale
■rtervalio tre ingegni eminenti che mantennero alla Urica noatra
hcHe maggioranza sa quella dl^alkre
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» ad inft eoa me tt CUabreim» tt FUicait ed U €«di IW i^
GUabrenifo Tlialmregdaia di tre imoTe eorone j^lkbe; efaà n^
rMwte ndle sue nuoii nacque e ({randeggiò prima la caoione firn»
darica» poi la caazoae aaacreoaiica e infine il aeniioiie oraziano;
Bè mal s'apporrebbe colui cbe aUribuìaae al Chiabreia eiiaQ|)io la
riBBovaaioiie del Ditirambo. InleUeito ardilo, iuTenlivo e gagliardo^
occbaioai integro del guaio e severo dell'animo, foca nelle odi sua
fipaUulare quel tanio di poesia civile che i tempi e le sventure d'Ita-
Kn tl& concedevano. Per tutto dove sorgeano (aviUe di valore ita-
lìsM^ 0 aperanae d'italiana gloria accorreva quello spirito generosa
ooai le i^iìrlande d^r inni, sema mai parte{^(iare peruna provincia
o per na governo, ma invilaado ogni gente della Penisola a ricor»
darsi ne'lor fatti e consiglj dd comune sangue latina Egli Ligure,
e accolto e onoralo da un popolo, che avea combattuto a Cimata ed
a Malamooco, spandeva lodi magaifiebe sui Veneaiaai morii nelta
giMrffe contro al Turco i e mentre V Europa e gran porzione abreaà
d^* Italia stavau indifierente a guardare quella lotta sproponionala
e aangttiiMsissima in cui TinCdice Veoena scemava ogni anno di
fone, di tesoro, d* autorità, di dominio, Tanima gentile del Savnwsao
la c<Miaoiava co' sum versi degni mollo spesso éeì cedro.
S XXVI.
11 Filicaja venne a tempi ancor più infelici , e quando più non era
poaaibile di discuoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio
pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il sènso del bene morale e
la piala rdlgiosa fervevano cosi profondi nell' animo suo che basta-
roBO a farlo po^a. E mai nò in questa nostra patria, né fuori sonoai
laiile canzoni cosi ben teasperale di splendore pindarico e di maestà
acriitafalecomequelle del Filicaja; onde costui veracemente avrd:ibe
laacate le ultime cime ddla lirica nostra dove i^' impeto del senti-
BMato e alla beUezza e sublimità del concetto si conformassero sem-
pt» la purità e Teleganza del dire. Nel Guidi poi , che è il terzo de*na-
miaati, si ripetè un fatto veduto a quando a quando in Italia e il
yrnle le straniere letterature poco o nulla conoscono, io voglio dire
naamsste io cui la iavenzione e la vi^hezza dei pensieri è scarsa e
noft Mpassa i termÌBi del mediocre, e quella dello stile èfprandia-
sì«a e ragginaga la perfisnone; e meramente uA Guidi alUto a oon-
aaMi ed a aentimoMi spesso comuni e rettoriei , splende una iorma
san snficr abile di novhà, di beUazza e magnificenza. E d'altra parte
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XXVIII PREFAZIONE.
che poteva egli un poeta costretto a voltare in versi le latine omelie
di Clemente XI e a cantare le leggi dei pastori d'Arcadia? Abitava in
Roma, e delle ruine romane pasceva continuo gli occhi , e da questa
vera e sola grandezza che avca dinanzi , trasse le immagini e i pen-
samenti migliori e più vigorosi. Ma la decadenza trista ed irreparabile
del pontificato non volea vedere o pur non poteva ; di quindi quel
suo fare iperbolico e quel suo vestir di gran nomi e di gran parole
le picciolo cose. Certo, se ad Alessandro Guidi fosse toccato di vivere
in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca fecon-
dità e vastità de' pensieri , io non so bene a qual grado di eccellenza
non sarebbe salita la lirica sua , perchè costui propriamente sortì da
natura Vos magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua
canzone alla Fortuna.
Di Fulvio Testi è quasi ingiurìa tacere ed è pericolo grave lodarlo.
Copia di pensieri più che novità; grandezza che dà nel turgido;
audacia e forza che si piacciono neir ostentazione; un comporre
tra r oraziano ed il chiabreresco , ma non come quelli castigato e
continuamente condotto dal buon giudicio e dall' ottimo gusto. Di-
lettaronlo le mattezzc del Marino , anzi , dal lato dello stile, fu il
Marino medesimo con maggior polso, ma con minore invenzione, ed
ebbe comuni altresì col maestro suo la fluidezza del verso e la riso-
nanza del ritmo, non sufficienti sempre a nascondere il fraseggiare
negletto e prosuco.
S XXVll.
L'Italia in sul cominciare del settecento affrancandosi in parte del
giogo straniero per lo sgombramente degli Spagnuoli ebbe destino
men doloroso e concepì speranza del meglio ; appresso, nell'altra
metà di quel secolo ebbe principi riformatori , ingegni tragrandi in
iscienza e in politica, e vide in Roma una restaurazione assennata
del gusto antico in tutte Farti del disegno. Ma l'effetto di ciò ap-
parve assai tardi e assai lentamente nella poesia ; onde conoscesi
ch'ella non precorre il moto civile dei popoli e piuttosto è 1* ul-
timo frutto che il primo fiore delle pubbliche miglioranze; né
queste si fanno materia di poetica inspirazione che quando menano
seco l'abbondanza e T impeto degli affetti, e quando i pensieri e le
teoriche che le accompagnano, sono di qualità da facilmente vestire
le forme dell'arte. Ma comunque ciò sia, questo rimane pur vero
che fino all' ultimo scorcio del secolo andato il nostro Parnaso
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PREFAZIOffK. XXIX
rìsuoDÒ più che mai di ciance canore, e per intero yenne occupalo
da qudlo alile or ampolloso e scorrctlo, or lascivo e burlevole, ma
sempre fiacco, verboso e pedcslre di cui rende immagine piena In-
noceozio Frugoni ; e dal culto della semplicità ed eleganza antica
rìsuscilato in Roma per opera del Winckelman , del Milizia , del
MengSy del BaUoni e d'altri valenti scrittori e disegnatori, cavarono
i poeti sol questo di viepiù pazzeggiare e straniarsi con la mitologia
greca, e di dar nome d* anacreontiche alle lur canzonette prosaiche
e piene di smancerie. Della energia, proprietà e sapienza dantesca
neppure un aspetto e un vestigio; ed anzi fu scritto e Tu sindacato
contro la Divina Commedia, ove, trattone qualche brano, ogni rima-
nente, si giunse a dire, dee reputarsi nojoso e barbaro.
A tanto orgoglio di giudicio e tanta umiltà e grettezza di opere
affermeremo noi essere contrappeso più che bastevole la gloria di
Melastasio? Incertissima è la sentenza, e in qualunque modo si pro-
ferisca, la lascivia e la frivolezza deir arie non ncevono alcuna smen-
Uta da quel poeta Cesareo. E a chi ormai non dispiace la effemmi-
nala sua Musa? a chi uon rincrescono quegli eroi cascanti di vezzi
e quei Greci e Romani trasformati così sovente in Filocopi e in Ca-
loandrì? Eppure, il buon Gravina avea fin dair infanzia menato il
Trapassi a bere alle ingenue fonti della drammatica antica. Ma il
dilicato giovinetto, conforme in tutto alla muliebre natura dei
tempi, piuttosto che imparare da Sofocle a emendare Racine e
Quinault, aggiunse le proprie allo molle loro svenevolezze. E nep-
pure quando si alzò a cantare di Temistocle , di Attilio Regolo e di
Catone, seppe purgar la scena degli amoretti e dei madrigali;
miglior esempio aveagli dato Apostolo Zeno.
S xxviu.
Ma come i sensi religiosi in quel che anno di più sublime e di più
scritturale fecero del Filicaja un poeta grande , col quale il secolo
decimosettimo tanto bene si compiè quanto male fu cominciato dai
Marinisti; del pari nell'età susseguente le inezie anacreontiche, le
pastorali melensaggini e i dispregi contro Dante, trovarono fine per
opera d*un ingegno altamente religioso ed austero, il quale in
mezzo alla licenza delle opinioni e alla mollezza e fatuità do' costunli,
parve in vero infiammalo danna fantasia e da una indegnazione prò*
fatica. A me suonerà sempre caro ed insigne il nome di Alfonso Va-
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XXX PRETAZIONE.
rMM , perdièda lui segmlaiDente , a qudlo che io giudico , a' ioinò
il oorao della poem moderna italiana ; e forse h patria dod gli ri
Aosira rioordev!(de e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse non poca
aimiHtadiae tra la mente del Varano e qnelh del Yoang, credo che
male non ai apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischmse
non pertanto agli affetti gentili , diffondono ne* lor versi un religioso
terrore e un'ascetica mdanconia che ndl' Inglese riescono cupi , in-
consolati e monotoni , e nell' Italiano s'allegrano spesso alla vista del
nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede
alla pace e serenità della gloria immortale.
Yarano poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il
debito culto ; il Gozzi con li scritti polemici , egli con la virtù del-
l' esempio ; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a Virgilio :
Tus^ h mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle vi-
sioni chiuse e conchinse T intero universo nel sentimento della pietà
e nei misteri del dogma, e non bene seppe imitare del suo modello
la nervosa brevità e parsimonia , la varietà inesauribile e la pere-
grina eleganza.
Ma le nostre considerazioni debbonsi tutte fermare alla soglia ove
à termine Tetà media e la moderna incomincia. 11 Panni stesso ci
sembra travalicarlo e sentir Paura de^ nuovi studj e del nuovo se-
colo; ond'egli non vuol serbare d'antico se non la grazia del greco
idioma e la dignità del romano , e quella inflessibile alterezza e drit-
tura dell'animo che non obbedisce e non i»ega di là dall'onesto né
ai principi né ai demagoghi.
TERENZIO MAMIANF.
Genoa, 1848.
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POETI
DELL'ETÀ MEDIA.
POEMI EROIGL
BOCCACCIO.
TESEIDE.
amomutto.
Nel decimo l'nfido f onerale
FaoDo gli greci re a' morti loro ;
B Teseo chiama chi aanxa dimoro
n mal d' Ardta dice esser mortale :
Poi Arcita a Teseo racconta quale
Dopo la morte sua del suo tesoro
Il testamento sia; e poi con ploro
Qoasi con Palemon fece altrettale :
Poscia presente Emilia seco stesso
Del suo morir si doole, e poi con lei :
Ed elio dopo lui , porgendo ad esso
CU stremi baci con dolenti omei :
Quindi a Mercurio lita, e piagne appresso,
P(>* Talma rende agl'immortali Iddei,
n gran nido di Leda ogni beUezza
In molte luci di sé dimostraTa ,
E gii propinqua a sua maggior cortezza
Tacitamente la notte n'andava,
Forse due ore Tidna alla terza
IknF€ il suo mezzo cerchio già toccava :
Quando di corte i regi si partirò.
Ed agii lor ostier propij reddiro.
Ed acciocché per lor non s'impedisse
La lieta festa deUa nuova sposa ,
Anzi che più della notte sen gisse,
Frese con loro ciascheduna cosa
Degna di pira, ciascheduno disse
A' suoi : ìfentre la gente si riposa
Piani al teatro grande ve ne andate ^
E quivi con silenzio ne aspettate.
I morti corpi degU nostri amici
Tutti con diligenza troverete.
Ed acciò che non slan forse mendici
D' onor di sepoltura , laverete
Lor tutti quanti ; e roghi fate lid ,
Ne* qua* con degno onor li metterete :
Po* venuti saren , ma chetamente
Si vuol far ciò , che noi senU la gente,
i
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POEMI EROICI.
Mossersi allor co* lumi i servidori,
E 'n verso il gran teatro se ne andare;
E, come avien comandato i signori.
Gli morti corpi tutti ritrovaro,
E que' con odoriferi licori ,
E con lagrime ancor molto lavaro :
Po* fatte pire per sé a ciascheduno.
Sopra catima d'ette jK>ser un».
Venaeiwi i re, dhe la turba dolente
Con tristo suono fu apparecctiiata ,
Ed intorniarla tutta con lor gente ;
E po' ch'egli ebber ciascuna onorata
E d'arme e di grillande e di lucente
Porpora, fu la tromba comandata
A sonar, e a dar voce a' tristi guai
E dolenti , che quivi erano atsaL
Allora i regi adimorati un poco
Dentro alle pire fatte , con dolore
Al morto suo ciascuno accese il foco ,
E poi a Giove stigìo ognun di core
Fé' sagrificio, acciocché pio in buon loco
Ponesse quelli che per lor valore
Erano il giorno morti combattendo ,
L* anima loro per altrui offerendo.
I grossi fuoclii e grandi e ben ardenti
Consumar tosto i corpi lor donati ;
I qua' da ognuno delle greche genti
Pietosamente fur mortificati :
E ricoltc le ceneri cadenti ,
In vasi furon messe , apparecchiati
Con mano pia , e con dolente verso ,
Durando ancora assai del tempo perso.
E quante Niobe appresso i SipUoi^e
Allorché i figli di Latona fero
Vendetta della sua alta orazione.
Ne portò urne, ed ivi in sasso vero
Si trasmutò, cotanti é opcnione
Che quivi al tempio dei gran ÌUrte altero
Segnati gisser del nome di quetti.
Le ceneri de' quai fur messe hi efiì.
Poi ritornaro agli lasciati ostieri,
Siccome bisognosi di riposo.
Ed a dormire 1 regi e i cavalieri ,
E qualunque altro, il tempo tenebroso,
Tutti quanti ne giro volentieri,
Inflno al nuovo giorno luminoso :
Quindi levati a corte ritornaro,
Dove Teseo levato già trovaro.
Tutti gli Greci 1 quali avien difetto
Eran con somma cura medicati,
E lor donato solazzo e dileUo,
E ne* bisogni lor bene adagiati :
Talcbè di iBorte e d' ogni altro so%>etto
Furon hi pochi giorni liberati;
E come prima si rifecer sani
I cittadin così come gli strani.
Ma solo Arcita non potè guarire.
Tanto era rotto dentro pel cadere :
Fevvi Teseo il grande Ischion venire
D'Epidauro ad Arcita per vedere,
II qual si mise segreto a sentire
Del anal che Arcita io sé potesse atere ;
E sanza fallo egli si avvide tosto
Come Arcita di dentro era disposto.
Perché a Teseo rispose di presente
In cotal guisa : Nobile signore,
Il vostro Arcita è morto veramente.
Né luogo ci ha di medico valore :
Gio%e potrdbèe in vita solamente
Servarlo, se volesse, eh' e' maggiore
Che la Natura, e puotc adoperare
Assai più che Natura non può fare.
Ma lasciando a' miracoli il lor loco ,
Jo «hco eh' Esculapio non varrebbe
Per sanità di lui molto , né poco ;
Né '1 chiaro Apollo ancora, che tutta ebbe
L' arte con seco, e seppe il gliiaccio e '1 foco
E l'umido e *1 calore, e clie potrebbe
Ciascun* erba , o radice : però eh' esso ,
Per lungo e per traverso é dentro fesso.
Dunque fatica per sua guarigione
Sarie perduta , per quel eh' io ne senta :
Fategli festa e consolazione,
Sicché ne vada l'anima contenta
n più si può air eterna prigione ,
Dove ogni luce Dite tiene spenta ,
E dove noi por dietro a lui ne andremo
Qoando <fi qua più viver non potremo.
Molto cotal parlar dolse a Teseo ,
Perciocché Arcita sommamente amava ;
Ed a chi questo udiva il simil feo,
Perdooché ognuno alte cose sperava
Ddla sua >ita, se'l superno Iddeo
Vivere in parte antica lo lasciava :
Né sapevan di ciò nulla che farsi.
Se non ciascun dì Giove lamentarsi.
Adunque ciascun giorno peggiorando ,
D buon Arcita in sé si fu accorto
Che '1 suo valore in tutto già mancando ,
E che sanza alcun fallo egli era morto •
Né di ciò trarre 0 potè ragionando
Alcun giammai, dandogli conforto :
Perché volle di sé dò che potesse
Disporre , sol che al buon Teseo piacesse.
E fello a sé sanza Indugio chiamare,
E comùidò con lagrime In ver lui
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TESEIK.
Ptetoamcnte in tal guisa a parlare :
0 nobile signor caro, di cai
Mille Tolte morendo meritare
Vorrei l'eoor, del qoal degno non fui,
Kè potrei mai , lo mi veggio venire
Al passo, U qual nemno può fuggire.
Al qual sì fegno , di' i' ne sott contento :
Kè Tado mal pensando che l'amore,
B qual m* ba dato già tanto tormoito
Per la giovane donna , che nel core
Ancora, come mai per donna sento,
Lasdo infinito, e te, caro signore.
Al qnale, appresso lei più disiava
Servir, che a Giove , e |riù mi dilettava.
Ma più non posso , e iarlo mi conviene :
Perch'io ti prego, per ultimo dono.
Se lungamente Iddio ti guardi Atene,
Che , poi del mondo dipartito sono,
E sarò gito a riguardar le pene
De' miseri che priegan per perdono ,
Quel che dirò tu iaccia sia fornito ,
Se tu da Marte sia sempre esaudito.
Signor, tu sai che poi che di Creonte
U giusto Marte ti die la vittoria
Ch'io t'era con lui uscito a fronte,
E preso fui prigion, della tua gloria
Piccola parte, e certo non isponte,
E Palemone ancor, come a memoria
Esser ti debbe, i qua'festi guardare,
Forse temendo di nostro operare.
Mai poiché quindi fummo liberati,
Per tua bontà e per tua cortesia,
1 nostri ben , donde eravam privati,
G fur rendati, ed ogni baronia.
Come ti piacque, avemmo, ed onorati
FamiDo come eravam giammai in pria,
Be' quali a Paiemon tutta mia sorte ,
Ti prego doni , dopo la mia morte.
Similemente ancor t'è manifesto
Quanto amor m' abbia per Emilia stretto ;
n quale al tuo servigio sol per questo
Ad esser venni , e quello , che sospetto
Esser doveami, non mi fu molesto;
Anzi con fé serviva e con diletto ;
Uè credo mai ti trovassi 'ngannato
IN cosa, che di me ti sia fidato.
Esso insegnommi a divenir umile :
Esso mi fé' ancor sanza paura :
Esso mi fé' grazioso e gentile :
Esso la fede mia fé' santa e pura :
Esso a me dimostrò che mai a vUe
r non avessi nulla creatura :
E^ mi fé' cortese ed ubidiente :
Esso mi fé' valoroso e serveate.
Tanto mi diede Amor di pronto arcfire.
Che sotto nome istran neUe tue mani
Mi misi a risdiio di dover morire :
E certo a dò non mi furon villani
or Iddìi, anzi faoevan ben seguh«
I miei pensieri intieri e tutti sani :
Né mi vergogno punto che 'n tuo onore
Io ti sia stato lungo servitore.
Febo si fece servitor di Ammeto,
Mosso dalla medesima cagione
Ched io mi mosti, e così dolce e quieto
Seni, ch'egli ebbe la sua intenzione :
E certo eh' io 'I seguiva mansueto.
S'egli non fosse suto Palemone,
Né dubito che dò che disiava
M'avessi dato, s'io mi palesava.
Or così va, e non si può stornare
Ciò eh' é già stato : ond* io sonoa tal ponto
Qual tu mi vedi, e sentoml scemare
Ognor la vita , e già quasi consunto
Del tutto son, né mi posso aiutare :
A tal partito m'ha or Amor giunto,
A cui ho io servito il tempo mio
Con pura fede e con sonuno disio.
Né '1 merito di dò che io attendea
Goder non posso , benché mi sia dato ,
Veggio di me che dascun Fato avea,
Che così fosse, in sé diliberato,
E che del mio servir vuole ch'io stea
Contento, che per merito onorato
Istato sia delia data vittoria,
Ch' ella a' futuri fie sempre in memoria.
Ed io perciò clie più non posso avantc.
Voglio aver questo per mio guidardone :
E quel che fu così com' io amante ,
E la sua vita ha messa in condizione
Di morte, e di periglio slmigliaute
A me, lo dico del buon Palemone,
Dell'amar suo per merito riceva
La donna eh' io per me aver doveva.
Io te ne prego per quella salute
Che tu a lui ed a me parimente
Donasti già, per la tua gran virtute
Nota agl'Iddìi ed all'umana gente,
E per l'opere tue, che conosciute
Sono e saranno al mondo etemalmente^
E per la fede la qual ti portai ,
Mentre nd tuo servigio dimorai.
Questa mi fia tra V ombre alma letizia.
Che Palemone, cui molto amo, sìa
Tratto per me d' amorosa tristizia ,
Possedendo egli ciò che più disia :
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4 POEMI
Pensando ancora eh* egli abbia dovizia
Di dò eh* egli ama , per tna cortesia ,
Almeno Emilia mentre sarà in vita ,
Vedendo lui, avrà a mente Arcita.
E questo detto, forte sospirando
Tacque, cogli occhi alia terra abbassati.
Tacito seco stesso lagrimahdo ,
Né quelli ardiva di tener levati :
Onde Teseo un poco attese, e quando
Vide eh* e* suoi parlari eran posati ,
Quasi piangendo, assai di lui pietoso,
Disse cosi con viso lagrimoso :
Tolgan gì* Iddii, Arcita, amico caro,
Che Lachesis li ili poco tirato
Ancora tronchi, e cessi questo amaro
Dolor da me, sed lo Tho meritato,
Che non si dia a tua vita riparo ;
E già in ciò Alimeto ha pensato
Insieme con Ischion, e si faranno ,
Che vivo e sano a noi ti renderanno.
Ma pur se degl* Iddìi fosse piacere
Di torti a me , che più che luce t* amo ,
A forza , ciò non ci convlen volere ,
Perocché noi sforzargli non possiamo :
Qò che m* hai detto puoi certo sapere ,
Che poi ti piace, siccome te *1 bramo,
E sanza fallo tutto e* fie fornito
Se tu venisti a sì fatto partito.
Ma tu come sì forte ti sgomenti.
Pensando che cosi notabll cosa,
Gom*é Emilia, che farle contenti
Qualunque Dli, di sé tanto amorosa
Si fa vedere, e' suol occhi lucenti
Pur te disian con vista lagrlmosa ,
Essa eh* é tua? deh prendi pur conforto.
Che ancor verrai a grazioso porto.
Ben ci ha da render altro giildardone
Delle fatiche da lui sostenute,
I* dico al tuo amico Palemone,
Del quale a me domandi la salute :
Sol che tu sani, lo ho opinione
DI porvi *n parte, per vostra \irtute.
Dove di voi tra voi ancor sarete
Contenti si, che lieti viverete.
Ardta a questo nulla rlspondea,
SI lo stringca 1* angoscia dell'amore.
Ed il suo stato assai ben conoscea.
Posto che gli conforti del signore
Divoto udisse quanto più potca :
E già I* ambascia s'appressava al core
Della misera morte; onde si volse
In altra parte , ed a Teseo si tolse.
E poi eh* egli fu alquanto dimorato
EROia.
Sanza mostrare o dire alcuna cosa.
Com'era prima si fu rivoltato,
E *n voce rotta assai ed angosciosa
Prega che Palemon gii sie chiamato
Anzi eh* e' lasci esta vita noiosa :
li qual gli venne sanza dimorare
Con altri molti per lui visitare.
li qual pò* vide innanzi a sé venuto ,
E rimirato l' ebbe lungamente
Con luce aguta, quasi conosciuto
Pria non l'avesse, con voce dolente
Disse : Palemone, egli é voluto
Nel del che qui più i* non ne stia niente :
Però innanzi il mio tristo partire
Veder ti volli , toccare e si udire.
Tanto n* ha sempre avversati Giunone ,
Che del seme di Cadmo solo Arcita
N'é conosduto, e tu, o Palemone:
Or mi conviene angosdosa partita
Da te parente amico e compagnone
Far; po' le place ancora alla mia vita
Essere Invidiosa , che potea
Pur contentarla, s'ella lo volea.
In quella entrata, eh* io doveva fare.
Ad esser degli suoi raccomandato
Fa ella il mondo lieto a me lasciare ,
Per congiungermi a* nostri primi andati :
Or m*avess*ella pur lasciato entrare
Per tre giornate ne* suoi disiati
Luoghi , ed appresso In pace avrei sofferto
Ch'ella m'avesse morto, ower deserto.
Non r é piaciuto, ed io non posso avanti:
Dunque tu solo, che a me se* rimaso
Del sangue altiero degli avoli tanti
Quando verranne il doloroso caso
Ch'io lascierò la vita e i tristi pianti.
Gli occhi, la bocca e 1* anelante naso,
Priegoti che mi chiuda, e faccia eh* io
Tosto trapassi d* Acheronte il rio.
E perchè tu , siccom' io , amato
Hai lungamente Emilia graziosa.
Io ho Teseo a mio poter pregato
Che la ti doni per etema sposa :
Pregoti che da te non sia negato.
Perché tu sappi che di me platosa
Ella sia stata , ed a me porti amore ,
Ch'ella ha suo dover fatto e suo onore.
E giuroti per quel mondo dolente ,
Al qual io vado sanza ritornata.
Che , a dir vero , giammai al mio vivente
Di lei nluna cosa t' ho levata.
Se non forse alcun bacio solamente;
Sicché tal é qual tu te 1' hai amata :
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TBSEIDE.
Onde ti prego f per tua cortesia.
Che tn la prenda e che cara ti sia.
E lei con quell* amor che tu solevi
Portarle più che a nulla creatura ,
S'egli era vero dò che mi dicevi,
Onora e guarda, e sì d'oprar procura,
Che *1 tuo valore usato si rilevi
A ricrear la nostra fama oscura ,
Per lo dolente seme eh' è già spento,
S'a rilevarlo non dai argomento.
Certo questa è manifesta cagione
Che ciaschedun dell' operato affanno
Ricever debbe degno guiderdone :
Dunque sarà per merito del danno
Che hai già avuto, e disconsolazione,
Com'io lo so, e molti ancor Io sanno.
Ricever lei , che credo più che '1 regno
IM Giove l'avrai cara, e senne. degno.
E s'ella forse, per la morte mia,
Piatosa desse alcuna lagrimetta.
Si la raccheta che contenta sia;
Perocché la sua vista leggiadretu
Fatt' ha l' anima mia di lei si pia.
Che 1 riso suo più me che lei diletta,
E eosi '1 pianto suo più me contrista:
Onde io mi cambio com' è la sua vista.
In questa guisa, pe l'anima sente
Po* la morte del corpo alcuna cosa
Di queste qua', tra la turba dolente
Andrà con più di ardire e men dogliosa :
E questo detto, più oltre niente
Allora disse : donde con piatosa
Sembianza e voce appresso Palemone
Incominciò così fatto sermone :
0 luce etema, orrevole splendore
Del nostro sangue, poderoso Arclla,
S'egli non è in te spento il valore
Usato, aiuta la tua cara vita
Con conforto, sperando che 'I Signore
Del del soccorre a chi sé stesso aita :
Né far ragione che in giovine etade
Antropos ora pigli potestade.
Cesshi gl'Iddìi che io l'ulthno sia
DI tanto sangue, se tu te ne vai.
Né ched Emilia mal diventi mia :
Tu r acquistasti , e tu per tua l' avrai ;
Né r uffizio che chiedi fatto fia
Colla mia man , per mia voglia giammai ,
Ma la tua prole e tu gli chiuderete
A me, che sopra me vivi sarete.
ArciU disse : E' fie come lo t' ho detto :
Il che se awien , ti prego quant* io posso.
Che 1 mio disio in dò mandi ad effetto ,
E questo sia , ogni altro affar rimotio :
Cosi disio, cosi mi fie diletto.
Così d' ogni gravezza sarò scosso :
E quind tacquon tutti due piangendo ,
E chi ivi stava ancor pianger facendo.
A cotal pianto Ippolita piacente
Vi sopravvenne ed Emilia con Id;
E quando vidon sì platosamente
Pianger gli Achlvi e gli dud dlrcd,
D'Arcita dubitarono, e dolente
Qascuna domandò li re lemel :
Ched era dò che 1 due Teban piangeano ,
E tutti loro ancor pianger faceano.
E fu lor detto : onde ognuna di loro
Più ad Ardta si fecero appresso,
£ cominciaron , sansa alcun dimoro ,
A ragionar di più cose con esso.
Ed a dargli conforto con costoro
Insieme , eh' eran lì venuti adesso ;
Ed egli alquanto prese d'allegrezza,
Poiché d'Emilia vide la bellezza.
E poi eh' Ardta l' ebbe rimirata
Con occhio attento, siccome potea.
Ed ebbe bene In sé considerata
La gran bdlezza che la donna avea,
Cominciò con sembianza trasmutata
A parlare In tal guisa qual potea.
Premessi avanti dolenti sospiri ,
Caldo ciascun d' amorosi disiri :
Piangemi amor nel doloroso core
Là, onde morte a forza il vuol cacdare;
Né vi può star, né uscirne può egli fuore,
Sicch'lo lo sento In me rammaricare
Con pianti, e con parole di dolore
Accese più che non potrei narrare :
In forma che di sé mi fa platoso.
Ed ohimè, lasso, oltre il dover noioso.
Gli spiriti vi sono, e assai sovente
Mostrano a lui l' angelica figura,
Per la qual esso nel core é possente.
Dicendo : Deh fia tal nostra sciagura,
Che ci convenga teco Insiememente
Abbandonar sì nobll creatura T
Esso risponde lor, e sì gli abbraccia.
Dicendo : Sì , che morte me ne cacda.
Io me ne vo coli* anima smarrita.
La qual io presi col piacer di quella
Che da voi é nel mondo più gradita ;
Dunque nelle sue man ricevami ella
Quando farò la dogliosa partita
Dalla presente vita tapinella :
E questo detto, forte lagrimando,
Abbassò gli occhi In terra sospirando.
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6 POEM
Queste parole gì! angelici aspetti
Di quelle donne conturbaron molto,
E con dolore offendevano i petti
IKUcati, in maniera che nel volto
SI parie loro : e ben sentiano i detti
Quali erano , e elle ibsse in lor raccolto ,
E ben 1* occulta morte conosdeno
Nel viso a lui che già veniva meno.
Perchè Emilia disse : 0 signor mio ,
Poscia che tu del viver ti disperi ,
Deh di me, lassa, come farò io?
V ne verrò con teco volentieri ;
E già questo appetisce il mio disio :
Ptrch* io non che fuor di te mi speri :
Tu solo eri il mio ben, tu la mia gioia,
E sanza te non spero altro che noia.
A cui rispose Arcita : Bella amica.
Prendi conforto del mio trapassare.
Non prender nel tuo animo fatica.
Ma per amor di me di confortare
Ti piaccia : se giammai cosa eh' io dica
Intendi nel futuro adoperare,
r ho trovato, a tua consolazione.
Modo assai degno e con giusta ragione.
Palemon caro e stretto mio parente
Non men di me t' ha lungamente amata ,
E per lo suo valor veracemente
É più degno di me che tu Isposata
Gli sia; e questo vede tutta gente;
Che posto che vittoria a me donata
Fosse Taltr'ier, non fu già dirittura.
Ma solo fu la sua disavventura.
DI che gì* Iddìi errarono, e per certo
Gredetter lui atare, e me ataro;
Ma pò* che '1 loro error fu discoperto ,
Ciò che avien fatto indietro ritomaro,
E me recaro a così fatto merto;
n qual or piango con dolore amaro,
Acdoccbè tu ti rimanessi ad esso,
Gom' essi avien dillberato appresso.
Ed io che tu sia sua me ne contento
PIÙ che d'altrui, poicb'tsser non puoi mia :
Ferma In lui dunque il tuo intendimento,
E quel pensa di far ch'egli disia;
Ed lo son c«rto eh* ogni piadmeato
DI te per lui sempre operato Ila i
Egli è gentile, bello e grazloio.
Con lui avrai diletto e si riposo.
Io muoio, e già mi sento intomo al core
Quella freddezza che suole arrecare
Con seco morte; ed ogni mio valore
Sanza alcun dubbio i* mi sento a mancare,
Pwò qnel che ti dico, per amore
EROICI.
Farai ; pò* più non posso teco stare :
I Fati t' hanno rìserbata a lui :
Me* sarai sua, non saresti d'altrui.
Ma non pertanto l'anima dolente.
Che se ne va per lo tuo amor piangendo ,
Ti raccomando , e pregoti che a mente
Ti sia tutt'ora, mentre ch'io vivendo.
Qui starà sotto del bel ciel lucente ,
A te contenta la verrò caendo :
Io me ne vo , né so se tu verrai
Là dove l* sia, ch*i* ti riveggia mai.
Gli ultimi baci solamente aspetto
Da te, o cara sposa, i qua* mi dei;
Ti prego molto ; questo sol diletto
In vita ornai attendo, ond* io girei
Isconsolato con sommo dispetto ,
Se non avessi , e ma* non oserei
Gli occhi levar tra* morti innamorati ,
Ma sempre gli terrei fra lor bassati.
Fatti erano 1 begli occhi rilucenti
D* Emilia due fontane lagrimando,
E fuor gittando sospiri cocenti ,
Del suo Arcita il parlare ascoltando :
E ben vedeva per chiari argomenti
Che, com'egli dicea, venia mancando;
Perch'ella in boce rotta ed angosciosa
C^si rispose tutta lagrimosa :
0 caro sposo a me più che la vita.
Non verso te sono crucciati 1 Dil :
Io sola son cagion di tua partita :
10 nocevole sono a' tuoi disiL
Gì' Iddel vecchia ira incontro a me nntritai
Han ne' lor petti, come già sentii,
I qua' del tutto lo mio matrimonio
Negano, ed i' ne veggio testimonio.
U gran Teseo m'avea serbata a Acale,
Col quale giovinetta io mi crescea :
Bello era e fresco nella nuova etate,
E nelli primi amori assai piacea
A me : ma la mal nata crudeltate.
Che ha contro il nostro sangue Citerea,
Nel tolse, già al maritar vicina,
Bcnched io fossi ancora assai fantina.
Quesu non sazia del primo operare
Contra di me, or te veggendo mio,
Similemente mi ti vuol levare :
Adunque non t'uccide altri che io;
lo, lassa, colpa son del tuo passare:
11 mio augurio tristo e '1 mio disio
Ti noccion, lassa, ed io rimango in pene
Ed in tormento , non qual si conviene.
0 me 1 sopra di me ne andasse l'ira
Ched altri nuoce, per la mia l^elknat
L
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TfiSEIDE.
Che colpa d ha colui che me disira.
Se la spietata Vener mi disprezza?
Perchè ora coDtra te diventa dira ?
Perchè or in te discopre sua fierezza ?
Maledetta sia Torà eh* io fui nata.
Ed a te prima fui appalesata.
E beDo Ardta mio, sanza ragione
Or foss* io morta D di che in questo mondo
Yemil, poi ti doveva esser cagione
Di morte, e torti di stato giocondo :
Donde giammai sentir consolazione
Non credo in me , ma sempre di profondo
Cor mi dorrò dopo la tua partita.
Se dietro a te rimarrò , caro Arcita.
Ora conosco i dolorosi ardori
Che oscuri mi mostrò 1* altr* ier Diana :
Or so qual fosse Taria che di fuori
N*usd con rista e con voce profana,
E quel che della fiamma li furori
A me mostravan con mente non sana :
Qiè se allora conosciuti gli avessi ,
Non credo come stai , tu ora stessi.
Io mi sarei dolorosa parata
A te allora che al teatro ne gisti ,
E di piata d'amore colorata
Avrd voluti gli tuoi passi tristi,
E U dolente battaglia isturbata ,
Per la qual morte per me ora acquisti :
Ma io non gli conobbi ; anzi sperai
Tatto 1 contrario di ciò che tu hai.
Or più non posso ; onde morrò dogliosa ;
Né so Teder chi di morir mi tiene ,
Vedendo , o sposo , tua rita angosdosa
Istar per me, ed in cotante pene;
Oh me dlsventurata , dolorosa ,
Quanfo mal vidi , e tu si ancora Atene,
K quanto mal per te mi riguardasti
Il giorno che di me t* innamorasti.
Ohimè che l fiori , i quali allor coglieva,
E '1 canto , anzi fu pianto , eh' io cantava ,
Erinni, o lassa, tutto ciò moveva;
Ed io n sentii , che talora tremava
Pallida, e la cagion non conosceva,
Né le future cose inmiaginava :
Or le conosco, che son nel periglio.
Né posso porre ad esse alcun consiglio.
Ed ora, caro ^mwo, mi comandi
Che tn mancato, l* prenda Palemone?
Certo le tue parole mi son grantfi ,
E debbo qoeDe per ogni ragione
Servar, più che gli eccelsi e venerandi
iddìi ch'ora m*offendon, né cagione
Non n* hanno; ed lo cosi le serveragglo
In quella guisa ched lo ti diraggìo.
Io so che Palemon m' ha tanto amata
Quant' uom gentil nessuna donna amasse ;
Di che io non 01 voglio essere Ingrata ,
Ed eziandio se Giove il comandasse :
Chiaro conosco che a chiunque data
Fossi, sed esso di grazia abbondasse
D* ogni vivente , eh* lo nel priverei ,
Tanto gli auguij mid conosco rei.
E s' or a te son lo cagion di morte
E ad Agate fui, Taver noduto
Al mondo tanto assai gravosa sorte
M' è a pensar ; né quinci spero alato
Che possa sostener mia vita forte ,
Che poi lo spirto suo sarà paruto
Che dietro a te, per soperchio dolore ,
Io non venga seguendone il tuo amore.
E se pur fia la mia disavventura
Di vivere oltre a te , non vo* donare
A Palemone della mìa sciagura.
Là dove esso per fedele amare
Ha meritato; ma sola mia cura
Ne' boschi fie Diana seguitare ,
E ne* suoi tempj vergine vestita
Serverò sempre mai celibe vita.
E se Teseo vorrà pur ched 1* sia
D'alcuno isposa, agli nimlci sul
Mi mandi , acciò che la sciagura mia
Ad essi nocda, e sia utile a lui :
Palemone è poi tal , che s* e' desia
D'avere bposa, troverà egli altrui
Che gli sarà più non sare* 1* felice :
Ciò manifesto puro 11 cor mi dice.
Gli stremi baci , omé, gli qua^ dolente
in cerchi, ti darò volonterosa,
E prenderogli ancora parimente
A mio poter, dopo gli qua' mal cosa
Non fia ch'io bad più certanamente :
E la mia bocca sempre come sposa
Di te co' bad , che le donerai ,
Guarderò, mentre in vita sarò mai.
E qnind quasi furiosa fatu.
Piangendo con altissimo romore,
Sopra lui corse to guisa d'una matti ,
Dicendo : Caro e dolce mio signore.
Ecco cold che per te fie dtefatta.
Ecco cold che per te trisU more,
Prendi gli bad estremi, dopo t qaaU
Crédo finire i miei eterni man.
E pose II viso suo In sa qud d* Ardta«
Pallido già per la morte vidna.
Né 1 toccò prima, eh* ella tramortita
1b sa la faccia cadde risapina :
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8 POEMI
Ma poi appresso si fu risentita,
Piangendo cominciò : Omè tapina,
Son questi i baci i quali io aspettava
Da Ardta, il qua! \ie più che me amava?
Alle nemiche mie cotal baciare,
0 dispietati Iddìi, sia riserbato.
Ardta, che nel ciel esser gli pare.
Il bianco collo teneva abbracciato ,
Dicendo : Mai non credo mal andare.
Tal viso essendo al mio ora accostato :
Qualora piace omai air alto Giove ,
Di questa vita mi tramuti altrove.
Quivi era si gran pianto e si dogUoso
DI donne, di signori e d* altra gente.
Che vcdean questo ; onde ciascun platoso
Era assai più che di stretto parente :
Che non si crede si fosse noioso
Allor che Febo si mostrò dolente.
Tornando addietro nel tempo che Atreo
Mangiar i figli al suo Tieste feo.
Ed essa allora , slccom* esso volle ,
E come volle Ippolita, drizzossi,
E 8è e lui aveva tutto molle
Di lagrimari da' begli occhi mossi.
Né più né men come 11 Menalo colle
Quando che per Ariete riscaldossl,
E consumata sua veste nevosa.
Mostrò la faccia sua tutta guazzosa*
E quel dì tutto quanto si posaro,
Sanza più rinnovare altro dolore}
Benché nel cor Tavessono sì amaro,
Quanto potea esser più a tutte V ore :
E con parole assai riconfortaro
Emilia e Arcita , e *1 corrotto furore
Lor temperaro con soavi detti,
Lena rendendo a* disolatl petti*
Nove fiate s* era dimostrato
nSole, ed altrettante sotto l'onde
D'Esperia s'era col carro tuffato.
Po' si mutaro le cose gioconde
Per lo cader d' Arcita in tristo stato.
Quando nel tempo che tutto nasconde,
D'Emilia avendo il dì I baci aviiU,
Parlò Arcita a* suoi più conosciuti :
Amici cari, lo me ne vo di certo »
Perché a Mercurio vorrei pur litare.
Acciò ched esso, per sì fatto merto.
In luogo ameno piacciagli portare
Lo spirto mio, po' che gli fla offerto;
E vorrei questo domattina fare :
Però vittime degne ed olocausti
Ne pareccbiate a lui decenti e fausti.
Palemoo ch'era a questo dir presente
EROia.
Come quel che da lui non si pirtia.
Fé' apprestar tutto ciò immantenente
Ched a cotal mestler si convenia ;
E sangue e latte nuovo di bidente
Gregge, ed armenti, quali all'ara pia
Si richledean di così fatto Iddio,
Per adempire d' Arcita il disio.
Il giorno venne oscuro e nuboloso,
E questi Febo s'avea messo avanti
Al viso, acciocché al morire angustioso
D' ArciU non vedesse I tristi pianti
D' Emilia bella, de' qua' assai piatoso
Si mostrò il giorno, gli suoi lumbianti
Raggi celando in fra le nebbie Iscure,
Vedendo chiaro le cose future.
Allora l'ara fu apparecchiaU ,
E* fuochi accesi, e gl'incensi donati,
E ciascun' altra offerta a ciò portata,
E' sacerdoti versi ebber cantati
Con voce assai tra V altre trasmutata ,
E fumi furon tutti a' cieli andati :
Arcita piano cominciò egli a dire
In guisa tal che si potette udire :
0 caro Iddio di Proserpina figlio ,
A cui r anime sU di là portare
De* corpi , e quelle , secondo il censito
Che da te prendi, le puoi allegrare;
Piacciati trarml di questo periglio
Soavemente per le tue sante are ,
Le quali ancora calde per me sono,
Che a te su quelle offersi eletto dono.
E quinci mene tra l'anUne pie,
Le qua' sono in Eliso, mi trasporta;
Che se tu miri ben l'opere mie.
Non hanno fatto me dell'aura morta
Degno, siccome furon l' alme ite
De' miei maggiori , a qua' crudele scorta
Fece Giunone adirata con loro.
Con ragion giusta a lor donando ploro»
Io non ucdsi il sagrato serpente
Allato a Marte ne* campi dlroei ,
Come fé' Cadmo della nostra gente
AvoI primario ; né nelll baccel
Sagrifici tolsi fteramente
La vita ai mio figliuol, come colei
Che dopo il danno riconobbe II fallo «
Né potè poi con lagrime emendallo.
Né siccome Semele in ver Giunone
Mal operai , né sì come Atamante
Centra la prole divenni fellone :
Né uccisi il padre mio, e non amante
Della mia nudre fui , la nazione
Nel aen materno indietro ritornante
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TESEIDE.
Sicoome Edippo ; né 1 mìei fratrì uccisi ,
Né mai regno occupai « né mal commisi.
Né di Creonte Y aspra crudeltate
Mi piacque mai, né mai altrui V usai :
E s* arme furoo già per me pigliate
Incontro a Palemon, male operai.
Ed io ben ho le pene meritate :
Ma certo i* non le avrei prese giammai ,
Sed esso non mi aresse a ciò recato ;
Perch'era siccom*io innamorato.
Dunque tra neri spiriti non degglo ,
IHatoso Iddio, a quel eh* io creda, andare :
Io dd del non son degno, ed io noi cheggio,
M'è negli Elisi caro sol di stare :
IH dò ti prego, e di ciò ti richeggio,
Sed esser può che tu mei debba fare :
So che '1 farai, se, come suo*, se* pio,
£ come credo , venerando Iddio.
Detto ch'ebbe cosi, con più dogliosa
Voce parole mosse, dote stara
Ippoliu ed Emilia valorosa,
E i greci re e ciascuno 1* ascoltava,
E Palemon con anima angosciosa
Tanto dd tristo caso gli pesava :
Ed esso con parola vinta e trbta
Disse cosi con dolorosa vista :
Or mancherà la vita , ora il valore
D* Ardta finirà, ora avrà fine
L'acerbo hiespugnabilc suo amore;
Ora vedrà d'Acheronte vicine
Le triste ripe, ora saprà 11 furore
Delle nere ombre, misere tapine;
Ora se ne va Arclta innamorato
Del mondo a forza isbandito e cacdato.
Oh lasso me, che l'età giovinetta
Lasdo si tosto, alla quale sperava
Ancor mostrar dov'è virtù perfetta;
Tale speranza l'ardir mi mostrava :
Omè che troppo la Morte s'affretta,
E più che in nessun altro in me è prava:
In me si sforza, in ver me la sua ira
Mostra quant'eila punte e mi martini :
Dov'è, Arclta, la tua forza fuggita?
Dove son l'armi già cotanto amate?
Come non le hai ; per la dolente vita
Dana morte campare, ora pigliate?
Ofanè ch'ella s* è tutu smarrita,
Né più potrien da me esser guidate :
Perchè omai io me le rendo , o lasso ,
E per più non poter oltre trapasso.
0 bella Emilia, del mio cor disio,
0 beUa Emilia, da me sola amata,
0 dolce Emilia, cuor del corpo mio,
Ora sarai da me abbandonata ;
Oimè lasso, non so mai quale Iddio
In ciò mi nocda con voglia turbata :
Che per te sola m'è noia il morire.
Per te non sarò mai sanza languire.
Deh che farò io allora che vedere
Più non potrotti, donna valorosa?
Seconda morte non potrò io avere.
Benché la cheggia per men dolorosa :
Né so ancora che luogo mi tenere
Debba di là nella viU dubbiosa :
Ma se con Giove sanza te mi stessi,
Non credo che giammai gioia n'avessi.
Dunque angoscia n'avrò dovunque Irag-
Sempre sanza di te, mia luce chiara : [gio
Né egli mi sarà il secondo viaggio
A qui tornar concesso , o donna cara ,
Come Pdeo dal suo signoraggio
Già md concesse, allora ched amara
Vita traeva in Egina, lontano
Dal suo voler, bella donna , sovrano.
Lagrime sempre ed amari sospiri
Omai attende 1* anima dolente
Per giunta, lasso, alti nuovi martìri,
Ch' avrò lo forse in tra la morta gente ;
GII qua' tanti non fien , che 1 miei disiri
Di te veder facdan cessar niente :
Ma sempre te nell* eterna fornace
Per donna chiamerò della mia pace.
Oimè dove lasdo io i cari amici?
Dove le feste ed il sommo diletto?
Ove i cavalli , ornai fatti mendld
Del lor signore? ove quel ben perfetto
Che amor mi dava, qualora i pudid
Occhi d'Emilia vedeva e l'aspetto?
Ed ove lasdo Palemon grazioso
Meco d'amor parimente focoso?
E Peritoo ancor, cui similmente
Più che la viU con ragione amava?
Ove li regi , e l'altra buona gente
Che loro a' miei servigi seguitava?
Ove Teseo, nobil signor possente,
Che più che caro f ratei mi onorava?
Or dove lascio il reverendo Egeo?
Dove li mio caro e buon signor Peleo?
Certo gli lascio dove rimanere,
S' esser potesse , vorrei volentieri ,
In giuoco, in festa, In riso ed in piacere,
Con prindpi , con donne e cavalieri :
Sicché del rimaner di lor mestieri
Non m' è dolermi ; ma sol mi son fieri
Gli aspri pensier, che a me ne mostran tanti
Perder dovere , e me e tutti quanti.
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IO POEMI
Poscia eh* egli ebbe queste cose dette,
DI cor gittò un profondo sospiro
Amaramente, e di parlar ristette;
E in verso Emilia i saoi ocelli s* aprirò.
Mirando lei , e mirandola stette
Un poco, e poscia gii rivolse in giro :
E ciascun vide che piangeva forte ,
Peroccliè a lui s'appressava la morte.
La quale in ciascun membro era venata
Da* piedi in su, venendo verso il petto.
Ed ancor nelle braccia era perduta
La vital forza; sol nello intelletto
EROICI.
E nei cuore era ancora sostenuta
La poca vita, ma già si ristretto
Eragli '1 tristo cor del mortai gelo,
Che agli occhi fé* subitamente velo.
Ma pò* ch'egli ebbe perduto il vedere.
Con seco cominciò a mormorare ,
Ognor mancando più del suo podere :
Né troppo fece in dò lungo durare ;
Ma il mormorare trasportalo in vere
Parole , con assai basso parlare ,
Addio Emilia! e più oltre non disse.
Che r anima convenne si partisse.
(OlfTO X.)
FAZIO DEGLI UBERTI.
DITTAMONDO *.
LIBRO PRIMO.
CAPITOLO I.
Non per trattar gU affanni, eh* k> soderai
Nel 19Ì0 lango cammia, né le paure.
Di rima in rima tesso questi versi ;
Ma per voler cantar le cose oscure ,
Ch'io vidi , ch'io adii, che son si nuove,
Che a creder parerann* forti e dure.
E se noQ che di ci6 soo vere prove
Per più e più autori, che saraoiio
Per i miei versi noniinaU aUrove,
Non presterei aUa penna la mano
Per notar dò» ch'ie vidi , eoa temenaa
Perchè non fosse da altri casso e vano ;
Ma la lor chiara e vera esperlensa
Mi assicura nel dir, coom persone
Degne di lede ad ogni gran sentenia.
Di nostra etù sentia già la stagioiie ,
Che all'anno si poa poi che il sol passa
la fronte a virgo, e che lassa il leone ;
Quando m'accorsi eh' ogni vita è cassa,
Salvo che quella, che contempla Iddio ,
^ La natnrs di questo poema è assai poco
étUrsriMta ; alcdao il chiaaò didascalico,
BM più dtt altra cosa egU è aarnuivo, e
0 che alcun pregio dopo morte lassa*
E questo fu , oade accesi il desio
Di volermi affannare la alcun bene.
Che fesse frutto dopo U tentpo mio.
Poi pensando nel qual , fermai la spene
D' andar cercando e di voler vedere
Lo mondo tutto , e la gente eh' ei tiene ;
E di voler udire e di sapere
n dove e come e chi furo coloro
Che per virtù cercar più di valere.
E imagmato il mio grave lavoro ,
Drizzai i pftè, come avea il pensiero,
E cercai del caaMain seaza dimoro.
Io era ancor dentro dal mal sentiero.
Per lo qual disviato era ito adesso ,
Con gli occhi chiusi , e l'animo leggero.
Onde al partir si mi pungevan spesse
Gli antichi pnini , che come uom stanee
Mi sedei tra più fior, che m'eran presso^
Basso era il sol, che s'accendea nel fiaaeo
Del montone , onde lo per più riposo
Tutto mi stesi sopra il lato manco.
Poscia m'addormentai cosi pensoso ,
però il poniamo fra i poemi eroici ai quali
lo accosu alu^l la oondnaa dignità dalle
idee e dello stila.
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DITTÀIIONDO.
11
Ed appairemi cose nel dormire,
Per eh* io alla nHa hnpresa fui più oso.
Qiè una donna vedea Ter me venire
Con rate aperte, d degna ed onesta,
Che per esempio appena il saprei <fire.
Bianca, qnal nere par, area la vesta;
E vidi scrìtto in fonna aperU e piana
Sopra una coronetta , che avea in testa :
lo son Virtù, per cai la gente umana
Vince ogni altro animai; io son qnel lume.
Che onora n corpo , e che V anima sana.
Molte donne, aleggiando in varie piume.
Si vedean tranquillar ne' suol splendori,
Come pesd d* estate in chiaro fiume.
E giunta sopra me, tra quei bei fiorì ,
Parca dir : Non giacer, ami sU suso ,
E il tempo, ch'hai perduto, si ristori.
Non più restare in questo bosco chiuso,
Non più cercar di su la mata spina
Coglier la rosa, siccome se' uso.
Pensa, che qual più là giù peregrina.
Da poi che giunge all'ultimo dì suo ,
n tutto gli par men d* una mattina.
E fame, e sete, e sonno al corpo tuo
Soffrir convien , se onore e prò dcsil ,
E seguir me, che qui teco m'hwluo.
E guardar ben, che più non ti desvii :
Pensa, si come i compagni d'Ulisse
Pur con Qrce, onde a pena lo II partii.
E pensa ancor come perduto visse
Con la sua Qeopatra oltre a due anni
Cotai, a cnin Roman, prima voi disse.
Ooor si acquisU per soffrire aO^wni,
Porche raffanno sia In cosa degna,
E darsi alTozIo è vergogna con danni.
Ancora fa che sempre ti towegna
Aver di sofferenza buone spalle,
Siccoow Job e Jacob ne insegna.
Perchè se vuol veder di valle in valle
fi Doado tutto, senaa tei non puoi
Cercar di milte il venteshno calle.
Qui non spiar per tema I fati tuoi.
Se non coom Catone in Libia iiAae
Chieder responso, pregato da' suoi.
Tutti non lon P^o. Indi si tolse,
E tptrò nel mio petto, e non si mosse;
Onde il mio sonno appunto si disdolse,
GoaK la eoa virtù nel oor percosse.
CAPITOLO If.
Dal sonno sciolto e sviluppato m' era,
Quando adii risonar tra «erdi nmà
La dolce melodia di priMavera.
Al va^o canto subito volumi,
Rinenibrando li piacere. Il gran valore.
Per lo qnal già sofferai e seti e fanL
Qui provai lo il ver, che polche amore
S*è barbato nel core, a gran fatica
Si può schiantar, che non germogli II fiore.
Ma pur non punse si la dolce ortica.
Ch'io non tornassi a quel tteslo proposto.
Del qual in me già granava la splca.
E, come meco fui altresì tosto.
Tolsi rudir da quel soave canto,
Tobi l'hnaginar, ch'Io v'avea posto.
E levai gU occbl, e vidi dM già tanto
Era alto il sol , che sopra l' orizzonte
Parca salito H tauro tutto quanto.
Poi ritomai verso terra la fronte.
Per rìmeaibrare U sogno , e te parole
Di questa donna siccome te ho conte.
E chi se ciò mi piacque Intender vuote.
Pensi quanto fu Iteto alter Joseppo,
Che'l sogno fé' delia hina e del sete.
r mi levai diritto sopra un ceppo ,
Per dirisar qual fosse il mte cammino,
E d* ogni parte m' era il lx>sco e il greppo.
E come avvien talora al peregrino,
Ch'ha perduta la strada, e die non vede
Cui dimandare, nò per sé è indovino;
Che ricorre a quel Ben , eh' egli ama e
E , con pura e devota intenzione , [crede,
E consiglio e soccorso gli richiede.
Così mi posi allora in ginocchione ,
Le mani giunte , e con fermo desiò
Incominciai cotate orazione :
0 somma, o prima luce , o vero Iddio,
Che in Ararat salvasti , e dirìgesti
L'arca, e Noè , quando ogni altro perio;
E il popol tuo del mare a piò traesU,
Nutricando! di manna infin che appresso
Nella terra promessa 11 conducesti;
E che a Tobia Rafael per messo
E per guida mandasti, onde pervenne
A più, che il padre non gli aveva codh
messo;
E che Abraam salvasti, quando tenne
Per campar Loto , dietro degli Siri
Con la gran fede , e con le poche penne*
Fa, che per grazia tanta luce spiri
Dagli occhi tuoi ne' miei , che senza velo
Dd mondo l' scorga tutti quanti i giri.
Te padre , invoco , te faltor del cicte
Come solean gli antichi a siraii peso
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12 POEIU
Chiamar Apollo, Jupiter, e Belo.
E come i' stava al prego si sospeso.
Agli occhi un lume subilo m'apparve,
Qual par balen, che vien per V aere acceso.
E giunto altresì tosto via disparve.
Vero è, ch'esso apparendo, In mia presenza
Una voce , che disse, udir mi parve :
Paura, vanitate e negligenza,
Fa, che tu sdegni, ed in cui preghi, spera,
Se vuoi, di quel che brami , esperienza.
Cosi la grazia della somma spera
M'aperse 1* intelletto oscuro e bruno.
Confortando la donna , che quivi era.
E dove pria pur era bosco e pruno,
Vidi sì sciolu ed aperU la strada,
Ch' i' rendei grazie a Quel eh' è tre ed uno.
0 vivo amore! Come cieco bada,
Qual fugge te, e pone sua speranza
Nel ben mondan, che son men che rugiada!
Lettor, pensa per te, quanta baldanza
A seguir la mia impresa presi allora.
Che non tei saprei dir per simiglianza.
Su mi levai, e più non fei dimora,
E trovai me a seguitar la voglia
Tanto legger, che me ne segno ancora.
Non spino al pie , né anco agli occhi fo-
Mi facea noia , ond' lo seguiva il passo [glia
Senza fatica alcuna e senza doglia.
Dinanzi ad una croce, a piò d'un sasso
Un romito trovai, che nell'aspetto
Per lunga etade era pallido e lasso.
La bianca barba gli listava il petto,
E 1 cigli tanto gli cadevan gioso.
Che gli erano alla vista gran difetto.
0 padre, che vi state sì nascoso
In questo bosco in tanta penitenza,
Solo per acquistar l'alto riposo.
Da poi che Dio nella vostra presenza
Condotto m' ha da loco sì lontano.
Piacciavi darmi di voi conoscenza.
Così il pregai, ond' elio con la mano
Le ciglia prese, e la vista scoperse,
Poi mi guardò con volto onesto e piano.
Appresso disse : Da parti diverse
Son qui venuto, qua] piace a Colui,
Che per noi morte in la croce sofferse.
Paulo è il mio nome, e onde, e chi già fui,
Di più non dico ; ma tu come vai
Si sol per quesU boschi oscuri, e bui?
La viu, e la mia mossa io gli narrai
A parte a parte , ond' egli a me ne venne ,
E con dolci parole e care assai
La notte seco ad albergar mi tenne.
EROia
CAPITOLO III.
Entrati nel suo povero abitacolo,
Sarebbe lungo a dir le cose strane,
Ch' ei mi contò d' uno in altro miracolo.
La cena nostra fu solo acqua e pane,
E li letto d'orso una pelle pelosa;
E così stemmo fino alla domane.
Era la mente mia grave e pensosa.
Volendo ricordar ciascun peccato,
Che fatto i'avea nella vita noiosa.
Quando quel padre, ch'era già levalo
Per dir sue ore, mi disse : Che hai.
Che sì sospiri, e mostri tribolato?
Ed lo risposi : Ho dei peccati assai ,
Dubbiosi e gravi ; e mi tacelli appresso.
E nei tacer languendo lacrimai.
In questo tuo cammin se' tu confesso ?
Risposi : No; ma trovandomi vosco.
Questo era quei, di ch'io piangeva adesso.
Figiiuol mio, disse , il mondo è come un
Pien di serpenti e di fieri animali, [bosco,
E ciascun porta isvarlalo losco;
E noi slam tutti mobili e mortali :
Onde vegliar conviene, e stare attenti.
Per sapersi guardar dalli ior mali.
Se il primo nostro e de' nostri parenti
Padre avesse provveduto a questo,
Ei ci vedrebbe liberi e contenti.
Ma di', che al tuo voler son fermo e
Ed io al suo voler tutto devolo, [preste.
Ciascun peccalo gli fei manifesto.
Ma poiché di me fu ben chiaro e noto,
Diemmi la penitenza tanto dura.
Quanto voleva a lavar tanto loto.
Già venia il sol per alcuna fessurs
Dei romitor, quando per camminare
Mi apparecchiava , e davami rancura.
Quand'ei mi disse : Dimmi, che vuol
Io gli risposi : Alleviar quel carco, [fare?
Che scarcar mi convien sol coli' andare.
Tu credi forse , che quinci sia un varco
Securo, come se fossi a Vinegìa,
E dovessi Ir da Rialto a San Marco?
Già fu così, ma Ul più non si pregia :
Che per tutto le strade son qui tronche,
Coperte d'erba e di prun che le fregia.
Il monte Gif non ha tante spelonche.
Quante si trovan per questo cammino,
Né tante oscure, né profonde conche.
E non dir, i* son pover peregrino.
Che i bacherozzo] non guardano a quello,
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DEL DITTAMONDO.
13
Purché poasan far male a lor domino.
Per tutto pocsa dir, eh' è baccanello,
E però la tua voglia qui sia stretta.
Tanto che attempi il sol , che vien novello.
Cbèmoltevoltel' uom per troppafretU,
ToleDdo far, disfà; e dico ancora,
€3ie quel sa guadagnar, che tempo aspetta*
0 chiaro lume mio, risposi allora.
Poco saprìa, chi dal vostro consiglio
Si dilungasse il minuto d* un'ora.
E cosi per fuggir morte e pcrìgUo,
Credetti a luì , come credere de*
Ammaestrato da buon padre il figlio.
Dolce duetto e caro ancora m* è,
Qoando rimembro le sante parole ,
Che allor mi disse della nostra fé.
Già era al cerchio di meriggio il sole,
Quando parlai con grande reverenza :
L* andar mi sprona, e '1 partire mi dolc.
Quel padre pien di tutta conoscenza
ir intese , e disse con soave voce :
Tempo è bene omai per mia credenza.
indi mi trassi al sasso della croce ,
Gli occhi portando ove il cammino mio
10 divisò di una in altra foce.
Devotamente il commendai a Dio;
Ed e^ : Or va, che come salvò Elia
Nel carro, sì te salvi al tuo desio.
Hishni allor per la mostraU via.
Avendo sempre attenti gli occhi e '1 viso,
Se alcuna cosa avanti m' apparta.
E mentre ch'io guardava tanto fiso,
Una femmina scorsi assai da lunge
Sì sozza, ch'io ne fui quasi conquiso.
E come awìen, che la paura punge
L' uom talor, ^ che tragge il sangue al core,
E l'altre vene per lo corpo munge;
E da poi eh' è ristretto il suo valore,
In fra 8è di sé stesso si rimembra.
Onde racquista il perduto colore ;
Si persi io il sangue per le membra
Subitamente, e poi cosi raccolsi
In me virtute con colore insembra.
E quanto i passi miei più ver lei volsi ,
Ed ella i suoi ver me, vieppiù brutta
A membro a membro la sembianza colsi ;
Paisà, qual parve a figurarta tutta.
CAPITOLO lY.
Siccome presso fui a quella strega,
Vidi la faccia sua livida e smorta,
Qual preso pare, a cui le man si lega*
Vecchia mostrava e in su le gambe
Arricciava la carne e ciascun pelo, [storta.
Come porco per tema talor porta.
Tutu tremava, e nelle labbra un gelo
Mostrava tal, che non copriva i denti.
Ed era scapigliata e senza velo.
Gii occhi smarriti in qua e là moventi
Avea la trista, e così sbalordita
Borbottando dicea : Perchè consenti.
Perchè consenti a perder la tua vita?
Certo tu ne morrai, se non t'avvedi
Di lasciar questa impresa tanto ardita.
Non per morir, ma per campar mi diedi
A seguir tanto ardire , e da più senni
Confortato ne son, che tu noi credi.
Ben so che al mondo per tal patto venni,
Ch'io dovessi morir, e bene stimo
Che contro ciò tutti i pensier son menni.
E si so ancor, ch'io non sarò il primo
Né '1 deretan, che de' far questa via.
Che tutti ne convien tornare al lUno.
E bestiai cosa sarebbe e follia
Di temer quei, che non si può fuggire.
Questa cotal fu la risposta mia.
Ben io t' ho inteso, ma tu non dei ire ,
Sperimentando si la tua ventura.
In estrani paesi per morire.
Oh, rispos'io, già non è più dura
Di fuor la morte, che in casa si senta.
Ed ella : Tu non avrai sepoltura, [menta.
Questo che fa? Che il corpo non tor*
Né trova cosa , che gli faccia guerra ,
Poiché la luce sua del tutto è spenta.
E se non fia coperto dalla terra.
Il cielo il coprirà ; né con più degno
Coperchio nlun corpo mai si serra.
Tfovo non fu delle tombe lo ingegno.
Acciocché i morti ne avesser dolcezza.
Ma per i vivi, eli' è d'onore un segno.
Dissemi allor : Morrai in giovinezza.
Per eh' io risposi : Questa é minor doglia ,
Che l'aspettar di morir in vecchiezza.
Che allor fa buon morir quando si ha
Di viver, e quel viver tengo reo [voglia
Dove l'uom senso a senso si dispoglia.
Di ciò s'avvide il forte Macabeo,
Di ciò s'avvide il forte Greco, il Magno,
E il buon Troian che tanto d'arme feo.
Il ben morire è al mondo un guadagno,
E il viver male è peggio che la morte;
Faccia uom che de', e non si dia più lagno.
E quella a me : E tu puoi per tal sorte
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14 POEBn
Cadere in poTertate infermo e frale «
R non sarà chi ti aiuti e conforte.
Di questo, risposMo, poco mi cale.
Che delie due converrà esser l' una ,
0 il mai vincerà me , o lo il maie.
La povertate e i ben delia fortuna
Per tutto veggio; e trovo i*un di grande
Tal che poi l'altro con fame digiuna.
Già fu chi visse di fronde e di ghiande :
Nostra natura, quando si contenta,
Poco cura di veste o di vivande.
Più son le cose, onde Y uom si spaventa,
Che pur non fanno mal , che quelle assai
Che con danno e percosse lo tormenta.
Ed ella a me : Or pensa, se tu vai
In luogo acerbo, strano e sconosciuto
E non sappi la lingua, che farai?
Le mani e I pie natura per aiuto
Mi ha dato, dissi , e l'argomento tutto.
Perchè sarò i' più là, che qui un muto.
Ed ella : Vuo' tu un buon consiglio a-
Pensa di viver qui, e stare in pace, [sdutto?
E di quei , eh' hai, prendi diletto e frutto.
Lo tao parlar, rispos'io , non mi piace,
Però ch'egli è consiglio da cattivo.
Che mangia e beve e sulla piuma giace.
Che i' uom non de' por dir, t' pappo.
Come nei prato fan le pecorelle; [e vivo,
Ma cercar farsi , dopo morte, divo.
Ornai va via , che delie tue novelle
Ammaestrato fui, e, poi m'annoia
Ch' hai le fazion che non somigfìan belle.
Poiché la sì partio dolente e croia.
Ed i* rimasi , qual riman colui ,
Che fa fra sé di sua vittoria gioia,
E poiciiè sviluppato da lei fui ,
Lettor, e vidi me dlsciolto e libro,
Presi il cammln tanto dubbioso altnd.
Come vedrai dal terzo al sesto libro.
CAPITOLO V.
Come il Docchier, eh' è stato In gran
tempesta,
Che se vede da Imigi piaggia o porto ,
Affretta 1 remi, e fa letizia e festa;
Così avcnd'io da lontano scorto
Uno, in ch'i' sperava alcun consiglio,
Accrebbi i passi con lieto conforto.
Appena era Ito un terzo <JS miglio,
Ch' k> gii fui presso, e tanto 11 vidi degno.
Che r inchinai con la man sopra fl ciglio.
EROia.
Poco del corpo, lettor, tei disegno.
Bianco era e biondo, eia sua faccia onesta.
Con plccoletta bocca, -e d'alto 'ngegno.
Qual ^niol Mercurio , tal parca la vesta.
Un libro avea nella sinistra mano,
E nella dritta tenea una sesta.
E giunto a me costui , più che umano
Rispose al cenno, e disse : In chi ti fidi ,
Che vai si sol per luogo si lontano?
Senno non fai , se non hai chi ti guidi,
Perocché tanto è diverso il cammino ,
Che più appena alcun giammai ne vidi.
Per cercar, mi son mosso peregrino.
Del mondo quel che ne concede il soie,
E più , se il poter fosse al mio domino.
E qual non può in tutto dò che vuole ,
Far gli convien secondo eh' ha la possa.
Cotsd risposta fen le mie parole, [mossa
Poi soppraggiunsi a lui : Questa mia
Non credere si lieve , che per fermo ,
Udendo il ver, non ti parrà si grossa.
Perchè a fuggir la morte , ov' era infeN
L' ardir mi prese , che a follia tenete , [mo,
E per consiglio l' ebbi d'altrui sermo.
l'non avea d'udirti si gran sete.
Quando eh' i' ti scontrai, qual mi scnt* ora.
Che m' hai preso il pensier in altra rete ;
E però non t' incresca dirmi ancora
Più chiaramente, acciocché me' compren-
Dove tu vai ; e un poco qui dimora [da,
E se starai , non creder che sì spenda
Indarno il tempo , e fors' è tua ventura
Avermi qui trovato , e eh' io t' intenda ,
Ch' lo so del mondo il modo e la mbura,
E so dei cieli , e sotto quale dima
Andar si puote, e dov'è gran paura.
0 caro padre ! Il tempo non si stima
Per me , dissi , com'è vostra credenza
E quanto piace a voi , Ha la mia rima.
Allor gB feci in tutto conoscenza
Del lungo tempo mio senza fren corso,
E senza lume, e senza provvidenza;
E come me vedendo tanto scorso ,
Vergogna ed Ira punse lo 'nteRetto,
E fu del fallo nolo grave 11 rimorso ;
E che per rìstanrar tanto difetto ,
E non morir nel mondo come bdva ,
Presi il cammin cotal , come ho già detto ;
Poi come dentro della trista selva
Una donna gentil m'era apparita,
E destò li cor, il quale ancor s'Inselva.
Tutta gii dissi appunto la mia vita, [sa
Ond'egli a me : Figliuol, questa tua impre-
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DnTAMONDO.
ts
Assai mi par da essere gradita.
Ha guarda, che ta sia di tanta ^esa
Fornito, quanta a tal cammin bisogna ,
SI die il troppo voler non torni olTesa.
Cbè spesso aTTien, eli' uom rìcere ram*
pogna
IH folle impresa , onde sarebbe il meglio
Lasciarla star, che portarne vergogna.
Ed io a lui : Pur mo*a dò mi sveglio,
€2oDe T* ho detto , e seguirò nel core
La pecchia per esempio , e per ispegRo ;
Ole va cogliendo d' uno in F altro fiore
La dolce manna per luoghi diversi ,
DI che poi vive, e donde acqufeu onore.
Cosi pensalo per paesi spersl
Ragunare con pena e con fatica [versL
(tud rad, che a me sia dolce ed ai miei
Quando nelT uomo un buon voler stabbi-
fi mancagli il poter, rispose adesso, [ca
Alar rf de*, coow la cosa amica, [messo,
E però air alla impresa, in che sei
Giovar ti voglio di alcuna moneta.
Si cbe ti adnti a tempo per te stesso.
IKalpi, di mari, e di fiumi s'faireU
La terra, perchè Fnomo alcuna volta
Q è pveso, come verme, che s' inseta.
Onde se non t'annoia, ora m'ascolta.
Sicché se trovi manco d'alcun passo ,
Yaggl da te perchè la via t'è tolta.
Goal eone a Ini piacque, fermai 'i pafso.
CAPITOLO TU.
Pokh'lo ma vidi rtmaso si solo.
Presi a pensar, sopra i dubbiosi carmi ,
n gran cammia daU'uno aU' altro polo.
E rìcordaBdo, m« sapea che farmi,
I snUI rtecM e la si lunga via ,
0 ddf andar lananzi, o dello starmi.
Quando fai doma, che mi destò pria
Nd tristo bosco, mi disse : Che pensi?
Fa quel che del , e poi ciò che vuol sia.
Scapre il cattivo da vili e melensi
Peodtri è vinto, e tal costui è detto.
Quale una besda , eh' abblamanchi 1 sensi.
Gid colesU cacciò dal mio peUo
Ogni paura , come da Boeaio
fllotoia le triste dal suo lettow [scredo
SpcBto ogni mio pensier che movea
K dubbio d mk> aadar, subito presi
Gondglio td, dd qude ancor mi predo.
Ond'l» coi core e con gH occhi sosped
Chiamai a giunte mani in verso il delo
Colui , che mai non ebbe di né mesi.
0 sempre uno e tre , a cui non oào
n gran bisogno , e l' acceso desire ,
Perocché tutto il vedi senza velol
Soccorrimi , che solo non so ire.
Ed appena ebbi finito qud prego,
Ch'io mi vidi uno dinanzi apparire.
Qui con più fretta 1 piedi a terra frego
Inverso lui, e poiché mi fu chiaro.
Con riverenza tutto a lui mi piego.
(Zoìì un vago latin onesto e caro ,
Dimmi chi se', mi disse, e dove vdt
Poi gli occhi suoi in poco s'abbassar*.
Com'ei si tacque, cosi incominciai :
Io mi son un novellamente desto.
E 1 dove e 1 quando , tutto gli narrai.
Appresso anche gli fed manifesto
Di quel romito, a cui la barba lista,
Ch*era a veder si vecchio e tanto onesto.
Poi della scapigliata magra e trista ,
La qud per dare sturbo alla mia impresa,
M* era apparita con sì orribil vista :
E siccom' io dopo lunga contesa
L' avea cacdata , e trovato colui ,
n qud dd mondo i dubbj mi pdesa :
E che poiché partito da lui fui ,
L* impresa mia si facea vile e scema :
E il conforto eh* io presi ; e dò da cuL
Ciascun d'entrar nella battaglia ha
tema.
Se non è matto, e quello é più pregiato.
Che poiché v'é, più vede e meno trema.
Ma non dubbiar, poiché m' bd qui
trovato.
Ch'io non ti guidi per tutto n cammino.
Purché dd Sommo il tempo ti sìa dato.
Cod mi disse, ed lo : 0 peregrino.
Dimmi , chi se*? Ed d rispose adesso :
Anticamente fui detto SoHno.
Solin, dlss* lo, se' tu qud proprio desso,
Che fttvisò il principio, il fine , il mezzo
Del mondo e r abitato , e dò eh' è in esso?
Cdd son lo. Onde allora un ribrezzo
Cotd mi prese, qud talor il verno
A chi sta fermo md vestito d rezzo.
Per meraviglia d padre sempiterno
Mi trassi , e <fisd : Indarno onor procaccia ,
Qud te non prega e vuol per suo goverao.
Poscia rìvotoi d mio Sdin la facda,
E dlsd : 0 caro, o buon soccorso miol
Dd tutto qui mi do ndle tue braccia.
Senza più dbe diora el d pardo.
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16 POEMI
Ed io appresso, sempre dando '1 loco,
Acceso caldamenlc d* un desio.
Ond' egli accorto : Per sfogare il foco,
Mi disse, fa clie svampi fuor ia fiamma,
Gbè l'andar senza ii dir varrebbe poco.
Allor, come il flgliuol elle alla sua mam-
Con riverenza paria , dissi : 0 sole , [ma
In cui non manca di mia voglia dramma ;
Quel elle da te prima l'animo vuole.
Si è d'aver partito per rubrica
li mondo ; e queste fur le mie parole.
Ed egli a me : Nella mia età antica
Tutto il notai, bench'ora mal s'incappa
L' uom , percliè non intende quel eh' io
E però teco formerò una mappa , [ dica,
fai che l'intenderanno, noi che tue.
Color che sanno appena ancor dir pappa.
Acciò che andando insieme pur noi due,
E trovandoci a' porti ed alle rive ,
Sappi , quando saremo giù e sue.
E tu, com'io tei conto, tal lo scrìve.
CAPITOLO XI.
In breve t' ho assai chiaro discoperto
Del mondo T abitato, e come giace;
Benciiè '1 veder te ne farà più sperto.
Cosi mi disse , ed io : Forte mi piace
Il tuo parlar; ma in più d' un punto bra-
che lo 'ntclletto mio rìposi in pace, [mo.
Dimmi : Quel luogo , onde cacciato Ada-
Con Eva fu , dov' è , che tu noi poni [mo
Né sulla terra , né mostri alcun ramo?
Ed egli a me : Diverse opinioni
State vi son , ma suso in Oriente
Per la più parte par che si ragioni.
E questo è un monte ignoto a tutta gente
Alto, che giunge sino al primo cielo.
Onde il puro aere li suo bel grembo sente.
Quivi non è giammai freddo né gelo ,
Quivi non per fortuna onor si spera ,
Quivi non pioggia , o di nuvolo è velo.
Quivi è l'arbor di viu, e primavera
Sempre con gigli , con rose e con fiori ,
Adorno e pien d'una e d'altra riviera.
Quivi tanti piacer di vaghi odori
VI sono , e unta dolce melodia ,
Che par che quel che v' è vi s* innamori.
Vecchiezza e infermità non sa che sia
Giammai colui , ciie dentro ivi giunge :
E questo prova Enoc ed Elia, [punge.
Ma muovi i passi omai, ch'altro mi
EROia.
Ed io : Va pur, che dietro alle tue spalle
Non mi vedrai più d' un passo da lunge.
E cosi mi guidò di calle in calle
Tanto , che noi giugnemmo sopra un fiu-
Che si spandeaper una bella valle ; [me ,
Sopra la quale per lo chiaro lume
Del sol, cii'eraalto, ivi una donna scorsi:
Veccliia era in visu, e trista per costume.
Gli occhi da lei , andando, mai non torsi ;
Ma poiché presso le fui giunto tanto ,
Ch'io l'avvisava senza nessun forsi.
Vidi il suo volto , eh' era pien di pianto,
Vidi la vesta sua rotta e disfatta,
E raso e guasto II suo vedovo manto.
E con tutto che fosse cosi fatta,
Pur nell' abito suo onesto e degno
Mostrava uscita di gentile schiatta.
Tanto era grande , e di nobil contegno,
Cir io diceva fra me : Ben fu costei ,
E pare ancor da posseder bel regno.
Maravigliando più mi trassi a lei ,
E dissi : Donna , per Dio non vi noi
Di soddisfare alquanto a' desir miei;
Ch' io riguardo dall' una parte voi ,
Che negli atti mostrate si gentile ,
Ch' io dico : il eie! qui porse i raggi suoi.
Poi d'altra parte parete sì vile.
Sì dispregiau, e con nero vestire.
Che mio pensier rivolgo ad altro stile.
Qual piange si, che vuole e non può dire.
Così costei alquanto si discioise
Bagnandosi nell'acqua del martire :
Ma poiché il core alquanto Iena colse ,
E che sfogata fu la molta voglia.
Sì rispondendo inverso me si volse :
Non ti maravigliare s'io ho doglia.
Non ti maravigliar se trista piango.
Né se me vedi in sì misera spoglia;
Ma fatti maraviglia, ch'io rimango,
E non divento, qual divenne Ecuba,
Quando gitUva altrui le pietre e il fango.
Perché men suon non die già la mia tuba,
Né minor fui di sposo e di figliuoli ,
Né meno ho sostenuto danno e ruba.
Onde quando mi trovo in tanti duoli ,
E ricordo lo stato in che già fui.
Che governava 11 mondo co' miei stuoli ,
Piango fra me, che qui non ho con cui.
Ort' ho risposto a quel, che mi chiedesti,
Forse con versi troppo chiusi e buL
Se quel che tutto regge ancor vf presti
Tanto di grazia per la sua pietate ,
Che degli antichi onori vi rivesti ,
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DEL DITTAMONDO.
IT
Fatemi ancora tanto di bontate,
ChMo oda, come in voetra gioTinezxa
Foste cresciuta in tanta degnitate,
E fino a cui salio vostra grandezza ,
E la cagion perchè da tanto onore
Caduta siete in cotanta bassezza.
Questo prego le fei con tanto amore ,
Ch*ella tispwe : Al tuo piacer son presta,
Ma non fie il ricordar senza dolore.
Poi cominciò , e la forma fu questa :
CAPITOLO XII.
Mei tempo che nel mondo la mia spera
Apparve in prima qui dove noi stiamo,
Dopo il diluvio ancor poca gente era.
Noè, che si può dire un altro Adamo,
Navigando per mar giunse al mio Uto,
Come piacque a Colui , eh' io credo ed
E tanto gii fu dolce questo sito , [amo ;
Che per riposo alla sua fine il prese
Con darmi più del suo, eh' io non ti addito.
Giano appresso a dominarmi intese,
E costui mi adomò d' una corona ,
Insieme con Jafet e con Camese.
Italo poi un'altra me ne dona.
SI fé' Saturno , che di Creti venne ,
Lo qual molto onorò la mia persona.
Ercole y quel che nelle braccia tenne
Pallante , per Io suo valor, non meno
Che gli altri , fece dò che si convenne.
Evandro con gli ArcadJ ricco e pieno
Una ne fabbricò nel nome mio ,
Maggiore assai che gli altri non mi feno.
Roma, Aventino , e Glauco non oblio,
I qua! men fenno tre, tal che ciascuna
Per sua beltà in gran pregio salio.
E si m'era allor dolce la fortuna.
Che da Oriente a me venne il re libri ,
Al qual piacendo ancor, me ne fé* una.
Ma perchè d'ogni dubbio ti dellbrl ,
E sappi ragionar, se mai t' affronti
Con gente a cui diletti legger libri.
Piacenti ancor che più chiaro ti conti.
Sappi, queste corone ch'io ti dico,
Mi fur donate dentro a sette monti.
Ma qui ritomo a Giano mio antico,
Del qual ti ho detto, che dopo Noè
Gii piacque il luogo dove i' mi nutrico.
De' Latin fu costui il primo re,
Pien di scienza e cotanta virtute ,
Che di molte gran cose al mondo fé.
Costui trovò le genti si perdute
D*ogni argomento, che a fredde vivande
Vivevan , come bestie matte e mute.
Chiare fontane ed erbe crude e ghiande
Eran lor cibo , ed abitavan sparti
A libito ne' boschi e per le lande.
Esso li ragunò da tuUe parti ,
E raddrizzolli nel vivere alquanto ,
Mostrando loro e disgrossando l'arti.
Della sua morte si fece gran pianto,
Sette e venti anni regnò , e tra lor era
Tenuto , come è or fra noi un santo.
E s'io debbo seguir ben mia matera,
E del caldo desio, del quale asseti,
Trarti la brama, come 1' bai, intera.
Dir mi conviene siccome da Creti
Saturno sen fugglo e venne a Giano,
Perchè il figliuol noi prendesse in le reti.
Crudele e pronto a mal tratto villano ,
Avaro, si che sempre il pugno serra.
Costui dipingo e con la falce in mano.
Tre figliuoli ebbe. Iddi! nomati in terra,
Nettuno l' un , qual si dice marino ,
Dal mar sorbito nella trista guerra ;
L' altro fu Pluto, del quale il destino
Fu tal, che avendo un paese in governo
Salvatico, boscoso e pellegrino.
Lo padre suo per gola, s' io discerno,
Del regno , il fé' morire a tradimento ,
E nominato fu Dio dell'Inferno;
Giove regnava, secondo ch'io sento.
Sotto l'Olimpo, che pria prova 11 gelo
Che il sol del tutto a Virgo scaldi '1 mento.
Costui , perch' ebbe ognor diietto e zelo
Nell'alto monte, ed attese a virtute.
Si disse dopo morte il Dio del cielo.
Ora vedendo le mortai ferute
De' suoi fratelli, li padre cacciò via.
Si per vendetta e si per sua salute.
Di qua fuggio, come ti ho detto pria.
Nascoso stava , e quando Gian morio,
Rimase solo a lui la signoria;
E benché fosse tanto avaro e rio,.
Nondimen era scaltro ed intendente,
E sottil molto ad ogni maestrio.
Costui mostrò di far navi alla gente,
Scudi, moneta e di terra lavoro.
Che prima ne sapean poco o niente.
A questa età si disse età dell'oro.
Perchè la gente viveva in comuno
Sobria, casta e libera fra loro.
Semplice, pura e senza vizio alcuno.
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18 POEH
Ora Io delo che ogni cosa chiama
Ad ordinato tempo, li suoi lumi
Volse Yer me per darmi onore e fama.
I due gemelli che per bei costumi
Nomare potrei Castore e Polluce,
E di beltà, per quel eh' avviso, numi ,
S' innamorar della mia bella luce ;
Ma r un fu morto , e qui si tace il come ,
L' altro rimase sol signore e duce.
Dal nome di costui presi il mio nome :
EBOICL
E certamente 11 primo sposo fuc.
Che sentisse il piacer del mio bel pome.
Tonando la tempesta cadde gioe ,
E comechè rapito o morto fosse ,
Per me dappoi non si rivide piuc.
Se di lui m* arse il core, e semi cosse,
Pensar lo dei , cbè a dhio sarebbe
Un rinovare duolo alle mie angosce,
Edir non tei saprei , si meo' increbbe.
POLIZIANO.
STANZE
PER LA GIOSTRA DEL MAGNIFICO
GIULIANO DI PIERO DF MEDICI.
LIBRO PRIMO.
Le gloriose pompe e i fieri ludi
Della città che *1 freno allenta e stringe
A' magnanimi Toschi ; e 1 regni crudi
Di quella Dea che '1 terzo ciel dipinge;
E i premj degni agli onorati studi ,
La mente audace a celebrar mi spinge,
Sì che 1 gran nomi , e i fatti egregi e soli
Fortuna o morte o tempo non involi.
0 bello Dio, eh* al cor per gli occhi spiri
Dolce desir d* amaro pensier pieno,
E pasciti di pianto e di sospiri ,
Nutrisci l*alme d*un dolce veneno;
Gentil fai divenir ciò che tu miri ,
Né può star cosa vii dentro al tuo seno ;
Amor, del quale i* son sempre suggetto.
Porgi or la mano al mio basso intelletto.
Sostien tu '1 fascio che a nre tanto pesa ;
Reggi la Hngua, Amor, reggi la mano;
Tu principio, tn fin dell'alta impresa :
Tuo fle 1* onor ; s* io già non prego invano.
Di* Signor, con che lacci da te presa
Fu r alta mente dei baron toscano,
PHk gtoven figlio dell* etnisca Leda ;
Che reti fumo ordite a tanu preda.
E tu, ben nato Laur, sotto il evi velo
Fiorenza lieta hi pace si riposa ,
Né teme i venti , o *i minacciar del cielo ,
0 Giove irato in \ista più crucciosa ,
Accogli ali* ombra del tuo santo ostelo
La voce umil, tremante, e paurosa;
Principio e fin di tutte le mie voglie ,
Che sol vivon d* odor delle tue foglie.
Deh sarà mai che con più alte note.
Se non contrasti al mio voler fortuna.
Lo spirto delle membra che devote
Ti fur da* fati insin già dalla cuna ,
Risuoni te dai Numidi a Boote,
Dagl'Indi al marche*! nostro ciel Imbruna;
E, posto *1 nido in tuo felice Ugno,
Di roco augcl diventi un bianco cigno T
Ma fin eh* all'alta impresa tremo e bra-
E son tarpati i vanni al mio disio, [mo.
Lo glorioso tuo fratel cantiamo ,
Che di nuovo trofeo rende gluUo
Il chiaro sangue , e di secondo ramo.
Convien che sudi in questa polver'h) i
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STANZE.
19
Or maoTÌ prima tu mie* Tersi, Amore,
Che ad alto yoIo impenni ogni tì] core.
E se quassù la fama II Ter rimbomba,
Cile d* Ecuba la figlia, o sacro Achille,
Pd che '1 corpo lasciasti entro la tomba ,
T accenda ancor d* amorose faTilIe ;
Lascia tacer un po' tua maggior tromba ,
Ch'io fo squillar per I* italiche tìUc ,
E tempra tu la cetra a nuovi carmi,
Meotr'io canto F amor di Giulio, e Tarmi.
Ifel Tago tempo (fi sua verde etate.
Spargendo ancor pel volto il primo fiore,
Né aTendo il bel Giulio ancor provate
Le dold acerbe cure che dà Amore,
TiTeasi lieto in pace, in libertate,
Talor frenando un gentil corridore ,
Che gloria fu de' cidlianl armenti ;
Goo esso a correr contendea co' venti :
Ora a guisa saltar di leopardo.
Or destro fea rotarlo in brieve giro :
Or lea ronzar per l' aer un lento dardo,
Hando sovente a fere agro martiro :
Colai Tiveasi '1 giovane gagliardo :
Né pensando al suo fato acerbo e diro,
Kè eerto ancor de' suol futuri pianti ,
Solea gabbarsi degli afflitti amanti.
Ah quante Ninfe per lui sospiromo!
Ma fu si altero sempre il giovinetto,
Cile mai le Ninfe amanti lo piegomo ;
Mal potè riscaldarsi '1 freddo petto.
Facea sovente pe' boschi soggiorno ;
Intuito sempre, e rigido In aspetto r
Il Tolto difendea dal solar raggio
Goo ghirlanda di pino, o verde fa^o.
E poi quando nel cicl parean le stelle,
T^itto gioioso a sua magion tornava ,
S *B compagnia delle nove Sorelle,
Celesti versi con disio cantava;
E d'antica virtù mille fiammelle
Con gli alti carmi ne* petti destava :
CoA chiamando amor lascivia umana ^
Si gedea con le Muse, o con Diana.
E se talor nel cieco labirinto
Errar vedera un miserello amante,
IN dolor carco, di pietà dipinto
Seguir de la nemica sua le piante ;
E doTe Amore iLcor gli avesse avvinto ,
U pascer l'alma di due luci sante ,
Próo Belle amorose crudel gogne ;
Sì r assaliva con agre rampogne :
Scuoti, meschin, dal petto il cieco errore
Ch'a te stesso ti fura, ad altrui porge :
Non nutrir di lusinghe un van furore
Che di pigra lascivia e d* ozio sorge.
Costui che 1 volgo errante chiama Amore,
É dolce insania a chi più aerilo scorge.
Sì bel titol d'amore ha dato *I mondo
A una cieca peste, a un mal giocondo.
Quanto è meschin colui che cangia voglia
Per donna, o mai per lei s* allegra, o dole
E qual per lei di libertà si spogfia,
0 crede a' suoi sembianti, o a sue parole!
Che sempre è più leggier ch'ai vento foglia,
E mille volte il di vuole e disvuole :
Segue chi fugge , a chi la vuol s'asconde ;
E vanne e vien come alla riva V onde.
Giovane donna sembra veramente
Quasi sotto un bel mare acuto scoglio,
Ower tra' fiori un gìovinccl serpente
Uscito pur mo fuor del vecchio sco^o.
Ah quant'è fra' più miseri dolente
Chi può soffrir di donna il fiero orgoglio !
Che quanto ha il volto più di beltà pieno.
Più cela inganni nel fallace seno.
Con esso gli occhi gioventù invesca
Amor, che ogni pensier maschio vi fura:
E quale un tratto ingozza la dolce esca ,
Mai di sua propria libertà non cura;
Ma, come se pur Lete Amor vi mesca.
Tosto obbliate vostra alta natura ;
Né poi virìl pensiero in voi germogfia :
Sì del proprio valor costui vi spoglia.
Quanto è più dolce, quanto è più siciiro
Seguir le fere fuggitive in caccia
Fra boschi antichi fuor di fossa o muro,
E spiar lor covil per lunga traccia!
Veder la valle e *ì colle e T aer puro,
L'erbe, 1 flor,racqua viva chiara e ghiaccia!
Udir gli auge! svernar, rimbombar 1* onde,
E dolce al vento mormorar le fronde!
Quanto giova a mirar pender da un'erta
Le capre, e pascer questo e quel vir-
gulto;
E '1 montanaro afi' ombra più conserta
Destar la sua zampogna e '1 verso inculto !
Veder la terra di pomi coperta ,
Ogni arbor da' suo' frutti quasi occulto ;
Veder cozzar monton , vacche mugghiare
E le biade ondeggiar come fa il mare!
Or delle pecorelle 11 rozzo mastro
Si vede alla sua torma aprir la sbarra:
Poi quando muove lor col suo vincastro ,
Dolce è a notar come a ciascuna garra :
Or si vede il villan domar col rastro
Le dure zolle , or maneggiar la marra :
Or la conUdinella scinU e scalza
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20 POEMI
Star con Toche a filar sotto una balsa.
In cota] guisa già T antiche genti
Si crede esser godute al secol d'oro :
Né fatte ancor le madri eran dolenti
De' morti figli al marzlal lavoro :
Né si credeva ancor la vita a* venti «
Né del giogo doleasi ancora il toro.
Lor casa era fronzuta quercia e grande ,
Ch'avea nel tronco mei, ne' rami gtiiande.
Non era ancor la scellerata sete
Del crudel oro entrau nel bel mondo :
Yiveansi in liberU le genti Mete;
E non solcato , il campo era fecondo.
Fortuna invidiosa a lor quiete
Ruppe ogni legge, e pietà mise in fondo.
Lussuria entrò ne* petti , e quel furore
Che la meschina gente chiama amore.
In cotal guisa rimordea sovente
L'altiero giovinetto i sacri amanti;
Come talor chi sé gioioso sente.
Non sa ben porger fede agli altrui pianti :
Bla qualche miserelio a cui 1* ardente
Fiamme struggeano i nervi tutti quanti ,
Gridava al ciel : Giusto sdegno ti muova,
Amor, che costui creda almen per prova.
Né fu Cupido sordo al pio lamento;
E 'ncominciò crudelmente ridendo:
Dunque non sono Iddio 7 dunque è già
q>ento
Mio foco, con che tutto il mondo accendo 7
Io pur fei Giove mugghiar fra l' armento ,
Io, Febo dietro a Dafne gir piangendo :
Io trassi Fiuto deli' infemal segge :
E chi non ubbidisce alla mia legge 7
Io fo cadere al tigre la sua rabbia,
Al leone il fier raggio , al drago il fischio.
E quale é uom di si secura labbia.
Che fuggir possa il mio tenace vischio 7
E che un superbo In sì vii pregio m'abbia.
Che di non esser Dio vengo a gran rischio 7
Or veggiam se '1 meschin eh' Amor ri-
prende.
Da due begli occhi sé stesso difende.
Zefiro già di bei fioretti adomo
Avea da' monti tolta ogni praina:
Avea fatto al suo nido già ritomo
La stanca rondinella peregrina;
Risonava la selva intorno intomo
Soavemente all'ora mattutina :
E l'ingegnosa pecchia al primo albore
Giva predando or uno or altro flore.
L'ardito Giulio, ai giorno ancora acerbo,
AUor ch'ai tufo torna la dvetu.
EROia.
Fatto frenare 11 corridor superbo.
Verso la selva con sua gente eletta
Prese il cammino, e sotto buon riserbo,
Segula de* fcdei can la schiera stretta.
Di ciò che fa mestieri a caccia adomi ,
Con archi e lacci e spiedi e dardi e comi.
Già circondata avea la lieta schiera
Il folto bosco; e già con grave orrore
Del suo covil si destava ogni fiera :
Givan seguendo i bracchi 'i lungo odore.
Ogni varco da' lacci , e can chiuso era:
Di stormir , d' abbaiar cresce il romore :
Di fischi e bussi tutto il bosco suona:
Del rimbombar de' comi li del rintrona.
Con tal romor, qualor l'aer discorda,
Di Giove il foco d'alu nube piomba:
Con tal tumulto, onde la gente assorda,
Dall'alte cataratte il Nil rimbomba :
Con tal orror del latin sangue ingorda
Sonò Megera la tartarea tromba.
Qual animai di slizza par si roda;
Qual serra al ventre la tremante coda.
Spargesi tutta la bella campagna,
Altri alle reti , altri alia via più stretu.
Chi serba in coppia i can , chi gli scom*
pagna, [e alletta.
Chi già il suo ammette, chi 'I richiama.
Chi sprona il buon destrìer per la cam-
Chi l'adirata fera armato aspetta, [pagna.
Chi si sta sopra un ramo, a buon riguardo.
Chi ha in man lo spiede , e chi s' acconcia
il dardo.
Già le setole arriccia, e arraota 1 denti
II porco entro il burron : già d* una grotta
SpunU giùiicavrìol : già i vecchi armenti
De'cer\i van pel pian fuggendo in frotta.
Timor gl'inganni delle volpi ha spenti :
Le lepri al primo assalto vanno in rotta»
Di sua tana stordita esce ogni belva :
L'astuto lupo vie più si rìnselva :
E rinselvato , le sagaci nare
Del picciol bracco pur teme il mescbino:
Ma il cervo par dd veltro paventare;
De' lacci 1 porco, o del fiero mastino.
Yedesi lieto or qua or là volare [grino:
Fuor d'ogni schiera il giovan peOd»
Pel folto bosco il fier cavai mette ale;
E trisu fa, qual fera Giulio assale.
Qual IL Centaur per la nevosa selva
Di Pello o d'Emo va feroce in cacda.
Dalle lor tane predando ogni belva;
Or l'orso uccide, or il lion minaccia.
Quanto é più ardita fera, più s'inselva :
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STANZE.
n sangue a tutte dentro al cor s'agghiaccia.
La selva trema « e gli cede ogni pianta :
CXL arbori abbatte o sveglie , o rami
schianta.
Ah quanto a mirar Giulio è fiera cosa!
Rompe la via dove più II bosco è folto.
Per trar di maccliia la bestia crucciosa ,
Con verde ramo intomo al capo avvolto»
Con la chioma arruffata e polverosa ,
E d'onesto sudor bagnato il volto.
Ivi consiglio a sua bella vendetta
Prese Amor, che ben loco e tempo aspetta.
E con sue man di lieve aer compose
L'Immagin d'una cerva altiera e bella,
Con alta fronte, con coma ramose.
Candida tutu, leggiadretu. e snella :
E come tra le fere paventose
Al giovan cacdator si oflTerse quella.
Lieto spronò il destrìer per lei seguire ,
Pensando in breve darle agro martire.
Ma poi che invan dal braccio il dardo
Ddfoder trasse fuor la fida spada , [scosse ,
E con tanto furor il corsier mosse ,
Qie'l bosco follo sembrava ampia strada.
La bella fiera, come stanca fosse,
Vtù lenu tutuvia par che scn vada :
Ma quando par che già la stringa o tocchi,
Picciol campo riprende avanti agli occhi.
Quanto più siegué Invan la vana effigie,
Tanto più di seguirla invan s'accende :
Tuttavia preme sue stanche vestigio.
Sempre la glugne; e pur mai non la prende.
Qua! fino al labbro sta nell'onde stigie
Tantalo, e'I bel giardin vidn gii pende :
Ma qualor l'acqua o '1 pome vuol gustare,
Subito l'acqua o'I pome via dlspare.
Era già dietro alla sua disianza
Gran tratto da' compagni allontanato;
Né pur d'un passo ancor la preda avanza;
E già tutto il destrìer sente affannato.
Ma pur seguendo sua vana speranza ,
Pervenne in un fiorito e verde prato :
Iri sotto un vel candido gli apparve
Ueta una Ninfa; e via la fiera sparve.
La fiera sparse via dalle sue ciglia.
Ma il giovan della fiera omai non cura.
Anzi ristringe al corridor la briglia »
E io raffrena sopra alla verdura.
Ivi tutto ripien di maraviglia
Pur della Ninfa mira la figura :
PargU che dal bel viso e da' begli occhi
Una nuova dolcezza al cor gli fiocchi.
Qoal tigre, a cui dalla petrosa tana
2t
Ha tolto il cacciator suoi cari figli ,
Rabbiosa il segue per la selva ircana,
Che tosto crede insanguinar gli artigli :
Poi resu d* uno specchio all'ombra vana.
All' ombra che i suoi nati par somigli :
E mentre di tal vista s' innamora
La sciocca, il piedator la via divora.
Tosto Cupido entro a' begli occhi ascoso
Al nervo adatu del suo strai la cocca.
Poi tira quel col braccio poderoso
Tal che raggiugne l'una all'altra cocca.
La man sinistra col ferro focoso.
La destra poppa con la corda tocca;
Né prima fuor ronzando esce il quadrello,
Che Giulio dentro al cor sentito ha quello.
Ah qual divenne ! ah come al giovanetto
Corse il gran foco in tutte le midolle!
Che tremito gli scosse il cor nel petto!
D'un ghiacciato sudore era già molle;
E fatto ghiotto del suo dolce aspetto
Giammai gli occhi dagli occhi levar puoUe ;
Ma tutto preso dal vago splendore
Non s'accorge il meschin che quivi è
Amore; [mato
Non s'accorge che Amor n dentro é ar-
Per sol turbar la sua lunga quiete ;
Non s'accorge a che nodo é già legato;
Non conosce sue piaghe ancor scerete.
Di piacer, di desir tutto é invescato;
E cosi il cacciator preso é alla rete.
I^ braccia fra sé loda , e'I viso e'I crino,
E'n lei discerne non so che divino.
Candida é ella , e candida la vesta ,
Ma pur di rose e fior dipinU e d'erba :
Lo innanellato crin dell'aurea testa
Scende in la fronte umilmente superba.
Ridele attorno tutta la foresta,
E quanto può sue cure disacerba.
Nell'atto regalmente é mansueta;
E pur col ciglio le tempeste acqueta.
Folgoran gli occhi d'un dolce sereno.
Ove sue faci tien Cupido ascose :
L'aer d'intorno si fa tutto ameno,
Ovunque gira le luci amorose.
Di celeste letizia 11 volto ha pieno
Dolce dipinto di ligustri e rose.
Ogni aura tace al suo parlar divino ,
E canta ogni augeUetto in suo latino.
Sembra Talia, se in man prende la cetra ;
Sembra Minen'a,se in man prende l'asta:
Se r arco ha in mano, al fianco la faretra»
Giurar potrai che sia Diana casta.
Ira dal volto suo trista s'arretra,
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32 POEMI
E poco avanti a lei superbia basta.
Ogni dolce virtù l'è in compagnia :
Beltà la mostra a dito e leggiadria.
Con lei sen va onestate umile e piana,
Che d* ogni chiuso cor volge ia cliiave :
Con lei va gentilezza in vista umana ,
E da lei impara il dolce andar soave.
Non può mirarle in viso alma villana,
Se pria di suo fallir doglia non ave.
Tanti cori Amor piglia, fere e ancide.
Quanto ella o dolce parla , o dolce rìde.
Ella era assisa sopra la verdura
Allegra, e gbìrlandetta avea contesta;
Di quanti fior creasse mai Natura «
Di tanti era dipinta la sua vesta.
E come In prima al giovan pose cura ,
Alquanto paurosa alzò la testa :
Poi con la bianca man ripreso il lembo ,
Levossi in pie con di fior pieno un grembo.
Già s' inviava per quindi partire
La Ninfa sopra l'erba lenta lenU,
Lasciando il giovanetto in gran martire ;
Cbè fuor di lei nuli' altro a lui talenta.
Ha non possendo il mlser ciò soATrirc ,
Con qualche priego d' arrestarla tenta ;
Perchè , tutto tremando e tutto ardendo.
Cosi umilmente Incominciò dicendo :
0 qual che tu ti sia, vergìn sovrana,
0 Ninfa, oDca (ma Dea mi sembri ccrlo^ :
Se Dea ; forse che se' la mia Diana :
Se pur mortai ; chi tu sia fammi aperto ;
Che tua sembianza è fuor di guisa umana ;
Né so già io qual sia tanto mio merto ,
Qual del ciel grazia, qual sì amica stella,
Ch* io degno sia veder cosa sì bella.
Volta la Nlala , al suon delle parole
Lampeggiò d* un sì dolce e vago riso ,
Che i monti avria fatto ir, restare il sole ;
Che ben parve s' aprisse uu paradiso.
Poi formò voce fra perle e viole
Tal, ch* un marmo per mezzo arria diviso,
Soave, saggia, e di dolcezza piena.
Da innamorar, non eh' altri , una Sirena.
Io non son qual Inamente invano angu-
ria;
Non d'alur degna, non di pura vittima;
Ma là sopr*Amo nella vostra Etrurla
Sto soggiogata alla teda legittima :
Mia Datai patria è nell* aspra Liguria
Sopr' una costa alla riva marittima.
Ore fuor de* gran massi intomo gemere
SI sente U fier Nettuno, e irato fremere.
Sovente In questo loco mi diporto :
EROia.
Qui vengo a soggiornar tutta soletta.
Questo è de* miei pensieri un dolce porto ;
Qui r erba, i fiori, e '1 fresco aer m' alletta.
Quinci '1 tornare a mia magion è corto :
Qui lieta mi dimoro Simonetta
Ali* ombre, a qualche chiara e fresca linfa,
E spesso in compagnia d* alcuna Ninfa.
Io soglio pur negli oziosi tempj ,
Quando nostra fatica s* interrompe.
Venire a* sacri aitar ne* vostri tempi
Fra 1* altre donne , con l' usate pompe.
Ma perch'io in tutto il gran desir t* adempi,
E '1 dubbio tolga che tua mente rompe.
Maraviglia di mie bellezze tenere
Non prender già ch'i* nacqui in grembo
a Venere.
Or poi che '1 sol sue rote in basso cala ,
E da quest' arbor cade maggior l' ombra «
Già cede al grillo la stanca cicala.
Già il rozzo zappator del campo sgombra;
E già dall' alte ville il fumo esala;
La villanella all' uom suo il desco ingom-
Omai riprenderò mia via più corta: [bra;
E tu lieto ritorna alla tua scorta.
Poi con occhi più lieti e più ridenti ,
Tal che'l ciel tutto asserenò d' intorno.
Mosse sopra l'erbetta i passi lenti
Con atto d* amorosa grazia adorno.
Feciono i bosclii allor dolci lamenti ,
E gii augelletti a pianger cominciorno ;
Ma I* erba verde sotto I dolci passi
Bianca , gialla , vermiglia , azzurra fassL
Che de* far Giulio? ahimè che pur de-
sidera
SeguiFsua stelta ; e pur temenza il tiene %
Sta come un forsennato , e *1 cor gli assi-
dera,
E gli s' agghiaccia il sangue entro le vene :
Sta come un marmo fiso , e pur considera
Lei che sen va , né pensa di sue pene ;
Fra sé lodando 11 dolce andar celeste ,
E il ventilar dell* angelica veste.
E par che *1 cor del petto se gli schianti,
E che del corpo 1* alma via si fugga ,
E che a guisa di brina al sol davanti
In pianto tutto si consumi e strugga.
Già si sente esser un degli altri amanti ,
E pargli che ogni vena Amor gli sugga,
Or teme di seguirla , or pure agogna :
Qui il tira Amor, quinci *1 ritrae vergogna.
U' sono or , Giulio , le sentenzie gravi ,
Le parole magnifiche e i precetti ,
Con che I miseri amanti molesuvit
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STANZE.
23
Perchè pw di cacciar non ti diletti ?
Or ecco eh' una donna ba in man le dùavi
D* ogni tna Foglia , e tutti in lei ristretti
Tien , Biaerello , i tuoi dolci pensiori :
Vedi cbe or non se* chi pur diami eri.
Biaui eri di una fiera cacciatore :
PIÙ betta fiera or t* ba ne* lacci involto.
DiaMi cri tuo , or se' fatto d' Amore :
Se* or legato , e dianzi eri dìsciolto.
Dot' è tua liJbertà 7 dov' è tuo core 7
Amore ed una donna te 1' bau tolto :
Ed acciocché a te poco creder deggi ,
Ve' dM a virtù , a fortuna Amor pon leggL
la notte , cbe le cose ci nasconde ,
Tornava ombrata dì stellato ammanto ,
E '1 iBsigniuol sotto l' amate fronde
Cantando ripetea 1* antico pianto.
Ma solo a suoi lamenti Ecco risponde ;
Gh' ogn' altro augel quetato avea già il can-
Dalla cimmeria valle uscian le torme [to..
De' Sogni negri con diverse forme.
1 giovan cbe restati nel bosco erano ^
Vedendo il del già le sue stdle accendere.
Sentilo il segno , ai cacciar fine imperano.
Ciascun s' alTrelta a lacci e reti stendere.
Poi con la preda in un sentier si scbiera-
Ivi s* attende sol parole a vendere ; [no :
Ivi menaogne a vii preuo si mercano.
Poi tutti dd bel Giulio fra sé cercano.
Ma non veggendo il car compagno in-
Aggbiacda ognun di subita paura, [torno,
Che qualche dura fiera il suo ritorno
Non impedisca, od altra ria sciagura.
CU mostra fochi , e chi squilla il suo cor-
Ori forte 11 chiama per la selva oscura, [no;
Le longhe voci ripercosse abbondano ;
E Giulio par cbe le valli rispondano.
Ciascun si su per la paura incerto.
Gelato tutto ; se non che pur chiama ,
Veggeado il cid di tenebre coperto ,
lié sa dove cercare , ed ognun brama.
Pur, Giallo , Giulio , suona il gran diserto ;
Non sa che farsi ornai la gente grama.
Ma poi cbe molta notte indamo spesero ,
Dolenti per tornare li cammin presero.
Cheti sea ranno ; e pur alcun col vero
La dubbia speme alquanto riconforta ,
Che ria reddito per altro sentiero
, AI loco ove e* invia la loro scorta, [siero.
Ne' petti ondeggia or questo or qud pen-
Che £ra paura e speme il cor trasporta.
Coii raggio cbe ^>ecchio mobil ferza,
Pte la gnanla or qua or là ai scherza.
Ma il gio\in , che provato avea già l' arco
Ch' ogn' altra cura sgombra fuor dd petto,
D* altre spemi e paure e pensier carco.
Era arrivato alla maglon soletto.
Ivi pensando al suo novello incarco
Stava In forti pensier tutto ristretto,
Quando la compagnia piena di doglia
Tutu pensosa entrò dentro alla soglia.
Ivi ciascun più da vergogna invdto
Per gli alti gradi sen va lento lento.
Qual il pastor a cui 'i fler lupo ha tolto
n più bel toro dd cornuto armento ;
Tornansi al lor signor con basso volto ;
Né s' ardiscon d' entrare all' uscio drento:
Stan sospirosi , e di dolor confusi ;
E ciascun pensa pur come si scusi.
Ma tosto ognuno allegro alzò le dglia
Veggendo salvo 11 si caro pegno ;
Tal si fé* poi che la sua dolce figlia
Ritrovò Ceres giù nel morto regno.
Tutu festeggia la lieU famiglia :
Con essa Giulio di gioir fa segno ;
E quanto può nei cor preme sua pena ,
E il volto di letizia rasserena.
Ma fatto Amor la sua beila vendetu ,
Mossesi lieto per 1* aere a volo,
E ginne al regno di sua madre in fretu ,
Ov' é de' picciol suoi fratei lo stuolo.
Al regno ove ogni Grazia si diletu ;
Ove BclU di fiori al crln fa brolo ;
Ove tutto lasdvo dietro a Flora
Zefiro vola , e la verde erba Infiora.
Or canU meco un po' del dolce regno ,
Erato bella, che il nome bai d' Amore.
Tu sola , benché casU , puoi nel regno
Sicura entrar di Venere e d' Amore.
Tu de' versi amorosi bai sola il regno :
Tcco sovente a cautar viensi Amore;
E posu giù dagli omer la faretra,
TenU le corde di tua bella cetra.
Vagheggia Cipri un dilettoso monte.
Che del gran Nilo i sette corni vede
Al primo rosseggiar dell' orizzonte ,
Ove poggiar non lice a mortai piede.
Nel giogo un verde colle alza la fronte ;
Sott' esso aprico un lieto pratel siede;
U' scherzando tra' fior lasdve aurctte.
Fan dolcemente tremolar l' erbette.
Corona un muro d' or 1* estreme sponde
Con valle ombrosa di schietti arboscdli ,
Ove in su' rami fra novdle fronde
Cantan gli loro amor soavi augellL
Sente^ un grato mormorio dell' onde
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34 POEBH
Che fan duo freschi e lucidi ruscelli ,
Versando dolce con amar liquore ,
Ofe arma I* oro de* suoi strali Amore.
Né mai le chiome del giardino eterno
Tenera brina, o fresca neve imbianca s
Itì non osa entrar ghiacciato Verno ;
Non vento 1* erbe , o gli arboscelli stanca :
Ivi non votgon gii anni il lor quaderno;
Ma lieta Primavera mai non manca.
Che i suoi crin biondi e crespi all' aura
E mille fiori in ghirlandetta lega, [spiega.
Lungo le rive i frati di Cupido ,
Che solo usan ferir la plebe ignota,
Con alte voci e fanciullesco grido
Aguzzan lor saette ad una cota.
Piacere, Insidia posati in su *1 lido
Volgono il perno alla sanguigna rota :
Il fallace Sperar col van Disio
Spargon nel sasso 1* acqua del bel rio.
Dolce Paura , e timido Diletto,
Dolci Ire, e dolci Paci insieme vanno :
Le Lagrime si lavan tutto il petto,
E '1 fiumicello amaro crescer fanno t
Pallore smorto, e paventoso Affetto
Con Magreua si duole , e con Affanno :
VigUSospetto ogni sentiero spia :
Letizia balla in mezzo della via.
Voluttà con Bellezza si gavazza :
Va fuggendo il Contento,e siede Angoscia:
11 cieco Errore or qua or là svolazza :
Percotesi il Furor con man la coscia :
La Penitenzia misera stramazza ,
Che del passato error s* è accorta poscia :
Nel sangue Crudeltà lieta si ficca ,
E la Disperazion sé stessa impicca.
Tacitò Inganno, e simulato Riso
Con Cenni astuti , messaggier de* cuori ,
E fissi Sguardi con pietoso Viso
Tendon lacciuoli a' giovani tra' fiori.
Stassi col volto in su la palma assiso
Il Pianto in compagnia de' suoi Dolori :
E quinci e quindi vola senza modo
Licenzia non ristretta in alcun nodo.
Cotal milizia i tuoi figli accompagna ,
Venere bella, madre degli Amori ,
Zefiro il prato di rugiada bagna ,
Spargendolo di mille vaghi odori :
Ovunque vola, veste la campagna
Di rose , gigli , violette e fiori :
L* erba di sua bellezza ha maraviglia ;
Bianca, cilestra, pallida e vermiglia.
Trema la mammoletta verginella
Con occhi bassi onesta e vergognosa : |
EBOia
Ma vie più lieta , più ridente e belli
Ardisce aprire li seno al sol la rosa :
Questa di verdi gemme s' Incapella :
Quella si mostra allo sportel vezzosa ,
L' altra che 'n dolce fuoco ardea pur ora ,
Languida cade, e '1 bel pratello infiora.
L' alba nutrica d' amoroso nembo
Gialle sanguigne candide viole: [grembo;
Descritto ha il suo dolor Giacinto in
Narciso al rio si specchia come suole :
In bianca vesta con purpureo lembo
Si gira aizia pallidetu al Sole :
Adon rinfresca a Venere 11 suo pianto :
Tre lingue mostra Croco , e ride Acanto.
Mal rivesU di tante gemme V erba
La novella stagion che *1 mondo avviva»
Sovr' esso 11 verde colle alza superba
L' ombrosa chioma , u' il Sol mal non ar-
E sotto vel di spessi rami serba [riva s
Fresca e gelata una fontana viva.
Con si pura tranquilla e chiara vena ,
Che gli occhi non offesi al fondo mena.
L' acqua da viva pomice zampilla ,
Che con suo arco il bel monte sospende;
E per fiorito solco indi tranquilla
Pingendo ogni sua orma al fonte scende :
Dalle cui labbra un grato umor distilla ,
Che'] premio di lor ombre agli arbor ren-
Qascun si pasce a mensa non avara ; [de.
E par che I' un dell' altro cresca a gara.
Cresce l' abeto schietto e senza nocchi ,
Da spander l' ale a Borea in mezzo i' onde :
L* elee , che par di mei tutta trabocchi ;
E il laur, che tanto fa bramar sue fronde :
Bagna Cipresso ancor pel cervo gli occhi.
Con chiome or aspre or già distese e
bionde :
Ma r arbor che già tanto ad Ercol piacque.
Col platan si trastulla intomo all' acque.
Surge robusto il cerro , ed alto il faggio.
Nodoso il comio , e 'I salcio umido e lento,
L* obno fronzuto, e '1 frassin più selvaggio.
Il pino alletta con suo fischio il vento,
L' avomio tesse ghirlandette al Maggio ;
Ma l' acer d' un color non è contento.
La lenta palma serba pregio a' forti :
L' eilera va carpon co' pie distorti.
Mostransi adorne le viti novelle
D' abiti vari , e con diversa faccia.
Questa gonfiando fa crepar la pelle :
Questa racquista le perdute braccia :
Quella tessendo vaghe e liete ombrelle
Pur con pamplnee fronde Apollo scacdi
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STANZE.
U
Quella ancor monca piange a capo chino,
Spargendo or acqua, per Tersar poi Tino.
II chiaao e cre^>o l>os80 al vento on-
£/a Ja piaggia di Terdura adoma : [deggia,
n mirto , elle soa Dea sempre vagheggia ,
IN bianchi fiorì i verdi capelli orna.
Ivi ogni fiera per amor vaneggia :
L' un verraltroi montoni arman le coma ;
L* on r altro cozza , e 1* un l' altro martella
Ihvantì all' amorosa pecorella.
I nragghianti giovenchi appiè del colle
Fan vie più cruda e disperata guerra
Col collo e '1 petto Insanguinato e molle ,
Spargendo al del co* pie l' erbosa terra.
Pien di sanguigna schiuma il cinghiai
bone.
Le larghe zanne annota , e 1 grifo serra ,
E mgge e raspa , e per armar sue forze
Frega fl calloso cuoio a dure scorze.
Provan lor pugna i daini paurosi ,
E per r aniau drada arditi fansi :
Ma con pelle vergau a^ri e rabbiosi
I tigri infuriati a ferir vansi.
Sbatton le code , e con occhi focosi
Bnggendo il fier leon di peUo dansi.
ZuffoU esoffla il serpe per la biscia,
M entr* ella con tre Ihigue al Sol si liscia.
n cervo appresso alla Massilia fera
Co' pie levati la sua sposa abbraccia :
Fra l ' erba ove più ride Primavera ,
L* un coniglio con l' altro s' accovaccia.
Le semplicette capre vanno a schiera
Da' can sicure all' amorosa traccia;
Si r odio antico , e '1 naturai tknore
Ne* petti ammorza^ quando vuole, Amore.
I muti pesd in frotta van notando
Dentro al vivente e tenero cristallo ,
E spesso intorno al fonte roteando
Guidan felice e dilettoso ballo :
Tal volu sopra l' acqua un po' guizzando.
Mentre r un r altro segue , escono a gallo :
Ogni lor atto sembra festa e giuoco ;
Né spengon le fredde acque il dolce foco.
Gli aogeUetti dipinti intra le foglie
Fan 1* aere addolcir con nuove rime ;
E fra phi voci un' armonia s' acco^e
Di si beate note, e si sublime ,
Che mente involta in queste umane spoglie
Non potria sormontare alle sue cime :
E dove Amor gli scorge pel boschetto ,
Saltan di ramo in ramo a lor diletto.
Al canto della selva Ecco rimbomba :
MaaoUo 1' ombra che ogni ramo annoda
La passerella gracchia , e attorno romba :
Spiega il pavon la sua gemmau coda :
Bacia il suo dolce sposo la colomba :
I bianchi cigni fan sonar la proda :
E presso alla sua vaga tortorella
n pappagallo squittisce e favella.
Quivi Cupido, e 1 suoi pennuti frati,
La»i già di ferire uomini e Dei ,
Prendon diporto , e con gii strali aurati
Fan sentire alle fiere i erodi omei.
La Dea Ciprigna fra' suol dolci nati
Spesso sen viene , e Pasitea con lei ,
Quetando in lieve sonno gli occhi belli
Fra r erbe e' fiori e' glovenl arboscelli.
Move dal colle mansueta e dolce
La schiena del bel monte , e sopra I crini,
D' oro e di gemme un gran palazzo folce.
Sudato già nei clcillan cammini.
Le tre Ore , che 'n cima son bobolce ,
Pascon d' ambrosia i fior sacri e divini :
Né prima dal suo gambo un se ne coglie ,
Ch' un altro al del più apre le sue foglie.
Raggia davanti all' usdo una gran pian-
ta»
Che fronde ha di smeraldo , e pomi d' oro ;
E pomi eh' arrestar femo Atalanta ,
Che ad Ippomene dierao il verde alloro.
Sempre sovr' essa Filomena canta ;
Sempre sott' essa è delle Nhife un coro.
Spesso Imeneo col suon di sua zampogna
Tempra lor danze , e pur le nozze agogna.
La regia casa il sereno aer fende ,
Fiammeggiante di gemme e di fin oro.
Che chiaro giorno a mezza notte accende
Ma vinta è la materia dal lavoro.
Sopra colonne adamantine pende
Un palco di smeraldo, in cui già foro
Aneli e sUnchi dentro a Mongibello
Sterope e Bronte ed ogni lor martello.
Le mura attorno d' artifido miro
Forma un soave e luddo berillo.
Passa pel dolce orfental zaffiro
Neil' ampio albergo il di puro e tranquillo ;
Ma il letto d' oro in cuM' estremo^ro
Si chiude contra Febo apre il vessillo.
Per varie pietre il pavimento ameno
Di mirabii pittura adorna il seno.
Mille e mille color forman le porte ,
Di gemme e di sì vivi intagli chiare ,
Che tutte altre opre sarian rozze e morte ,
Da far di sé Natura vergognare.
Neil' una è scuiu l' infelice sorte
Dei vecchio Celio ; e in visu irato pare
2
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36 POEMI
Suo figlio , e con la falce adunca sembra
Tagliar del padre le feconde membra.
Ivi la Terra con distesi ammanti [glia;
Par eh* ogni goccia di quel sangue acco-
Onde nate le Furie e i fier Giganti
Di sparger sangue iuTlsta mostran voglia.
D* un seme stessoJn diversi sembiand
Paion le Ninfe uscite senza spoglia ,
Pur come snelle cacdatrlcl la selva ,
Cir saettando or una or altra belva.
Nel tempestoso Egeo in grembo a TcU
Sì vide il fusto genitale accolto,
Sotto diverso volger di pianeti [volto ;
Errar per l' onde in bianca schiuma av-
E dentro nau In atti vaghi e lieti
Una donzella non con uman volto ,
Da* Zefiri lascivi spinta a proda , [goda.
Gir sopra un nicchio; e par che M del ne
Vera la schiuma , e vero il mar direste ,
Il nicchio ver, vero 11 soflìar de' venti.
La Dea negli occhi folgorar vedreste ,
E 'I del riderle attorno e gli elementi :
L* Ore premer 1* arena in bianche veste ,
L* aura increspar II crin distesi e lenti :
Non una, non diversa esser lor Caccia,
Come par che a sorelle ben confacela.
Giurar potresti che dell* onde uscisse
La Dea premendo eoa la destra il crino.
Con r altra il dolce pomo ricoprisse ;
E stampata dal pie sacro e divino ,
D* erba e di fior la rena si vestisse ;
Poi con sembiante lieto e pellegrino
Dalle tre Ninfe In grembo fosse accolta ,
E di stellato vestimento Involta.
Questa con ambe man le tien sospesa
Sopra r umide trecce una ghirlanda
D* oro e di gemme orientali accesa :
Quella una perla agli orecchi accomanda :
L* altra al bel petto e bianchi omeri Intesa
Par che ricchi monili intorno spanda.
De* qua* soiean cerchiar le proprie gole
Quando nel del gvidavan le carole.
Indi paion levate in ver le spere
Seder sopra una nuvola d* argento :
L* aer tremante ti parria vedere
Nel duro sasso, e tutto *i del coMento :
Tutu II DU di sua behi godere,
E dd fdice letto aver talento :
Qascun sembrar nel volto maraviglia,
Con fronte crespa e rilevate dgUa.
Nello estremo sé stesso il <SvUi Fabro
Formò , felice di si dolce palma ,
Ancor della f adDa imito e 8cal>ro «
EROICI.
Quasi obbliando per lei ogni salma.
Con dlsire aggiungendo labro a labro ,
Come tutta d* amor gli ardesse r ahna :
E par via maggior foco acceso In elio ,
Che qud eh' avea lasdato In MongibeDo.
N^ altra, In un formoso e bianco tauro
SI vede Giove per amor converso
Portarne 11 dolce suo ricco tesauro ,
E lei volgere il viso al lito perso
In atto paventosa; e 1 be' crin d' auro
Scherzan nel petto per lo vento avverso :
La vesta ondeggia e indietro fa ritomo;
L* una man tien al dorso, e l' altra al corno.
Le ignudc piante a sé ristrette accog^e ,
Quasi temendo 'I mar che non le l>agne :
Tale atteggiata di paure e do^e
Par chiami in van le sue dolci compagne ;
Le quali assise tra fioretti e foglie
Dolenti Europa ciascheduna piagne.
Europa sona il lito, Europa, riedi :
Il toro nota , e talor bacia i piedi, [d* oro ;
Or si fa Giove un cigno , or pioggia
Or di serpente , or di pastor fa fede ,
Per fornir l' amoroso suo lavoro;
Or trasformarsi in aquila si vede ,
Come Amor vuole , e nel celeste coro
Portar sospeso 11 suo bel Ganimede;
Lo quale ha di dpresso il capo awUtto,
Ignudo tutto, e sol d* erl>etta dato.
Passi Nettuno un lanoso montone;
Passi un torvo giovenco per amore :
Passi un cavallo 11 padre di Chirone :
Diventa Febo In Tessaglia un pastore;
E 'n picdola capanna si ripone
Colui eh' a tutto '1 mondo d4 splendore ;
Né gli giova a sanar sue piaghe acerbe.
Perché conosca le virtù dell* erbe.
Poi segue Dafne, e *n sembianza si lagna
Come dicesse : 0 Ninfa , non ten gire :
Ferma il pie , Ninfa , sopra la campagna,
Ch' lo non ti seguo per farti morire :
Cosi cerva leon , cosi lupo agna.
Ciascuno M suo nemico suol fui^ire;
Me perché fuggi , o donna dd mio cere ,
Cui di seguirti é sol cagione amoret
DaU* altra parte la bella Arlanaa
Con le sorde acque di Teseo si dote,
E dell* aurae dd sonnodie la inganna;
Di paura tremando, come sole
Per picdol veatoUn palustre canna :
Par dM in atto alibia impresse tal parole ;
Ogni fiera di te seno è cmdele :
Ognun di le pie mi aaria fedelf.
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STANZE.
¥kBiopi«im carro d* eUen • di pw-
[piao
CopeitoBaeco, Il qual duo tigri guidano,
E con lui por elle r aita rana stampino
Satiri e Bacclie, e con toc! alte gridano,
(hm si Tede oodeggfart quel par cb* In-
cian^iiBo; [ridano:
Qnel eoo on eemlNa boe : <piel par ^e
Qnal fa d' un cono, e qoal ddk man
dotoia,
Qnal Ila preso nnaNinfa , e qual si rotola.
Soprar asin Silen , di l>er sempre arido,
Gm Tene grosse, nere, e di mosto umide
Marddo sembra, sonnaccbioso, e grarido:
Lelnd badi rio rosse , enfiate e fumlde :
L' ardite Ninfe 1* asinel sno parido
Pnngon eoi tirso ; ed el con le man tumide
A' erin S'appiglia; ementre sì r attlszano,
Casca nel eolio, e i Satiri lo rizzano.
Quasiin un tratto flsta » amau , e tolu
Dai fiero Pfuto Preserplna pare [sciolta
Sopra un gran carro, e la sua chioma
A* zefiri amorosi TentUare;
La bianca festa in un bel gremboaocolta
Sembra I com fioretti g^ versare t
Si percuote ella il petto , e In rista piagne.
Or la andre chiamando, or le compagne.
Posa già del leone il Aero spogtto
Ercole, e Yeste femailnlna gonna :
Colui dm '1 mondo da grave cordoglio
A?ea scagqMto; ed or serve una doma.
E pnòsofiHr d* Amor 1* Indegno orgoglio,
CU con gN omer già fece al del colonna ,
E qudlaman eon che era a tenere uso
La dava poderosa, or torce un ftisow
Gli oraer setosi a Pollfemo ingombrano
L* orriba chiome, e nel gran petto ca-
scano ; [brano ;
E fresche ghiande r aspre tempie adom-
Presso a sé par sue pecore che pascano ;
Né a eeotnl dal cor giammai «^sgombrano
U dold aesriri lai , che d' amor nascano ;
AmdtntlOdipianioedolQrnuicero [cero.
Seggia bi un freddo sasso appiè d* un a-
Dall* una all' altra oreccliiaun arco face
n dglio kanto lungo ben sd spanne :
Largo sotto la fronte il naso giace;
Paion di schiuma biaMhegglarlezamio.
Tra* piedi hall cane ;a sotto li baaado tace
Una zampogna ben di eento camu. [note
E guarda y mar eh' ondeggia, e dpestre
Par canti , a mova le lanose gote.
Edioach*dln èhianoaplù cheUlattt,
Ma più superba assd eh' una fitflik ;
E che molte ghiriande le ha già fìtfte ,
E serbale una cerva molto beUa ,
Un orsacchin che già col can combatte ;
E che per id si macera e flagella ;
E che ha gran voglia di saper notare
Per andare a trovarla Infln nd mare.
Duo formod delfini un carro tirano;
Sovr* esso è Galatea, che '1 fren corregge:
E qud notando parimente spinano ;
Ruotad attorno più lasdva gregge.
Qud le salse onde sputa,e qua! s* aggirano,
Qoal parche per amor giuochi e vanegge.
La bdia Ninfa con le suore fide
Di d rosso cantar vezzosa ride.
Intorno ai bel lavor serpeggia acanto
Di rose e mirti e lieti fior contesto.
Con vari augei d fatti , che il lor canto
Pare udir negli orecchi manifesto :
Né d* dtro d pregiò Tulcan mal tanto.
Né *1 vero stesso ha più dd ver che questo :
E quanto i* arte intra sé non comprende.
La mente immaginando clilaro Intende.
Questo è il loco che tanto aVener plae-
A Vener bdla, alla madre d* Amore, [que,
Qui ]' arder fraudolente in prima nacque ,
Che spesso fa cangiar voglia e colore :
Quei che soggioga H dtày la terra e Tacque,
Che tende agli occhi red , e prende il core ;
Dolce in sembland , in atto aceri)o e fello ,
Giovane nudo, e faretrato augeDo.
Or poi che ad ali tese iri pervenne.
Forte le scosse , e giù cdosd a pÌond>o,
Tutto serrato ndle sacre penne.
Come a suo nido fa lieto colombo.
L' aer forzato assd stagion ritenne
Della pennuta strisda il forte rombo.
Ivi racquete le trionfanti ale.
Superbamente inver la madre sde.
Trovoiia asdsa in letto fàor dei lembo
Pur mo di Marte sdolta dalie! bracdà ,
Il qud rovescio le giacetaln grembo
Pascendo gii occhi pur della sua faoda.
Di rosesoprif ior pioveva un nembo
Per rinnovargli ali* amorosa tracda :
Ma Vener dava a lui eon voglie pronte
MiUe bad negH occhi e odia fironte. -
Sopra e d* intomo 1 picdoletti Amori
Schenàvan nudi or qua or là votando,
E qud condì di mUle odori
Giva le wpMtiè rose tentllando:
Qud la faretra «nplea di freschi flori^
Poi sopra U lotto la venia i
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28 POEMI
Qual la cadente nuvola rompea
Ferino In su T ali , e poi giù la scotea :
Come avea dalle penne dato un crollo ,
Così r erranti rose cran riprese :
Nessun del vaneggiare era satollo.
Quando apparve Cupido ad ali tese
Ansando tutto , e di sua madre al collo
Gittossi ,% pur co' vanni il cor le accese
iUlegro In visU, esl lasso, che appena
Potea ben per parlar riprender lena.
EROia.
Onde vien' , (igUo 1 o quai n* apporti no-
Vener gli disse , e lo baciò nel volto ; [ve?
Ond* eslo tuo sudor 7 quai fatte hai prove ?
Qual Dio, qual uom hai ne* tuoi lacci in-
volto ?
Fai tu di nuovo in Tiro mugghiar Giove ?
0 Saturno ringhiar perPelio folto?
Quel die ciò sia , non umil cosa panni ,
0 figlio , o sola mia potenaia ed armL
UBRO SECONDO.
Eran già tutti alla risposU attenti
I pargoletti intomo all'aureo Ietto,
Quando Cupido con occhi ridenti
Tutto protervo nel lascivo aspetto
Si stringe a Marte, e con gli straU ardenti
Della faretra gli rìpunse il petto,
E con le labbra tinte di veleno
Baciollo, e 'l foco suo gli mise In seno.
Poi rispose alla madre : E' non è vana
La cagion che sì lieto a te mi guida,
Gh*Ìo ho tolto dal coro di Diana
U primo conduttor, la prima guida.
Colui di cui gioir vedi Toscana,
Di cui già infin ai del la fama grida,
Infin agl'Indi, Infin al vecchio Mauro,
Giulio, minor fratel del nostro Lauro.
L'antica gloria e '1 celebrato onore
Chi non sa della Medica famiglia?
E del gran Cosmo, italico splendore.
Di cui la patria sua si chiamò figlia?
E quanto Pietro al paterno valore
Aggiunse pregio, e con qual maraviglia
Dal corpo di sua patria rimosse abbia
Le scellerate man , la crudel rabbia?
DI questo e della nobile Lucrezia
Nacquene Giulio, e pria ne nacque Lauro ;
Lauro, eh' ancor della bella Lucrezia,
Arde ; e dura ella ancor si mostra a Lauro ;
Rigida più ch'in Roma già Lucrezia,
0 In Tessaglia colei eh' è fatu un lauro ;
Né mai degnò mostrar di Lauro agli occhi
Se non tutta superba I suol begli occhi.
Non priego, non lamento al meschin va-
Ch'ella sta fissa come torre al vento ; [le
Perch'io Id punsi col piombato strale,
E col dorato lui ; di che or mi pento.
Ma tanto scoterò , madre , queste ale ,
Che foco accenderolle al petto drento.
Richiede ormai da noi qualche restauro
La lunga fedeltà del franco Lauro.
Che tuttor panni pur veder pel campo
Armato lui , armalo il corridore ,
Come un fier drago gir menando vampo.
Abbatter questo e quello a gran furore :
L'armi lucenti sue spargere un lampo
Che facdan tremar l'aere di splendore :
Poi fatto di virtute a tutti esempio,
RlporUme II trionfo al nostro tempio.
E che lamenti già le Muse femo!
E quanto Apollo s'è già meco dolio,
Ch' lo tenga 11 lor poeta In tanto scherno !
Ed io con che pietà suoi versi ascolto l
Ch'Io r ho già visto al più rìgido verno,
Pien di pruina 1 crln , le spalle e '1 volto
Dolersi con le stelle e con la luna
DI lei , di noi , di sua crudel fortuna, [te :
Per tutto 11 mondo Ita nostre laudi spar-
Mai d* altro, mal, se non d' amor ragiona ;
E polca dir le tue fatiche, o Marte,
Le trombe e l'arme e 'l furor di Bellona:
Ma volle sol di noi vergar le carte,
E di quella gentil eh' a dir lo sprona.
Ond' lo lei farò pia, madre, al suo amante;
Che pur son tuo, non nato d'adamante.
Io non son nato di ruvida scorza ,
Ma di te, madre bella, e son tuo figlio;
Né crudele esser degglo ; ed ei mi sforza
A riguardarlo con pietoso dglio ;
Assai provato ha l'amorosa forza ,
Assai giaciuto è sotto il nostro artiglio.
Giusto è ch'd facda omal co' sosplr tregua;
j E del suo buon servir premio consegua.
Ma il bel Giulio, ch'a noi sUto è ribello,
E sol di DeUa seguito ha il trionfo,
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STANZE.
Or dietro ali* orme del suo buon frateUo
Vien dtenato innaiud al mio trionfo :
f^ mostrerò giammai pietate ad elio
Fin che ne porterà nuovo trionfo ;
Ch'io gli bo nel core dritta una saetta
Dagli occhi della bella Simonetta.
E sai quanto nel petto e neUe braccia,
Quanto sopra il destriero è poderoso :
Por mo lo Tidi sì feroce in caccia,
Ole parea il bosco di lui paventoso;
Tutu aspreggiau avea la bella faccia,
Tatto adirato , tutto era focoso.
Tal vid'io te là sopra al Termodonte
Cavalcar, Marte , e non con està fronte.
Quest'è, madre gentil, la mia vittoria;
Quinci è •! mio travagliar, quinci è *1 su-
Cosi va sovr ' al del la nostra gloria , [dorè ;
n nostro pregio , Il nostro antico onore :
Cosi mai cancellata la memoria
IH te non fia , né del tuo figlio Amore ;
Cosi canteran sempre e versi e cetre
distrai, le fiamme, gii archi e le faretre.
Fatu ella allor più gaia nel sembiante,
Balenò intomo uno splendor vermiglio,
Da fare un sasso diventare amante.
Non pur te. Marte : e tale ardea nel cìgUo,
Qoal suol la bella Aurora fiammeggiante :
Poi tutto al petto si ristringe 11 figlio;
E trattando con man sue chiome bionde.
Tatto U vagheggia ; e lieu gli risponde :
Assai, bel figlio. Il tuo deslr m* aggrada.
Ole nostra gloria ognor più l'ale spanda.
Chi erra , tomi alla verace strada :
Obbligo è di servir chi ben comanda.
Pur convien che di nuovo In campo vada
Lauro, e si cinga di nova ghirlanda;
Che virtù negli affainnl più s' accende.
Come l'oro nel foco più risplende.
Ma in prima fa mestier che Giulio s'armi,
^ che di nostra fama il mondo adempì :
E tal del forte Achille or canu l'armi,
E rinnova in suo stil gli antichi tempi ,
Che diverrà testor de' nostri carmi ,
Cantando pur degli amorosi esempi ;
Onde la nostra gloria, o bel figliuolo,
Vedrem sopra le stelle alzarsi a volo.
E voi altri, miei figli, al popol tosco
Lieti volgete le trionfanti ale :
Gite tutti fendendo i'aer fosco;
Tosto prendete ognun l'arco e lo strale:
Di Marte 11 fiero ardor sen venga vosco.
Or vedrò, figli, qual di voi più vaie :
Gite tutti a ferir nel toscan coro;
29
Ch' l' serbo a chi fler prima un arco d'oro.
Tosto al suo dire ognun arco e quadretta
Riprende, e la faretra al fianco alloga ;
Come al fischiar del comlto sfrenelia
La nuda ciurma , e i remi mette in voga.
Già per I'aer ne va la schiera snella :
Già sopra alla citU calan con foga.
Cosi I vapor pel bel seren giù scendono,
Che palon stelle, mentre I'aer fendono.
Vanno spiando gli animi gentili ,
Che son dolce esca all'amoroso foco:
Sovr' essi batton forte i lor fucili,
E fangll apprender tutti a poco a poco :
L' ardor di Marte ne' cuor giovenili
S' afllggc e quelli infiamma del suo giuoco:
E mentre stanno Involti nel sopore ,
Pare a' giovan far guerra per Amore.
E come quando II Sole i Pesci accende,
Di sua virtù la terra è tutta pregna;
Clift poscia Primavera fuor si stende
Mostrando al del verde e fiorita Insegna :
Cosi ne' petti ove lor foco scende.
S'abbarbica un disio che dentro regna:
Un disio sol d'eterna gloria e fama.
Che r Infiammate menti a virtù chiama*
Esce sbandita la viltà d'ogni alma,
E, benché tarda sia, pigrizia fugge :
A liberiate l'una e l'altra palma
Legan gli Amori ; e quella iraU rugge.
Solo In disio di gloriosa palma
Ogni cor glovcnii s'accende e strugge:
E dentro al petto sopito dal sonno
Gli spiriti d'Amor posar non ponno.
E cosi mentre ognun dormendo langoe,
Ne' lacci è involto, onde giammai non esce:
Ma come suol fra l'erba il plcclol angue
Tacito errare, o sotto l'onde li pesce.
Si van correndo per l'ossa e pel sangue
GII ardenti spiritelli , e '1 foco cresce.
Ma Vener, come i presti suoi corrieri
Vide partili , mosse altri pensieri.
Pasltea fé' chiamar, del Sonno qK>sa,
Pasitea delle Grazie una sorella,
Pasltea, che dell'altre è più famosa.
Quella che sopra tutte è la più beUa;
E disse : Muovi , o Ninfa graziosa ,
Trova il consorte tuo veloce e snella :
Fa che mostri al bel Giulio tale Immago,
Che '1 faccia dimostrarsi al campo vago.
Cosi le disse ; e già la Ninfa accorta
Correa sospesa per l'aria serena :
Quete senz' alcun rombo l'ale porta,
E lo ritrova In men che non balena :
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20 pofln
Ai owro ddla Notte tecea seorU t
B l'aria intono aiM di Sogni piena
Di farle fomie, e stranier portamenti;
E CMea raoquetare i fiumi e i Tenti. [Te,
Come la Ninfea' saol gravi ocdii appar-
Gol folgorar d'mi riao glieli aperse:
Ogni nube dal dglio Tia dlqMirTe,
Che la fona del raggio non sofferse.
Gtaicmi de* Sogni dentro alle lor lar? e
Gli al fe' incontro, e 1 viso discoperse:
Ma poi di' dia Morfeo tra gli altri scdse ,
Lo chiese al Sonno ; e tosto indi si sreise.
Indi si SYdse, e di questo oooTenne
Tosto ammonirìo; e parti sema posa.
i^»pena tanto il dg^ alto sostenne.
Che latU era già tutu sonnacchiosa.
Vassen Telando senza morer penne,
E ritoma a sua Dea, Ueta e gioiosa.
Gli aodti Sogni ad obbedir s' affrettano ,
E sotto nuore fogge si rassettano.
Quali I soldati che di fuor s'attendono,
Quando sensa sospetto par che giacciano,
Pnr suon di tromba al guerreggiar s' ac-
cendono,
. Testonsi le corazse , e gli dmi allacciano ;
E giù did fianco le spade sospendono ,
Grappan le lance, e I forti scudi imbrac-
E cosldlrisati 1 destrier pungono [dano:
Toaito, che la nemica schiera giungono.
Tempo era quando l'alba s'arridna,
B dlTien fosca l' aria, or' era bruna ;
E già il carro stellato Icaro inchina,
E par nd Tolto scolorir la Luna;
Qaando dò eh' al bd Giulio il cid destina
Mostrano i Sogni e sua dolce Fortuna ;
Moke al principio, d fin poi troppo amara;
Perocché sempre dolce d mondo è rara.
Fargli Teder feroce la sua donna ,
Tutta nd Tolto rigida e protenra
Legar Cupido afia Terde colonna
Della felice pianu di Minenra,
Armata sopra alla candida gonna.
Che '1 casto petto col Gorgon conserva ,
E pv che tutte gn spennacchi l'aU^
E dw rompa al meschin l'arco e gli strali.
Ahimè! quanto era mutato da quello
Amor, che mo tornò tutto gioiosol
Koo era sopra Pde altiero e snello,
Nm dd trionfo suo punto orgoglioso:
Ami merco chiamava il meschhidlo
Miseramente, e con Tolto pietoso ;
Gridando a GluUo: Miserere md;
DifMidlBl t 0 bd Giulio , da eoatd.
EBOia.
E Giulio a lui dentro d fallace sonno
Parea risponder con niente confusa:
Come poss' lo dò far, dolce mio donno?
Che neU' armi di PdU è tutu chiusa.
Vedi I miei spirti, che sofErir non ponno
La terribH sembiansa di Medusa ,
n rabbioso fischiar delle ceraste ,
E '1 Tolto e l'elmo e '1 folgorar ddl' aste.
Alia gli occhi, alza, Giulio, a queUa
fiamma [bra:
Che come un sol col suo splendor t'adom-
Quivi è colei che l'dte menti infianmia ,
E che da' petti ogni viltà disgombra.
Con essa, a guisa di semplice damma ,
Prenderd quesU, eh' or nel cor t' Ingom-
TanU paura , e t' invilisce l' alma , [bra
Ch'ella ti serba sol trìonfd palma.
Cod dicea Cupido; e già la Gloria
Scendea giù folgorando ardente vampo:
Con essa Poesia , con essa Istoria
Volavan tutte accese del suo lampo.
Costd parea che ad acquisUr vittoria
Rapisse Giulio orribilmente In campo;
E che l'arme di Palla dia sua donna
Spogliasse, e lei lasciasse in bianca gonna.
Poi Giulio di sue spoglie armava tutto,
E tutto fiammeggiar lo facea d'auro:
Quando era d fin dd guerreggiar con-
dutto.
Ai capo gì' Intrecciava oliva e lauro :
Ivi tornar parea sua gioia in lutto ;
Vedead tolto il suo dolce tesauro :
Vedea sua Ninfa in trisu nube awdU
Dagli occhi crudelmente essergli tdU.
L'aria tutu parea divenir bruna,
E tremar tuUo dell'abisso il fondo:
Parea sanguigna in dd fard la luna ,
E cader giù le stelle nd profondo.
Poi vedea lieta in forma di Fortuna
Sorger sua Ninfa ; e rabbellirsi 11 mondo ;
E prender lei di sua viU governo;
E lui con seco far per fama etemo.
Sotto colali ambagi d giovanetto
Fu mostro de' suoi fati il leggier corso.
Troppo felice , se nd suo diletto
Non mettea Morte acerba 11 cnidd morso.
Ma che puote a Fortuna esser disdetto ?
Ch' a nostre cose allenU e stringe il morso:
Né vd perch' altri la ludnghl o morda,
Gh'a suo modo d guida, e sU pur sorda.
Adunque il tanto lamentar che giova ?
A che di pianto pur bagniam le gote t
Se pur convien di' dia ne guidi e mnovt ;
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STAlfEE.
ti
Se mortai fona contra lei non puote.
Se eon sue penne il nostro mondo cova ;
E tempra e volge come ruol le mote.
Beato qual da lei suoi pensler solre,
E tutto dentro alla Virtù s'involve!
Oli felice colui che lei non cura,
E che a' suol grati assalti non s* arrende ,
Ma come scoglio che incontro al mar dura,
0 torre che da Borea si difende,
Suoi ccdpi aspetta con fronte sicura,
E sta sempre provristo a sue vicende :
Da sé sol pende; in sé stesso si fida;
Né guidato è dal caso, anzi lui guida.
Già carreggiando il giorno Aurora lieta
Di Pegaso strlngea l'ardente briglia:
Surgea dal Gange li bel solar pianeta ,
Baggiando intomo con F aurate ciglia:
Già tutto parea d'oro il monte Oeta :
FuggiU di Laton era la figlia :
Surgevan mgladosl in loro stelo
1 fior chinati dal notturno gelo.
La rondinella sopra li nido allegra
Cantando salutava il nuovo giorno :
E gi4 de' Sogni la compagna negra
A sua spelonca avea fatto ritorno;
Quando con mente insieme lieta ed egra
SI destò Giulio, e girò gli occhi intomo ;
Gli occhi intomo girò tutto stupendo.
D'amore e d'un disio di gloria ardendo.
Fargli vedersi tuttavia davanti
La Gloria armata in su l'ali veloce
Chiamare a giostra i valorosi amanti,
E gridar, Giulio , Giulio , ad alU voce.
Già sentir pargli le trombe sonanti ,
Già divien tutto nell'armi feroce.
Co^ tutto focoso in pie risorge ,
E verso il del cotai parole porge:
0 sacrosanta Dea, figlia di Giove,
Per cui U tempio di Giano s'apre e serra;
La cui potente destra serba e move
intiero arbitrio e di pace e di guerra,
Virglne santa, che mirabli prove
Mostri del tuo gran nume in cielo e *n terra,
Che I valorosi cuori a virtù infiammi,
Soccorrimi or , Tritonia , e virtù dammi.
S'Io vidi dentro alle tue armi chiusa
La sembianza di lei che me a me fura :
S'io vidi II volto orribii di Medusa
Far lei contro ad Amor troppo esser dura :
Se poi mia mente dal tremor confusa
Sotto il tuo schermo diventò sicura:
S' Amor con teco a grandi opre mi chiama,
Mostrami il porto, o Dea, d'eterna fama.
E tu che dentro all'aflbcata nube
Degnasti tua sembianza dimostrarmi ,
G ch'ogni altro pensler dal cor mi robe,
Fuor che d'amor, dal qual non posso
aitarmi;
E m'infiammasti, come a suon di tube
Animoso cavai s'infiamma all'armi,
Fammi intra gli altri, o Gloria, si solenne ,
Che lo baua infino ai elei teco le penne.
E s' io son, dolce Amor, se son pur degno
Essere il tuo campion contra costei ,
Contra costei, da cui con forza e ingegno
(Se 1 ver mi dice il Sonno) avvinto sei.
Fa si del tuo furor mio pensler pregno,
Che spirto di pietà nel cor le crei.
Ma virtù per sé stessa ha l'ali corte;
Perché troppo é il valor di costei forte.
Troppo forte. Signor, é'I suo valore.
Che, come vedi, il tuo poter non cura
E tu pur suoli al cor gentil. Amore,
Riparar come augello alla verdura:
Ma se mi presti li tuo santo furore,
Leverai me sopra la tua natura,
E farai, come suol marmorea rota,
Ch' ella non taglia , e pure il ferro arroU.
Con voi men vengo. Amor, Minerva,
e Gloria,
Che '1 vostro foco tutto il cor m'avvampa:
Da voi spero acquistar l'alta vittoria;
Che tutto acceso son di vostra lampa :
Datemi aita sì, che ogni memoria
Segnar si possa di mia etema stampa,
E faccia umil colei ch'or mi disdegna;
Ch'io porterò di voi nei campo insegna.
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32
POEMI raoia
TRISSINO.
ITALIA LIBERATA.
LIBRO IX.
ABGOVEZfTO.
Da Pirtenope escito il capitano
Giunge a Cassino, ove lasciato il campo
Sale all'ostel d'un eremita santo :
Ivi da lui condutto in uno speco
Vede del padre l'ombra, e per virtudo
D*un angel entra in un fiorito prato.
Colà su due miragli, ed il passato
Ed il futuro scorge; e quindi l'ombre
De^ poeti , de' soft e de' guerrieri
Illustri un tempo, a lui si fanno innanzi.
Vede sue glorie, e dell'imperio il fato;
Infin che torna con Traiano al vallo.
La bella Aurora da 1* aurato letto
Del suo caro Tlton si risurgea,
Per apportare a noi V eterna luce ;
Quando '1 gran capitanlo de le genti ,
Essendo stato in Napoli tre giorni ,
Se n* uscì fuor con tutto quanto *1 campo ,
Elasdovv'entro Erodlano altero
Con molta gente a guardia de le mura.
Ed egli se n* andò verso Cassino ,
Per Irsen quindi a la citti^l Roma.
E come pose il quarto alloggiamento,
Trovossi a pie del solitario monte ,
Ov'era posta la sacrata cella
Di Ben^etto ; veramente spirto
Benedetto da Dio , salubre al mondo.
Quivi il buon capitan mandando gli occhi
Verso la cima , vide un bel pratello ,
Cinto di alcuni altissimi cipressi ,
E di tre grandi e ben fronduti allori ,
Avanti ad una plccoletta stanza ,
Tanto divoto , e venerando In vlsu ,
Quanto altra cosa mai che avesse scorta.
Onde gli nacque un desiderio ardente
DI visitar quell' onorau cella ;
Ma non ardiva abbandonare il vallo,
Perch*el non era ancor tutto munito.
E stando in quel pensler, venne la notte;
Poi la mattina , anz* Il spuntar de 1* alba
Gli apparve in sogno 1* ombra di suo padre.
Che spinse fuor di bocca este parole :
Figliuol mio caro , che per tanti mari ,
E per tanti perigli sei condotto
Al soave terren dove eh* lo nacqui ;
Ascendi ancora a la di vota stanza ,
Ch* ha quell* adomo e bel pratello avanti.
Quivi dimora un benedetto vecchio,
Tanto diletto a Dio, che gli fa noto
Tutto *1 secreto suo, tutto 'l futuro.
Priegal soavemente, ch*e* ti mostri
Qò che tu dei schivare In questa impresa,
E ciò che tu dei far, per ottenere
Certa vittoria de la gente gota.
E priegalo anco ad impetrarmi grazia.
Dal Padre onnipotente de le stelle ,
Ch* io possa alquanto dimorar con teco
Visibilmente ne la propria forma.
Così gli disse l'ombra di suo padre;
E poi subitamente indi disparve.
Onde *1 gran capiUnio In pie levossi,
E si vestì di panni , e poscia d^armi ;
E tolto seco il callido Traiano,
Andò sul monte a la divota cella
Seuz' altra compagnia, senz'altro scorta.
E come fur tra quelli antiqui allori,
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ITAUA LIBERATA.
33
Che flooo iBtonio al prato, un veccbio
aperse
L* uscio (Tua oratorio, e Tenne fuora,
Degno di tanU rìverenxa in vista,
Quanto aver possa una terrena fronte.
Egli avea in dosso una cuculia bianca,
Lunga fino a la terra, e la sua barba
Tutta canuta gli copriva II petto.
Questi andò contra BeUsario, e disse :
Gapltanio gentil , quanto mi piace
Vedervi al nostro solitario albergo.
Buon tempo è , ch'io v'aspetto in queste
Perporrefaillbertàritaliaafllitta. [parti.
Or sia lodato Iddio , che siete giunto ;
Andiamo entr'a lachiesa, a render prima
Grazie ed onore al Re de 1* universo ,
Che n* ha condotti a si felice giorno ,
Dappoi ragionerem de 1* altre cose.
Cori diss' egli , e per la mano il prese,
E dolcemente lo stringea , mirando
La lacda sua con un paterno affetto.
Poi lo menò ne l' oratorio santo ,
E quivi udita una divou messa ,
Che celebrò quel benedetto vecchio ,
SI poser tutti a ragionare insieme :
E prima il capitan così gli disse :
Padre gentil d'ogni virtute adomo,
Grande amico di Dio, quando vi mostra
E v'apre ogni celato suo secreto ;
Vedendo , che sapete e quel eh' io sono ,
E l' alta impresa ch'io son posto a fare ,
Penso, che ancor sappiate ogni pensiero
Che si ritruovi chiuso entr* al mio petto.
Pur vi discoprirò con la mia lingua
L' onesto mio desire , e quel eh' io bramo
Da la vostra santissima persona.
Vorrei saper, padre beato, come
Si deggia governar quest'alta impresa;
E dò eh* io debbia far, per ottenere
Certa vittoria de la gente gota.
Ancor vi priego ad impetrarmi grazia
Dal Padre onnipotente de le stelie,
t^'l caro genitor possa parlarmi
Vidbllmente ne la propria forma.
Deh fate , padre , questi onesti doni
Al divoto orator, che ve gli chiede ,
Ch'agevolmente gli potete fare,
Sendo col Re dei del tanto congiunto.
Non gli negate a me, ch'io vengo a porre
La vostra cara Esperia in liberUde
Con le nostre fatiche , e '1 nostro sangue.
Cosi disse il barone ; a cui rispose
n buon servo di Dio con tal parole :
Illustre capitan, voi dite il vero,
Ch' io so l' alU cagion eh' a noi vi i
Perchè sta mane , anz* il spuntar de V alba,
L' angd Erminio , e l' ombra di Camillo
Mi disse il tutto , e mi richiese a farlo :
Ed io liberamente gli promisi.
Ond' ho pregato il Re de l' universo
Di queste grazie, ed et ne fia cortese;
Ma vi bisogna entrar dentr*a qud speco
Sena' altra compagnia che le vostr'arme.
E quest' ahno signor starà qui fuori ,
Fin che s'adempia il bel vostro desire.
Cosi diss' egli , e prese una gran chiave
Ch'avea da canto, e disserrò la porU
D* una profonda e paventosa bucca ,
Tal che '1 baron senti rizzarsi i peli
Per la persona a qudl' orribil vista.
Pur entrò dentro, e la ferrata porta
Per sé medesma se gli chiuse dietro :
Onde restò nel cuor tutto confuso.
Ma 1* angdo , che stava ad aspettarlo
Ne la spelonca , gli toccò la testa
Con una verga che teneva in mano ;
Ond' d fu preso da profondo sonno ,
E cadde in terra , come fosse morto.
Dappoi lo tolse leggermente in bracdo,
E lo portò sopra un erboso colle
D' un più meraviglioso e lieto mondo.
Questo è la facda del Signore etemo.
In cui descritte son tutte le cose.
Che son , che furo , e che dovran venire ;
Ma non la può , se non per grazia estrema.
Veder uom vivo ; e con tal grazia ancora
Non gli si mostra mal ne la sua forma.
Ma voi , che avete in del divino albergo.
Eterne Muse , or mi donate aluto ,
Si eh' io possa narrar qual ei là vide.
Quei colle avea dal suo sinistro canto
Un specchio grande , assai maggior che'l
Ov' eran tutte le passate cose. [sole,
E poi dal destro ne teneva un altro,
Ch' avea dipinto In sé tutto 'I futuro.
E per quel colle ogni presente effetto,
Ch' usciva fuor del destro albergo, andava
Correndo a l'altro con mlrabil fuga.
Ma questi sono a Dio tutti un sol specchio
Se ben paion diversi a noi mortali.
Or quivi adunque In un erboso prato
L' angd depose Belisario il grande ,
Ov'era allegra l'ombra di Camillo
Suo padre, usdta dd sinistro cerchio,
Per dimorar col suo flglluol diletto.
Ma come poi Hi smisurata luce ,
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14 POEMI
Gh*af«a quel loco, aperse gH occhi gravi
n BeUsarìo , e gH disclolsc il sonno ,
Conobbe U padre ; e fattoseli contra
^r abbnMxiarìo , lacrimando disse :
O caro padre mio , quanto m* allegro
Vedervi In questi fortunati alberghi ,
Dopo tante fatiche e tand alfonni I
Goal dlcea piangendo e sospirando;
Spot voleva chncondarU il collo
Con le sue braccia ; ma quell* ombra Hev«
Si risolveva, come fa una spera
Di sole, o come una compressa nebbia;
Tal che le braccia non strhigevan nulla.
Ed ti piangea dicendo : Ah non fuggite,
Lasclat^ni abbracciar si care membra.
Dopo queste accoglienze, il buon Ca-
Guardava iso Belisario in volto, [millo
Gom' uom che vede tutto il suo contento ;
Poi dolcemente sospirando, disse :
Diletto mio flgliuol, che grave soma
T ha posto adosso il correttor del mondo 7
Guarda ben , che sott* essa non trabocchi ;
Aedo che poi qualche fortuna avversa
Non t'adombrasse le vittorie avute.
L' angelo Erminio allor seguì dicendo :
Dunque, Camillo mio, perch'ei non
caschi
Ne l'error che tu temi , lo vo* mestrarii
Quest'onorato specchio da man destra,
Ch' ha in sé raccolto tutto l'avvenire;
Qie'l Re del del m' ha detto, eh' iogUmo-
Le cose che verran in'a mill'annl, [stri
E ch'Io non debbia trapassar quel segno.
Ma perchè meglio lo comprenda, e noti,
Fla buon che porga una leggera occhiaU
Nel specchio a mao sinistra dd passato.
E cosi detto, gU disdolse U velo
Che l' Incarco d'Adamo intorno gli occhi
GU aveva involto ; e poi gli disse : Ormira
L'anime ch'escon da la destra sfera ,
E sene van correndo a la sinistra
Per quesu nostra commutabO parte.
QuesU son quel, che vengono a la vita,
E prendono un boceon per dasom vaio
De 1 dui, che soo ne' lati de la porta,
L' un pien di dolce, e r altro pien d* amvo.
Tenuti saldi Ui man da dui dooadli ;
Né ponno a vita andar sema gustarne.
Mira colui, che toi dal destro vaso
U boceon primo di dolcezza immensa.
Poi si rivolge eoo diletto a l'altro.
Perchè lo crede parimente dolce;
E pigliane un boceon maggior del primo
EROICI.
Ma trova questo esser sì forte amaro ,
Cb' a pena a mal suo grado può giottirlo.
Vedi queU* altro , che 'I boceon primiero
Tol da l'amaro del secondo vaso,
E poi si volge timoroso a l' altro.
Perchè lo crede parimente amaro;
Onde piglia un boceon minor che '1 primo.
Dal vaso del doldssimo liquore.
E però awien , che quesU vita umana [ce.
Sempre ha l'amaro suo maggior, che 1 dol-
Qud giovhietto poscia , e quella donna
Che dopo 11 manducar gli porgon bere;
L' uno è l' Errore, e l' altra è l' Ignoranza.
Guarda quelle lascive meretrid ,
Varie di veste e d* apparenzla vaga ,
Che vanno Intorno a I giovinetti incauti ,
E cercano d'Indurii al loro amore :
Queste son le diverse opinioni,
E le diverse voluttati umane.
Che reggono la vita de le genti;
Mira, ch'alcuna guida 1 loro amanti
A dritto calle, e V altre 1 soorgon poi
A mal cammino, e predplzlo orrendo.
Quelle tre belle giovinette ignudo.
Che due di loro a noi mostrano H volto.
Ma quella, eh' è nd mezzo, e tlen le braccia
Sul petto a r altre, volge in qua le spalle,
Per non mirare tt benefido fatto ,
Poi che quel!' altre due con vista allegra
Risguardan «empre al ricevuto bene :
Queste son le tre Grazie , il cui bd nodo
Confennaelega il buon commerdo umano
Vedi una donna là sopra un gran sasso
Quadrato, e sodo , quella è la Dottrina :
E l'altre due, che poi le stanno a canto
Son sue figliuole, e si dimanda l'nna
La Veritade e la Ragione è l'altra.
Quella ch'è deca là sopra una palla
Rotonda, e che non posa, è la Fortuna,
Male tre vecchie poi , che Insieme stanno,
E l'nna tlen la rocca, e l'altra il fuso.
La terza il stame tronca, son le Parche,
Che filano le rite de 1 mortalL
Quella che è d superba, è la BeDeoa;
L'altra è U NobilU, l'altra la Gloria;
E l'altra è la Ricchezza, che non cura
Infamia ed o<tto, e di sé stessa gode.
Qud fandulletto è U Riso ch'è sì aUegro;
Quell'altro è 'i Giuoco poi che con hii
scherza.
Vedi due belle donne, e dui fondulH,
Che l' una guarda il del , l'altra la terra ;
QueUe son le due Veneri, e gli Amori^
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ITALIA UffiRATA.
Gdestf r ODI , e r va : ftt adtrì del Tolgo.
Qudia che è n, totU Testita a Toxle,
E uni wm gii aUnndooa , è la Sperania :
E quello è il Sonno neghlUoeo e lento.
La donna poi , che so quell' alto teogllo
Siede gioconda , e tiene il scettro lo mano,
t la FeUdtà , cbe Toi BortaU
Cercate sempre, e mai non la trofate.
E «pielle damigdle , cb* tri intorno
Stanno al servigio suo, son le VirtotL
Rifolu gH occhi a la sinistra parte.
Mira ((Bell'altre sanguinose e crude
Donne , che pakm si feroci In Tista;
L' una è la Guerra e r ahraè la Vendetta.
Vedi la Povertà , conosd il Pianto ;
E la Piena pia iera assai die un drago.
Conosci l' AyariiU e la Yecchieiza,
E la Fame e 1 Fastidio e U Padca,
La Discordia, 1* AflbMno e '1 Tradimento,
E FempU Ingnititudhie , eh' è sola
Causa e radice d' faiflniti maU.
OiBDè! non dimorlam più lungamente
Fra queste orrende e venenose serpi.
Andiamo , an<&nio a la sinistra sfera.
Che ha le cose passate; entriamo in essa.
Per starvi un poco, e poscia andar ne l'at-
Cori parlando l'angelo, menoHI [tra.
Con gran celerità nel manco albergo.
Quella amplissima sfera avea tre porte ,
La maggior de le quali era guardata
Da le figliuole de l' antico Cadmo ;
Queste aveano con seco il bel Poema ,
E la gentile Istoria sua consorte ,
Con altre molte generose ancelle.
L'altre due porte poi , eh' eran minori ,
V una tenea la Favola per guardia ,
L' altra la Statuaria e la Pittura;
Ma quello etemo messaggler del delo
Gli fece intrar per la primiera porta,
De le brunette giovani Fenid.
Come tur dentro , videro un gran mondo.
Con frfà bd lume assai che 1 nostro Sole;
Con altra Luna e con più chiare st^e.
Eranvi prad , con fontane e rivi,
E ti cari arbttacd,d vaghi firutti,
Ch' era dHettocstremo a riguardarlL
Bdlsarfo stupì di qndla vista;
E rivolgendo gli oodil hi ogni parte.
Vide a man destra un bd fiorito colle.
Ne la cui dmn era una vaga fonte ,
Con pia chlar* acqua , e di piò larga vena.
Ch'aere eonvoiso mai mostrasse al sole.
Quiil «I bd ^eeehlo oonfaitonsa chioma^
E con barba canuta, ed occhi oscuri ,
L' aveva in guardia , e dispensava a tutti
n buon liquor de 1* onorato monte.
Allora nacque un desiderio immenso
A Belisario di saper chi egli era,
E dimandonne a V angelo In tal modo :
Vero amico di Dio , celeste messo ,
Non vi sia grave dir , chi sia quel vecchio
Che dispensa tant' acqua ; e quella gente
Che dtibonda va d* intomo al colle.
A cui rispose il messaggler dd delo :
Quello è *1 dirin da voi chiamato Omero,
Che parve deco al mondo ; ma più vide,
E seppe più ch'altr'uom che fosse in terra ,
Per la cui patria ancora Atene e Smirna;
E cinque altre dttà fanno contesa.
E le donne leggiadre, che d'intorno
Gli stanno e per ancelle , e per mhilstre ,
Son le da voi si celebrate Muse ,
Figlie de la Memoria e de l' Ingegno.
Qud che tol l' acqua con si largo vaso
Dd sacro vecchio, è il buon Virgilio vostro.
Che seguì primaSIracnsa , ed Ascra ,
Per selve e campi , e poi divenne al' arme.
Ec6o Euripide e Sofode , ecco II Calvo ,
Che parve pietra a quel volantcuccello ;
Onde lasdovri Ir la testuggin sopra.
Per lei q)ezzare e lui condusse a morte.
Vedi con lor Pacuvlo , ed Axzio ; e Varo,
Fra la non molta tragica caterva.
Mire queir dtra gente , che ridendo
Pipano r acqua ; Il primo èli gran Menan*
Poi Filemo , Aristofane e Cratino , [dro ,
Cedilo grave, con Terenzio e Plauto.
Risguarda poi la lirica famìglia ,
Pindaro , Saffo , Anacreonte , Alceo ,
CatuHo il dotto , e posda Orazio e Basso.
Volgi la vtsU a la Elegia , che mena
Al dolce ber Cdìlmaco , e Fileta,
E Properzio , e Tibullo , Oridio e Gallo.
L' Egloga il suo Teocrito conduce ,
Senza nuli' altro Greco ; e l'accompagna
Il vostro Mantovan da lunge alquanto.
Già ponea fine al suo parlare accorto
L' angel di Dio , quando '1 baron gH disse ?
Deh grave non vi sia , edeste messo ,
Di nominard ancor quella beli' ombre ,
Che par d dotta, ed halacosdad'oro;
E di quegli altri che gli stanno intorno.
A cui- rispose O messaggier del cielo :
Questi è il dotto Pitagora da Sarao,
Queir dtro è Archita , e quello è quel , ch«
Nom^ per savio l' apoDinea voce , [solo
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36 POEMI
Socrate, eh* ebbe sì ritrosa moglie,
E fu il primo inventor de ia morale.
L' altro è •! divin Platone, e quel oh* è seco,
£ il gran speculator de la natura,
Onde i Peripatetici ebber orto.
E quello è Zenofonte attica musa.
Vedi il buon Epicuro e i duri stoici ,
Glie Tolean fare ogni peccato eguale :
E Diogene Cinico e Arlstippo,
Molto contrari ne le sette loro.
Ecco Nigidio Figulo e Varrone,
Fra quella turba italica sì rara.
Volgi la vista un poco a 1* altra parte ,
Vedi Ippocrate medico eccellente ,
Con quello eccellentissimo Galeno,
Che vinse ognun d* esperienza , e d*arte.
Vedi Oribasio e Paulo , che *1 seconda.
E fra i Latini Antonio Musa e Celso.
Risguarda alquanto quelli acuti ingegni
Euclide e Tolomeo , con quel da Perga ,
Che la materia conica pertratta ,
Con le sue sezion , che sono II cerchio ,
E r elipsi e l' iperbole , con l' altra ,
Che sola è differente dal cilindro.
Ma dove lasciam noi le chiare trombe
Demostene ed Eschin ? guarda più in alto ,
Che gli vedrai contendere , ed urtarsi ,
Presso a V antico Isocrate e Lisia.
Vedi quel Marco Tullio fra i Romani ,
Che fu la idea de V eloquenzia vostra.
Vedi Messalla, vedi II buon Sulpizio,
Antonio e Crasso fra V immensa turba
Di tanti degni spiriti eloquenti.
Non vo* lasciar gì* istorici da canto;
Quel vecchio , ciie si sta fra quelle Ninfe ,
Erodoto è, Tucidide è quell'altro.
Che con lui giostra , e *1 buon Polibio è 'i
Vedi Salustio e Cesare , che vanno [terzo ;
Imianzi a Livio , ond* ei gU guarda torti.
Vedi Plutarco e Plinio , e quelli acuti
Grammatici , Apolionh) e Prisciano.
Ma non star più , baron, fra tanti ingegni ;
Che chi volesse risguardarli tutti ,
Mon si potria mirar nuli' altra cosa ;
Bastiti avere i più famosi udito.
Però volgiamci a quei eh' ebl>er possanza
Maggiore, e fur più cari a la Fortuna ,
Dicea l'angel di Dio; d' indi menollo
Ov* eraii duchi, Impcradori e regi,
Tutti divisi In tre vallette amene.
E come giunse ne la prima valle,
61 volse lieto a Belisario , e disse :
Qui fi dimoran l' ombre di coloro,
EROia.
Ch' ebbero 1 regni gloriosi in terra.
Guarda colui, eh' a pena si discerne,
Tant' è lontan ; quello è 1' anUquo Nino ,
Ch' ebbe ne l'Asia sì famoso impero :
E la sua moglie Babilonia cinse
Di mura laterizie con bitume.
Quel , che da gii altri è separato alquanto^
È Moisè, il qual per volontà divina
Condusse ii popol suo fuor de l'Egitto;
E quello è David re , che cantò i Salmi ,
Che son da voi sì frequenuti e letti ; [pio.
Quell' altro è Salomon , che fé' 11 gran tem«
Rivolta gli occhi ov' è quella gran luce,
Vedi Agamennon re degli altri regi ,
Che andaro a Troia ; e Menelao suo frate .
Quell'altro è Achille, che ne l'aspre guerre
Non si potea né vincer, né ferire.
Vedi Diomede , Aiace, Idomeneo,
Nestor, Ulisse e Slenelo, con gli altri
Che stcr dieci anni intomo a quelle mura.
Da l'altra parte é Priamo ed Alessandro,
Ed Ettor, quasi inespugnabil torre
De la sua patria , col figliuol d' Anchise ,
E con Polidamante , ed altri molti ,
Che la difeser quel sì lungo tempo.
Dopo costor mira 11 figliuol di Marte
Romulo , questi die l' inizio e 'I nome
A la città , che ha dominato 11 mondo;
A la città , che la sua gloria innalza
Fin al supremo cerchio de le stelle ;
Ed ebbe sotto 11 suo divino impero
Ciò che '1 elei copre e che circonda 11 mare.
Vedi dietro a costui Pompilio eTullo [tro
Sedere , e Marzio, e l' un Tarquinio e l' al-
Che '1 sangue di Lucrezia indi l'espulse.
Mira quel re , ch* ha sì l>enigno aspetto ;
Quello é il gran Perso, nominato Ciro,
Padre de la milizia e de 1 soldati ;
Da la cui vita ancor si tol la norma
D* acquistar regni e governare Impeij. [de«
Quel ch* é si ardito , fu Alessandro ilGran-
Che andò vincendoli mondo fino a gl'Indi.
Seleuco e Tolomeo gli vanno dietro,
Soldati suoi , poi re de i*Onente.
Non ti vo* nominar Cambis e Serse»
E Dario, ed altri di minor virtute.
Se iHsn fur regi sontuosi e grandi;
Basti 11 notar le più famose teste.
Vedi dui Macedonici Filippi,
Vedi un Demetrio espugnator di terre.
Quello è Pirro EpiroU, e quello è ii vec-
Re Masslnlssa, e poi lugurta e Rocco, [chlo
Quei sono Antioco, Mitridate e Perseo,
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TtALlX
Ch* ebbero al loro ardir sì dora sorte.
Goarda color, che son presso a l'entrata,
Atila il erodo, che Aquileia prese,
Mosso dal dipartir de le cicogne.
Vedi Alarico, che dopo mill'annl
E cento, e più, con ingegnosa fraudo
Saccheggia e prende la città di Roma;
E poi sepolto fia presso a Cossenza
Sotto M gran letto del corrente fiume.
Dopo costui Giserico a tal preda
Corre chiamato da 1* irata Eudossa
E spoglia Roma con rapina immensa.
Vedi poi Teodorico, che in Ravenna
Con fraudo uccide il perfido Odoacro;
D' hidi governa ben r Italia afflitta.
E quel che gli vien dietro , è suo nipote
Teodato re , che qui scn Yen* lersera ,
Deposto del suo regno , e poscia estinto.
Come fu nota 1* ombra di Teodato
A Belisario, in lei guardando, disse :
0 mal felice re , quanto era meglio
A non mandar la tua cugina a morte ,
E servar fede ai correttor del mondo !
Perchè del mal non suole uscir mai bene.
Cosi diss* egli ; a cui rispose V ombra :
Ognun dopo 1* error diventa saggio ,
Se la fortuna al suo pensier ribella.
Cosi face* io , cosi farà colui ,
Che mi fece ire anz' il mio tempo a morte,
Quando sarà prigion ne le tue mani.
E detto questo , subito si tacque.
Allora Tangel glorioso disse :
Non è da star più tempo in questa valle.
Andiamo a Y altra , ove V imperio slede ,
Che solca tutto governare il mondo.
Così parlando, se n*entraro in essa.
Pc^ 1* angel seguitò : Guarda queir ombra.
Che par si ardente e sì feroce in vista.
Quello è*l gran ditutor, che vinse i Galli,
E poi ruppe in Tessalia il gran Pompeo ;
E si fé' serva la città di Roma ,
Che Tavea generato, ond' ei fu morto
Da i veri amici de la patria loro.
Colui , che *1 siegue , è il fortunato Augu-
Che fece dirsi imperador del mondo, [sto.
Quando ebbe vinto Marcantonio in mare ,
Con la regina del secondo Egitto;
E chiuse il tempio del bifronte Giano.
Non rìsguardar Tiberio , e Calo e Claudio ,
Ch' imperar dopo lui , né il fier Nerone ,
Né Galba , ed Oto , né Vitellio il grasso ,
Che non fur degni di sì gran fortuna.
Guarda Vespaslao , col figlio Tito ;
LIBERATA. 37
L' altro non già , ch* ebbe condegna morte,
Guarda ancor Nerva e l'ottimo Traiano,
Assunto al grande imperio fuor di Spagna ,
Di Spagna genitrice de la gente.
Più vaga de l' onor che de la vita.
Mira Adriano ed Antonino il Pio,
Principi eccelsi , e quel mirabil Marco ,
Di cui non fu già mai signore in terra
Di più sant' opre , e di maggior virtute.
Non rìsguardare il suo figliuolo indegno
Di tanto padre; mira Pertinace ,
E lascia GlulTan, guarda Severo;
Ma non guardar né il figlio , né Macrino,
N* Eliogaballo infamia de le genti.
Mira il buon Alessandro , e lascia stare -
Massimino, e Balbino, e Pupleno,
E gì' infelici Gordiani , e i tristi
Filippi , e Decio , e Gallo e Valeriano ,
Con Galieno suo figlìuoi, eh' afilisse
L* imperio , e fu di molta ignavia carco.
E guarda Qaudio poi che vinse 1 Goti ,
E tanti n* uccideo , tanti ne prese ,
Che empio di servi ogni provincia vostra.
Vedi il valente Aureliano in arme.
Che Zenobia menò nel suo trionfo ,
E mira quello eletto dal senato.
Tacito , pien d' ogni gentil virtute.
Guarda il gran Probo, ch* acquistò la pace
Universale a tutto quanto il mondo ;
Onde per sdegno I pessimi soldati ,
Che la guerra volean , gli dier la morte.
Queir altro é Caro ; e quello è quel buon
prence
Dioclezian , che poi che *i mondo vinse,
E govemol vent' anni in tanta altezza ,
Depose giù quell* acquistato impero ;
E visse poi dieci anni in bel giardini
Privatamente là presso a Salona;
Né volse ripigliar l' imperio mai ,
Ben che di ciò ne fosse assai pregato.
Dopo Masslmlan , Galerio e Cloro ,
E Severo e Licinio, che nimico
Fu de le lettre , e le appellava peste.
Vien il gran Costantino , il qual fu il primo
Fautore aperto a la cristiana fede ,
Questi insuurò Bisanzo, e fecel tale,
Che concorrea con la città di Roma;
Ond' or Costantinopoli si cliiama.
Quello é il buon Giullan , eh' é suo nipote ,
E fu sì amico a i studj de le Muse ,
Ma non a Cristo , onde fu forse esdnto.
Non risguardar Gioviniano , e mira
Quel Valentinlan che gli vien dietro
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M POEMI
Con Vaiente suo frate , e col figlfoolo
Nomato Grattano, e col nipote,
Cb' imitò 1' a?o suo se non col nome.
Quello è Teodosio poi , che '1 mondo parte
Ad Onorio , ed Ancadio suoi figliuoli ,
Onde ne seguitò A gran mina
A l'onorato imperio del Ponente;
Che Roma fu veduta andare a sacco
Dal fiero inganno de la gente gota.
Poi Valentiman , eh* Aezio estinse
Lascia , ed Avito , e Malorano , ed anco
Severlano , Antemio , e poi Liiierìo ,
E Glicerio , e Nepote , e quello Augusto ,
In cui finì l' imperio d'Occidente;
Perciò che 1 re de gli Eruli il depose ;
E dopo lui vacò quella gran sede ,
E vacherà , se ben tu la racquisU.
Da r altra parte è Marziano , e Leo,
Mira, e Zenone Isauro, che fu vivo
Da la moglie sepolto; e dopo lui
Vedi Anastagio fulminato In terra,
Quand* ebbe gli anni prossimi a nonanta ;
Gostor l'imperio avean de l'Oriente.
Allora il capitan rivolse gli occhi ,
E visto che Giustin dopo Nastagio
Sedea ne l' alto e glorioso seggio ,
Corse divoto ad abbracciarli 1 piedi ,
Per onorar 1' antiquo suo signore ;
Ma nulla strinse , onde sorrise l' ombra ,
E disse : Belisario mio gentile ,
Onel che ti mena In questa nostra sfera ,
Ti dovea dir , che cosi fatti offici
Mai non si fan tra l' alme de i defonti ;
Perchè slam tutti in questi luoghi eguali.
Vattene pur al dritto tuo viaggio ;
E se ritorni su, narra al mio fig^o.
Che si prepara a lui quell' ampia sede.
Che vedi là, si gloriosa ed alta.
Quanto alcun' altra de la nostra valle.
Cosi disse Giustino; e'I capitano
Già volea fare a lui lunga risposta ,
Quando l'angel di Dio disse : Barone,
Non star a consumar parlando il tempo
Con r ombre lievi , bastiti il vederle.
E detto questo , il pose ne la terza
Valle, che aveva ì capitani antichi :
E gli mostrò Temistocle , che vinse
Con trecento galee tre milla navi
Nel stretto, che è vicino a Salamina,
E Milziade, e Fin vitto Epaminonda,
Alcibiade e Gillppo, e Agesilao,
Traslbulo, Lisandro e Timoteo,
Con molti e molti valorosi Greci.
EROICT.
D' Indi rivolto al gran popol di Marte,
Mostrolli i dui Seipioni , e '1 buon Camillo,
li gran Pompelo , e il fortunato Siila ,
Marcello, Mario, Paulo Emilio e Fabio,
E Metello Numidico e LucuOo,
E quei di libertà sì grandi amici
Fabrizio , Declo , Cato , Cassio e Bruto ;
Con tanti capitan d'una sol terra.
Quanti di tutti e popoli del mondo.
Poi fra i Cartaginesi dimostrolll
Annibale eh' andava innanzi a gii altri ,
E '1 suo destr' occhio avea privo di luce,
Ed era seco Amilcare suo padre ,
Cognominato Barca, onde fur poi
Detti 1 Barchini ,e Barchlnona in Spagna.
Poi seguitando, disse a lui rivolto :
Vedi anch' Aezio , eh' Atila sconfisse
Ne' campi cateiaunicl , e se questi
Da l' ingrato signor non era estinto ,
Atila mai non vi facea quel danni.
Ve' Bonifacio, ed Aspare che puote.
Far altri Imperador , ma non sé stesso ;
Perciò eh' era ariano , e quella setta
Era in quel tempo da l' imperio esclusa.
Qui , Belisario mio , sarà il tuo nido ,
Poi eh' arai vinta l' Africa e l' Europa ,
E consertata l'Asia al grand' impero.
Avendo appresso te dui re prigioni ,
E dui notabilissimi trionfi.
Come s' avviva al sospirar de' venti
Carbone acceso , o quasi estinta fiamma ,
Cotal divenne Belisario in fronte
Al dolce suon del destinato onore.
Né men fu lieta 1' alma di Camillo ,
Vedendo al suo figliuol tà degno albergo.
Ma tempo è che si vada a l' altra sfera ,
Disse queir angel glorioso e santo.
Sì che non guardar più quei sacerdoti ,
Né quei eh' han sparso per la patria il san-
Né i conditor de le ben poste leggi , [gue ,
Né gli ottim' inventor de 1' util arti.
E detto questo , usci di quel gran loco ,
E s'avviò per gire al destro cerchio
Con Belisario e l' ombra di Camillo.
Quei cerchio avea sei porte, onde s'intrava
Al contemplar de le future cose.
La prima avea la Profezia per guardia,
E la seconda li Sogno, e la Mania
Tenea la terza, e poi l'Astrologia;
Ma la Negromanzia reggea la quinta.
La sesta era in custodia de le Sorti.
L' angelo Erminio poi menò 1 baroni
Per quella porta che guardava 11 Sógno ;
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ITALIA LIBERATA.
C éamt foron ne la destra sfera,
TrofVOB l'aere nebuloso e bruno,
Siaile a quel eh* al ghmger de la notte
Si sparge In del con ToscuraU Luna.
Però ^ dbae U measaggler divino :
Gapitanto gentil. Tolgi la tìsU,
E ben aflaa gH occhi In quella gente,
Ohe siede tattorao ad una gran dttade ,
B tenta nfllenMxfi per pigliarla;
MaqaelbaroB, che è dentro, la difende;
Onde s' adopn ogni lor Dona indamo,
Guarda se ti eonosd esser colui ,
Che la difende; e se conosci Roma,
E gH aspri Goti che gli stanno intomo,
PIÙ nonerosi , che non è l' arena
Kf' Baritdmi liti , o I pead In l' onde.
Qnivl darsnti assai fadche e danni;
Ma goarda un poco In là che tu gli cacd
Cea fitnperio lor fin a Ravenna.
Mira poi, che Ravenna ancor si rende,
Dopo quelle vittorie, a le tu mani;
E Meni U re prìgioQ dentr* a Bisenso,
CosL tanta preda e tanta gloria teco,
Qnant' avesse oom già mai che fosse al
Allara U capitanio alzò le mani , [mondo.
E fjKk occhi al delo, e sospirando disse :
Quanto vi dei>bo , o Prowidensa etema,
Qi* apparecchiate a le firtkhe nostre
Qgesto si caro e glorioso pregio I
M rangel sMto seguitò '1 suo dire :
Mira color che restano al governo
D'Italia dopo te, come son lenti
A riparare a la surgente fiamma;
Onde i rimedj lor saranno indamo.
Vedi Aldibaldo nuovo re de' Goti
Romper ViteUio là presso a Trivigi ;
Vedi poi Bello, eh' Aldibaldo uccide
Per lamogUè d' Dr^ che gU fu tolta. »
Ne la coi sede Alarico vien posto :
Ma poscia anch' egli è parimente ucciso ;
Onde Totihi ascende a quell' altezza.
Mira ancor qui la presa di Verona
Dal valorooo Artabazo , e dappoi
L' Ignavia de 1 prefetti die la perde.
Vedi poi come Totila combatte
Con quei Romani là presso a Faenza ,
E tosto i rompe; e parimente ancora
Rompe a Fiorenza le romane squadre.
Poi prende Benevento, e manda a terra
Le mura; e pigila i Galabrì , e i Lucani ,
Edi PngHesi con prestezza immensa.
Vince Bemetrio con l' armata in mare,
E poida H prende, e col capestro al collo
A le mura di Napoli il conduce ;
Onde la terra misera si rende ;
Ed d le spiana le eminenti mura.
Poi mette assedio a la dttà di Roma ,
Onde V imperador ti fa tornarvi
Con poca, e poco valorosa gente,
E senza alcun favor de la Fortuna;
Che '1 Re del dd sarà con lui sdegnato,
Ch* avendo avuta una vittoria tale,
Qual tu gli dai, non riconosce averla
Da Dio , né da l' estreme tue fatiche ;
E non vi rende i meritati onori.
E però non potrai donare aiuto
A r infelice assediata Roma ;
Onde con tradimento ella fia presa
Dal orudo re digesto di spianarla.
E manda i muri primamente a terra ,
Poi vuol distmgger gli edifid tutti ,
Ma per lo scrìver tuo gli lascia in piedi«
Ben la fa vota d' uomini ; onde resta
Quella dttà eh' ha dominato il mondo ,
Con le sue case desolate ed arse.
Né solamente la dttà di Roma
Vedi per terra, ma l' Italia tutta
Veder potrai con le spianate mura
De le città eh' a Totila si diero.
Tu ben dappoi li sforzi ancor munire
L' onorata regina de le terre ,
E le fai ritornar la gente dentro.
Ma poi che con grand' arte 1' hai munita.
Quei dispieUto Totila ritoma
Con r esercito suo per prcnderF anco ; *■
Ma nulla fa , eh' ella è da te difesa.
Onde senza profitto indi si parte
Con vergogna e con danno ; e qui s' ar>*e-
Ch 'esser potrebbe alcuna volta vinto, [de,
Tu poi ti parti fuor d' Italia , e vai
A guardar l' Asia dal furor del Persi ;
Come l' impone 11 correttor del mondo ,
Per volontà de le superne rote.
Ma quando poi sarai partito quindi ,
Totila plgiierà 1' afflitta Roma,
Col nuovo tradimento de gf Isauri ;
E manderà quei dttadini a morte.
Vedi che prende Corsica e Sardegna ,
E scorre la Sicilia , e fa gran prede ;
Poi divien possessor d* Italia tutta.
Da poche terre in fuor eh' avean gii Esar-
Onde r hnperador placando prima [ dd*
li Signor di là su , eh' era sdegnato ,
Manda il pradente e calttdo Narsete
Centra questo cradel , con tanta gente ,
Che cuopre tutta la campagna d' arme;
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40 POEMI
E quando giunto fia ne la Toscana «
VerralU il crudo ToUla a 1* incontro,
Con tulio quanto il fior de' suoi soldati ;
Ivi combatte , ivi fia rotto e vinto
Totila, ed ivi ancor correndo in fuga.
Vedi che Asbado Gepido il ferisce ,
Onde ne more ed è sepulto a Capra.
E vedi poi la femmlnetu gota.
Che mostra il loco , ove sotterra è posto.
Ecco i Romani che lo traggon fuori ,
E veduto che V han , Io tornan sotto ;
Vedi che *1 forte Telo a lui succede ;
Vedi eh' ucciso è là presso al Vesevo,
Mentre che piglia In braccio il terzo scudo,
Gb' avea cangiato il primo e poi il secondo
In quella ferocissima batUglia;
Percb' eran pieni di saette e lance.
Quello è '1 suo capo che si porta intorno
Sopra queir asta , e si dimostra a tutti.
Né però i Goti lascian la batUglia,
Per esser senza re ; ma si combatte
Fin a 1* oscuro tempo de la notte.
11 di seguente si combatte ancora
Infin al tardi e poi si viene a patti ;
Che i Goti si contcntan di lasciare
Tutta la Italia libera a i Romani ,
E passar l' alpi con le mogli loro ;
Né mai per tempo alcun venirgli contra.
Così con questi patti se n' andranno ,
E passeranno a l' isola di Tuie ;
Onde ara fin quella terribll guerra ,
* Poi che durata fia presso a veni' anni.
A quel parlare il capitanio eletto
S' allegrò tutto , e sorridendo disse :
Or avverrà quei che Procopio espose
Nel primo cominciar di questa impresa ;
Quando mirando il grand* augurio, disse :
Che r altro drago ancor rimarria morto
Per le man nostre , e fia 1* Italia sciolta.
Quel drago adunque é Totila , eh* ucciso
Sarà per la vittoria di Narsete,
Che riporrà l'Esperia In libertade.
Così diceva il figlio di Camillo ;
Onde r etemo messaggier del cielo
Con la fronte asscnlilli , e poi seguettc :
Vedi , che '1 grande Giustiniano arriva
Al fine , e satisface a la natura ,
Volando al del con le purpuree piume.
Vedi poi , clie succede al grande impero
Giustino e la bellissima Sofia ,
E rivocan d' Italia il buon Narsete ;
Poi quella donna garrula si vanta,
Qie lo farà filar tra le sue serve ;
EROia.
Ond' ei per sdegno ordisce un* aspra teli
Gol fiero Albino re de' Longobardi.
11 qual , come Narsete a morte giunga ,
Si piglierà l'Ausonia intomo al Pado;
Sì che r ingratitudine ancor fia
Nuova cagion che Italia si mini.
Ah vizio intollerabil de le genti.
Vizio, che mandi a terra ogni virtute;
E noci al mondo più d' ogni altro errore !
Vedi poi , come il scellerato Albino
Fa , che Rosmonda sua consorte beva
Col vaso de la testa di suo padre.
Che fia da lui ne la battaglia ucciso ;
Onde la donna da giust' Ira mossa
Uccide il fiero suo marito, e fugge
Con Almachilde poi dentr' a* Ravenna.
Vedi anco come dietro al bel Giustino
Siede Tiberio , e poi Maurizio e Foca;
E d' indi il buon Eraclio, che sconfisse,
Corrode , ed arde Persia , e ne riporta
Un gran trionfo con la croce avanti ;
La fiamma là, che ne l' Arabia nasce ,
E eh' arde l' Asia e l' Africa , e trapassa
In mezzo Europa , e fagli immensi danni ,
Fia di Maumelto ; il qual con nuova setta ,
Che Sergio gli darà , farà adorarsi ;
E fia li flagel de la cristiana fede.
Vedi la stirpe , che d' Eraclio nasce ,
Governare ottani' anni il grande impero.
Mira Leonzo, e Absimiro, con gli altri
Eletti imperador de l' Oriente ,
Infino al tempo de ia bella Irene.
Quivi r imperio occidentale ancora
Ritorna in piedi, e si riporta In Francia;
Coronandosi in Roma Carlo Magno
Da Leon papa , quando ara difesa
La Chiesa , e preso il re de' LongoJMrdi ,
^Ch' avean tenuto quasi Italia tutta
In dura servitù cento e cent* anni.
Vedi r imperio d' Oriente poscia
Calare, infin che Balduino acquista
La famosa città di Costantino;
La qual il Paleologo poi ripiglia.
Avendo ucciso il suo pupillo, e tolto
Al successor de i Lascari l' impero,
Che poi starà ne i' onorata stiip®
De i Paleoioghi , d' uno In altro er«de.
Fin che Maumelto gran signor de' Turchi
Prenda Costantinopoli , e mini
La casa paleoioga; perchè ucciso
Fia Costantino in quel confliUo amaro,*
Onde ara fin l' imperio d' Oriente.
Come udì questo il capllanio eccelso «
L
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ITAUA
MoQ potoo ritener le guance asduue;
Ma fur d'amare lacrime coperte.
Per la pietà del miserabU fine,
Ch* afer doTea quel gloiloso impero.
Poi segoitando, Tangelo gii disse :
L'imperio d'Occidente, dopo Carlo,
Ari tre Lodorid , con dui Carli ,
Un Lotario, un Arnolfo; e poi si parte
Di Francia , e yien condotto in Alemagna ;
E dassi ad Otto duca di Sassogna
A cui succede il second* Otto , e *1 terzo.
Questi ritornerà Gregorio papa
In sede; onde elettori al grande impero
Dappoi faransi principi germani.
Tre saran sacri; il primo fia Cologna,
Trereri F altro, e '1 Maguntino è *I terzo.
E tre soluti ; il duca di Sassogna,
Il conte Palatino e 'I Brandemburgo.
Ha se fosser discordi, e tre per parte.
Allora il re, che la Boemia regge.
Sari fatto elettore , e potrà dare
A qual parte Torri vittoria certa.
Ad Otto terzo siegue Arrigo primo,
E poi Currado , e po' il secondo Arrigo ,
Poi Tiene il terzo , si ne l'arme fiero ,
Che combatteo sessantadue battaglie.
A cui segui U il quarto e poi Lotario,
E Currado secondo, e Federico,
Che da la rossa barba ebbe il cognome.
Principe eletto e di virtù suprema.
Dietro a lui siede Arrigo e poi Filippo,
Ed Otto quarto; a cai siegue li secondo
Federico gentil, pien d'ogni loda.
Simile a 1* avo di pnidenzia, e d'arme,
Ma più fautor d* Italia e de le Muse.
Poi Tien la casa d' Austria al grande impe-
La casa d'Austria , Tcramenle capo [ro ;
De r altre case che mai furo al mondo;
Madre di unti imperadori e duchi ,
E re, d' ogni gentil virtute adorni.
Il primo d' essa , eh' a V imperio ascenda,
Sari il conte Rodolfo , che combatte
Con Ottachiero, e vincelo, e 1' uccide;
Poi Tince il falso Federico, e l' arde.
Dietro a costui , ne l' alto imperio siede
Alberto suo figliuol , che rompe e \ ince
Adolfo d' Esia , e fallo andare a morte.
Yìen poscia Arrigo , quel da Lucimborgo :
E Ludovico di Baviera , e Carlo ,
E Vincislao, Ruberto e Sigismondo,
Tutti de 1 Lucimborghi ; e dopo questi
L' imperio toma a la gran casa d* Austria,
E stari io essa ancor di grado in grado ,
LIBERATA. 41
Fin che trapasserà questo millesmo.
Nel quale il sommo Imperador del delo
Vuol , ch* io ti mostri le future cose.
Ma quanto durerà dopo mili' anni
L' imperio in Austria, mi convien tacere,
Per non passare il deputato segno
Da questo di fin al millesim' anno.
Vedi là, dietro a Sigismondo altero,
Alberto d' Austria , ch* a I* imperio ascen-
Erede univcrsal de i Ludmborghi. [de ,
Dopo costui vien Federico il terzo.
Principe giusto ed amator di pace ,
Ch' anni cinquantaquattro ara il governo
De 1* imperio di Roma ; a la qual meta
Nuli' altro aggiunse imperador del mondo.
Meravigliossi Belisario il grande.
Quando l'angel dicca, eh' a quella meta
Null*aItro aggiunse imperador del mondo:
Perdo die aver solea per cosa ferma,
Ch* anni dnquantasel regnasse Augusto.
Ma quel celeste messaggler , che vide
Come foglia , eh' è chiusa in lucid* ambra ,
II dubbioso pensier di quel barone ,
A lui si volse, e sorridendo disse :
Valoroso signor, che illustri il qiondo.
Sappi che Ottavio e Marcantonio , poi
Che fu 'I ventoso Lepido deposto.
Signoreggiar più di dicci anni insieme.
Ma come Ottavio vinse 11 suo collega
In Azzio , ch* or la Prcvesa si chiama ,
Allor fu solo imperador di Roma,
Allor fu Augusto , allora il mondo resse
Quattr* anni o poco men sopra quaranta :
Si che non t'ammirar di quel ch* io dissi.
Vedi poi dietro a Federico terzo.
Quel Massimilian che è suo figliuolo.
Questi sarà si valoroso in guerra.
Si liberale e si benigno in pace ,
Che le delizie fia di quella etade.
Guarda il nipote di costui, ch'arriva
AI grande impero anz' il millesUn' anno.
Che m' ha prefisso a dimostrarti il ddo«
Questo fia Carlo, figlio di Filippo,
Mandato a voi da la divina altezza.
Per adomare e rassettare 11 mondo.
Costui farà col suo valore immenso
Ritornare a 1* Italia 11 secol d' oro.
Né solo andrà da i Garamanti a gì' Indi ,
E dal gran Nilo al fiume de la Tana
Soggiogando a 1* imperio ogni paese;
Ma anco trapasserà con grande armata
Di là da r equinozio a I* altro polo,
E piglierà più terra assai , che questa
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42 POEMI
Di qua, che 'n tre gran parti fn divisa ;
Quindi riporterà tant* oro e sennne ,
Gh'adomeran tntti i paesi Tostri.
Al maoTcr di costui , tremar Tedrassi
Li Gallia , e spaventarsi il re de* Torchi ,
E r Africa adorare il suo vessillo.
Ma non ti vo* più dir, che 1 suoi gran fatti
Trapasseriano in qudl' altro millesmo ,
Che '1 Motor di là su vuol ch'io ti celi.
Ma Yo' lasciare i capitani e 1 regi ,
E i ponteild sommi ; in cui vedresti
Nicola quinto, e 1 decimo Leone,
Si veri amici a i studj ed a gì* ingegni ,
Che de 1 lor frutti allegrerassi '1 mondo.
Dunque lasciam tutti costor da canto,
Che sarla lungo il nominare ognuno ;
E voltiam gli occhi al monte de le Muse.
Vedi quel che è la su presso a la cima,
Colui fla Dante , mastro de la lingua ,
Ch* allor 1* lulia nomerà materna ;
Questi dipingerà con le sue rime
Divinamente tutta quelia etade.
L* altro, che sieguc lui , sarà il Petrarca,
Che con bel stile, e con parole dolci
Descriverà quegli amorosi afletti ,
Che desta amor ne gli animi gentili ;
Vincendo ogni altro che già mai ne scrisse.
n terzo fia il Boccaccio , le cui prose
Saranno ingombre di pensier lascivi.
Rlsguarda un poco gì* inventor de 1* arti ;
Lustra con gli occhi , e mira quei Tedeschi
Ch* han ritrovato 1* arte de la stampa
In Argentina , là vicino al Reno ;
Per cui si scriverà tanto in un giorno,
Quanto altrimente si farla in un anno.
Ma guarda ancor più là verso coloro ,
Che prendon nitro con carbone e solfo ,
E ne fan polve , e pongonla in quel ferro
Cavato e poscia una pallotta sopra,
E dangli fuoco , e fan tanto rimbombo ,
Che si vede il terren tremarli intomo.
Questi son quel che truovan la bombarda.
La qual divisa in colubrine , e sacri ,
E cannoni , e schlopetti , ed archtbnsi ,
Farà tal danno a 1 muri , ed a le genti ;
Che non si potrà farvi alcun riparo ,
Più che si faccia a i folgurì del cielo.
A questo Belisario , alzò la fronte,
E rlsguardando assai quel nuovo ingegno.
Desiderava di portarlo seco
Giù nella viu, a debellare i Goti ;
EROICI.
Di che s' avvide il messaggier del delo,
E disse a lui queste parole tali :
Capitanio gentil , volgi la mente
Ad altro , perchè Dio non ha permesso
Ancora al mondo quel flagello orrendo.
Che se indugiasse a darlo ben milT anni ,
E mille, e mille, fia troppo per tempo.
Mira quella dttà , che 'n mezzo l' acque
Surge tra il Sile , e r Adige , e la BrenU ;
Quella è Venezia, gloria del terreno
Italico, e rifugio de le genti ,
Da la sevizia barbara percosse.
Questa regina fia di tutto 1 mare ,
Specchio di libertà , madre di fede ,
Albergo di giustizia, e di quiete.
Le cui virtù sempre saranno eccelse ,
Ed ampie in ogni sua futura etade;
Ma più sotto l' imperio del buon GrltU ,
Che ponerà la vita in abbandono ,
E la difenderà da tutu Europa,
Che fiali a torto congiurata contra ;
E come poi sarà nel gran governo.
Che queir ampia dttà chiamerà duce.
La tenirà sicura in tant' altezza.
Che tutti quanti 1 prlndpl del mondo ,
A pruova cercheran d' esserli amid.
Ma s* io volesse correr le sue lodi ,
Mi mancheriano le parole, e *1 tempo.
Che forse non fu mal sopra la terra
Nessun eh' avesse in sé tante virtuti.
Or sarà ben dappoi , ch* lo t* ho mostralo
Ciò ch* è piaciuto a la bontà divina,
Ch' io ti rimandi al tuo munito \'aIIo;
E costui vada a la sua sede etema.
Cosi gli disse r angelo, e toccoUo
Poi con la verga , ch* ei teneva hi mano ,
Onde 1* assalse fieramente 11 sonno ;
E gii fece lasdar quella licenza.
Che volea tor da V ombra di suo padre.
Quindi l'angelo il prese, e riportoilo
Addormentato sopra il bd prateUo ,
Ed appoggiollo ad un di quelH aìlori,
E lieto se n' andò volando ai ddo;
Ma quel baron cadeo sobito a I* erba,
E tulle 1* armi gli sonaro hitorao ,
Tal che destossl , e sollevossi in piedi.
Poi ratto a qud rumore usd di <^a
Con dolce aspetto 11 venerando vecchio i
Onde il gran Belisario tnginocchlosst
Nanzi a 1 suoi piedi , e benedir si fece,
E poi toraossl con Traiano al vallo.
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ITAUk LmERATA.
48
LIBRO XXII.
mam m corsamontk.
Al fin de le parole 11 mil Sarmento
lloftrò ona lettra falsa che parea
DI BSD d'EipidU che scrìTcsse questo.
Onde 1 gran doca ttfanalito molto
Dar more e da Tira e dal sapere,
Che noo mancara a hri Tirtù né fona,
Bodeari dentro e ifisse : AndÌamo,andiamo
A trar questa meschina Aior di pene.'
ABor Sannento preparato arendo
E land e fuochi cominciò la strada ,
E Corsamoote diamontato a piedi
Lasciò II camallo e Panni in queOà grotta
A goanfia di Boletto e portò seco'
La spada woIsl e la celada e 1 scudo,
Gbè non pensava aver bisogno d'arme;
T>erclò che posta avea tutta la speme
DI Bberar la sua diletta sposa.
Ne le promesse lalse di Burgenzo.
Ma dil spera aver ben , da chi gli è stato
Nimloo espresso, ha debole il coniglio.
Come Doletto, eh* era ìtì rimaso.
Vide I baroni in quella occulu Tia,
Andò per Paltra parte entro al castello,
E ghmto In esso pose in su le mura
Una faoeUa accesa per signale,
Che al moTesser prestamente i Goti ,
Perdo che G>rsamonte era in quel luogo.
Ma eome 11 duca per Foecalta via
Insieme con Burgienzo e con Sarmento,
81 ittrorar Tlcfad a quella torre ,
Of* era driusa Elpidla, nsdr del buco;
E mentre che Sarmento ad una guardia
De la prigion dicea che aprisse tosto ,
Ed ella pur tenea la cosa in lungo,
Ffaigeodo non saper trovar le chiaTi,
Omisero 1 God dentro a quel castello ,
Con gran fàrore e con grldori immensi ,
Ch'erano stati aperti da Doletto.
Anor 1^ accorse 11 duca esser tradito,
E Tobesi a Sarmento Irato e disse:
Ahi falso traditor tu m*hài pur cotto,
Come si colge 11 lupo entro a la fossa;
R dteni un pugno tale In una tempia,
Che franse Tosso e ruppeU 11 cerrdlo,
E lo distese morto In sul terreno;
M il Tolse per dare aneo a Bnrgenso,
Ma non lo vide , che 1 ribaldo cauto
Restò nel buco e chiuse ÌtÌ la porta.
In questo aggiunse il duca di Yicenxa,
Con trenta milia Goti in un squadrone;
Questi era a pie con gli altri che i cavalli
Avean lasdati ognun fuor de la porta.
Ed andò contra Corsamente e disse :
Tu sarai colto pur a questa volta ,
Acerbo cane e non potrai fuggire.
E detto questo lasdò gire un'asta
Possente e grossa e colselo nel scudo.
Tal che l' acerbo e impetuoso ferro
Di quella gli passò sei grosse piastre
Di fino acdaro che 1 coprìano tutto,
E posda ne la settima si tenne.
Ma Corsamente intrepido e virile
Torse quell'asta con la mano ed ella
Ruppe la punta sua presso a l'acciaro
Primo dov'era sculto il gran leone,
Qie quel baron portava per Insegna*
Né perchè fosse rotta la sua punta.
Lasciò di trarla anch' ei verso U nimico.
Che lanciata l'avea dentro al suo scudo.
Ma non l'accolse che saltò da un lato,
E si schermi; ben colse Spinabello,
Fil^iuol di Sergio conte di Yaldagno,
cai' era ivi appresso in mezzo de la fronte,
E cosi senza punta franse l'osso
Del capo , e penetrò fin al cervello ;
Onde cadeo disteso In terra morto*
n che vedendo Marzio ebbe paura^
E 'n dietro si tirò tra le sue genti ,
E poi gridava con orribil voce:
Fatevi innanzi , o generosi Goti ,
Ora che avemo il lupo entro a la cava:
Non vi smarrite no per 1 suol colpi ,
Che non possono aver lunga durata,
Né risparmiate saettami e lande,
Che tosto morto il vederete in terra.
Cosi gridava Marzio; onde volare
Infinite saette entro al gran scudo
DI Corsamente ed e'volgeaal Intorno,
E presa avendo In man forrlbil spada.
La f aoea sfavillar per ogni parte.
E ferì Solimano In una tempia,
Figlinol di Gallo conte di AsIgUaco,
E lo mandò disteso in sul terreno.
Uccise poi GfiAddo e Galabronte,
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44 POEIO
Cb'erin iigiiuoi di Durìo e Crìspatora;
Frìma a Grìffaldo trapassò b panda,
A Galabronte poi parti la tesU;
Che gli cadeo su l'ima e 1* altra spalla;
Oode Tedendò quelli orribìl corpi ,
Tutu si ritirò la gente goU,
E '1 duca Marzio ancor rimase avanti «
E vedendosi quivi alzò la spada,
Che la necessità lo fece ardito,
E menò su la tesu a Gorsamonte
E se non era l'ottima celada,
E la maniglia de la buona Areta,
Lo mandava in due parti sul sabbione.
Ma quelle due difese lo salvaro;
Poi Gorsamonte a lui Uro una punta,
E colsel proprio sotto '1 destro fianco,
E senza dubbio lo mandava a morte ,
S'egli non si scliermia, tal che sospinse
Disbrizzo il ferro e andò tra carne e pelle;
Pur il sangue gli usci fuor de la piaga.
Ma quando Marzio si senti ferito,
E vide il sangue suo cadere in terra.
Si tenne morto senz' alcun rimedio,
E per disperazion fatto sicuro.
Alzò con ambe man l'acuta spada,
E diede a Gorsamonte su la testa
Un fiero colpo e con sì gran furore
Che quasi lo mandò stordito al piano.
E Gorsamonte allor empio 'l suo petto
Tanto di sdegno e di vergogna e d'ira.
Che raddoppiaro in lui tutte le forze:
Onde prese ancor el la spada orrenda
Con ambe due le sue possenti mani ,
E diede a Marzio su la spalla manca
n maggior colpo che mal fosse udito,
E '1 petto gli Darti , la schena e '1 busto,
E gli usci fuori appresso il destro fianco,
E 'n due pezzi il mandò sopra l'arena.
Che ciascun d'essi avea una man e un
braccio
E l'un tenea la spada e l'altro il scudo ;
Così quel duca ebbe spietau morte
Per man de l'animoso Gorsamonte.
E come il lupo che in un chiuso ovile
Per arte del pastor si truova colto;
E i giovinetti pastorelli e i cani
Gli sono intomo per mandarlo a morte
Ed e* s'aiuta con l' acuto dente;
Poi quando aflerra un cane entro a la gola
E sanguinoso lo distende a terra.
Fuggono i pastore!, fuggono i cani
Per la paura de l'orribil fiera;
Cosi tuUa fuggia la gente gou
EROICL
Per la paura del possente duca,
Che'n dui pezzi mandò il nimico al piano.
E dopo questo quel barone audace
Si messe dietro a la fugace gente,
E tanti n'uoddea con l'empio brando.
Ch'altro non si vedea che morti e sangue ;
E certamente tutti erano uccisi.
Se non giungeva Totila e Bisandro,
E Telo ed Asinarìo e Rodorico,
Gol secondo squadrone a darti aiuto ;
Questi venian gridando : Morte, morte
Al nimico cnidd eh' è chiuso in gabbia ;
E cosi entrare dentro a la gran rocca
Con quelli orrendi e paventosi gridi ;
Ma Gorsamonte non si mosse nulla.
Che nd suo cuor non entrò mai paura;
E si cacciò tra lor col brando in mano,
E '1 primo che feri, fu Squardaferro,
Signor di Campo Lungo e San Germano,
Poscia uccise Rodon, Pilasso e Targo,
Rodon nel collo e Targo ne la tempia
Feritte, e '1 fier Pilasso ne la panda.
E sbaragliava ancor quest'altra schiera.
Se '1 re de' Goti e '1 resto de la gente
Non fossero saliti in su le mura
Da la parte di fuor con molte scale,
Lasdando a basso guastatori e fabbri
Circa le torri con livlere e picchi.
Per minarle addosso a Gorsamonte.
E questo fece il re perchè Burgenzo
Detto gli avea che 'i duca ha una managUa
Ch'a Gnatia gli donò la buona Areta,
Ch'esser non può né punto né ferito:
Però bisogna ovver gettarli Mdosso
Qualche gran torre ower fiaccarlo in modo
Che per stanchezza sia condotto a morte;
E questo parve a lui consiglio eletto.
Perch'era più sicuro il sur lontano
E ferir quel baron , che andarli appresso.
Onde fece salir la terza schiera
Sopra le mura al lume de la luna,
CJie rilucea come se fosse giorno,
E lasdò a basso i guastatori e 1 fabbri
Con ferri a scalpellar circa le torri.
Poi nella piazza Totila e Bisandro,
E Tdo e gii altri principi de 1 Goti
Erano intorno 11 glorioso duca
Con spade e lance e con orribll sassi ,
Ed e' si stava Intrepido e col scudo
Si difendeva e col tagliente brando.
Col quale uccise 11 giovane Gradarco,
Ch'era fratd di Totila basUrdo,
Figiiuol di Serpentano e di Armerina »
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ITALIA
D'Armerina gentil che ascosamente
Lo partoii nel bosco del Martello ,
Per tema di Altamonda, eh* era madre
Di Totila e moglìer di SerpenUno,
Ma non schifò però Todio e *1 furore
Di quella donna, che com'ebbe inteso
n parto di costei , fece annegarla
Kel Home impetuoso de la Piave :
E n fandullin di lei fu poi nutrito
Da certe pastorelle in quella seWa,
E cresciuto di forza e di bellezza.
Tenne a TriTlgi a rìtroTare il padre,
E Totila suo frate che l'accolse
Om gran diletto e poi menollo a Roma,
E quivi era con lui; ma troppo innanzi
SI spinse, onde '1 feroce Gorsamonte
Con la sua spada ^ trafisse il petto,
E morto lo mandò sopra la piazza.
U che vedendo ognun , stava lontano ,
Facendo guerra con le lance e 1 sassi
PIA volentieri assai che con le spade;
E Gorsamonte col suo scudo in braccio
Sostenea tutto il stuol , come un dngiale,
Ch' abbia d' intorno cacciatori e cani ,
Con spiedi e dardi, ed e' si volge e freme
Col pelo irsuto e col feroce dente.
Tal che non osa alcuno andarli appresso.
Perchè qualunque a lui si fa vicino.
Non si diparte senza sparger sangue.
Cosi faceano i prìncipi de i Goti ,
Ch'erano a basso intomo a Gorsamonte;
Ma quei ch'eran saliti su le mura ,
Gettavan tante lance e tanti sassi ,
Sopra il t>aron che combatteva in piazza,
Ch'era cosa mirabile a vederìa.
Né mai fioccò dal del si spessa neve.
Nel freddo tempo de l'algente bruma.
Né A spessa gragnuola a i giorni estivi
Tempestò mai su le terrene piante.
Come spesse cadeau le dure pietre ,
E l'aste forti e i penetranti dardi
Sopra il gran scudo del possente duca;
Tal che faceanlo alcuna volta andare
A mal suo grado col ginocchio in terra;
Ma non possendo riparare a un tempo
Col scodo a quei di sotto e a quei di sopra.
Si trasse indietro al pie d'un'alu torre,
Ch'era posta in un canto de la piazza.
Coperta d'un gran vòlto, e da le spalle
Del muro de la rocca era difesa,
E sol davanti avea la strada aperta.
Quivi fermossi l'animoso duca,
Facendo im' incredibile difesa ,
LIBERATA. 45
E parea proprio un scoglio avanti un porto.
Che da l'onde del mar tutto è percosso
Con estremo romor d'orribil vento.
Ed ei sta saldo e col suo starsi inmioto
Frange e disperde dò che a lui s'appressa ;
Cosi parea quel Gorsamonte audace ;
E ben da tutto il stuol s'arìa difeso.
Se qud ch'eran di fuor co i picchi in mano ,
E che più di quattr'ore avean picchiato
Intorno al fondamenti de la torre.
Non la facean cader sopra il suo capo.
E nel cader che fece , ancora accolse
Turbone e Barìcardo e Fuligante,
Due cugini di Teio, un di Bisandro ,
Con più di novecento altre persone;
Ma questo parve nulla al re de' Goti ,
Poiché '1 suo gran nimico era sott' essa.
Le genti come vider quella torre
Caduta sopra l'animoso duca.
Mandarono un gridor fin a le stelle;
E cosi morto fu quel gran guerriero.
Con danno estremo de l'Italia afflitta.
Poi non fu Goto alcun che non pigiasse
Legnami o sassi e no 1 gettasse sopra
La gran mina e le cadute pietre ,
Quasi temendo ancor che quindi uscisse ,
E tutti quanti gli mandasse a morte.
Cosi gettando ognun materia molta ,
Crebbe su quella piazza un alto monte,
Non minor del Testacdo e non men grave
Di quel che '1 grande Encelado ricuopre.
Il Re del cielo, a cui dispiacque e dolve
La morte d'un tant' uom, ma consentilla.
Per non si contrapporre al sue destino ,
Chiamò l'angelo Erminio, e cosi disse:
Diietto e fido messaggier del delo ,
Tu vedi il grave ed immaturo fine
Del più forte guerrier che fusse in terra;
Vestiti l'ale e va volando a Roma,
E narra al capitano de le genti ,
Che 'I buon duca di Scizia è in gran pe-
Di lasciarli la Vita, e digli appresso [rigiio
La causa de l'orribil sua sciagura,
Ma non gli dir però che sia caduta
La torre addosso lui , né che sia morto.
Acciò che vada tosto a darti aluto.
L* angel di Dio , dopo il divln precetto.
Aggiunse l'ali a sue velod piante,
E venne giuso, come fa il baleno.
Che ne la notte limpida sdntilia,
E nunzia che sarà sereno e caldo.
Poi presa la sembianza d'Orsicino,
Andò dov'era il capitano, e disse:
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46 poiao
niustre capitan , gloria del mondo ,
Io stara in guardia a la Flaminia porta ,
E questa notte in l'ora de le squille
Venne a trovarmi un uom di tal presenza,
Gh* un de* messi parea del paradiso ;
E mi disse : Orsicin, vattene tosto
Al vice imperador de T Occidente «
E digli , come il forte Gorsamonte
Stato è rinchiuso dentro del casteDo
Di Prima Porta, e tutto il campo goto
Y'è posto intomo per mandarlo a morte,
E quivi fu condotto da Burgenzo ,
Con arte e con promessa di trar quindi
La bella Elpidia e di condurla a Roma.
Digli che vada tosto a darli aiuto ,
Che questo è il di che caccieranno i Goti
Con gran mina lor dentro a Ravenna.
Così da parte di quel messo etemo
Vi dico e parimente ancor v'esorto.
Ch'andiate prestamente a darli aiuto.
E detto questo , via spari come ombra :
Onde '1 gran capitano ben conobbe,
Ch'egU era un messaggier del paradiso,
E senza indugio alcun levossi in piedi ,
E ratto si vesta di panni e d'arme.
Poi quell' angel di Dio con gran prestezza
Sotto la forma di Garterio araldo.
Se n'andò a risvegliar tutta la gente ;
E trovò prima l'onorato Achille,
Che come intese la spietata nuova
Di Corsamente e '1 suo periglio estremo,
Senza curar d'alcun futuro male.
Perchè non era salda ancor la piaga,
Gh' Ablavio diede a lui sotto '1 costato ,
Che fu più perigliosa che non parve,
Levossi e si vesti di ludd'arme,
E ratto s'avviò verso la corte.
Quivi trovò che Belisario armato
Sopra Vallarco vQlea gire a. canqw,
E le schiere venian con molta fretta,
Ch'eran sollecitate da gli aralctt.
Al giunger di costui si raUegraro
Alquanto in vista le adunate genti.
Come eutropia a l'apparir del sole;
Ed e' poi disse il capitano eccelso :
Illustre capitano de le genti ,
Andiamo a dare aiuto a Corsamente,
Ed andiam tosto, che '1 soccorso lento
Suol giovar poco epoca grazia acquista;
E così detto, tutti s'awlaro
Verso '1 castello al lume de la luna;
E come furo appresso a la gran rocca
Trovar Burgenzo insieme con Doletto ,
EROIGL
I qual, dappoi che fu sepolto 11 duca
Da la mina di queU'alU torre,
Ritomaro a la grotu di Sarmeato ,
Per prender il cavai di Corsamooie,
E per donarlo a l'empio re de' Goti ;
E seco aveano a man quel buon corderò.
Perchè non volse alcun di loro kt sella;
Ma come s'inoontraro In quella gente ,
Ch'avea condotta Belisario il grande.
Si smarrir tutti e si volean fuggire.
Pur presero anUmento e se a' andare
Al capitano lagrimod In vieta,
E Burgenzo gli disse in questa fonaa :
Illustre capitane de le genti
Assai mi duol de l'immatura marte
Di Gorsamonte e del suo case acerbo;
Dio sa ch'io non velea menarlo meco
In quel periglio, ed e' venir vi volse.
Spinto d'amore e da soverchio ardire;
Ma chi si fida troppo ne la feria,
É spesso vinto da l'alimi censigttoi»
Così disse Burgeazo, e qod aigaore.
Che per bocca de l'angelo sapeva
II tradimento fatte e non la morte
Di Corsamente, anzi l'avea per viva;
Come udì quella ebbe dolere laiaianeo
E feoesl narrar tutta la cesa.
Ed egli la narrò, dieende speno.
Che questo fatto fu senza sua colpa.
Com' ei si tacque 11 oq^itano eoeelao
Guardolle torto e con favella acerba
GU disse : Ah traditor tu l' hai ooadolte
In quella rocca con fallaci lagaoni,
E sei sUte caglea del no morire.
Ma non lo ve' lasciar senza vendetta;
E subite ordinò che foaser presi
Doletto e lui, poi gU mandò legali
Sotto la guardia di Traiano a RoaM.
Achille come udì l'acerba morte
Di Gorsamonte suo perfette aadoo.
Ch'era amate da hd più ^e sé stesso.
Con le man gravi si percosse il capo,
E poi gemendo e lacrimando mdto ,
Si lamentava esser rimase in vita,
E che'l crudele Ablavio aon l'oecise;
Onde per oensolarie il baon LudUo,
Che tema avea che non si desse morie.
Per man lo prese e lagrimava seco;
Lagrlmava con lui Sertorlo e Giro,
Bessano e Magno e mold altri baiòoi
Per l'empia morte de l' eccelso <
Né finito saria quel dure piaato.
Se 1 capitano eccelso de le geott
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ITALLl UBERATA.
Rqq 1^ ^na queste parche tali :
MoQ oonsomate lagrimando U tempo,
Biroid Obiitii e caivalieri eletti;
Ma ocmn di toI ch'amava Cocsamonte
S'adopri a far di lui chiara YendetU;
Che più gnu le ila che doglie e pianti ;
Ghè la veudetu è il pianto de i goerrìerì ,
Rè mal sta bene a gfi uomini robusti
D lacrtmar, come fanciulli o donne.
Goal padò quel cantano eccelso;
E poi fece ordinar le ardite schiere.
Ed assali con molta (uria i Goti,
Ch'erano inlenti ad atterrar le toni,
E a gettar pietre in sul l>arone estinto:
Onde in poc'oca tutti gli disperse;
Perchè da la vigilia de b notte ,
E da U tema dei (erir del duca,
E dal piacer ch'avean de la sua morte,
Erano tutti albticati e standiL
Or chi vedesse Achille avanU gli altri,
E Mmidrllo e Bessan, Lucilio e Oro
Urtare in essi e far del sangue loro
Yerm^llio U prato ed innalxarsi il fiume.
Dirla che non fu mai simil macello.
L'ardito Ciro uccise Sacripardo,
Fratei cngln del principe Bisandro;
Questi era il più superbo e '1 più arrogante
Baroo de Tlstda e combattea con tutti
Qoe* suoi Ticini sema alcun vantaggio ;
Questi peroomo fu da Tasta fiera
Del conte Ciro e fu mandato a morte.
Che 1 petto gli pasiò fin a le valle;
Tal che deridere d*aver avuto
Vantaggio d* arme e di destrier gagliardo.
Per nsdrdalemandiqoelinrone.
Acni aotteraegiial,sc&ondi grado;
Che fu ancor egli come di Trieste.
Achme uccise Folco e Maroolisto ,
Tarpone e Bibngaro e Garimbaldo,
L'un dopo l'altro con diversi colpi ;
Folco ieri nd petto, e MarcoUsto
In fronte, e poi Tarpone e BUingaro,
L'un nel beUioo e l'altro ne la pancia,
E GarlaybaUo nel sinistro fianco.
Mundelio uccise Oveno ed OrigiHo;
Beanoo AMardo, e '1 bel Lucilio Orsaldo,
E Magno ocdse Orante, e '1 capitano
Ne mandò tre con la sua lancia a morte,
Arfdarco e Grancone ed Oilonte,
Oilonte crudel ch'avea le membra
Come un gigante e 1 cnorcome un leone;
Ma l'ano e l'altro a lui dier poco aiuto;
Che BellMio gli pasiò la goU
47
E lo distese morto in sui terreno.
Allor si messe totalmente in fuga
La gente gota e ognun di lor foggia
Chi qua, chi ìà verso 1 vidni coUL
li re s'era fuggito al primo assalto.
Sopra un suo corridor verso Vaienti,
E Totila fugg^ verso Rignano,
Bisandro a Castel Nuovo, e Bodorico
A Monte Bosso ed Unigintro a Sottri,
Telo a Baccano e fuwi alcun di loro.
Che correndo n'andò fino a VilerlM:
Ma seguitati un pezzo da 1 Bomani,
Tanti ne £ur feriti e tanti uccisi.
Ch'era coperta la «'^mp^gM tutta
Di cavai morti e d' uomini e di M"g^,
Allora il capitano de le genti
Fece sonar raccolta e poscia disse
A la ridotta gente este parole :
Signori eletti a lil>erare il mondo.
Or che fuggita s*è la gente gota.
Con tanta occislone e tanto sangue.
Quanto spargesser mai fuorde i lor petti.
Pia ben che noi si ritorniamo in Roma
Acciò che losto andiam verso Bavenna,
Che per la rotta acerba ch'hanno avuta,
E per la fuga lor molto dlspena
Non ridurransi agevolmente insieme;
E noi si tosto gli saremo addosso
Che tempo non araa da far difesa;
Perchè dopo le rotte de i nimlci.
Chi vuole aver di lor vittoria a pieno.
Non gli dia spazio mai di ristorarsL
Sarà poi ben che resti li conte Ciro,
Con le sue genti e iaccia trarre il coipo
Di Corsamonte fuor de le mine,
E con Elpidia lo conducili a Boma,
Ch'ivi faremM i meritati onori;
Ed ivi ordinerem la nostra andata
Con diligenza e con prestezza immensa.
Co^ diss' egli, e subito partissi,
E rimenò tutta la gente in Boma,
Da quella in fuor ch'ivi lasciò con Ciro.
Ma Ciro che rimase entro a la rocca,
Fece cavar di sotto a quelle pietre
Il morto Corsamonte e poi lavario«
E rinvesdrio de le ludd'arme.
Per farlo indi portar da 1 suol soldati
A seppellir ne la città di Roma:
Ma l'onorata Elpidia ch'era chiusa
Ne l'alU rocca, udendo il gran romore.
Che si iacea la notte in su la piazza,
Avea dentro al suo petto aspro cordoglio ;
Poi dicea nel suo cuor : Di che pavento «
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48 POEMI
Meschina mei Meschina, ch'io mi trovo
Nelpeggior stato che mai fosse al mondo
Né cosa aTer poss'io che non sia meglio.
Se Gorsamonte fosse in queste parti ,
Arei giusu cagion d'aver timore
De la sua vlu, a me più di me cara;
Or ei , si come credo , si ritrova
In luogo assai lontan da questa rocca,
Tal che non può sapere i miei tormenti ,
Che sarebbe venuto a darmi aiuto ;
Ma pur mi trema il cuor, né so la causa.
Cosi fra sé dicea la bella donna ;
Ma come poi col di s'aperse l'uscio
De la gran torre per le man di Ciro,
Gh'e' v' entrò dentro e disse este parole :
Illustre principessa di Tarento,
Uscite omal de la prigione amara ;
Venite meco a la città di Roma ;
Che Gorsamonte mio fratel cugino
yha posto in libertà con la sua morte.
Cosi le disse Ciro , ed ella tosto ,
Udendo quella aqierrima novella.
Come una inspiritata corse fuori
DI quella prigionia col cuor trafitto,
Per veder s'era ver che fosse estinto
Il suo diletto ed onorato duca;
Ma come vide Gorsamonte morto
Nel cataletto in mezzo a suoi soldati ,
Cadde a rìnverso tramortiu in terra ;
E le donzelle sue che gli eran dietro ,
La raccolsero In braccio e tutte intomo
Stavano a lei con lagrimosa fronte ;
Ed ella poi che ritornoUi il spirto,
Dimandò a Ciro , come era venuto
U duca in quei castello e chi l' uccise ;
E Ciro le narrò tutta la cosa ;
Onde l'afflitta e sconsolata donna
Con le man bianche si percosse il petto ,
È i capei d' oro si traea di tesU,
E poi piangendo e sospirando disse : [sorte
Qual donna al mondo ha più contraria
DI me , che solamente al mondo nacqui
Per segno ower bersaglio a la fortuna?
Il padre mio fu da Tebaldo ucciso
A tradimento con orribii modo ;
E la mia madre poi vedendo il teschio
Di suo marito cadde in terra morta :
Ond'io dolente ed orfana rimasa
Nel mezzo de le forze de 1 nimtci ,
Venni a Brandizio a Belisario il grande,
Per dimandarti in questi affanni aiuto ,
Ed e' mi die per moglie a Gorsamonte ,
Duca di Sdzla , uom di valore immenso ,
ERpia.
Gh' avea Tebaldo di sua mano ucdso ,
E fatta la vendetta di mio padre ;
Ond' io sperava che costui dovesse
Esser la mia difesa e'I mio contento :
Poi mentre eh' io venia per far le nozze
A Roma presa fui da Turrismondo,
E posta in questa asperrima prigione ;
Che Dio volesse allor eh' lo fosse estinU;
Poscia il gran duca per cavarmi quindi,
È suto ucciso anch' ei da gli empj Goti ,
Per r empio tradimento di Burgenzo;
Ed lo pur vivo e fra miserie tante ,
Ancora ardisco di guardare II sole.
0 come è ver che non è mal si grave ,
Che noi sopporti la natura umana;
Ma se la sorte mia non vorrà trarmi
Di vita, spero di trovare un modo.
Da non veder mal più luce del sole.
Cosi dicea quella dolente donna ,
Con si gravi sospiri e tal lamenti ,
Ch' arian mosso a pietà le piante e 1 marmi ;
Dappoi salita sopra un palafreno,
Che fece darli l' onorato Ciro,
Con le donzelle sue colme di pianto,
Accompagnaro il corpo entro a la terra.
E Giro ancor con l'altra gente d'arme
Gli andavan dietro e con sospiri amari
Fondean da gli occhi lor lacrime calde ;
Ma quando furo a la Fìamlna porta,
Trovaron tutti i chierici di Roma,
Che stavan quivi con doppieri accesi
Ad aspettario, e poi gli andaro avanti ,
Cantando salmi in lamentevoi note ;
E dopo questi andaro a cinque a cinque ;
Tutta la legion eh' avea in governo.
Con le bandiere lor tratte per terra ;
E dietro a quei stendardi andava un paggio
Il qual menava il suo cavallo Ircano
Poco avanti al feretro tanto mesto.
Che parca lagrimare il suo signore :
E '1 vice impcrador dietro al feretro.
Con tutti gli altri prìncipi romani.
Vestiti a bruno e lagrìmosl e mesti
Accompagnaro quel baron defunto
Al loco eletto per lo suo sepolcro.
Poi non fu alcun del gran popol di Roma
Né giovane, né femmina, né vecchio.
Che non si ritrovasse ad onorarlo,
E non piangesse la sua dura morte.
Cosi con quel beli' ordine n' andaro
Fino a la chiesa u' fu deposto II corpo ,
Con tanti torchi e luminari Intorno,
Che parea tutta quanta arder di fiamme.
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Quivi !■ beDa Elpldia e le sue donne,
Tagfiar, piangendo, le lor chiome bionde,
K le gettar sopra il barone estinto ;
Ma prima Elpidia disse este parole :
Signor, pigliate le infdid chiome
Di quella che doveva esservi sposa,
Se ben unqua da toì non fu veduta,
Se non presso a Brandiiio una sol volta ,
Li ad vista crodel v'ha date molte
Fatlcbe, e oe la fin mandowi a morte,
Senxa soa colpa ; ond* ella per dolore
Jlon tuoi mal più veder luce del sole.
Goal dioendo e Jacrimando insieme.
Pose le chiome d* or dentro a le mani
Sohila, e moUi de l' estinto duca,
C3m Bosse in quei baron dirotto pianto ;
ITALIA LIBERATA.
49
Ma più d'ogni altro l'onorato Achille,
Piangea con voci dolorose ed alte ,
Che facea lacrimar tutu la gente.
Poi ne la piasza eh' è 'nanai a la chiesa ,
S* apparecchiava una superba tomba
Di finisshni marmi , e dentro a quella.
Dopo la mesu oraslon funebre
Ne la qual dottamente il buon Terpandro
Narrò tutte le laudi del defunto ,
E dietro al canto de i devoti pred ,
Vi fu rinchiuso l'onorato corpo.
Con molte q>oglie gloriose intomo.
Che acquistò già ne le battaglie orrende.
Poi tutu 1 gesti suoi furon descritti
Entro a quei bianchi e ben politi marmi
Con lettre d' oro e con parole elette.
MARINO.
ADONE.
CANTO DI FAUNI.
Quanti favoleggiò nunl profani
L' etade antica , han quivi i lor soggiorni.
Lari, sileni, semicaprl, e pani.
La man di tirso. Il crin di Tite adomi.
Geni salaci , e rustici silvani ,
Fauni saltanti , e satiri bicomi ,
£ di ferule verdi ombrosi i capi
Senxa fren , senza vel bacchi , e priapl.
E menadi, e bassaridi vi scerai [ce,
Ebbre pur sempre , e sempre a bere accon-
cile intente or di latini , or di falerni
A votar tasze, ed asciugar bigonce.
Ed agiute dai furori intemi
Rotando i membri in sozze guise e sconce
Cdebran l'orgie lor con queste o tali
Fescennine canzoni , e baccanali.
Or d'ellera si adomino, e di pampino
I giovani, e le vergini più tenere,
E gemina nell' anima si stampino
L'iamiagfaie di libero, e di Venere.
Tutti ardano, si accendano, ed arvampino
Qua! Semele, che al folgore fu cenere;
E cantino a Cupidine, ed a Bromio
Con numeri poetici un encomio.
La cetera col crotalo, e con l'organo
Sui margini del pascolo odorifero ,
n cembalo, e la fistola si scorgano
Col zufolo, col timpano, e col pifléro;
E giubbilo festevole a lei porgano ,
Che or espem si nomina, or lucifero;
Ed empiano con musica, che crepiti,
Quest'isola di fremiti, e di strepiti.
I satiri con cantici , e con frottole
Tracannino di nettare un diluvio.
Trabocchino di lagrima le ciotole,
Che stillano Pusilipo , e Vesuvio.
Sien cariche di fesclne le grottole,
E Tersine dolcissimo profluvio.
Tra frasshii , tra platani , e tra salici
Eq>rimansi del grapooli nei calici.
3
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so POEMI
Chi cupido è di suggere T amabile
Del balsaiDO aromatico , e del pevere ,
Non mescoli il carbuncolo potabile
Gol Rodano, con P Adice, o col Tevere;
Che è perfido, sacrìlego, e dannabile,
E gocciola non merìu di bevere
Chi tempera , ehi intorbida , chi incorport
Coi rìvoli il crìsolito, e la porpora.
Ma guardinsi gli spiriti che fumano,
Non facciano del cantaro alcun strazio,
E l'anfore non rompano, che spumano ,
Già gravide di liquido topazio.
EROia.
Che gli nomini ire in estasi costnmanoi
E si altera ogni stomaco che è sazio;
E il cerebro che fervido lussuria.
Più d'Ercole con Impeto si infuria.
Mentr*elle Ivan cosi con canti e baBI
Alternando evoè giolive e liete,
Intente tuttavia negl'intervalli
Sgonfiando gli otrì, ad inafiiar la sete;
Passando Adon di quelle amene valli
Nelle più chiuse viscere segrete ,
Trovò morbida mensa, ed apprestati
Erano intomo al desco i seggi auratL
CCanto Mttiino, totitolato Le JkliMit.)
LE MARAVIGLIE.
ARGOMENTO.
Di sfera in srera colassti salita
Venere con Adone in ciel sen viene
A cui Mercurio poi quanto contiene
11 maggior mondo in piccol moudo addita.
CANTO DFXIMO.
Musa, tu che del ciel per torti calti
Infaticabilmente il corso roti ,
E mentre de' volubili cristalli
Qual veloce , e qual pigro accordi i moti ,
Con armonico piede in lieti balli
Dell'Olimpo stellante il suol percoli.
Onde di quel concento il suon si forma,
Che è del nostro cantar misura e normi;
Tu, divina virtù, mente immortale.
Scorgi l'audace ingegno, Urania sagg^.
Che oltre i proprì confin si leva e sale
A spaziar per la celeste piaggia.
Aura di tuo favor mi regga l'ale
Per sì alto sentier sicch'io non caggia.
Movi la penna mia, tu che 11 del mo>1,
E detta a novo stil concetti novi.
Tifi prìmier per l' acque alzò l' antenne^
Con la cetra sotterra Orfeo discese,
Spiegò per l'aure Dedalo le penne.
Prometeo al cerchio ardente il volo stese»
Ben conforme all' ardir la pena venne
Per cosi stolte e temerarie imprese;
Ma più troppo ha di rìschio, e di spavento
La strada inaccessibile ch'io tento.
Tento iusoUte vie, dal nostro senso,
E dal nostro intelletto assai lontane.
Onde qualor di sollevarvi io penso
0 di questo , o di quel le voglie insane ,
Quasi debil potenza a lume immenso ,
Che abbacinata In cecità rìmane, [pò
L' uno abbagliato , e l' altro infermo ezop-
Si stanca al sommo,e si confonde al troppo.
E se pur, che noi vinca , e noi soverchi
L'infinito splendor, talvolta avviene,
E che il pensier vi poggi , e che ricerchi
Del non trito cammin le vie serene,
Immaginando quel superni cerchi ,
Non sa, se non trovar forme terrene.
So ben , che senza te toccar si vieta
A si tardo cursor sì eccelsa meta.
Tu, che di Beatrice il dotto amante
Già rapisti lassù di scanno in scanno,
E H felice scrittor, che d'Agramente
Immortalò l'alu rulna, e U danno.
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ADONI.
SI
Gaidasd d, che sul destrier volante
Seppe conduiri 11 pdadin britanno^
PÙsarper grazia, or* anco a me concedi
Del tuo gran tempio alle acerete sedi.
Già per gli am|^ del del spazj sereni
Dinanzi al Sol Lucifero fuggiva ,
E quel acotendo i suol gemmati freni
L*ascio purpureo al novo giorno aprirà.
Feadean le nebbie'a guisa di baleni
Anelando i destrier di fianuna Tira,
E redeansi pian pian nel renir loro
Ceder T ombre notturne ai fiati d*oro.
DaHe stalle di Cipro, ore si pasce
Grao famiglia d'augei semplici , e molli,
Sei ne scelse in tre coppie , e in auree fasce
Al tlmon del bel carro Amor legolli.
Torcer lorredi incontr'al di, che nasce,
Le vezzose cerrid, e i vaghi colli,
E te smaltate, e colorite gole
Tàtte abbellirsi, e variarsi al Sole.
Vengon gemendo, e con giocondi pasti
Mtvoo dtati al bd viaggio II piede.
Al bd viaggio, ove apprestando vasd
Ytntn con colui, che U cor le diede.
Al governo del fren Mercurio stasd ,
E del corso sublime arbitro siede ,
Sovra la prindpal poppa lunata
Posa la bella ooppia innamorata.
Sdolser d* un landò le colombe a volo
Legate al giogo d*or, l'ali d'argento.
Si aprirò I deli , e serenossi il polo,
Sparver le nubi , ed acquetossi il vento.
DI canori augelletti un lungo stuolo
Le secondò con musico concento,
E sparser mille passere lasdve
Di garriti d'amor vod festive.
Quelle innocenti , e candide augelette.
Da' cui rostri si apprende amore, e pace.
Non temon già, d'amor ministre elette,
Losmerio ingordo , o il peregrin rapace.
Con lor l'aquila scherza ; altre saette
Nd cor, che nell'artiglio aver le place.
1 più Aeri dintorno auge! grifagni
SÒn di nenrid lor (atti compagni.
Precorre , e segue il carro ampia falange
(Parte il circonda) di valletti arcieri,
Ed altri a consolar l'Alba che piange,
Col venir della Dea volan leggieri.
AHri al Sol, che rotando esce di Gange,
Perchè sgombri la via , van mesaaggieri.
Qascuno il primo alle fugad stelle
Procura di annunziar l'alte novelle.
0 tu , che in novo, e disusato modo
Saggia scorta mi gnidi a qudgran regno
(Disse a Mercurio Adone), ove non odo,
Che altri di pervenir (usse mal degno,
Pria eh' io giunga lassù, solvimi un nodo.
Che forte implica il mio dubbioso ingegno.
È fors'egli corporeo ancora il cielo.
Poiché può ricettar corporeo vdo 1 [tiene.
Se corpo ha il del, dunque materia
Se egli è material, dunque è composto;
Se composto mei dal , ne segue bene
Che è dei contrari alle discordie esposto ;
Se soggiace al contrari , ancor conviene.
Che alla corruzTon sia sottoposto.
Eppur dd del parlando, udito ho sempre,
Ch'egli abbia incorrottibill le tempre.
Tace, e in tal suono al detti apre la via
n dotto timonier dd carro aurato:
Negar non vo', che corpo H dd non sia
DI pdpabil materia edificato.
Che far col moto suo qoeir armonia
Non potrebbe , eh' d là , mentre è giralo.
È tutto corpord ciò che d move ,
Edòcheha, ilqual, eilquanto, Udonde,
en dove.
Ma sappi , che non sempre è da Natnra
La materia a tal fin temprata e mista.
Perchè abbia a generar cotd mistnra,
Quel che perde mutando in qud che ae-
quisU;
Ma perchè quantità prenda, e figura,
E del corpo alla forma ella sussista;
Né di material quanto è prodotto
Dee necessariamente esser corrotto.
Materia dar questa mi^ria suole
Al discorso mortai, che sovente erra.
Chi fabbricata la celeste mole
Di foco e fumo tien, chi d' acqua e terra.
Se arrivassero al ver sì fatte fole.
Sarebbe quivi una perpetua guerra.
Cod di qud che l'uom non sa vedere.
Favoleggiando va mille chhnere.
La materia dd del, sebben sublima
Sovra l'dtre il suo grado in eminenza.
Non però dalla vostra dtra d stima.
Nulla tra gl'individui ha differenza.
Ogni materia parte è della prima.
Sol la forma d varia, e non l'essenn.
Varietà tra le sue parti appare.
Secondo che efle son più dense, o rare.
Bastiti di saper, che peregrina
impressione in sé maà non riceve
La perfetta natura adamantina
Di qud corpo lassù lubrico e lieve.
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S2
POEUI EROia.
Paragonarsi (ancorché pura e fina)
QualiU d* elemento a lei non deve.
Un flore scelto, una sostanza quinta.
Da cui di pregio ogni materia è vinta.
La sua figura è circolare e tonda.
Periferia continua, e senza punto.
Termin non ha, ma spazio egual circonda ;
li principio col fin sempre ha congiunto.
Lhiea, che appien d*ognÌ eccellenza al>-
Alla divinità simile appunto, [bonda;
E la divina Eterniude imiu ,
Perpetua, indissolubile, infinita.
Or a questa del elei materia etema
L* anima, che V informa, è sempre uniu.
Questa è quella virtù santa e superna,
Spirto, che le dà moto , e le dà vita.
Senza lei , che la volge » e la governa ,
Fora sua nobiltà troppo avvilita.
Miglior foran del cici le pietre istesse.
Se la forma motrice ei non avesse.
Questa con lena ognor possente e franca
Della macchina sua reggendo il pondo.
Le rote mai di moderar non manca
Di quel grand' oriuol, che gira a tondo.
Per questa in guisa tal , che non si stanca,
L' organo immenso , onde ha misura il
Con sonora vertigine si volve [mondo ,
Né si discorda mai , né si dissolve.
Cosi dicea di Giove il messaggiero.
Né lasciava d'andar, perch'ei parlasse.
De' campi intanto, ov* ha Giunone impero.
Lasciate avea le reglon più basse ,
E già verso il più attivo , e più leggiero
Elemento drizzava il lucid' asse.
La cui sfera immortai mai sempre accesa
Passò senza periglio , e senza offesa.
Varcato il puro , ed innocente foco,
Che alla gelida Dea la faccia asciuga ,
L'etra sormonta, ed a più nobil loco
Già presso al primo del prende la fuga,
E il suo corpo incontrando a poco a poco.
Che par specchio ben terso, o senza ruga,
In queste note il favellar dislingue
U maestro dell' arti, e delle Ungue :
Adon , so che saper di questo giro
Brami 1 secreti , ove slam quasi ascesi ,
Con tanta attenzion mirar ti miro
Nel volto delia Dea, madre dei mesi;
Che sebben tu mi taci il tuo desiro ,
E la dimanda tua non mi palesi ,
Ti veggio in fronte ogni pensier dipinto,
Più che se per parlar fusse distinto.
Questo , a cui slam vicini , è della Luna
L' orbe, che imbianca il elei con suol splen-
Candida guida della Notte bruna , [dori ,
Occhio de' ciechi , e tenebrosi orrori.
Genera le rugiade, i nembi aduna.
Ed è ministra de' fecondi umori.
Dagli altrui raggi illuminata splende.
Dal Sol toglie la luce , al Sol la rende.
Di questo corpo la grandezza vera
Minor sempre è del Sol , né mai l' adombra.
Che della terra a misurarla intera
La trentesima parte appena ingombra.
Ma se s'accosta alla terrena sfera,
Egual gli sembra, e gli può farqualch'om-
Sol per un sol momento allor si vede [bra.
Vincer il Sol, d'ogni altro tempo cede.
Ha varie forme , e molti aspetti e molti ;
Or é tonda, or bicorne, or piena, or scema.
E sempre tien nel Sol gli occhi rivolti ,
Che la percote dalla parte estrema
Onde sempre almen può l' un de' due volti
Partecipar di sua beltà suprema.
Fa ciascun mese il suo periodo intero,
E circondando il del , cangia emispero.
Perché s'appressa a voi più che gli altri
orbi,
Suol sopra i vostri corpi aver gran forza.
Donna é de' sensi , e Dea di mali e morbi ;
Elia sol gli produce , ella gli ammorza.
Quanto, o padre Ocean nel grembo as*
sorbi,
Quanto in te vive sotto dura scorza,
E il moto istesso tuo cangiando usanza
Altera al moto tuo stato, e sembianza.
Il frutto, e il fior, la pianta, e la radice.
Il mare, il fonte, li fiume, e l'onda, eiipe-
Prendon da questa ogni virtù motricCffsce,
E il moto ancor, quand' ella manca o ere-
Del cerebro ella é sol govematrlce ; [sce.
Di quanto il ventre chiude, e quanto
E tutto ciò, che in sé parte ritiene [n'esce,
D'umida qualità, con lei conviene.
Cosa , non dico sol Saturno , o Giove
Nel mondo inferlor propizia, o fella.
Ma qua] altra o che posa , o che si move,
Stabil non versa, o vagabonda stella.
Che non passi per lei ; quante il del piove
Influenze laggiù, scendon per quella.
Per quella chiara lampada d' argento, [to.
Che é dell* ombre notturne alto ornamen-
Onde se avvien, che giri il bel sembiante
Collocato e disposto in buon aspetto,
Ancorché variabile e vagante ,
Partorisce talor felice efletto.
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ADONE.
58
mFortima non mai, fuor che incostante,
Sperì dilunque a lei nasce soggetto ,
Qie con perpctoo error 0a die lo spinga
Foor di patria a menar vita raminga.
* Con più diffuso ancor lungo sermone
n isico diTin Tolea seguire.
Quando a mezao il discorso il bel garzone
La faTella gli tronca, e prende a dire:
D'una cosa a q>lar l'alu cagione
Caldo mi move e fcrrldo deslre.
Cosa, che da che pria l'occhio la scorse,
Sempre ha la mente mia tenuu In forse.
D'alcune ombrose macchie impressa io
veggio
Ddla trìfomie Dea la guanda pura.
Dimmi il perchè; tra mille dubb) ondeggio,
Né so trovarne opinion secura.
Qodl immondo contagio (ioti rìchieggio)
Di bruite stampe 11 vago volto oscura?
Cosi ragiona , e 1* altro un' altra volta
La parola ripiglia, e dice : Ascolta.
Poiché cotanto addentro intender vuoi,
Al bd quesito soddisfar prometto.
Ma di dò la ragion ti dirà poi
L' occhio vie meglio assai , che l' intdictto.
Non mancan già filosoli tra voi ,
Che notato hanno in lei questo difetto.
Studia ciascun d'Investigarìo a prova.
Ma chi si apponga al ver raro si trova.
Aflèma alcun, che d'altra cosa densa
Sia tra Febo, e Febea corpo framcsso.
La qual dello splendor, eh' d le dispensa.
In parte ad occupar venga il reflesso.
U che se fusse pur, come altri pensa ,
fkm sempre 11 volto suo fora l'istcsso,
ffè sempre la vedria chi in lei si afOsa
lo un loco macchiata, e d'una guisa.
Havvi chi crede , che per esser tanto
Cintia vidna agli clementi vostri ,
Della natura elementare alquanto
Coovien pur che partedpe si mostri.
Cosi la gloria immacolata, e il vanto,
Cerca contaminar de' regni nostri.
Come cosa dd dei sincera e schietta
Poisa di vii mistura essere inretta.
Altri vi fu , che esser qud globo disse
Quasi opaco cristal , che 11 piombo ha die-
E che col suo reverbero venisse [tro.
L'ombra delle montagne a fario tetro.
Ma qual si terso mal fu, che ferisse
Per cotanu distanza, acdalo, o vetro?
E qual vasta cerviera in specchio giunge
L'haagine a mirar cosi da lunge?
Egli è dunque da dir, che più secreta
Colà s'asconda, ed esplorata invano
Altra cagion , che penetrar si vieta
All'ardimento dell'ingegno umano.
Or io ti fo saper, che quel pianeta
Non è (com' altri vuol) polito e piano.
Ma ne' recessi suol profondi e cupi
Ha non mcn che la terra , e valli, e mpl.
La superflde sua mai conosciuta
Dico, che è pur come la terra istessa.
Aspra, ineguale, e tumida, e scrignuU,
Coiica%*a in parte, In parte ancor convessa.
Quivi veder potrai (ma la veduta
Noi può rafflgurar, se non s' appressa)
Altri mari, altri fiumi , ed altri fonti ,
Città, regni , provincie, e piani , e monti.
E questo è quel , die fa laggiù parere
Nei bel viso di Trivla i segni foschi,
Bcndiè altre macchie, che or non puoi ve-
dere [noschi ,
Vo'che entro ancor vi scorga, e vi co-
Clie son più spesse , e più minute, e nere,
E 8onpurscog1ì,ecolll,ecampÌ,eboschl.
Son nel più puro delle bianche gote.
Ma da terra affissarle occhio non potè.
Tempo verrà, che senza Impedimento
Queste sue note ancor fien note e chiare,
Mercè di un ammirabile strumento.
Per cui dò che è lontan , vidno appare ;
E con un occhio chiuso , e l' altro intento
Speculando ciascun l'orbe lunare.
Scordar potrà lunghissimi intervalli
Per un picciol cannone , e due cristalli.
Dd telescopio a questa etate Ignoto
Per te fia, Galileo, l'opra composta, [to.
L'opra, che al senso altrui, benché remo-
Fatto molto maggior l' oggetto accosta.
Tu sol osservator d'ogni suo moto,
E di qualunque ha In lei parte nascosta.
Potrai , senza die vel nulla le chiuda.
Novello Endimion , mirarla ignuda.
E col medesmo ocdiial non solo In Id
Vedrai dappresso ogni atomo distinto.
Ma Giove ancor sotto gli auspicj miei
Scorgerai d'altri lumi intomo dnto,
Onde lassù dell'Amo 1 semidei
Il nome lascerà sculto, e dipinto.
Che Giulio a Cosmo ceda allor fia giusto ,
E dal Medici tuo sia vinto Augusto.
Aprendo il sec dell' Ocean profondo.
Ma non senza periglio , e senza guerra ,
Il ligure Argonauta al basso mondo
Scoprirà novo ddo, e nova terra.
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M POEMI
Ta del ciel, non del mar Tifi secondo,
Quanto gira spiando, e quanto serra
Sema alcun rischio, ad ogni gente ascose
Scoprirai nove luci , e nove cose.
Ben dei tu molto al ciel , che ti discopra
L'iuTenzlon dell'organo celeste.
Ma vieppiù il cielo alla tua nobil opra.
Che le bellezze sue fa manifeste.
Degna è 1* imagin tua , che sia là sopra
Tra i lumi accolu , onde si fregia e veste ,
E delle tue lunette 11 vetro frale
Tra gli eterni zalfir resti immortale.
Non prima no, che delle stelle istesse
Estingua il cielo 1 luminosi rai ,
Esser dee lo splendor, che al crin ti tesse
Onorata corona, estinto mal.
Chiara la gloria tua vivrà con esse,
E tu per fama in lor chiaro vi^Tai ,
E con lingue di luce ardenti e belle
Ftvelleran di te sempre le stelle.
Non avea ben quel ragionar fornito
Il secretario de* celesti Numi,
Quando il carro hnmortal vide salito
Sovra il lume minor de' due gran lumi ,
Trovoasi Adone , in altro mondo uscito ,
In dui prati , in altri boschi , e fiumi.
Quindi arrivò per non segnato calle
Presso un speco riposto in chiusa valle.
Qrconda la spelonca erma e remota
Verdeggiante le squame, angue custode,
Angue, che attorce in flessuosa rota
Sue parti estreme, e sé medesmo rode.
Donna canuta U crin, crespa la gota.
Del ori semMaote il ciel s* allegra e gode ,
Ddl' antro venerabile e divino
Slede sul Hmltare adamantino, [quelle
PwdMle ognor da queste membra e
Mille pargoleggiando alme volanti ,
E taCla piena intono è di mammelle.
Ondi attattando va turba d'infanti.
Misiirator de' dell, e delle stelle,
E cancelller de* suoi decreti santi ,
Le leggi, al cui sol cenno il tutto vive.
Ne* gran tetl dd fato un veglio scrìve.
Calvo èH ve^o, e rugoso, e spande al
Deliabarba prolissa il bianco pelo, [petto
Severo la vista, e di robusto aspetto ,
E grande ri, dM quasi adombra H cielo.
É tutto Ignudo, e senza vesta, eccetto
Quaato B ricopre un varlabil velo.
Agli sembra nel eorso, ha I pie calaatl.
Ed a guisa di augd, gli omeri alati.
Tiendhrtsabidae vetri in soUaschleBa
EROICI.
Lucida ampolla, onde traspar di foro
Sempre agitata, e prigioniera arena ,
Nunzia verace delle rapid'ore.
A filo a filo per angusta vena
Trapassa, e riede al suo continuo errore ,
E mentre ognor si volge, e sorge, e cade ,
Segna gli spazi dell'umana etade.
Di servi , e serve , ad ubbidirgli avvezza
Moltitudine intomo ha reverente.
Di quella maestà, che il tutto sprezza ,
Provida esecutrice e diligente.
Mostrava Adon desio d'aver contezza
Qual si fusse quel loco , e quella gente ;
Onde cosi di quel secreti immensi
Il suo condudtor gli aperse i sensi :
Sacra a colei , che gli ordini fatali
Ministra al mondo, è questa grotta annosa.
Non solo impenetrabile ai mortali ,
Agli occhi umani , ed alle menti ascosa ,
Sicché alzarvi giammai la vista , o 1* ali
Intelletto non può , sguardo non osa ,
Ma gl'interni recessi anco di lei
Quasi appena spTar sanno gli Del.
Natura universal madre feconda
È la donna , che assisa ivi si mostra.
In quella cava ha sua magion profonda.
Occulto albergo, e solitaria chiostra.
Giusto è , che ognun di voi ie corrisponda ,
Yuotei onorar qual genitrice vostra;
E ben ie devi tu , come creato [to.
Più bel d' ogni altro. Adone, esser più gra*
Quell'uomo antico che alle spalle ha 1
vanni
È quel, che ogni mortai cosa consuma,
Domator di monarchi, e di tiranni.
Con cui non è chi contrastar presuma.
Parto del Tempo dispensier degli anni ,
Che scorre II del con si spedita piuma ,
E sì presto sen fugge, e sì leggiero.
Che è tardo a seguitarlo anco il pensiero.
Con l'ali, che sì grandi ha sulle terga,
Vola tanto che il Sol l' adegua appena.
Sola però l'Eternità, che alberga
Sovralestelle, il giunge, e l'incatena.
La penna ancor, che dotte carte verga.
Passa il suo volo , e 11 suo furore affrena.
Cori (chi il crederebbe 7) uà fragii foglia ^
Può di chi tutto può vincer l' orgoglio. f
DI duro acciaio ha temperati i denti.
Infrangibili, etemi, adasaantini.
Ddle torri superile, ed eminenti
Rode e rompe con questi i sassi alpini {
I Dei gran teatri I porfidi hioenti ,
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Degfl eccelsi colossi i marmi fini.
DiTontor del tutto , alfin risolve
Le pia salde materie iu trita poWe.
IN sua forma non so se t'accorgesti ,
Qm non è mai Tbtessa alla veduta.
Facdm , ed età di tre maniere ha questi ,
L'aceri», la virile, e la canuta.
Tu Tedi ben, come sembiante , e gesti
Varia sovente, e d'or* in or si muta.
L'effigie, che pur or n'offerse innanzi,
Altra ne sembra, e non è più qual dianzi.
Vedigli assiso ai piedi un potentato.
Da cui tutte te cose ban vita e morte,
Con un gran libro , le cui carte è dato
Volger (com' ella vuoi) solo alla Sorte.
A questo Nume, che si appella Fato,
Detta quant'ei determina in sua corte.
Quegli lo scrìve, ed ordina al governo.
Primavera, ed Autunno, Estate , e Inver-
no.
Gomandan questi al secolo , e palese
Gli fan ciò che far dee di punto in punto.
n secol poi che ha le sue voglie intese ,
Al lustro Impon che l'eseguisca appunto.
Dhistro air anno, e l'anno al mese, il mese
Al giorno, il giorno all' ora, el'oraalpun-
GmI dispon gli affari, e con tal legge [to.
Signoreggia 1 mortali , e il mondo regge.
Vedi qoe' duo, 1* un giovinetto adomo ,
Cndldo, e biondo, e con serene d^ia;
L'altra founlna, e bruna, e vanno Intor-
E ritengono in meno una lor figlia, [no,
SoB color (se noi sai] la Notte, e il Giorno,
E r Aurora è tra ior bianca e vermiglia.
Or mira quelle tre , che tutto han pieno
Di gomitoli d' acda 11 lembo , e il seno.
QueQe le Parche son , per cui laggiuso
6 llaU la viU a tutti voi.
Nel suo volto guardar sempre han per uso ,
Tutte dipendon sol dai cenni suoi.
Quella tien la conocchia , equesta il fuso ,
L'altra torce lo stame , e 11 tronca poi.
Vedi U Verità figHa del vecchio , [chio.
Che hmansi agli occhi gli sostlen lospec-
Quanto In terra si fa, là dentro el mira,
E deO* altrui follie noU gli esempi.
Vede l'umana aanbixton che aspira
In aiille modi a fargH oltraggi e scempL
Crede fiaccargli alcun la forza, e l' ira
Ergendo statue , e fabbricando tempj.
Altri coatro gli driua archi , e trofei ,
Piramidi, obellscfai, e mausolei,
Ride egH allora , e sì sei prende a gioco ,
ADONE. 55
Scorgendo quanto r uom s'inganna, ed
erra;
E poiché in piedi ha pur tenute un poco
QucHe macchine altere, alfin le atterra.
Dalle in preda dell' acqua , owerdcl foco ,
Or le dona alia peste , ora alla guerra.
Le q>argc in fumo in quella guisa o in
questa
Sicché vestìgio alcun non ve ne resta.
E di ciò la ministra è sol queir una ,
Che è cicca, e d' un delfin sul dorso siede.
Calva da tergo , e 11 crine in fronte aduna.
Aiata, e tien sovra una palla il piede.
Guarda se la conosci , è la Fortuna ,
Cile al paterno terren passar U diede.
Mira quanti tesor dissipa al vento.
Mitre , scettri , corone , oro , ed argento.
Quattro donne reali a pie le miri ,
E son le monarchie dell' universo.
D' or coronata è quella degli Assiri ,
D* argento l' altra , che ha l' impero perso,
La Grecia appresso con men ricchi giri
Porta cerchiato il crin <U rame terso.
L' ultima , che di ferro orna la chiomSi
È la guerriera e bellicosa Roma.
Ma ciò che vai , se H tutto è un sogno
Stolto colui , che in vanità si fida, [breve 7
Dritto è ben , che d' un ben che perir deve,
L' un filosofo pianga , e V altro rida.
Sola Virtù del Tempo avaro , e lieve
Può l'ingorda sprezzar rabbia omicida.
Tutto il resto il crudel, mentre che fugge,
E rapace, e vorace, invola, e strugge.
Guarda sull' uscio pur della caverna ,
E vedrai due gran donne assise quivi,
E quinci e quindi dalla foce intema
Di qualità contraria uscir duo rivi.
Siede l' una da destra , e luce eterna
Le fregia il volto di bei raggi vivi ,
Ridente In vista , e di un aspetto santo.
In man Io scettro, ed ha stellatoli manto.
È la FeUdtà, de' cui vesUgi
Cerca ciascun, né sa trovar la traccia.
Ma da larve deluso, e da prestigi
Di quella in vece, la Miseria abbraccia.
Stanno molte donzelle a' suol servigi
D' occhio giocondo, e di piace voi faccia.
Vita , abbondanza , e ben contente e liete
Festa, gioia, allegra, pace e quiete.
Lungo il suopièconlimpid' onda e riva
Mormorando sen va soavemente
Il destro fiumicel , da cui deriva ,
DI letizia inunortal vena corrente.
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5G POEMI
Ella un lambicco in man sovra la riva
Colmo dell* acqua tien di quel torrente ,
E (come vedi ben) fuor della boccia
In terra le distilla a goccia a goccia.
A poco a poco ingiù versa il diletto.
Perchè altri non può farne intero acquisto.
Scarso è l' uman conforto , ed imperfetto,
E qualche parte in sé sempre ha di tristo.
Quel ben, che qui nel cielo è puro e schiet-
Piove laggiù contaminato e misto , [to ,
Perocché pria che caggia, el si confonde
Con qucU' altro ruscel, che amare ha
r onde.
L' altro ruscel , che men purgato e chia-
Passa da manca, è tutto di veleno , [ro
Vieppiù che fiel, vieppiù che assenzio
amaro,
E sol pianti , e sciagure accoglie in seno.
Vedi colei , che li vaso , onde volaro
Le compagne d'Astrea, tutto n'ha pieno,
E con prodiga man sovra 1 mortali
Sparge quanti mai fur malori e mali.
Pandora è quella ; il bossolo di Giove
Folle audacia ad aprir le persuase.
Fuggi lo stuol delle Virtudi altrove ,
Le Disgrazie restaro in fondo al vase.
Sol la Speranza in cima ali* orlo , dove
Sempre accompagna i miseri , rimase ;
Ed è quella colà vestita a verde, [de.
Che in del non entra , e nell* entrarsi per-
Or vedi come fuor dell' ampia bocca
I>eU' urna rea, che ogni difetto asconde ,
In larga vena scaturisce e flocca
Il sozzo umor di quelle perfid' onde.
Dell' altro fiume , onde piacer trabocca ,
Questo in copia maggior l'acque diffonde.
Perchè in quel nido di tormenti e guai
Sempre l' amaro è più che il dolce assai.
Vedi Morte, Penuria, e Guerra, e Peste,
Vecchiezza , e Povertà con bassa fronte ,
Pena, Angoscia, Fatica afflitte e meste
Figlie appo lei d* A>emo , e d' Acheronte.
Ve' 1* empia Ingratitudine tra queste ,
Prima d' ogni altro mal radice e fonte.
E tutte uscite son del vaso immondo
Per infestar, per infetUre il mondo.
Non ti maravigliar , che affiamni e doglie
In questo primo del faccian dimora.
Perchè la Diva , onde il suo moto ei toglie ,
È di ogni morbo , e di ogni mal signora.
In lei dominio , e potestà s' accoglie
E sovra i corpi , e sovra l' alme ancora.
Ma se di ogni bruttura iniqua e fella
EROia
Vuoi la schiuma veder, volgiti a quella.
Si disse , e gli mosurò mostro difforme
Con orecchie di Mida, e man di Gacco.'
AI duoi volti parca Giano biforme.
Alla cresta Priapo , al ventre Bacco.
La gola al lupo avca forma conforme ,
Artigli avea d' arpia, zanne di dacco.
Era iena alla voce , e volpe ai tratti ,
Scorpione alla coda , e simia agii atti.
Chiese alla guida Adon , di che natura
Fussc bestia sì strana , e di che sorte ;
Ed intese da lui , che era figura
Vera , ed idea della moderna Corte.
Portento orrendo dell' età futura,
Flagcl del mondo,assai peggior che morte,
Dell' Erinni infernali aborto espresso ,
Vomito dell' Inferno , Inferno istesso.
Ma di questa (dicea) meglio è tacerne.
Poiché ogni pronto stil vi fora zoppo.
Ben mille lingue, e mille penne eterne
In mia vece di lei parleran troppo.
Mira in quel tribunal , dove si sceme
Di gente intorno adulatrìce un groppo,
Donna con torve luci , e lunghe orecchie ,
Che da' fianchi si tien due brutte vecchie.
L'Autorità tirannica dlpigne
Quella superba e barbara sembianza,
E l'assistenti sue sciocche, e maligne
Son la Sospizlone , e l' Ignoranza. Igne,
Labbra ha verdi e spumanti, e man sangui-
Mostra rigor, furor, fasto, arroganza ;
Porge la destra ad una donna ignuda,
Di cui non è la più perversa e cruda.
QuesU tutu di sdegno accesa e tinta ,
E di dispetto, e di fastidio è piena;
E da turba crudel tirata, e sphita
Giovinetta gentil dietro si mena.
Che l' una e l' altra mano al tergo avvinta
Porta di dura e rigida catena ,
Smarrita il viso , e palUdetta alquanto.
Ed ha bianca la gonna , e bianco il manto.
La Calunnia è colei, che al trono angusto
Per man la tragge , e par d' astio si roda.
Bella la facda ha si , ma dietro al busto
Le si attorce di serpe orrida coda.
L' altra condotta nel giudizio Ingiusto «
A cui le bracda indegno ferro annoda,
È r incorrotta e candida Innocenza,
Sovraffatta talor dall' Insolenza.
Il Llvor r è dincontra , il quale approva
La falsa accusa , e la risguarda In torto.
Aconito infemal nel petto cova,
E di squallido bosso ha 11 viso smorto ,
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ADONE.
57
SlnDe ad uom , che afflitto ancor si trova
Da lungo morbo, onde guarì di corto.
Coppia d'ancelle alla Calunnia applaude,
(Testimoni malvagi) Insidia, e Fraude.
Segue costoro addolorau, e piange
Di tal perfidia il torto, e la menzogna
La Penitensa, che si affligge ed ange
Presso ìa Verità , clie la rampogna ,
Esi squarcia la vesta, e il crìn si frange,
E di duol si dispera, o di vergogna,
E col flagel di una spinosa verga
Si batte il corpo, e macera le terga.
Oimè, non stiam più qui, lasdam per
Di questi mostri abominandi il nido. [IMo
Tacquesi , e lungo un tortuoso rio
Quindi sviollo U saggio duce fido.
D'un* oscura isolctta Adon scoprio
Non molto lunge , ancor' incerto, il lido.
L'aria avea d' ogn' intomo opaca e bruna
Qual fosca notte in nubilosa luna.
Giace in mezzo d' un fiume, il qual sì
Dilaga r aòque sue placide e ctiete , [roco
E va si lento, e mormora sl^ poco,
Che provoca in altrui sonno, e quiete.
Ecco (Mercurio allor soggiunse) Il loco.
Dove discorre il sonnacchioso Lete,
Da cui la verga mia forte , e possente
Prende virtù d'addormentar la gente.
L'isola d'ogni parte abbraccia e chiude
(Come scorger ben puoi ) l' onda letale ;
Sembra oziosa e livida palude ,
Onde caligin densa in alto sale.
Vedi quante in quell'acque anime Ignude
Vanno a lavarsi , ed a tuflarvi l'ale
Pria che le copra il corrottibll velo.
Per obliar dò che han veduto in cielo.
Vedine molte, che a bagnar le piume
Vengon pur nelle pigre onde infelici ,
£ perdon pur dentro il medesmo fiume
La conoscenza de' cortesi amici.
Son gì' ingrati color che han per costume
Dimenticar favori , e beneficj ,
E scrìver nelle foglie, e dare ai venti
Gii obblighi , le promesse , e i giuramenti.
Altre ne vedi ancor quassù dal mondo
Salire ad or ad or macchiate e brutte ,
Le quai non pur di quel licore immondo
Corrono a ber, ma vi s' immergon tutte.
Genti son quelle, che da basso fondo
Son per fortuna ad alto grado addutte.
Dove ciascun divien sì smemorato ,
die più non gli sowien del primo stato.
0 dei terreni onor perfifla usanza,
Con cui r oblìo di subito si beve.
Onde con repentina empia mutanza
Viensi l' uomo a scordar di quanto deve ;
E non solo d' altrui la rimembranza
In lui s' offusca , e si smarrisce in breve ,
Ma sì del tutto ogni memoria ha spenta,
Che di sé stesso pur non si rammenta.
Il paese dei Sogni è questo, a cui
Pervenuti noi slamo a mano a mano.
Vedi che appunto nel sembianti sul
Simile al sogno , ha non so che del vano ,
Che apparisce, e sparisce agli occhi altrui,
E visibile appena è di lontano.
Qui da Giove scacciato il Sonno nero
Contumace del del, fondò l'impero.
Ma per poter varcar l'onda soave
Sarà buon, che alcun legno or si prepari.
Ed ecco allora in pargoletta nave
Strania ciurma apparir di marinari ,
Itatone , e Tarassio il remo grave ,
E Plutode, e Morfeo movean del pari.
Era il veccbio Fantaslo il galeotto,
Al mestier del timone esperto e dotto.
Presero un porto , ove d' elettro puro ,
All' angel vigilante un tempio è sacro.
Quindi scolpito sta l' Èrebo oscuro,
Quind d'Ecate bella il simulacro.
In suir entrar, pria che si passi al muro
V ha di duo fonti un gemino lavacro ;
Che fan cadendo un mormorio secreto ,
Pannlcchia è detto l' un, l'altro Negrcto.
Fa cerchio alla città selva frondosa ,
Che dà grato ristoro al corpo lasso
La mandragora stupida , e gravosa ,
E il papavero v' ha col capo basso.
L'orso tra questi languido riposa,
E riposanvi all'ombra II ghiro , e 11 tasso.
Né d'abitar quel rami osano augelli,
Fuor che nottole, e gufi, e pipistrelli.
D'un Iri a più color case, e contrade
Stansi tra lumi tenebrosi occulte.
Quattro porie maestre ha la clttade.
Due di terra, e di ferro Indse e scuUe,
Le qual rispondon per diritte strade
Della Pigrizia alle campagne Inculle ;
E per queste sovente o falsi , o veri
Escono i Sogni spaventosi e fieri.
Dell' altre due ciascuna il fiume guarda ;
L'una è d'avorio, e si disserra idlora.
Che è nd suo centro la sugion più tarda ,
L'altra di corno, e s'apre in sull'aurora.
Perquella a scherni rl'uom turba bugiarda
D' ingannatrid imagini vien fora.
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'ig poBau
<Da queaU soglion Crar Taulme vaghe
Visioni del Ter spesso presaghe.
La bella coppia entrò per l*uscio ebumo,
E ftir quell* ombre da* suoi raggi rotte.
Il MIO palagio ombroso, e taciturno
Nella piazza maggior tenea la Notte.
Dall* altra parte di vapor notturno
Velato, e chiuso tra profonde grotte
L'albergo ancor del Sonno si Tedea,
Che sovra un letto d'ebano giacea.
0 di quante fantastiche bugie
Mostruose apparenze intomo vanno 1
Sogni schivi del Sol , nemici al die,
Fabri d* iUusion , padri d* inganno.
Minotauri , centauri , idre, ed arpie ,
E gerloni , e briarei vi stanno.
Chi sirena , chi sfinge al corpo sembra.
Chi di ddopo , e chi di fauno ha membra.
Chi par i>ertucci, ed è qual bue cornuto.
Chi tutto è capo, e il capo poi senz* occhi.
Altri han com' hanno I mergi il becco acu-
Altri la barba a guisa degli alocchi. [to,
Altri con (accia umana è si orecchiuto.
Che convien , che ogni orecchia il terren
locchL
AltH ha pie d'oca, e di (alcone arUgUo,
L' occhio nel ventre, e nel l>eUico il dg^lo.
Vedresti effigie angelica, e sembiante.
Poi si termina il piede in piedisulk>.
Visi di can con trombe d' elefante ,
Colli di gru con teste di cavallo.
Busti di nano, e bracda di gigante,
AH di parpaglion, creste di gallo ,
Con code di pavon grifi, e pegasi.
Fusi per gambe , e pifferi per nasi.
Alcun di lor, quasi spalmato legno.
Vola a vda per l'aure , e scorre a nuoto ,
Ma di due rote ha sotto un altro ingegno ,
Onde corre qual carro , e varia moto.
Con un mantice alcun di vento pregno
Gonfia , e sgonfia soffiando il corpo voto ,
E tanti fiati accumula nell'epa.
Che come rospo alfin ne scoppia e crepa.
E questi , ed altri ancor più contraffatti
Ve n' ha, picdoli e grandi , Interi e mozzi ,
Quasi vive grottesche , o q>irti astratti ,
Scherzi del caso, e dd pensiero abbozzi.
Parte alle spoglie, alle fattezze , agli atti
Son lieti e vaghi, e parte inunondi e sozzi.
Moia al gesto, al vestir vili e plebd.
Molti di regi in abito, e di Dd.
Tra gli altri Adon vi riconobbe quello ,
Che in Opro già, quand'eitn'fior dormiva
EBOICI.
RappresentogU il dmulacro beilo
Della sua bella, ed amorosa Diva.
E già quel pigro e losinghier drappello
Dietro alla Notte, che volando usdva.
Gli s'accostava in mille foime intorno
Per gravargli le ciglia, o torgli il giorno.
Ma il suo dottor d se n'accorse, e presto
Gli fé' le lud alzar stupide, e basse.
Vener sorrise, ed d posda che desto
L'ebbe non volse più che ivi indogiasae.
Ma mostrandogli a dito or quello, or qoe-
All' altra riva un* altra volta il trasse, [sto,
Dimandavalo Adon di molte cose,
Ed a molte dimando egli rispose.
E giunta a mezzo di suo corso ornai
L'umida Notte aU'Ocean seendea,
E con tremanti , e pallidetti ral
Più d' un lume dal dd seco cadea.
Qnto di folte stdle, e più che mal
Chiaro il pianeta inargentato ardea.
Vagheggiando con occhio intento e vago
In fresca valle addormentato II Vago.
Deh perdonimi il ver, se altrui par forse,
Ch'Io qui del cid la dignitate off'enda.
Polche laddove Tempo unqua non corse ,
L'Ore non splegan mai notturna benda.
Facdol, perchè cosi qud che non scorse
II senso mai , i' intendimento Intenda ,
Non sapendo trovar fuor di Natura
A^ q>azi celesti dtra misura.
In questo mezzo 11 condottier superno
Le sei vaghe corderò al carro aggiunse.
Fece entrarvi gli amanti , ed al governo
Assiso poi, ver l'altro dd le punse.
Ed al bd tetto dd suo albergo eterno
In poche ore rotando, appresso giunse.
Intanto il parlator facondo e saggio
La noia dleggeria dd gran viaggio.
Eccod (gii diceva), eccoci a vista
Della mia stella, che più su d gira.
Candida no , ma variata e mista [tira,
Di un tal livor , che al piombo alquanto
Picdoia d , che quad appena è vista,
E talor sembra estUita a dii la mira,
E ndle notti più serene e chiare
Dell'anno sol per pochi med appare.
Questo gli awien non sol perchè minore
Ddl' altre erranti, e delle fisse è molto.
Ma però che da luce aasd maggiore
Gli è spesso il lume inecdissato e tolto.
Souo 1 raggi dd Sole 11 suo splendor*
Nasconde d, che vi riman sepolto,
E tra que' lampi , onde d copre e vetat
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ADONE.
Quali fa ladda Debbia, attrai ri cda.
Ma dall'essere al Sol tanto ilciBa
Maggktr fona e vigor prende sovente,
Come ancor quesu del tao cor reina
Per riBteasa cagione è più possente.
Seco, e col Sole in compagnia cammina,
Seco la rota sua compie egualmente.
Beocbè tra noi sia gran disognagliania ,
C^ assai di hne, e di belU mi afansa.
La qualità di sua natura è bene
Mutabile, volubile, faiquleta.
Si varia ognor, né mai fermessa tiene.
Or inCuBta, or seconda, or trisU, or lieU ,
Ma quesu tanta instabilU le viene
Arila congtunilon d'altro pianeu.
Perch'io son tal, che negU effetU miei
Buon co* buoni mi mostro, e reo co* rd.
Naseon per la virtù di questa luce
I intelletti, ingegni acuti.
ma, ed uomini produce
CauU agli aflari, e neiriadustrìe mtuU.
Tago desk» di nuove cose induce,
E d'incognite al mondo arti, e virtuti.
Per Id sol chiaro e eeMm divenne
Delle lingue lo studio, e delle penne.
E quando questa tua dolce lumiera
Vi apiiBcall raggio suo lieto benigno ,
Quel fortunato, al cui natale impera.
Riesce in terra U più famoso d^M).
Cosi lo Die ddla seconda sfera
Paria ai vago igliuol del re Ciprigno,
E tuttavia, mentre cod gli conta
1^ proprie doti, il patrio del sormonta.
Aveanl* aureo timon per la via torta, .
Driziato già le mattutine ancelle.
Già su 1 conin della dorata porta
Giunto era il Soie, e fea sparir le stelle;
La cai leggiadra messagglera, e scorta
Sgombrandointanto queste nubi, e quelle.
Per le piagge spargea chiare , ed ombrose
Dela terra, e dd dd rugiade, e rose.
Quando vi giunse, e conia coppia scese
Smn le sogfie dd lucente chiostro.
Come fu dentro Adon, vide un paese [stro;
CsQ più bd giorno, e più bd dd, che 0 no-
Pol dietro alle sue scorteti camndn prese
Per un ampio sentler, che gM Iti mostro;
E hi un gran pian d ritrovare adagio,
Nd cui mesto sorgea nobil palagio.
Palagio, cbe al modeBe, aHa figura
Qnad #aiillleatro avea sembianza.
Ogni edificio, ogni artifizio oscura.
Ogni iafffo , ogni ricdiezza avanza.
Vista nd prhno g^ro hd di Natura
(Disse CUlenio) la secreta stanza.
Or ecco, o bdl' Adon , sei giunto in parte
Dove l'dbergo ancor vednd ddT Arte.
Ddl'Arte emula sua la casa è questa»
Eccola là , se <U vederia brami.
Di gemme In fil tirate è la sua vesta.
Trapunta dk ricchissimi ricami,
ìfira di che bd fregj orna la testa ,
Come rintrecda de* più vercD rami.
Di -stromenti , e di macchine ancor vedi
Qual e quanto si tlen cumulo a' piedL
Mira penne , e pennelli , e mira quanti
Vi ha scarpelli , e martelli, asce, ed Incudl «
BolinI, e lime, drdnl, e quadranti,
SubbJ , e wpoìty aghi, e fod, e spade, e scudi
Cod diceagli, e procedendo avanti.
La gran maestra trdasdò suol studj,
E riverente, e con cortese Inchino,
Urolllosd d messaggìer dirino.
Dd divin messaggiero Adon condutto
La porta entrò della celeste mole.
DI diamante ogni muro area costrutto.
Che lampeggiando abbarbagliava il Sole;
E l'immenso cortile era per tutto
Intorniato di diverse scole ,
E molte donne in cattedra sedenti
Vedeansi quivi ammaestrar le genti.
Queste d* etate, o di bdiczza egudl
(Mercurio ripigliò) vergini dette
Sono ancelle deU'arte, e liberali.
Perocché 1* uoro fan libero, son dette.
Fonti inesausti , oracoli Immortali
Dd saper vero, e non son più che sette
Fidate guide , iUustratrìd sante
Del senso deco, e ddT ingegno errante.
Colei, che è prima, e tiene in man le
Della sublime, e spaziosa porta, [ chiari
Di tutte le dtre facoltà più grari
Agli anni rozd è fondamento , e scorta.
Quella, che con ragion belle e soari
Loda, biasma, difende, accusa, esorta,
É la diletta mia, che dalla bocca
Mentre che versa il mei , 1* aculeo scocca.
Ve* rdtra poi con la faretra a lato,
Sottile arderà a saettare intenta.
Che bene acuti ognor dalTarco aurato
Di strali in vece 1 sillofl^smi avventa.
Passa ogni petto d'aspri dubbj armato,
Nega, prova, conferma, ed argomenta,
Sdoglie, dichUra, e dalle cose vere
Distingue II fdso , alfin conchiude e fere.
Vedi queir dtre ancor quattro donzelle
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60 POEMI
DI sembUnte , e di toUo alquanto oscure.
Tutte d*un parto sol nacquer gemelle,
E trattan pesi , e numeri , e misure.
L* una contemptatrice è delle stelle ,
E suol vaticinar cose future.
Vedi che ha in man la sfera, e dei pianeti
Si diletta di cspor gli alU secreU.
L* altra, che con la pertica disegna
E^ triangoli , e tondi , e cubi , e quadri ,
GonlÌnee,e punti il ?er mostrando, insegna
Righe,e piombi adoprar, compassi, e squa-
La terza di sua man figura e segna [dri.
Tariffe egregie, e calcoli leggiadri.
Sottrae la somma, la radice trova,
MolUplica il parUto, e fa la prova.
Instruisce a compor 1* ultima suora
E fughe, e pause, e sincope, e battute,
E temprar note ali* armonia sonora
Or lente e gravi , or rapide ed acute.
Altre vederne non men sagge ancora
Oltre queste potrai fin qui vedute.
Benché le sette, eh* io t* ho conte e mostre,
Sien le prime a purgar le menti vostre.
Ecco altre due sorelle, e del Disegno,
E della Simmetrìa pregiate figlie.
L* una con bel colori in tela , o in legno
Sa di nulla formar gran meraviglie.
L* altra, che nell* industria, e nell* ingegno
Non ha (trattane lei) chi la somiglie,
Sa dar col ferro al sasso anima vera.
Al metallo, allo stucco, ed aUa cera.
Eccoti ancor col mappamondo avante,
E con la carta un* altra giovinetta.
Che scoprendo i paesi , e quali e quante
Regioni ha la terra, altrui diletta.
Sentenze poi religiose e sante
Damigella celeste altrove detta.
Di Dio discorre , e dell* eterna vita
Al discepoli suoi ia strada addita.
Mira colà quella matrona augusta.
Che per toga e per laurea è veneranda.
i la Legge civil, che santa, e giusta
Sol cose oneste e lecite comanda.
Quella, che porge d* altrui febbre adusta
Amara, e salutifera bevanda,
£ di ogni morbo uman medicatrice.
Che sua virtù non chiude erba, o radice.
Guarda or colei , che spiriti divini
Spira, sebben fattezze alquanto ha brutte,
E par, che ognun 1* onori, ognun 1* Inchini,
Qual madre universal dell* altre tutte.
Quella è Sofia, che rabbuffaU I crini,
Vagra, e con guance pallide e distrutte,
EROia.
Con scalzi piedi , e con squarciati panni
Pur di dotti scolari empie gli scannL
Azione, passione, atto, e potenza «
Qualità, quantità mostra in ogni ente.
Genere , e specie , proprio , e differenza «
Relazione, sostanza, ed accidente.
Con qual legge natura, e providenza
Crea le cose, e corrompe alternamente.
La materia, la forma, il tempo, il moto
Dichiara , e il sito , e 1* infinito , e 11 voto.
Tien due donne da* fianchi. Una che sto»
Sovra quel sasso ben quadrato e sodo , [de
È la Dottrina, che a chiunque il chiede
Di ogni difficoltà discioglle il nodo.
L* altra che con la libra in man si vede
Pesar le cose, ed ha il martello, e 11 chiodo,
É la Ragion , che con accorto ingegno
A nessun crede, e vuol da tutti 11 pegno.
Ma queir altra colà, che ha sì leggiere
Le penne, è Dea del mondo, anzi tiranna.
Di fallace cristallo ha due visiere.
Che r occhio illude , e il buon gludido ap-
E le fa guatar torto, e travedere , [panna
Sicch*altrui spesso, e sé medesma inganna.
Di un tal canglacolor la spoglia ha mbta ,
Che r apparenze ognor muta alla vista.
Né di tanti color gemmanti e belle
Suol Taugel di Giunon rotar le piume,
Né di tanti arricchir Tali novelle
Quel dei Sole in Arabia ha per costume.
Né di tanti fiorir veggionsi quelle
Dell* alato figliuol del tuo bel Nume,
Di quante eli' ha le sue varie e diverse
Verdi, bianche,vermÌgUe, e rance, e perse*
Opinion s'appella, e molte ha seco
Ministre infami, e meretrici infide.
Larve, che uscite del tartareo speco
Vengon dell'alme incaute a farsi guide,
Ed é lor capo un giovinetto cieco,
Ch'Errore ha nome, e lushigando ride,
D*un licore Incantato Inebbria 1 sensi,
E lui seguendo a precipizio viensi.
Mira intomo astrolabi , ed ahnanacchi ,
Trappole, lime sorde, e grimaldelli,
Gabbie, bolge, giornee, bossoli, e sacchi ,
Labirinti, archipendoli , e livelli,
Dadi, carte, pallon, tavole, e scacchi,
E sonagli, e carrucole, e succhiali,
Naspl, arcolai, vetticchl, e orinoli.
Lambicchi, bocce, mantici, e croduolL
Mira pieni di vento otri, e vesdche,
E di gonfio sapon turgide paUe,
Torri di fumo, pampini d' orticbei
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ADONE.
et
Fiori di iucche, e piume Tcrdl , e gialie,
Angni , 8carabei , grilli , formiche ,
Vespe, zanzare, lucciole, e farfalle «
Topi , gaUi , bigatti , e cento tali
StraTaganze d'ordigni, e d'animali.
Tutte queste , che Tedi , e d' altri estrani
Fantasmi ancor prodigiose schiere ,
Sono i capricci degi' ingegni umani ,
Fantasie, frenesie pazze , e chimere.
y*ba molinl , e palei mobili e vani
Girelle, argani, e rote In più maniere.
Altri forma bau di pesci , altri d* uccelli ,
Vari , eccome son rari 1 cerrGlii.
Or mira all'ombra della sacra pianU
Fregiau il crin dell'onorate foglie
La Poesia, che mentre scrive, e canta,
Il fiore di ogni scienza insieme accoglie.
La FaTola è con lei , che orna, ed ammanta
Le vaghe membra di pompose spoglie.
L'accompagna l'Istoria ignuda donna.
Senza vel , senza fregio , e senza gonna.
Vedi la Gloria, chequalSol risplendc,
Vedi l'Applauso poi, vedi la Lode,
Vedi f Onor, che a coronarla intende
Di luce etema , onde trionfa e gode.
Ma vedi ancor coppia di furie orrende,
Che di rabbia per lei tutta si rode.
La persegue l' Invidia empia , e crudele ,
Che ha le vipere in mano , In bocca il fiele.
La maligna Censura ognor l'è dietro ,
E quant'ella compone emenda, e tassa.
Col vaglio ogni suo accento , ogni suo me-
Crivella , e poi per la trafila il passa, [trò
Posticci bagli occhi In fronte, e son di
Or se gli affigge, or gli ripone e lassa [vetro,
Ifou con questi gli altrui lievi errori ,
Né scorge intanto i suol molto maggiori.
Qò detto , di diaspri , e di alabastri
CU mostra un arsenal capace e grande.
Che sovr* alte colonne , e gran pilastri
Le sue volte lucenti appoggia e spande ,
Turba v' ha dentro di diversi mastri ,
Ingegner d'opre illustri e memorande.
Qui di lavori ancor non mal più visti
Soggloman (dice) 1 più famosi artisti.
Di quanto mal fu ritrovato In terra ,
0 si ritroverà degno di stima,
0 sia cosa da pace , o sia da guerra ,
Qui ne fu l' esemplar gran tempo prima.
Qui pria per lunghi secoli si serra
Ignoto ad ogni gente, ad ogni clima.
Poi si pubblica al mondo e si produce
AD' umana notizia, ed alla luce.
Vedi Prometeo figlio di lapeto.
Che di spirto celeste il fango Informa.
E vedi Cadmo autor dell' alfabeto.
Da cui prendon le lingue ordine e norma.
Vedi il Siracusan , che il gran secreto
Trova , ond' un picdol cielo ha moto , e
E il Tarentln, che la colomba hnita;[forma.
E il grand' Alberto , che al metal dà vita.
Ecco Tubai primo inventor de' suoni ,
Il Tebano Anfioue, e il Trace Orfeo.
Ecco con altre corde , ed altri tuoni
Lino, lopa, Tamira, e Timoteo.
Ecco con nove armoniche ragioni
Il mirabil Terpandro , e il buon Tirteo ,
Fabri di nove lire, e nove cetre.
Animatori d' arbori , e di pietre.
Mira Tesibio, e mira Anasslmene
Su la mostra segnar l' ore correnti.
Mira Pirode poi , che dalle vene
Trae della selce le scintille ardenti.
Anacarsi è colui , mira che tiene
In mano il folle , e dà misura ai venti.
Mira alquanto più in là metter in uso
Esculapio lo specchio , e Closlro il fuso.
E Gige v' ha , che la pittura inventa ,
Ed hawi col pennello Apollodoro,
E Corebo è con lor , che rappresenta
Della plastica Industre li bei lavoro,
E Dedal ; clie agguagliar non si contenta
Con sue penne nel volo e Borea , e Coro ,
Ma macchUiando va d'asse , e di legni
Ingegnoso architetto alti disegnL
Epimenlde , Eurialo , Iperbio , e Dosso
Templi , e palagi ancor fondano a prova ,
E Trasone erge il muro , e cava il fosso
Danao , che 11 primo pozzo In terra trova.
Navi superbe edifica Mìnosso,
Tifi il tlmon , con cui l'afl'reni , e mova.
Bellorofonte è tra costor, ch'io narro,
Ed Eritonio co* cavalli , e il carro.
Guarda Aristeo con quanto util fatica
Del mei , del latte alla cultura intende.
Trltolemo a' mortai mostra la spica,
Bige 1* aratro, che la terra fende.
Preto allo scudo, Mìdia alla lorica
Travaglia, Etolo il dardo a lanciar prende.
Scite pon r arco In opra, e la saetta,
L' asu Tirren , Pantasilea l' accetta.
Hawi poi mille fabrìcati e fatU
Da Cretensi , da Siri , e da Fenici ,
Mossi da rote impetuose, e tratU
Altri arnesi guerrieri , altri artificj.
Vedi arpagoni, e scorpioni, e gatti,
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63 POE»
Macchine di clttadi espugnatrid ,
E da cozzar con torri , e con pareti
Catapulte, baliste, ed arteU.
Bertoldo Tedi là, nato in sul Reno ,
Che per strage del mondo , e per mina
D' irreparabil fulmine terreno
Fonde, temprato airinfemal fucina.
Quegli è Giovanni (o fortunato appieno !
Che le stampe introduce in Argentina ;
E ben gli dee Magonza etema gloria.
Come eterna egli fa 1* altrui memoria.
Cosi parlando per eccelse scale
Sovr* aureo palco si trovar saliti ,
E quindi cntraro in galleria reale ,
Che volumi accogllea quasi infiniti.
Eran con bella serie In cento sale
Riposti in ricchi armari e compartiti ,
Legati in gemme , ed ogni classe loro
Distinguea la cornice in linee d' oro.
Ceda Atene famosa , a cui già Serse
Rapi gli archivj d*ogni antico scritto.
Che poi dal buon Seleuco ali* armi perse :
Ritolti , in Grecia fer nuovo tragitto.
Nò da* suol Tolomei d' opre diverse
Cumulato Museo celebri Egitto.
Né di tal libri in quest* etate, e tanti,
Urbin si pregi, o il Vatican si vanti.
Molti n' eran vergati in molle cera ,
Molti in sottili , e candide membrane.
Parte In fronde di palma , e parte n* era
Di piombo in lame ben polite e piane.
In caldeo ve n* avea scritta una schiera ,
Altri In lettre fenicie , e sorlane ,
Altri in egizj simboli, e figure.
Altri in note furtive, e cifre oscure.
Questo è r erario , In cui si fa conserva
Seguì Mercurio) de* più scelti inchiostri
Di quanti mai scrittor Febo, e Minerva
Sapran meglio imitar tra* saggi vostri.
I nomi , a cui non noce età proterva ,
Vedi a caratter d' or scritti ne* rostri.
Qui stan le ior fatiche, e qui son sUte
Pria che composte sieno , e che sien nate.
Quanti d* illustri e celebrati autori
Si smarriscon per caso empio e sinistro
Degni di vita, e nobili sudori.
Ed or Nettuno , or n* è Vulcan ministro 7
Or qui di tutti quei ricchi tesori )
Che si perdon laggiù , si tien registro.
Sacre memorie , ed involate agli anni ,
Che traman morte agli onorati affanni.
La libreria del dotto StaglriU ,
Che n fior conlien d* ogni scrittura ektu 9
EROia.
DI cui Teofrasto in suIT osdr d! viu
Lascerà successore , è qui perfetta.
D* Empedocle, Plttagora , ed Archita
VI ha le dottrine , e qualunque altra setta.
Di Talete, Democrito , e Solone,
Parmenide , Anassagora, e Zenone.
Petronio vi ha, di cui gran parte asooie
Torbido Lete In nebbie oscure e deche.
Di Tadto vi son 1* ultime prose ,
Tutte di Livio le bramate deche.
La Medea di Nasone , ed altre cose
De' Latini miglior, non men che gredie.
Cornelio Gallo con Lucrezio Caro, [ro.
Ennio , ed Aedo ,ePacuvlo,eTucca,eVa-
D* Andronico , e di Nevio i drammiOetl,
Di Cedilo , e Lldnto anco vi stanno ,
E di Publio Terenzio i più faceti
Sali , che alle salse acque in preda andraa-
E non pur d* al tri Istorid , e poeU [no ;
Le disperse reliquie albergo ▼* hanno,
Ma gli oracoli ancor delle SibiQe,
Scampati dal furor delle faville.
Tacque , e volgendo Adon l' occhio In di-
vide gran quantità di libri sdolti, [sparte
Che avean malconce e lacere le carte ,
Tutti sossopra In un gran mucchio accolti.
Giacean negletti al suol , la maggior parte
Rosi dal tarlo , e nella polve involti.
Or perchè (disse) esposti a tanto danno
Dal beli* ordine questi esdusl stanno?
E perchè senza onor, senza ornamento
DI coverta , o dì nastro Io qui gli trovo?
Un fra gli altri gittato al pavimento
Ne veggo là fra Druslano , e Bovo ,
Che (se creder si deve all'argomento}
Porta un titolo illustre : Il Mondo novo.
Ma sì logoro par, s'io ben discemo.
Che quasi il mondo vecchio è più moderno.
Di scusa certo, e dì pietà son degni
(Sorridendo 1* interprete rispose)
Quel , che d* ogni valor poveri ingegni
Si sforzan d* emular l' opre famose;
Che Ingordigia d'onor non ha ritegni
Nelle cupide menti ambiziose,
E quando alto volar ne veggion* uno,
A quel seguo arrivar vorria dascuno.
Non mica a tutti è di toccar concesso
Della gloria Immortal la dma alpina.
Clii volar vuol senz' ali , accoppia spesso
Air audace salita alta mina.
Ma quantunque avvenir soglia l'istesao
Quasi in ogni bell'arte, e disdpUoa,
Non si vede però maggior tracollo,
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ADOME.
Che di cM wtgae indegnamente Apollo.
Dietro ai chiari icrittor di Smirna, e
Manto,
Per cni sempre Tirrannoidud, e Tarmi,
Tentando intan di pareggiarli al canto ,
PIÙ d* uno arroterà lo stile , e 1 carmi.
0 qoanti poi , con quanto stadio e quanto
Ddl* italico stuol di Teder panni
Tracciar con poca lode i due migliori ,
Gbe In sul Pò canteran guerre ed amorì.
Che di poemi in quella lingua cresca
Nomerosa farragine, e di rime,
Ln lacfl troppo invenxlon tedesca
N* è cagion , che per prezzo il tutto Impri-
Ma se alcuna sarà, che mal riesca, [me.
L'opra, che tu dicesti, è tra le prime.
CoA fistiano 1 monti, e il topo nasce.
Ma poi nato eh* egli è, si more In fasce.
Poiché si fatti parti un breve lume
Visto appena han laggiù nel vostro mondo,
n vecchiarel dalle vdod piume,
Qud che vedesti già nell' altro tondo.
Qui ridnrie in un monte ha per costume
Per seppellirie in tenebroso fondo.
AUin le porta ad attuflar nel rio.
Che copre il tutto di perpetuo oblio.
Ma più non dimorìam , che poiché aque-
Tlho scorto etemi eluminosi mondi , [sti
Gmverrà , che altro ancor ti maniresti
Bel secreti del Fato alti e profondi ,
E vie mollo maggior, che non vedesti ,
Maraviglie vedrai , se mi secondi.
Qui tacque , e in ricca loggia e spaziosa
n coudosse a mirar mirabU cosa.
Tasto edilizio d* ingegnosa sfera
Reggea , quari gran mappa, un piedistallo.
Che si appoggiava ad una base intera
Tutta intagiiau del miglior metallo.
Era d'ampiezza assai ben grande , ed era
FabricaU d' acciaio , e di cristallo.
La cerchlavan per tutto In molti giri
Fasce A lucidissimi zaffiri. [dea
Forma avea d* un gran pomo, e risplen-
Più che lucente , e ben polito specchio ,
E d'aurd seggi intomo intorno avea
Per risguardarla un comodo apparecchio.
Quivi, mentre che intento Adon tenea
L'occhio alla palla , al suo parìar r oreo-
Mercurioseco, e con la Dea s' assise, [chlo.
Indi da capo a ragionar si mise.
Qoesu (dicea) sovramortal fattura.
La goal confonde ogni creato ingegno.
Opra mirabli è, ma di Natura,
E di divhi Maestro alto disegno.
L' artefice di tanta architettura.
Che d' ogni altro artificio eccede il segno ^
Fu questa mia del gran Fattor sovrano
(Benché imperfetta] imitatrice mano.
Sudò molto la man, né V intelletto
Poco in si nobil macchina soflTerse,
E lungo tempo inabile architetto
Sue fatiche , e suoi studj invan disperse!
Ma quei , eh' é sol tra noi fabro perfetto ,
Del bel lavor l' invenzion m' aperse,
E il secreto mi fé* facile e lieve
Di raccorre il gran mondo in spazio breve.
E che sìa ver, rivolgi a questa mia
Adamantina fabrica le ciglia.
Di' se vedesti, o se esser può, che aia
Istromento maggior di meraviglia.
ComposU é con tant'arte e maestria.
Che al globo universal si rassomiglia.
Mirar nel cerchio puoi limpido e terso
Quanto 1* orbe contien dell* universo.
Formar di cavo rame un cielo angusto
Fia forse in alcun tempo altrui concesso ,
Dove or sereno , or di vapori onusto
L* aere vedrassi, e il tuono, e il lampo
E tener moto regolato e giusto [espresso.
La bianca Dea con l' altre stelle appresso,
E con perpetuo error per l' alta mole
Di fera in fera ir tra le sfere il Sole.
Ma dove un tal miracolo si lesse,
0 chi senno ebbe mai tanto profondo.
Che compilar, compendiar sapesse
La gran rota del tutto in picdol tondo 1
Al magbtero mio sol si concesse
Fare un vero model del maggior mondo ,
Lo qual del mondo Insieme elementare
( Non che sol del celeste ), é l' esemplare.
Onde di quante cose o buone , o ree
Passate ha il mondo In qualsivoglia etade,
E di quante passar poscia ne dee
Per quante ha colaggiù terre , e contrade ,
Qui son le prime originarie Idee,
Dove scorger si può dò che vi accade.
Riluce tutto in questo vetro puro
Gol passato , e il presente , anco il futuro.
Vedi le zone fervide , e l' algenti ,
E dove boUe , e dove agghiaccia l' anno,
Vedi con qual misura agli elemenU
Tutti i corpi celesti in giro vanno.
Vedi il sentier, laddove 1 duo lucenti
Passeggieri del ciel difetto fanno.
Vedi come veloce 11 moto gira
Delciel ,cheogulaltrocieldietrositira.
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64 POEBO
Ecco i tropici poi , quindi discemi
Volgersi il cancro , e quinci il capricorno ,
Dove agguagUan del pari i corsi alterai
La notte al sonno , alla vigilia il giorno.
Ecco i coiuri , uniti al poli eterni ,
Che Sempre il del van discorrendo Intor-
Ecco con cinque linee i paralelll , [no.
E nel bel mezzo il principal tra quelli.
Eccoti là sotto il più basso cielo
Il foco , che sempr* arde , e mai non erra.
Mira dell'acque il trasparente gelo.
Cheli gran vaso del mar nei ventre serra.
Mira deir aria molle il sottil velo ,
Mira scabrosa e ruvida la terra.
Tutta librata nel suo proprio pondo ,
Quasi centro del elei , base del mondo.
Rimira, e vi vedrai distinti, e chiari
Boschi, colli, pianure, e valli, e monti.
Vedrai scogli , ed arene , isole , e mari ,
E laghi , e fiumi , e ruscelletti , e rontl ,
Provincie , e regni , e di costumi vari
Genti diverse , e d* abiti , e di fronU.
Vedrai con peli , e squammc , e penne, e ro-
E fere, e pesci, ed augellettl, e mostri, [stri,
Vedi la parte , ove V aurora al tauro
li capo indora, e 1* oriente alluma.
Vedi 1* altra, ove lava al vecchio mauro
11 pie di sasso V africana spuma.
Vedi là dove sputa il fiero cauro
Sulle balze rifee gelida bruma.
Vedi ove il negro con la negra gente
Suda sotto r ardor dell' asse ardente.
Ecco le rupi, onde trabocca li Nilo,
Che la patria , e il natal si ben nasconde.
Ecco r Eufrate che per dritto filo
Le due gran rcglon parte con Tonde.
L*lndo è colà, che per antico stilo
Fa di tempeste d* or ricche le sponde.
Quel]' è il terren , là dove sferza e scopa
Le sue fertili piagge il mar d'Europa.
Vuoi r Arabie veder per te famose ,
La Petrea, la DeserU, e la Felice!
Eccoti il loco appunto ove t' espose
La trasformata già tua genitrice.
Ve' le rive di Cipro , ambiziose
Di una tanti bellezza abiutrice.
Conosci il prato , ove perdesti ii core ?
È quello il tetto , ove t' accolse Amore?
Grande è il teatro , e nei suoi spazi im-
mensi
Chi langue in pena , e chi gioisce In gioco.
Ma per non ti stancar la mente , e i sensi
In cose ornai, che ti rilevan poco,
EROia.
Tanto sol mostrerò, quanto appartlensi
Alla beli' esca del tuo dolce foco.
Sai pur , che protettrice è questa Dea
Della stirpe di Dardano , e d' Enea.
Le diede sovra Pallade , e Giunone
Paride già delle bellezze 11 vanto ,
Benché tragico n'ebbe il guiderdone,
E corser sangue il Slmoenta , e il Santo.
Questa (ma non già sola ) è la cagione ,
Ch' ella il seme troiano ami cotanto.
Mirolla in questo dir Mercurio , e rise.
L' altra arrossi col rimembrar d' Anchise.
Or mentre ( segui poi ) del cavo fianco
Uscito del destrier , che insidie chiude «
Stuol di greci guerrieri il Frigio stanco
Assai con armi impetuose e crude,
Sotto la scorta del buon duce franco
Ricovra alla meotica palude
Una gran parte di reliquie vive.
Esuli , peregrine , e fuggitive.
Taccio il corso fatai di queste genti «
E de* suoi vari casi il lungo giro ;
Per quanti fortunevoli accidenti
In Germania passar con Marcomiro;
Come di Marcomiro i discendenti
Nel gallico terren si stabilirò ,
Dappoiché Fcrramondo al mondo venne ,
Che dello scettro il primo onor vi tenne.
Né fia d' uopo additarti ad uno ad uno
Di quest' ampia miniera 1 gran monarchi.
E le palme , e le spoglie , e di ciascuno
L' eccelse imprese , e gli onorati incardii.
La folta selva degli eroi , che aduno
Consenti pur che brevemente io varchi ,
E scelga sol del numero eh' io dico.
Col degno figlio il valoroso Enrico.
Volgi la vista ove ii mio dito accenna ,
E la lega vedrai l' insegne sciorre,
E quasi armata, ed animata Antenna ,
Tre foreste di lance in un raccorre.
Ma d' altra parte ii paladin di Senna
Vedile pochi e scelti a fronte opporre.
Vedi con quanto ardire oltre Garona
Fa le truppe marciar contro Perooa.
MonUgna, che del del tocchi 1 con-
fini.
Selva d'antiche, e condensate piante.
Fiume che d' aita rupe in giù nilni ,
Tempesta in nembo rapido e sonante.
Neve indurata in freddi gioghi alpini «
Fiamma eh' Euro alle stelle erga fumante.
Mar, cielo , inferno ali' animosa spada
Forano agevol guado, e piana strida.
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AD(»<E.
«5
Gnerrier , deslrierì atterri , anni , sten-
dardi
Spezza , e sprezzando gli urti , apre le stra-
Ncmbi di sassi, grandini di dardi, [de.
Turbini d* aste , fulmini di spade
Pknrongli sopra, ed d dei più gagliardi
Sostien gì' incontri , agi' impeti non cade ,
Né stanco posa, né ferito langue.
Fatto scoglio di ferro in mar di sangue.
Tutto dei sangue osili molle , e vermiglio
Abbatte , impiaga , uccide , ovunque toe-
cbL
Vedil vibrando a prova 11 ferro , e il ciglio,
Ferir col brando, e spaventar con gli oc-
Se altri Ulor neir orrido scompiglio [chi.
Si rivolge a mirar qual colpi ei scocchi ,
Dal guardo è pria , che dalla spadaucdso,
E chi fugge la man non campa il viso.
Chi gU contenderà l' alto diadema.
Se un oste tal d' ogni poter disarma?
Né sol dappresso il Rodano ne trema,
Ma fa da lunge impallidir la Parma.
Ecco del Tago la speranza estrema,
n signor degli Allobrogi che s' arma.
Ecco che In prova al paragon concorre
Con l' italico AchiUe U gallo Ettorre.
Odi Parigi I fieri tuoni, e vedi
Quanti 1* Irata man fuhninl avventa?
Deh che pensi ? o che fai ? perchè non cedi ?
Già co* giganti suoi Flegra paventa.
Stendi stendi le palme , e picU chiedi ,
E l'auree chiari al regio pie presenta.
Stolu sei ben se altro pensler ti move.
Cosi si vince sol l' ira di Giove.
Vedilo entrar nelle famose mura ,
Ed occupar le mal difese porte.
Van con la fuga cieca , e mal secura
Declinando Q furor del braccio forte,
L* IgDobil pianto, e la plebea paura;
CU non fugge da lui segue la morte.
Battuto dal timor cade il consiglio,
E l' ordine confuso è dal periglio.
Eccolo alfin, eh' è con applauso eletto
De' Galli alteri a governare 11 freno,
Me studia quivi con tiranno affetto
Beni usurpati accumularsi In seno.
Con larga man, con gioviale aspetto [no,
Versa d* oro , ov* è d' uopo , Il grembo ple-
E d* or in or regnando istruì più scopre
Gcnerod pensier , magnanim' opre.
Non ri ha più loco ambizione Ingorda ,
Kob più stolto furor, discordia fiera.
Noo ri ha pmdeiiia deca , 0 pietà sorda ,
Pace , e giustizia In quell' Impero impera.
Sa far (sì ben le repugnanze accorda)
Autunno germogliar di Primavera,
Mentre fra gli aurei gigli a Senna in riva
Pianta dopo la palma anco l' oliva.
Virtù quanto è maggior, tanto è più q>es-
Dell' Invidia maligna esposta ai danni , [so
La qual suol quasi a lei far queir {stesso ,
Qie il tarlo al legni, e la Ugnuola al panni.
Qua! ombra, che va sempre al corpo ap-
presso.
La perseguita ognor con vari affanni.
Ma son gli oltraggi suol, che offendon poco.
Lime del ferro, e mantici del foco.
Mira il fior de' migliori , al cui gran lume
L' altrui sciocco livor divien farfalla ,
Mercè di quel valor , che per costume
Quanto si affonda più, più sorge a galla ,
Malgrado di chi nocergli presume ,
Ai pesi è palma , alle percosse è palla ;
Onde di novo onor doppiando luce
È fatto inclito re d' Inclito duce.
Del guerrier forte, 1 cui gran pregj esal-
Fia tale e tanta la sublime altezza , [to
Che come Olimpo olirà le nubi in alto
Non teme 1 venti , e 1 fulmini dlsprezza ,
Co^ d' invidia , oppur d* insidia assalto
Danneggiar non potrà tanta grandezza ,
Anzi ogni offesa, ed ogni ingiuria loro
Sarà soffio alla fiamma, e fiamma all' oro.
Se non eh' io veggio di furor d' Inferno
Di una furia terrena II petto acceso,
E punto dalle vipere d' Avemo
Un cor malvagio a perfid' opra inteso.
Non vedi là , come colui , clie a scherno
Prese eserciti armati , a terra ha steso
Mosso da folle, e temeraria mano
Con un colpo crudel ferro villano?
Quando ali* alte speranze in sen concclte
Tenendo il mondo già tutto converso ,
Cinto d'armi forbite, e genti elette
Spaventa 11 Moro, ed atterrisce II Perso,
E gli appresta fortuna, e gli promette
Lo scettro universa! dell' universo,
Pria che egli vada a trionfar d' altrui ,
Vien Morte Iniqua a trionfar di lui.
Vansl le Virtù tutte a seppellire
Nel sepolcro, che chiude II sol de' Franchi,
Salvo la Fama, che non vuol morire «
Perchè alle glorie sue rita non manchi ;
E come al caso orribile a ridire
1 suoi tant' occhi lagrimando ha sunchl ,
Così per farlo ancor sempre Immorule
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ee POEMI
SI apparecchia a stancar le lingue , e 1* ale.
Ma che ? Se da colei, che vince il tutto ,
È Tinto alfine il sempre invitto Enrico ,
L'idto onor de*Borbon quasi distrutto
In parte a ristorar vien LodoTico,
Che da fA degno stipite produtto.
Aggiunge gloria al gran lignaggio amico ,
E sotto r ombra del materno stelo
Alza felice i verdi rami ai cielo.
Or mi volgo colà , dove Baiona
Smalta di gigli i fortunati lidi.
Veggio superbo 11 mar che s* incorona
DI gemme , e d* or , qual mal più ricco li
Già già r arena sua tutta risona [vidi.
DI lieU bombi, e di festivi gridi.
Veggio per 1* onde placide e tranquille
Sfavillar lampi , e lampeggiar faville.
Né 1* indico oceano orientale
Tante aduna nel sen barbare spoglie :
Né lo stellato elei cumulo tale
Di bellezze , e di lumi in fronte accoglie.
0 spettacol gentil, pompa reale,
0 ben nato consorte , o degna moglie !
Qual concorso di regi , e di reine
Scende a felicitar l'acque marine ! [mostro,
Risguarda in mezzo al fiume, ov' io U
Vedrai colonne eburnee , aurei sostegni
Con un gran sovradel di iucid' ostro
Far ricca tenda a un' isola di legni , [stro
Che fianco a fianco aggiunti, e rostro a ro-
Porgono il nobil cambio ai duo gran re-
gni*
Mentre prendono , e dan Spagna a Parigi
Llsabetta a Filippo , Anna a Luigi.
Ma vedi opporsi agi* imenei felid
Suddite al Gallo, e ribellanti schiere,
E coprir di Guascogna 1 campi aprici
Quasi dense boscaglie , armi guerriere.
Quinci, e quindi avversarie, e protettrici
Splegan Guisa.e Gondé bande, e bandiere.
Ma del figlio d'Enrico il novo Enrico
SI mostra si , non è però nemico.
L' nno'è colui, che sotto ha quel destrie-
Baio di pelo, Itallan di razza, [ro
DI tre vaghi aironi orna 11 cimiero,
E di crod vennlgUe ehno, e corazza.
Benché misto di bigio abbia il crin nero ,
GII agi abbandona, ed esce armato In plaz-
E carco In un d'esperienza, e d'anni, [za,
Toma di Marte al già dismessi afl^annl.
L'altroé quel pÌùloiitaB,che lacanqM-
Soorre dÌferro,ed'ofgnveluceiite. [gna
& Mi verde degù anni , e r acoonqiagna
EROICI.
Fiera , e di novità cupida gente.
Ha neUo scudo i gigli , e di Brettagna
Cavalca ubero un corridor possente,
E tien dal fianco attraversata al tergo
Una banda d' azzurro In sufi* usbergo.
Già già numero immenso Ingombra Q
Di tende armate, e di trabacche tese.[plaii&
Piagne dbfatte il misero Aquilano
K le messi , e le moli al bel paese.
Già tinto il giglio d'or di sangue umano.
Clic è pure (ahi ferità ! ) sangue francese.
Sembra quel fior , clic del suo re trafitto
Ndie foglie purpuree il nome ha scritto.
Gallia infelice , ahi qual s'appiglia, ahi
Nelle viscere tue morbo Intestino ! [quade
Rode li tuo sen profondo interno male
Di domestico tosco e dttadino.
Pugnan discordi umori In corpo frale
Si eh' io preveggio il tuo morir vidno ;
Ed al tuo scampo ogni opra , ogni arte è
Se Medica pietà non ti risana. [ vana ,
Pon colà mente alia gran donna d'Amo
Con qual valor la sua ragion difende.
Né con petto tremante , o viso scarno
Fra tante cure sue posa mai prende.
Vorrebbe (e il tenu ben, ma 11 tenu bidar-
Senza ferro estirpar le teste orrende, [no)
Le teste di quell'idra empia ed immonda.
Di veleno infemal sempre feconda.
Che non fa per troncarìe ? ecco pospone
Alle pubbliche cose U ben privato ,
Ed all'Impeto ostll la viu espone
Per salvar del gran pegno H dubbio stato.
Ad accordo venir pur si dispone,
E sospende tra V ire il bracdo armato ,
Purché il furor s' acqueti , e cesai queCa
D' orgoglio insano aquilonar procella.
Ma quando alfin la gran tempesta scorge.
Che l'aria offusca , e II mar conturba e
E che l'onda terribile più aorge, [mesce,
E che II vento implacabile più cresce,
Al ben saldo timon la destra porge.
Drizzasi al polo , e di canrahi non esce.
Or con forza reggendo, or con higegiio
Tra tMti flutU U travagliato legno.
Fissa dritto colà meco lo sguardo ,
Dove l'ampia riviera 11 passo serra.
Quivi campeggU il gran camplon Guisv-
Contro col non si tien torre, né terra, [do,
E par che dka intrepido e gagliardo ,
Chi la pacerìcuaa, abbia la guerra;
E con prodezza alla baldanza eguale
Dell'avversario I miglior forti ]
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ADOflE.
«7
L' esercito red canto prorrede [stanca
DI genti, e d*aniii, e non s'allenta, o
Per eseguir quanto gio vevol crede ,
O necessario aDa Corona franca.
0 seoia esempio iocomparabil fede, [ca.
Quando ai casi opportuni ogni altro man-
Sol qnesd al par delle più forti mura
Mostra petto costante , alma secura.
Fa gran lerate di caralli e fanti.
Che può contro costor 1* oste nemica i
Genie miglior non Tide 11 Sol tra quanti
Clnser spada giammai , TesUr lorica.
Non sanno in guerra indomiti e costanti
O temer rischio , o ricusar latica.
Usi in ogni stagion con l'armi greTi
Bete I sudori , e calpestar le nevi.
0 qual ferror di Marte, o qual già tocca
Al Te crescente II cor foco d'ardire!
Brama di gir tra' folgori , clie scocca
Più d'un cavo metallo, a sfogar l'ire.
Ma dappoiché non può là dove fiocca
La tempesta del sangue , in pugna uscire,
Vaseene o cacda esercitando , o giostra ,
Che una effigie di guerra almen gli mostra.
Cod leon dalla mammella irsuta
Uso ancora a poppar cibi noTelli ,
Tosto che r unghia ai pie sente cresciuta ,
Alla bocca le zanne, al collo 1 Telli ,
Già la rupe natia sdegna e rifiuta ,
La tana angusta, e le riyande imbelli ;
Qtk segue là tra le cornute squadre
Per le getule selre Q biondo padre.
Ma quella Dea (ch'altro che Dea non deve
Dirsi colei, che a dlYln' opre aspira)
Smorza intanto quel foco , e non l' è greve
Per la comun salute Q placar l' ira*
1 congiurati principi riceve,
E raccampato esercito ritira.
Ed al popol fellone e contumace
Perdonando 11 fallir, dona la pace.
Ecco d'astio privato ancor bollire
De* dud IstessI gV animi Inquieti,
E in stretta lega ammutinati ordire
DI novelle congiure occulte reti.
Ecco Taccorto re viene a scoprire
Di qoel trattato i taciti secreti,
E da* sospetti d'ogni oltraggio indegno
Con la prigione altrui libera il regno.
Po!chè 11 pensier del macchinato danno
Tano riesce , e d* ogni effetto voto ,
Del capo afiltto le reliquie vanno
Qoal polve sparsa allo spirar di Noto.
Ma per nove caglon pur anco fanno
Novo tra lor sedizioso moto ;
Eppur con nove forze , e genti nove
La regia armata a' danni lor si move.
Fuor de' materni imperj intanto uscito
Passa il re novo a possedere il trono ,
Da cui pria calcitrante , e poi pentito
Chi pur dianzi l' offese , ottien perdono.
Richiamata è Virtù , Marte sbandito
Per queir alto donzel , di cui ragiono,
L'alto donzel , che sostener non pavé
Con si tenera man scettro sì grave.
11 Tamigi , il Danubio , il BeU , il Reno
L'ama, 11 teme, l'ammira anco da lunge,
Anzi fin nell' italico terreno
A dar le leggi coi gran nome giunge.
E se pur di vederne espresso appieno
Un degno esempio alcun desio ti punge,
Risguarda in riva al Pò, come si face
Arbitro della guerra, e della pace.
Io dico , ove tra il Pò , che non lontano
Nasce, e la Dora, e il Tanaro risiede
li bel paese , al cui fecondo piano
La montagna del ferro 11 nome diede.
Vedrai Savola con armata mano ,
Che due cose in un punto a Mantoa chiede,
11 pegno della picciola nipote ,
E de' confln la patteggiata dote.
Vedi di Cadmo il successor, che viene
In campo a por le sue ragioni antiche,
E perchè l' una nega , e Y altra tiene ,
Case unite in amor toman nemiche.
Forse nutrisci , o Mincio , entre le vene
Il seme ancor delle guerriere spiche ,
Poiché veggio dal sen della tua terra
Pullular tuttavia germi di guerra?
Veder puoi di Torio l' invitto duce.
Cui non ha Roma, o Macedonia eguale,
Che carriaggi , e salmerìe conduce
Con varie sovra lor macchine , e scale.
Su lo spuntar della diurna luce
A Trino arriva, e la gran porta assale.
Vedi stuol piemontese, e savoiardo
Quivi atuccar l'espugnator pettardo.
Ecco rotto il rastel , passato il ponte ,
Non però senza sangue , e senza morti.
Le genti alloggia all' alu rocca a fronte ,
Prende I quartler più vantaggiosi e fori! ,
Manda la valle ad appianar col monte,
I picconieri , e 1 manovali accorti ,
Mette 1 passi a spedir scoscesi e scabri
Con vanghe, e zappe, e guastadorì, e fabri.
Fa con gabbie , e trincee steccar dlntor-
De' miglior posti 1 più securi siti; [no
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68 POEMI
Col sembiante real vergogna e scorno
Accresce ai vili , ed animo agli arditi.
Par fiamma, o lampo, or parte, or fa ritor-
Gercando ove conforti, ed ove aiti , [ no
Mentre ilcannon, che fulminando scoppia,
Nel rìvellin la batteria raddoppia.
Ed egli in un co* generosi figli
Studia, come talor meglio si batta.
Sempre occupando infra 1 maggior perìgli
La prima entrata , e 1* ultima ritratta.
Gonvicn, che pur di ceder si consigli
La terra alfin per non restar disfatta,
Ed apre al vlndtor, che Tassecura
Dalia preda , dal ferro , e dall' arsura.
Moncalvo a un tempo espugna anco e
conquista ;
Ma chi può qui vietar che non si rube?
Va il tutto a sacco. 0 qual confusa e mista
Scorgo di fumo , e polve oscura nube !
E se pari Tudir fusse alia vista.
Risonar v* udirei timpani, e tube.
Rendersi i difensor gi& veder parmi ,
Salve le vite con gli arnesi, e Tarmi.
Pur neli*Albamedcsma Alba è sorpresa,
Eppur dalle rapine oppressa langue.
Il miser cittadin non ha difesa
Per doglia afflitto , e per paura esangue.
Va il soldato , ove il trac fra V ire accesa
Fame d* or, sete d* or più che di sangue.
Suscita Toro, ciré sotterra accolto,
E seppellisce poi chi 1* ha sepolto, [nisce
Di buon presidio il gran guerrier for-
Le prese piazze, ed ecco il campo ha mos-
Nova milizia assolda, e ingagliardisce [so.
Di gente elvezia , e valesana il grosso.
Ecco delia città, che impaludisce
Là tra il Oelbo , e la Nizza , il muro ha
Ecco a difesa del signor di Manto [scosso.
U vicino Spagnoi moversi intanto.
Per reverenza dell* insegne ibcre
Toglie a Nizza 1* assedio, e si ritragge,
Quindi van di cavalli armate schiere
D* Incisa, e d* Acqui a disertar le piagge.
Tragedia miserabile a vedere
Le eulte vigne divenir selvagge,
E dal furor del foco, e delle spade
AbbattuU 1 flUaggi, arse le biade.
Trema Casale; a temprar armi intesi
Sudano i fabrl alle fucine ardenti.
L'acdar manca a unt* uopo , onde son
Mille dagli ozi lor ferri innocenti, [presi
Rozzi non solo, e villarecd arnesi,
Ma dtudini artefici stromentl
EROICI.
Forma cangiano , ed uso , e lar ne Tedi
Elmi , e scudi, aste, ed azze , e spade, e
spiedi.
Il vomere già curvo , or fatto acuto ,
A Bellona donato, a Cerer tolto,
Su la sonante incudine battuto,
D* aratore in guerrier vedi rivolto.
L* antico agrlcoltor rastro forcuto.
Nel fango, e nella ruggine sepolto.
Vestendo di splendor la viltà prima,
Riogiovcnisce al fòco , ed alla lima.
Inunto e quinci e quindi ecco spediti
Vanno, e vengono ognor corrieri, e messi.
Che il buon re , eh* io dicea , vuol che so-
piti
Sicno 1 contrasti, e la gran pugna cessi ;
Ed acciocdiò gii aliar di Unte liti
In non sospetta man resthi rimessi.
Ai deputati imperlali, e regj
Fa consegnar della vittoria i pregj.
S'induce alfin, capitolati i patti,
L*'eroe dell* Alpi a disarmar la destra «
E del defiiuitor de* gran contratti
Tra le mani il deposito sequestra.
Ma qual rio sacrilegio è che non tratti
L* empia discordia d*ogni mal maestiat
Ecco da capo al rinnovar dell* anno
Novi interessi a nove risse il tranno.
Tornano a scorrer 1* armi , ove ancor
La prateria sì desolata e rasa , [ stassi
Che ne stillano pianto , e sangue i sassi ,
Poiché fabbrica in pie non v*é rìmasa.
Né resta agli abitanti afflitti e lassi
Villa, borgo, podcr, castello, o casa.
Già 8* appresta la guerra , e già la tromba
Altri chiama alla gloria, altri alia tomba.
Colui , eh* é primo , e la divisa ha nera,
E suir usbergo bruu bianca la croce
(Ben 11 conosco alla sembianza altera],
È Cario, il cor magnanimo e feroce.
Di corno In corno, e d* una in altra schiera
Il volo impenna al corridor veloce.
Per tutto a tutti assiste, e il suo valore
Intelletto è del campo , anima, e core.
Spoglia di grosso, e mal curato panno.
Lacerala da lance, e da quadrelia,
L* armi gli copre, e fregio altro non hanno.
Né vuol tanto valor vesta più bella.
Spada, splendido don del re britanno ,
Cinge, né v* ha ricchezza eguale a quella.
Ricca , ma più talor suo pregio accresce.
Che i rubin tra i diamanti il sangue mesce.
Mira colà , dove distende e sporge
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ADONE.
09
Asti Terso AquUon FanUcfae mura.
Poco laoge di fuor vedrai clie sorge
Un picdol colle in mezzo alla pianura.
Quindi (fuor che la testa) armato ei scorge
Le classi tutte, e il suo poter misura.
Qaiodi del campo in general rassegna
RiTede ogni guerrier, nou ogo* insegna.
Qoasi pastor, che le lanose gregge
Con la proTida Terga a pasco adduca.
Con leggiadre ordinanze altrui dà legge
Il coraggioso, il t)eliicoso duca.
Per mostrar quivi a chi l' aflTrena e regge
Come di ferro, e di valor riluca ,
Spiegi ogni stuol vessilli , e gonfaloni ,
Gonfia stendardi , e sventola pennoni.
Quanto d* Insobria 11 bel confin circon-
fìn sotto le ligustiche pendici , [da
Quanto di Sesia, e Bormia irriga l'onda
Voto riman di torbe abiutrici.
Quei , che nella vallea cupa e profonda
Soggloman del Monviso alle radici
Vengonvi , e di Provenza , e di Narbona
Quei , che bevon Durenza , Isara, e Sona.
Né pur d'Augusta solo , e di Lucerna
Le valU inculte, e le monugne algenti.
E dagli aspri cantoni Agauno , e Berna
Maodanvi copia di robuste genti;
Ma giù dall' Alpi , ove nud sempre verna ,
V inondan quasi rapidi torrenti
Per le vie di Bernardo, e di Gebenna
Quei, che lasciano ancor Llgeri, e Senna.
Un che con armi d' or va seco al paro,
È l'Aldighlera, Il maresclal temuto.
Che sotto giogo di pesante acciaro
Doma il corpo rugoso, e il crin canuto.
Ecco di Damlan l'eccidio amaro.
Da' due franchi guerrier preso e battuto.
Ed ecco d'Alba la seconda scossa.
Chi fia, che impeto tanto affrenar possa?
Poo mente a quel cimier, che con tre ci-
IM Uanca piuma si rincrespa al vento, [me
È di Vittorio, il principe sublime.
Del Piemonte alta speme, alto ornamento.
Ben r intemo valor negli atti esprime ,
Ha di latte il destrier, l' armi d'argento ,
E d'un aureo monii, che al petto scende,
Groppo misterioso al collo appende.
Vedi con quanto ardire, e in che fler
Inaspettato a Messeran s'accampa, [atto
E giunto a Cravacor quasi in un tratto
Di mina mortai segni vi sumpa.
Gii questo, e quel, poiché del giusto patto
Noo fur contenti , in vive flainme avvampa.
Già d'ambedue con estermhilo duro
Spianato è il forte, e smantellato il muro.
Vuol veder un, che nato a grandi impre-
D' emular il gran padre s'affatica 7 [se ,
Mira Tommaso , 11 giovane cortese ,
Che tinu di sanguigno ha la lorica,
E II cuoio del ieon sovra l'arnese
Porta, dell'avo Alcide insegna antica.
Di seta ha i velli , e con sottil lavoro
Mostra il ceffo d'argento, e l' unghie d'oro.
Vedilo in dubbia e perigliosa mischia
Passar tra mille picche, e mille spade.
Già dal volante fulmine, che flschia,
Trafitto il corridor sotto gli cade.
Ma ne' casi maggior vieppiù s'arrischia
Quel cor, che col valor vince l'etade,
E pien d'ardir più generoso ed alto
Preso novo destrier, toma all' assalto.
Miralo poi, mentre il maggior fratello
Con gran guasto di morti , e di prigioni
Rompe il soccorso, e il caplun di quello
Uccide , che confuso è tra' pedoni ,
Della cavalleria giunto al drappello
Torre i regj stendardi a due campioni ,
Indi mandarli per eterno esempio
D* alta prodezza ad appiccar nei tempio.
Solo il gran Filiberto altrove intanto
Dubbioso spettator, stassi In disparte.
Ma il buon Maurizio con purpureo manto
Regge il paterno scettro in altra parte ,
E l'alte leggi del governo santo
Con giusta lance al popoli comparte.
Talor pio cacciatore ai fidi cani
Del devoto Amedeo dispensa 1 pani.
0 se mal prenderà. Tifi celeste.
Il gran timon della beata nave.
Da quai scogli secura , a quai tempeste
Sottratta, correrà calma soave!
Già la vegg'io per quelle rive e queste
Portar, nov'Argo, di gran merci grave,
Scorta da divin Zeffiro secondo ,
Il vello d'oro a vestir d'oro il mondo.
Ma vedi or come freme, e come ferve
Contro costoro il fior d'Italia tutta.
Genti ali' Ibero o tributarie, o ser\'e.
Gioventù ben armata, e meglio Instmtta.
Ben a tante, e si fiere armi , e caterve.
Si oppon r inclito Estense , e le ributta.
Alfin pur all' esercito , che passa.
Libero II camroin cede , e il varco lassa.
Passan l'ardite schiere, e di Milano
Il prefetto maggior tra' suol ì' accoglie*
Eccolo là sovra un corrente Ispano,
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TO POEBU
Che i* insegne reali ali* aura scioglie.
11 baston general di capitano
Tien nella destra , e veste oscure spoglie.
Mira poi come in un feroci e vaghi
S*arman dall* altro lato i gran Gonzaghi.
Quei, eh' ha d'un verde scuro a fiocco a
fiocco
La sopravesta, è di Nlverse il pregio.
Vedi un che ha d* or lo scudo , e d' or lo
stocco ,
Quegli è Vincenzo il giovinetto egregio.
L* altro, che splende di lucente cocco,
E in sembiante ne viene augusto e regio,
Riposato nel gesto, e venerando,
QuegU (s'io ben comprendo) è Ferdi-
nando.
Lascia i bei studj , e prende a guerra ac-
Dai tranquilli pensier cura diversa, [cìnto
Manto che il fior dei lucid* ostri ha tinto.
Fa ricca pompa ali* armatura tersa.
Groppo di gemme in dma il tiene avvinto
Sicché l'omero, e il petto gli attraversa,
Ma pur l'acciar con argentau luce
Sotto la fina porpora traluce.
Vedi il Toledo, che VerceUi alTronU,
Già l' ha di stretto assedio incoronata.
La città tutta alle difese pronta
Sta sulle mura, e sulle torri armata.
Vedi lo scalator, che su vi monta,
E il cittadino a custodir l'entrata;
Ma poiché assai resìste, e si difende.
Per difetto di pólve alfin si rende.
In questo mezzo il capitano alpino
I>i far gualdane, e correrìe non resta.
Fìlìzzano, ed Annone, e il Monferrino
Con mille piaghe in mille guise infesta.
Oltre il frutto perduto , il contadino
Forzaèche paghi or quella taglia, orque-
Corre l'altrui licenza , ove l' alletta [sta
Desire o di guadagno, o di vendetU.
Cosi divisa, e dell'istorie ignote
Svela U fosco tenor lo Dio d'Egitto,
Quando nel terso acciar, tra le cui rote
Quanto creò Natura é circoscritto.
Adone in parti alquanto indi remote
Volgesi e vede un non minor conflitto,
Dove la gente in gran diluvio inonda ,
E diffuso in torrenU il sangue abbonda.
Onde rivolto al messagger volante,
Della beila facondia arguto padre,
Disse, o nunzio divin, tu che sai tante
Meraviglie formar nove e leggiadre,
L* altra guerra, che fan quindi distante
Eaoia.
L' altre, che altrove io veggio armate
squadre, [cor quivi
Fammi conto, onde awien, poiché an-
Par si combatta, e corra il sangue in rivi.
Io ti dirò (risponde); altra cagione
Austria in un tempo a guerreggiar sospin*
Con la donna real del gran leone , [gè
Che per Adria guardar la spada stringe.
Né pur del sangue di più d' un squadrone
La terra sola si colora e tinge ,
Ma il mare istesso in non men fiero assalto
Rosseggia ancor di sanguinoso smalto.
Se gola hai di vederio, or meco afisa
Dritto le luci, ov'io l'affiso e giro.
Egli giroUe, e in disusata guisa
Vide ondeggiar lo sferico zaffiro»
Già di Anfitrite a mano a man ravvisa
I vasti alberghi entro l'angusto giro,
E di gran selve di spalmati legni
Popolati rimira i salsi regnL
Dalle rive adriatiche, e dal porto
Di Partenope beila alate travi
Già dei ferro mordace U dente torto
Spiccano onuste di metalli cavL
Già quinci e quindi a par a par s' é seorto
Un naviglio compor di molte navi ,
Le cui veloci , e volatrici antenne
Per non segnate vie batton le penne.
Volan per l'alto, e de' cerulei chiottri
Arano i molli solchi i curvi abeti.
Rompon co' remi , e co' taglienti rostri
Delle prore ferrate il sen di Teti.
I fieri armenti dei marini mostri
Fuggono spaventati ai lor secreti.
Sotto l'ombra degli arbori che aduna
Quest' armau, e quell'altra, U mar s'Im-
bruna.
Appena omeri quasi ha il mar bastanti
II peso a sostener di tanti phil.
Appena il vento istesso a gonfiar tanti
Può co' fiati supplir, candidi linL
Fugaci olimpi, e vagabondi atlanti.
Alpi corrend , e mobili appennlni
Paìon, svelti da terra, e sparai a nuoto,
I gran vascelli alla grossezza , al moto.
Veder fra tanti aifamil In tanta guerra
La vergin beila a Qterea diq[>iacqiie ,
La vergin bella, che s'annida e serra
Tra 1 lucenti cristaUi, ov'eUa nacque;
Ond' hanno insieme il mar lite, e la terra,
L'una gli offre le rive, e l'altro l'acque.
Pugnan con belle ed ambiziose gm
Per averla tra lor la terra, e U wmn»
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ADONE.
Ecco che gorghi già di foco, e polTc
Vomiu il broDxo concavo, e forato,
Scoccajido si , che I legni apre e diasolve,
Con fiero bombo li fulmine piombato.
Nebbia d'orror caliginoso involre
E mare , e del da questo , e da quel lato.
Sembra ogni canna (tante fiamme spira)
La gola di Tifeo, quando si adira.
Giiviensi ad afferrar poppa con poppa,
GI4 spron con sprone impetuoso coxxa.
Già ¥ou il fuso, e il fil, che Qoto aggroppa
DI mille vite a un punto Atropo mozza.
Spada in spada, asu in asu urtando in-
toppa,
L* acqua gii ne divicn squallida e sozza ,
E del sangue comun tinta, somiglia
Del gran golfo Eritreo 1* onda YermigUa.
L'una classe neil* altra avventa e scaglia
Pregni d* occulto ardor globi , e volumi ,
Onde , mentre più stretta è la battaglia ,
Incendio repentin vien che s* allumi.
Scoppian le cave palle , e fan che saglia
TortM alle stelle dì faville , e fumi.
Tra il bitume, e la pece, e il nkro, e il zolfo
Oli sbalza al ciel, chi sdrucciola nel golfo.
Scorre Vulcano, e mormorando ruggc,
E tra i ruggiti suoi vibra la lingua.
Gabbie intomo, e castella arde e distrugge,
Né sa Nettuno ornai , come Testingua.
L' esca del sangue , che divora e sugge ,
Alimento gli porge , onde s* impingua.
Vince , trionfa , e con la man rapace
Depreda il tutto imperioso , e sface.
In ben mille piramidi vedresti
Sorger la fiamma dagli ondosi campi ,
Alzar le punte , ed a quei venti, e questi
Crollar le coma , e scaturirne i lampi.
Tra sì fieri spettacoli , e funesti [pi.
Parche la fiamma ondeggi, e Tonda avvam-
par che tomi alla lite, onde pria nacque ,
Fatto abisso di foco, n ciel dell'acque.
L* eccelse poppe , e le merlate rocche
Son cangiate In feretri , e fatte tombe.
Con rauche voci , e con tremende bocche
Komoreggìan tamburi , e strldou trombe.
Lanciansl 1 dardi, e votansi le cocche,
Vlbransi l'aste , e rotansi le frombe,
Chi muor trafitto, e chi mal vivo languc,
Solcan laceri busti II proprio sangue.
Tremendi casi , la spietata zuffa
Mesce di ferro in un , d'acqua , e di foco.
Oli nei fondo del pelago s* attufla ,
CU del sale spumante è fatto gioco,
71
Chi galleggia risorto, e il flutto sbùmi.
Chi tenta risalir, ma gli vai poco.
Che ricade ferito , ed a versare
Vien di tepido sangue un mar nel mare»
Strepito di minacce, e di querele.
Di percosse, e di scoppi i lidi assorda.
Altri con man delle squarciate vele
S'attien sospeso in aria a qualche corda.
Ma giunto dall'arsura empia e crudele
Vassi a precipitar nell'onda Ingorda,
Onde con strana e miserabil sorte
Prova quattro elementi in una morte.
Or quando più crudel bolle la guerra ,
E va baccando la discordia stolta ,
Quando di qua di là l'onda, e la terra
Tutta è nel sangue , e nell* orrore Involta ;
Ecco del fier Bifronte li tempio serra
Colui che anco il serrò la prima volta.
Placa gli animi alteri , e fa che cada
L' Ira dai cori , e dalla man la spada.
E per fermar con sempre stabil chiodo
La pace che è gran tempo Ita In esigilo ,
Cristina bella In sacrosanto nodo
Stringe del re dei monti al maggior figlio.
Vedrassl II groppo, onde si gloria Rodo ,
Insieme Incatenar la palma, e il gl^o.
E tu di gigli allor, non più di rose
Tesserai , Dea d'amor, trecce amorose.
Già d'età, già di senno, e già cresciuto
Tanto è di forze il giovinetto Augusto,
Che otUcn del pari amabile , e temuto
Vanto di buono , e titolo di giusto.
Ma r orgoglio dei principi abbattuto
Sorge ancor più superbo , e più robusto ,
E il bel regno da lor stracciato a brani
Rassomiglia Atteon tra i propri cani.
Movesl all' armi , e ne va seco armato
Enrico, Il primo fior del regio seme,
Quel, che pur dianzi andò, quasi sdegnato.
Co' men fedeli a collegarsi Insieme.
Sdegno fu, ma fu lieve ; or che allo stato
Del gran cugino alto periglio el teme,
OH sovvien quando è d'uopo In tanta im-
Dl consiglio, d' aluto , e di difesa, [presa
Va con poche armi ad assalir la fronte
Dei nemici dispersi , e II sorprende.
Non vedi Can , che volontarie , e pronte
GII (fisserra le porte, e gli si rende?
Vedi di Sei nel sanguinoso ponte
Quante squadre rubelle a terra stende.
Poi per domar la scellerata setta
Ver l'estrema Blarae 11 campo affiretta.
Cede lo sfono, e r impeto nemico.
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n POEMI
Ingombra NaiTarrin terrore e gelo.
Gli v'entra, e neU* entrarvi il re eh' io
Non men che di valor s' arma di telo, [dico,
Rende ai distrutti altari il culto antico,
A 5è stesso Tonor , la gloria al delo.
Ogni passo è vittoria, ovunque ei vada ,
E vince senza sangue, e senza spada.
Qual uom , che pigro e sonnacchioso
dorme ,
Giace col corpo in sulle piume molli ,
Con l'alma del pensier seguendo l'orme.
Varca fiumi , e foreste , e piani , e colli ;
Tal rivolgendo Adon gli occhi alle forme,
Della cui vista ancor non son satolli ,
Non sa se vede , o pargli di vedere
Tra lumi , ed ombre fanmagini e chimere.
Mentre eh* ei pur dei simulacri accolti
Nel mondo cristallin l'opre rimira.
Del silenzio in tal guisa 1 nodi ha sciolti
L' alto inventor della celeste lira.
Sappi , che dietro a molti corsi e molti
Del gran pianeu che il quart'orbe gira.
Pria che abbia effetto il ver staranno asco-
Le qui tante da te vedute cose. [se
Ma quei successi , che ancor chiude il
L' ho voluto mostrar, come presenti, [fato.
Acciocché miri alcun fatto onorato
Delle più degne e gloriose genti.
EROia.
Fin qui Giove permette , e non m' è dato
Più in là scoprirti del futuri eventL
Or tempo è da fornir l' opra che resta.
Vedi il Sol , che nel mar china la tetta.
Vedi che armata di argentati lampi
Per le campagne del suo dei serene
La stella Inferlor, che ornai degli ampi
Spazi dell' orizzonte il mezzo tiene.
Mentre dell* aria negli aperti campi
A combatter col di la notte viene.
Prende a schierar delle guerriere ardenti
I numerosi eserciti lucenti.
Lungo troppo 11 cammino,e breve è l'ora^
Onde convien sollecitare il passo ,
Per poter, r^ccorclau ogni dimora.
Tornar per 1* orme nostre al mondo basso.
Perocché 11 suo bei lume ha già 1* Aurora
Due Tolte acceso, ed altrettante casso
Da che partimmo, e qui (fuor che a felice
Gente Immortale) il troppo star non lice.
Così Mercurio ; e l'altro allor dintorno
Dove l' occhio il traea , volgendo il piede ,
Le ricche logge dell' albergo adomo
Di parte in parte a contemplar si diede.
E da che prese a tramontare li giorno.
Che ivi all' ombra però giammai non cede
Non seppe mai da tal visu levarse
Finché Taltr* Sliba in oriente apparse.
LA PRIGIONE,
CANTO xin.
ABCOMENTO.
Tenta la maga invan rtrtl profane.
Chi fu , che alla tua lingua, o Zoroastro ,
Concesse in prima autorità cotanta?
Donde apprese 11 tuolngegno adesserma-
Dell* arte detestabile, che incanu ? [stro
L'arte , che contro ogni possanza d* astro
Vincer Natura, e dominar si vanta?
E come ponno iniqui carmi e rei
Dell* inferno , e del del sforzar gli Dei ?
Da qual forza fatai , che gli corregge ,
0 da qual patto son legati e stretti ?
È necessaria, o volontaria legge,
Che si gli rende altrui servi e soggetti?
Quasi chi tutto può, chi tutto regge
Tema d'un uom disubbidire ai detti?
È talento, o timor quel che gli move
Tant* opre a far prodigiose e nove?
Deh quante volle delle lie\i rote.
Che si volgon si ratto intomo ai poli ,
Veduto ha con stupor restarsi immote
Giove l'immense e smisurate moli?
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ADONE.
73
Quante 'fid* egli aHe malTage note
Le Lune in del moltipllcarsi , e I Soli t
Scorrere i tuoni a suo dispetto , e i lampi ,
Scotersi il mondo, e titubarne i campi?
Turbasi al suon de' mormorati accenti
L' ordine delle cose, e si confonde.
Nettun senza procelle, e senza Tenti
Gonfio, i Udi del ciel batte con l'onde.
Fot quando più del mar fremon ^i armenti
Ritira il pie delle vicine sponde;
E rlcunrando in su l' umide fronti
Toraan per l' erta i fiumi ai patri! fonti.
Ogni fera più fera , e più rabbiosa
La soa rabbia addolcisce e disacerba.
Non è leone alder, tigre orgogliosa.
Che non deponga allor l' ira superba.
ViNDita il fiel la serpe velenosa ,
E i HTid' orbi suoi stende per l' erba ;
E smembrala la vipera e divisa
Vive , e rintegra ogni sua parte incisa.
Ma com* è poi, cbe i versi abbian potere
DI separare i più congiunti cori ?
E U commercio reciproco , e II piacere
Santo impedir de'mariuli amori?
Come dell* alme il libero volere
Anco scaldar d'Involontari ardori?
Ed agiUr con empie fiamme insane
DI maligno furor le menti umane?
Falslrena aspettò , cbe piene avesse
Clntia dell' orbe suo le parti sceme ,
Ed opportuno alfln quel tempo elesse,
Cbe congiunte avea già le coma estreme.
E veggendo anco in del le stelle Istesse
Seconde all'arte sua volgersi insieme.
Nel loco usato a celebrar sen venne
De* sacrilegi suoi l' opra solenne.
Sorge nel sen più folto , e più confuso
D' un bosco antico un solitario altare,
D* alti cipressi Incoronato, e chiuso
Là donde il Sole orientale appare,
Aperto a quella parte, ove ba per uso
Depor la luce , ed attuffarsi in mare.
Opaco orror l' ingombra, e lo nasconde
Sotto perpetue tenebre di fronde.
Quivi idoletti vari , e simulacri
L'Innamorata incantatrlce accolse,
E quivi a più color tre vdi sacri
Con caratteri e segni intomo avvolse;
E polche a' membri suoi nove lavacri
D* un' acqua fé' , cbe da tre fonti tolse ,
Oisdnu, e scalza del sinistro piede
U foco , e r ostia ad appresUr si diede.
Con la casta rerbena, il maschio incenso
Le fiamme pria dell'olocausto alluma ,
E di vapor caliginoso e denso
E r ara, e l' aria orribilmente alAima.
Poi di virtutc occulta al nostro senso
Dentro il magico incendio arde e consuma
Mille con falce tronche erbe maligne.
Erbe appena ancor note alle madrigne.
Dello stridulo alloro asperse in esso
Le nere bacche Innanzi di recise.
Della fico selvaggia il latte espresso,
E della felce il seme dia vi mise.
E la radice , eh' ha comune il sesso
Dell' eringe pinosa anco v' Intrise,
E fra gli altri velen , che dentro v' arse ,
La violenta ippomene vi sparse.
Arse r erbe , e le plantead una ad una ,
Sette volte l'alUr drconda intorno.
Tre s' Inginocchia ad adorar la Luna ,
Tre la contrada, ove tramonta 11 giomo.
D' una pecora poi lagosa e bruna
Con la manca tenendo il manco corno
Con la destra II coltd , tra 1 fochi , e i fumi
Trecooto invoca sconosduti Numi.
E mentrechè di Stlge e FlegetontO
L' occulte Deità per nome appella ,
Versa di nero vino un largo fonte
Infra le corna alla dannata agnella.
Non pria però, che dalla fosca fronte
DI lana un fiocco di sua man non svdla ,
E che noi gitti entro le brage ardenti
Quasi primi tributi , e libamenti.
Poscia con ferro acuto apre e ferisce
La golaall'agna , e la trafigge e svena,
E del sangue , che fuor ne scaturisce[na.
Caldo e fumante, un' ampia tazza ha pie-
Con l'estremo del labbro indi il lambisce
Lievemente cod, che 11 gusta appena.
Poi con olio , e con mde in copia grande
Alla madre comune in sen lo spande.
Una colomba ancor vaga e lasdva
Uccise di candor sinrile d latte ,
E poiché quante piume ella vestiva
Tarpate l' ebbe a penna a penna e tratte ,
Donolle in cibo a quella fiamma viva
Finché fùr tutte in cenere disfatte;
Ma prima le legò nell' da manca.
Con rosso fil la calamita bianca.
Ciò fatto, strinse in tre tenaci nodi
Una ciocca di crin , eh' io non so come
Dormendo Adon, con sue sagaci frodi
Gli tolse Ideala dalle bionde chiome.
Sputò tre volte, e in tre diverd modi
Disse r amante suo chiamando a nome i
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74 POEm
Resti legato, né mai più d sdoglla
11 crudo sprezzator d* ogoi mia doglia.
A sembianza di lui di vergin cera
Immagin poi misteriosa ammassa,
E con un stecco di mortella nera
Ben aguzzo e pungente ii cor le passa.
E mentre appo i* arsura atroce e fiera
A poco a poco distillar la lassa.
Dice volgendo ilramoscel del mirto:
Così foco d'amor strugga il suo spirto.
D* ippopotamo un core alfine ha preso.
Nella riva del NQ nato, e nutrito ,
Che della nova Luna al raggi appeso ,
Era alla sua fredd* ombra inaridito;
E di faville oltracocend acceso,
E di spilli acutissimi ferito,
L' agita, il move, il trae come più vole ,
Mormorando tra sé queste parole:
Eccoli cor di colui, eh' io cotant'amo.
Ecco eh' io gli ho sett' aghi in mezzo affissi.
Ecco che il tiro a me poi con quest' amo
Già fabbricalo sotto sette eclissL
Ecco sette carbon fotti dei ramo ,
Che gi4 colse mia madre entro gli abissi.
Desti dal sacro mantice vi aggiungo,
E sette volte intomo intomo il pungo.
Da' sacrifici abominandi ed empj
Cessò la fau, e d parti ciò detto.
Perchè contro colui , che duri scempj
Ognor faoea dei suo piagato petto.
Sperava pur dopo mlH' altri esempi
Di veder nova prova, e novo effetto.
Ma di tante fatiche al vento spese
Alcun fmtto amoroso indamo attese.
E come per magie mai , né per pianti
Sperar potea rimedio a tk gran male ,
Se la Dea degli amori , e degli amanti ,
Che invocava propizia avea rivale ?
Se colei , che ha negU amorosi incanti
Sovrano impero , e potestà fatale ,
Avea malconcia delle piaghe Istesse,
In quel ch'cUa chiedea, tanto Interesse?
Poiché con lungo studio Invan compose
Suggelli , e rombi , e turbini , e figure.
Né seppe mai con queste, ed altre cose
Quelle voglie espugnar rigide e dure.
Tornossi in voci amare, e dolorose
Con Idonia a lagnar di sue sventure.
Lassa (diceale) in che mal punto 11 guardo
Volsi da prima a que' bei raggi , ond' ardo.
Per mia fatai (cred' lo) morte e ruina
Vidi tanta beltà non più veduta.
Infio di quanto U del quaggiù destini
EROia.
Diffidhnente il gran tenor il i
Chi può per molte scosse in balia alpina
Ben robusta piegar quercia barbuta?
Quercia ch'Austro prendendo e Borea a
scherno.
Tocca col capo il cid , col pie 1* inferno ?
Amo statua di neve, anzi di pietra.
Pertinace rigor, fermo desio.
Egli gela alle fiamme , ai pianti impetra.
Né di voglia cangiar mi vogUo anch' lo.
lo non mi pento , ei non però si spetra ,
Guerreggia l' odio suo con l' amor mio.
L' uno In esser nemico , e l' altra amante
Non so chi di noi duo sia più costante.
Veggio moversi 1 monti anco a' miei ver-
Non ammollirsi un' animato sasso. [si ,
Talor dei fiumi indietro il pie conversi ,
Fermar non so d' un fuggitivo il passo.
I mostri umiliai fieri e perdersi ,
Né di un altier garzon l' animo abbasso.
Da me l' inferno Islesso é vinto e domo ,
Né son possente a soggiogare un uomo.
Semino In onda, e fabbrico in arena.
Persuado lo scoglio , e prego il vento.
All'aspe egizio, ed alla tigre armena
Scopro la piaga mia , narro il tormento.
Idei crudel , di cui mi lice appena
Sol la vista goder, di placar tento.
Se far potesse a questa alcun riparo ,
Forse di questa ancor mi fora avaro.
Pregando, amando, lagrimando (ahi
Ottener l' hnpossibile credei. [ folk ! )
Fare una selce impenetrabii molle
Piuttosto che quei core , io sperereL
Quanto più foco in me vede che bolle.
Tanto schernisce più gii afianni mieL
Eppur voiu ad amar bellezze Ingrate,
Di chi mi fa doler prendo pietate.
Né per tante repulse io lascio ancora
Di correr dietro all'ostinate voglie.
Ogni altra donna alfin , che s'innauKNn,
Sebbene il morso all'onestà disdogUe,
Pur sfogando il martir, che l'addolori.
Premio della vergogna. Il piacer coglie.
Io senza akun diletto averne tolto
Sol della propria Infamia il fmtto hocolto.
Vendo la libertà , compro 11 dolore.
Serva son di colui , che in career chiudo,
E pago a prezzo d'anima , e di core
Pianti , e sospir, che il fanno ognor più cru-
Da cosà caldo, e così saldo amore [ do.
Qual mai potrebbe adamantino scudo.
Se non solo qml peUo indir leciro.
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Altrui tenero Corse, a me il duro?
0 bdU c<M, che U cor gl'impiagi,
Fdid quei bcf^ ocdii, onde arde tanto.
Quanto o quanto sarei d'intender vaga
Oli ria costei, che lia di tal grazia il vanto !
Ma di pietra per certo, o d'erba maga
EgU in sé cdia akun possente incanto.
Poiché giOTan ai poco a far che mi ami
Maik tenaci, o magid legami.
Lungamente sospeso (Idonia dice)
Tenuto ha questo dubbio U mio pensiero*
Ma tu che badi ? ed a cui meglio Bce
Spiar di un tal secreto il fatto intero?
Potrai ben tu de' Dati esploratiice
Sforzar ^ abissi a confessarti il vero.
Tu, che ri dotta sei nell'arti ascose^
E sai cotanto dell' oscure cose.
Qui tace, ed ella allor, che ben possiede
Quante ha Tessaglia incognite dottrine.
Non già di Ddo i tripodi richiede.
Non di Delfo ricorre alle cortine ,
Non di Dodooa ai sacri boschi il piede
Volge per suppHcar querce indovine.
Non a qualunque oracolo facondo
Abbia più chiaro, e più famoso il mondo.
Non il moto, e 11 color cura degli esti
Neir ostie investigar del sacrifici.
Né deg^ augei le cai giocondi , o mesti
Secondo il volo, interpretar gli auspicj ,
Né destri , o manchi 1 fulmini celesti
Osserva, o rieno Infausti , o rien felici.
Né q>ecolando va le stelle , e 1 cieli ,
Ma più tacite cose, e più crudeO.
Notte era, allor che dal diurno moto
Ha requie ogiù pensier, tregua ogni duolo.
L'onde giacean, tacean Zefiro, e Noto,
E cedeva 11 quadrante air orinolo ,
Sopia r oom la fatica , Il pesce il nuoto ,
La fera 11 corso, e l' augelletto 11 volo.
Aspettando il tornar del novo lume
0 tra r alghe, o tra i rami, o sulle piume.
Quand* ella prese a proferir possenti
€on lungo mormorio carmi , e parole;
E bisbigliando 1 suoi profani accenti ,
Atti a fermar nel maggior corso 11 Sole,
Il corpo S'Impinguò di quegli unguenti.
Onde Tolar, qual pipistrello suole ,
E per la cui vhtù spesso si é fatta
Cagna, lupa, leonza. Istrice, e gatta, [ro,
Sovra un monton vieppiù che corvo ne-
Che la lana , e la barba ha folu e lunga ,
Monta, ed acconcio ad uso di destriero,
Tool che in brev* ora a Babilonia giunga.
ADONE. u
Quel pia cbe alato folgore lesero
Per r aria va, senza che sprone 11 punga*
Ella alle ooma attienri, e non le lassa.
Cavalca i nembi , e i turbini trapMsa.
Nata tra quel snidano era pur dianai,
E il re d'Assiria aspra discordia e dura ,
E venuti a giornata il giorno innanzi ,
Cohna di morti avean la gran piamm.
Giacean de' busti 1 non curati avaari
Sparri sossopra In orrida mistura,
E gonfio con le coma insanguinate
A lavarri nel mar correa l'Eufrate.
Le campagne dintorno , e le foreste
Son di tronchi insepolti Ingombre e pleM|
Veggionsl tutte In quelle parti e in queste
Porporeggiar le faziose arene^
Fatte d'esca crudel mense funeste
A \vfA Ingordi, ed altre fere oscene.
Che a monte a monte accumulate la terra
Le reliquie a rapir van della guerra.
ila dalla maga , che dal del discendt^
Son le delizie lor turbate e rotle4
Onde lasciate le vivande orrende ,
Fuggon digiune, e timide alle grotte.
Ella di fosche nubi, e fosche bende^
Che raddoppiano tenebre alla notte.
Avvolta il capo, inviluppata i crini,
DI quel tragico pian scorre 1 confiaL
Per que' campi di sangue umidi e tlatf
Vassene col favor dell' ombra ebeta,
E la confuslon di tanti estind
Volge e rivolge tacita e secreta;
E mentre de' cadaveri indistinti,
A cui l'onor del tumulo si ¥Ìeta,
Calcando va le sanguinose membra.
Oscura cosa , e formidabll sembra.
Non so se In vista si tremenda e rea
Là nella notte più profonda e muta
Per la spiaggia di Coleo uscir Medea
L' erbe sacre a raccor fu mai veduta,
Quand' ella già rinnoveilar volea
Del padre di Giason l' età canuta.
Atropo forse sola a lei s' agguaglia
Qualor d'alcun mortai lo stame tag&a.
Scelse un meschin di quella mischia lOf-
Che passato di fresco era di vita. [fa^
Intero 11 volto , Intera avea la strozza^
Ma d* un troncon nel petto ampia ferita.
Se sia guasto il polmon , se rotta o mozza
Sia r aspra arteria , ond' ha la voce usclta«
Prendendo a perscrutar, trova la maga«
Che ha le viscere inUtte , e senza pi^Uia.
Pende U fato da lei di molU ucckL«
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76 POEMI
Che dell' alta sentenza In dubbio stanno ,
E qual di tanti dal mortai divisi
Voglia alla luce rivocar, non sanno.
Se tuo! tutti annodar gli stami incisi ,
ConTien che ceda Tinfeinal tiranno.
E le leggi dell' Èrebo distrutte.
Renda alle spoglie lor l'anime tutte.
Or del misero corpo , a cui prescritta
L* ultima linea ancor non era in sorte ,
Lubrico intomo al collo un laccio gitta ,
E con groppi tenaci il lega forte.
Indi acciocché più lacera e trafitta
Resti la carne ancor dopo la morte ,
Fin dov* entra nel monte un cupo speco
Su per sassi , e per spine il tira seco.
Pendesi il monte in precipizio , e sotto
Apre la cava rupe antro profondo,
Che arriva a Dite , e discosceso e rotto
Vede i confin dell* un e l'altro mondo.
Quivi il mesto cadavere è condotto ,
Loco sacro per uso al culto immondo ,
Nel cui grembo giammai non s' introduce
Se non fatta per arte , ombra di luce.
Neisen , che quasi ancor tepido langue,
Fa nove piaghe allor la man per> ersa ,
Per cui levando il già corrotto sangue ,
Il vivo , e il caldo In vece sua vi versa.
Gli sparge ancora In ogni vena esangue
Bi varie cose poi tempra diversa.
Ciò che di mostruoso unqua, o di tristo
Partorisce Natura, entro v'ha misto.
Della Luna la spuma ella vi mesce ,
La bava, quando in rabbia entra il mastino
E il Ilei vi mette del minuto pesce ,
Che il volo arresta del fugace pino.
Ponvi l'onda del mar quando più cresce,
E di Cariddi il vomito canino ,
E dell' unico augello orientale
Il redivivo cenere immortale.
L'incorruttibil cedro, e l'amaranto,
L* immortai mirra, e il balsamo v' interna ,
La feconda virtù del grano infranto,
E della fera fertile di Lema.
Del fegato di Tizio ancor alquanto.
Che sé medesmo rinascendo etema ,
E del seme del bombice v' ha messo ,
Verme possente a suscitar sé s esso.
Il cerebro dell' aspido vi stilla,
E la midolla del non nato infante ,
E del nido aquilino, onde rapilla.
Vi pon la pietra gravida e sonante.
Hawl V occhio del lince, e le pupilla
Del basilisco, e del dragon volante.
EROia.
Dell' Iena la spina, e la membrana
Della cerasU orribile affricana.
Le polpe del biscion , che nel mar Rosao
Guarda la preziosa margheriu
Infra 1* altre sostanze , e Insieme l' osso
Del libico chelidra anco vi trlu.
La pelle v' é , eh' ha la cornice addosso
Dopo ben nove secoli di vita;
Né vi mancan le viscere col sangue
Del cervo alpin, che divorato ha V angue.
Ferri di ceppi , e pezzi di capestri ,
Fili arrotati di rasoi taglienti.
Punte d'aguzzi chiodi , e sangui , e mestrl
Di donne uccise, e di svenate genti ,
De' fulmini la polve, e degli alpestri
Ghiacci il rigore, e gli aliti de' venti ,
E i sudori del Sol, quand'arde luglio
Vi distempra confusi In un mescuji^io.
V* aggiunse d'Etna 1* orride faville ,
Di Flegra i zolfi , e di Cerauno i fumi.
Del gran Cocito le cocenti stille.
Del pigro Asfalto i fervidi bitumi ,
E di mill' altri ingredienti e mille
Abominande fece, empj sozzumi.
Infamie , e pesti , onde la maga abbonda.
Incorporò nella mistura immonda.
Poiché tai cose tutte Insieme accolte
Nelle fibre, e nel core infuse gli ebbe ,
E dal suo sputo infette altr' erbe molte
Virtuose e mirabili v' accrebbe,
Sovra il corpo incurvossi , e sette volte
Inspirò il fiato a chi risorger debbe.
Al miracolo estremo alfin s' accinse ,
E il proprio spirto ad animarlo astrìnse.
Vestesi pria di tenebrose spoglie.
Poi prende nella man verga nefanda ,
Ed alle chiome , che in sul tergo accoglie ,
Fa d' intrecciate vipere ghirlanda.
Vieppiù che altra efficace Indi discioglie
La fiera voce , che a Pluton comanda,
E move ai detti suoi sommessa e piana
Lingua , che assai discorde é dall' umana.
De' cani imita i queruli latrati ,
Ed esprime de' lupi 1 rauchi suoni ,
Forma i gemiti orrendi , e gli ululati
Delle strigi nottume, e de' buboni,
I fischi de' serpenti infuriati.
Gli spaventosi strepiti de* tuoni ,
Dell'acque il pÌanto,il fremer delle fronde*
Tante voci una voce in sé confonde.
L' acr puro e scren s' ingombra e tigne
A quel parlar di repentina eclisse.
Veggionsi lagrimar stille sanguigne
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ADONE.
77
L' alte hici del elei mobili e fisse ,
Bendò fascia di nubi atre e maligne
Come la terra pur la ricoprisse ,
E le vietasse la fraterna vista.
Della candida Dea la faccia trista.
D(^ i preludi di un susurro interno
Seco pian pian sommormorato alquanto ,
Cominciando a picchiar 1* uscio d' A verno,
In più chiaro tenor distinse li canto.
Tartareo Giove , che del foco etemo
Reggi r impero, e dell* etemo pianto.
Al cuisceUro soggiace, al cui diadema
Tutto il volgo dell' ombre e serve , e trema.
Persefone triforme , Ecate ombrosa ,
Donna dell* Orco pallido , e profondo ,
Al più crudo fralel congiunto in sposa
De' tre monarchi , ond* è diviso il mondo.
Notte gelida, pigra, e tenebrosa,
Figlia del Cao confuso ed infecondo.
Umida madre del tranquillo Dio,
DeU'orror, de] silenzio, e dell' oblio.
Dive fatali, e rigorosi Numi,
Che sedete a filar l' umane vite,
£ novo stame a chi già chiusi ha i lumi
Fer di novo spezzario , ancora ordite.
Codto, e tutti voi perduti fiumi.
Voi che irrigate la citU di Dite.
Dolenti case, antri nemici al Sole,
Aprite U passo all' alte mie parole :
0 regi , e voi delle malnate genti
Conosdtorì, ed arbitri severi ,
Che a giusti , e dei fallir degni tormenti
Condannate gli spirti iniqui e neri.
E voi ministre ai miseri nocenti
Di supplici , di strazj acerbi e fieri ,
Vergini orrende, che gli stig] lidi
Fate sonar di disperati stridi ;
E tu vecchio nocchier , che altrui fai
A quelle reglon malvage e crude , [scorta
Solcando l' onda ognor livida e smorta
Della bollente e fetida palude.
E tu vorace can , che in sulla porU
Della gran reggia , ove ogni mal si chiude ,
Perchè chi v* entra più non n* esca mai ,
Con tre bocche , e sei iud in guardia stai.
Se voi sovente ne' miei sacri versi
Con labbra pur contaminate invoco.
Se mai di sangue uman grate v* offersi,
-Vittime Impure in esecrabii foco ,
Se la mint^gia dei bambln dispersi ,
E dal materno sen tratti di poco.
Posi gli aborti in sulla mensa ria,
Asiistete propizi all'opra mia.
Già ritor non pretendo al regni vostri
Le possedute , e ben dovute prede ,
Né spirto avvezzo a conversar tra mostri
Per lungo tempo , oggi per me si chiede.
Quel che dimando, de* temuti chiostri
Pose pur dlanri in sulle soglie il piede ,
E di questa vital luce serena
Ha quasi 1 raggi abbandonati appena.
Non nego a Morte sua ragion , né deggio
Del giusto dritto defraudar Natura.
Sol delle stelle , e non del Sol vi chegglo
Si conceda a costui pìccola usura.
Godan quegli occhi , che velati or veggio
Di caligine cieca, e d'ombra oscura.
Poiché per sempre pur chiuder gli deve ,
Di poca luce un' intervallo breve.
Odi spirito ignudo, anima errante,
Odi , e ritorna al tuo compagno antico.
Solo qual sia 1* amor, qual sia l' amante
Rivela a me del mio cmdel nemico.
Riedi subito al loco, ove eri innante.
Dato die avrai risposta a quant* io dico.
Ritorna alma raminga , e fugg^itiva ,
Rivesti il manto , e il tuo consorte avviva.
Ciò detto , non lontan mira, ed ascolta
Del trafitto guerrier 1* ombra che geme ,
Perchè del career primo , onde fu tolta ,
Tra' nodi rientrar paventa e teme,
E nei petto squarciato un'altra volta
Riabitar dopo l' essequie estreme.
Chi fin laggiù ( prorompe ) in riva a Lete
Mi turba ancor la misera quiete?
Lasso , e chi della spoglia , ond' io son
carco.
L'odiato peso a sostener m'affretta?
Dunque contro il destin severo e parco
Il fil tronco a saldar Cloto è costretta?
Deh eh' io ritorni per l'ombroso varco
Alla requie interrotta or si permetU.
Miser, qual fato sì mi sforza e lega ,
Che di poter morire anco mi nega?
Ch' ei sia sì poco ad ubbidir veloce
La donna spiritai disdegno prende ,
Onde con sferza rigida e feroce
Di viva serpe il morto corpo offende.
Poi con più alta , e più terribil voce
Solleva il grido, che sotterra scende,
E penetrando l più profondi orrori
Minaccia all' alma rea pene maggiori.
Su su che tardi ad informar quest' ossa?
Qual più forte scongiuro ancora attendi?
Credi , che nell' abisso , e nella fossa
Non ti sappia arrivar, se mei iu)ntendi?
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78 POEMI
0 che esprimer <fiie' bobì or or non possa
Inuditi , ineffabili , tremendi ,
Che ▼cnir ti teanae a me datante
CSòcli' io f hapoBgo , ad eseguir treman-
Megera, e toì deHa spfietau suora [te?
Suore ben degne, e degne Dee del nàie,
M* udite? a cui pari' lo? tanta cHmoni
Dunqne tI Kce? e si di me ?! cale?
E ami Tenite ? e non traete ancora
Fuor del penoso baratro Infemalo
Da serpenti agitata , e da facelle ,
L' alma infelice a riveder le stelle?
lo Ti farò delle magion notti^ne
A fona uscir di scosse, e di flagellL
Vi seguirò per ceneri , e per urne.
Vi scaccerò da* roglii , e dagli areUI.
Sarete toì si sorde e taciturne,
Quand* io co' propri titoli T'appelli?
0 con note più fiere ed esecrande
loTocar deggio pur quel nome grande?
A lai detti ( o prodigio ! ) ecco repente
U sangue intepidir gelido e duro,
E le Tene irrigar d'umor corrente.
Che gi4 pur dianzi irrigidite furo,
Rlplen di spirto, e d'alito vivente
MoTesi già rimmobil corpo oscuro.
Già già palpiu il petto, ed ogni fibra
Me' freddi polsi si dibatte e Tibra.
I nenri stende a poco a poco, e sorge,
E comincia ad aprir l' egre palpebre.
Tornali calor, ma somministra e porge
Alle guance un color, cb' è pur funebre.
Pallidezza si fatu in lui si scorge.
Che somiglia squallor sì lunga febre ;
E con la morte ancor confusa e mista
Giostra la vita , che pian pian racquista.
DI' di' (die' ellaallor)percuÌBÌ strugge
Colui , per cui mi struggo ? alzati , e dillo.
Qual il cor fiamma gli consuma e sugge?
Qual laccio il prese ? e quale strai feriUo ?
Dimmi , ond* avvlen , che più m' aborre e
fugge, [Io?
Quant' io più 11 seguo , e più per lui sfavil-
Se fia mal che si muti , e quando , e come
Narra, e dimmi del tutto 11 loco, e il nome.
Se avverrà , che tu eh laro il ver mi sco-
Non come fan gli oracoli dubbiosi, [pra.
Degna mercè riceverai dell' opra
In virtù de' miei versi imperiosi.
Farò , che più non tornerai di sopra ,
Né più verrà chi rompa i tuoi riposL
Da chiunque incantar ti vorrà mal
FriBco per tutti i secoli sarat
EBOICL
Cosigli (fice , e carme aggiunge a qne«
sto.
Per cui quait' ella vuol , saver gK ha dato.
Quei sparge alfine un flebil snono e mesto ,
Articolando in tal favella il fiato: [nesto.
Non io , non già nel mondo empio e fii-
Donde , giunto pur or , son richiamato ,
Delle Parche mirai gli atri secreti.
Né vi lessi del Fato i gran decreti.
Pur quanto sostener potè il brer* oso
D' una fugace e momenUnea vita.
Dirò dò che d'udirne oggi laggiuso
Bfi fu permesso innanzi alla partita.
Oggi ho di quel , eh' a tua notizlaè chiuso.
Dall' empia Gelosia l'istoria udita;
Dall' empia Gelosia , furia perversa ,
Che con l' altre taior furie conversa.
Disse, che il bel garzon , eh' a te si plae*
E chedeir amor tuo cura non piglia, [qne.
Dal re di Cipro è generato , e nacque
Per fraude già dell' Impudica figlia.
Ama la bella Dea nata dell' acque ,
Ella solo il protegge, ella il consiglia;
E sebben or se n' allontana e parte ,
Ama pur tanto lui , che n' odia Marte.
Marte di sdegno acceso, e di furore
Morte già gli minaccia acerba e rea;
Onde se è l'amor tuo sterile amore ,
Infausto anco è l' amor di Citerei.
Volger ricusa alle tue fiamme il core.
Perchè fissa vi t&en l'amata Dea.
Poi cotai gemma lo difende e guarda ,
Ch'esser non può, clie d'altro foco egli
arda.
E poiché tu con fiero abuso e rio
Dell' arti tue mi togli ai regni bassi,
E per un curioso , e van desio
Fai che Stige di novo a forza io pasri ,
Né men crudel, che all' alma, al corpo mio.
Ucciso ancor, d' uccidermi non lassi ,
Ascolu pur , eh' io voglio ora scoprirti
Quel che non intendea prima di dlrtL
Permette il giusto elei per questo sceiB-
E per r audacia sol del tuo peccato , [pio.
Che osò con strano e non udito esemplo
Sforzar Natura , e violare 11 Fato ,
Che non s* adempia mai del tuo cor empie-
11 malvagio appetito e scellerato.
Né te r amato bene amerà mal ,
Né tu del bene amato unqua godrai.
Più non diss' egli , e ciò la maga udito.
Di geloso dispetto ebbra s'accese,
E il busto in negra pira incenerito,
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ADONE.
7»
AJio più di Biorlr non gli contese.
Riteraò par quel misero ferito
Poicbè a terra ricadde, e si distese.
Mandando F ombra alle tartaree porte,
Dopo dne vite aila seconda morte.
Ma già ri apre ii giardindelP Orizionte,
Già Qori fl del di fresche rose infiora ,
Già l' OrTente n piano intomo, e il monte
D' ostro , e di luce imporpora ed indora ;
E già con l' Alba a pie , col Giorno in fronte
Sovra un nembo di folgori 1* Aurora
Per l'aperte del eie! fiorite rie
Fa le stelle fuggir dinanzi al die.
CHIABRERA.
DELLE GUERRE DE' GOTL
CANTO VIL
ARGOMENTO.
Staso è Ridolfo al piano , a FUtìs ardita
L'alma dal brando di Vitellio è sciolta :
Getalio cerca Idalia, a cui la vita
Titellio die, ma Uberute ha tolta :
Poi da an latin guerrìer, che sua ferita
Terge nel flnme, ot* è sua donna ascolta.
L'ano all'altro in amor snoi casi espone»
Notte a VitflUio vinótor s'oppone.
Qnal n mostro, eh' aver mirò Tessaglia
L'umane membra aUe ferine inneste ,
Pria cbe dappresso 1* inimico assaglia , '
Fa col corso tremar monti , e foreste;
Cotal a rinfrescar l'aspra battaglia
Venia correndo il cavaller celeste ,
E volgendo la vUta ai fier sembianti ,
StaTan da longe i l>arbari tremanti.
Ed ei doTunque i torbid* occhi gira.
Vede il campo d* Italia in fuga , e vinto,
E par dappresso, e sotto i pie si mira ,
Del sangue amico ogni sentier dipinto.
AHor s^affretU dal dolor, dall* ira ,
Alla vendetta, alla vittoria spinto.
Né prima 1 corso agl'inimici appressa,
Che la primiera gente in fuga è messa.
Né spinto in mezzo poi forze nimiche
Men caduche ritrova a suol furori ,
Che qua! fendendo le campagne apriche.
Parte l'aratro languidetti i fiori;
0 qual troncar le biancheggianti q>iche
Suol mietitor sotto gli estivi ardori ,
Egli in vendetta degli amici offesi ,
Partia l' mnane membra, e i duri arnesi.
n duce allor, che l'infinita gente «
Imperioso alla battaglia guida.
Tutto di sdegno, e di vergogna ardente,
Crolla le tempie , alza le mani , e grida :
0 pur or vinci tor, come repente
É eh' un sol vi disperda? nn sol v' andda?
Deh qual altra vittoria unqua sperate,
S' ai colpi d' una destra in fuga andate?
Ciò detto il tergo segna al cavaliero.
Per averlo al ferir fuor di sospetto ;
Ma fatto accorto del rillan pensiero.
Volge Vitellio, e gli appresenta il petto;
E '1 ferro alzando al sommo del dmieroii
Fende il capo, e la gola entro l'elmetto;
Che con l' intiere tempie , e con le gote
Su ciascun fianco gelido percote.
Or come al gran guerrier l'alma disciolta
Vede fredda lasciar l' arme , e la viu ,
Sua salute la gente In fuga volu
Commette al corso 'pallida, e smarrita;
Né più la voce delle trombe ascolu ,
Ch' alto sonando alla battaglia invita;
Né v' ha chi prenda scorno, o si disdegne,
Senza difese rimirar l'insegne.
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80 POEMI
Gli elmi indorati , e gr Indorati scudi
Temprati gii con sommo studio, e cura,
Gettansi a piedi » e se ne vanno ignudi
Da viitade sospinti , e da paura.
Sol tu ritolU a feminlU studj.
Ed usa air arte di milizia dura,
ProTasti, Flavia, In guerreggiar diletto,
Vergine orrenda, e rivolgesti li petto.
Costei là fra Sanniti aspro paese
Nacque del Tronto alla gelata riva ,
E gli anni molli in rigide opre spese ,
D' agi soavi , e di delizie schiva ;
Spiegò le reti , e 1 lacci , e V arco tese ,
Né senza gloria cacciatrice ardiva ,
Ch* entro le selve spaventosa all'orso
Lieve cervetu faticava II corso.
Quivi assetata , ed arsa al fiume bebbe ,
E posò stanca in su la dura terra ,
E r alterezza delle spoglie eli' ebbe
Sol dalle fere, che tra monti atterra; [be
Ma poi, che 'I mondo odiò la pace, e creb-
L'Ira, ed Italia surse armau In guerra.
Volta a più chiare imprese il suo pensiero.
L'arme vestì contra 'I romano Impero.
Né fra I guerrier, che '1 barbaro racco-
Destra più certa, e più crudel feria, [glie.
Né fra cotante sanguinose voglie
Ardeva voglia più superba, e ria ; [glie.
Ed or che *n fuga il piede ogni uom disclo-
EUa non gi4 l'alu virtude obblia,
Ma disdegnosa 11 cavalier disfida,
E con orrlbll suon contra gli grida :
A che vii turba alla vii fuga avvezza
Cacci, che vita, e non la gloria brama?
Dunque nel sangue di chi l'odia, e sprezza.
Speri il merto trovar d' Immortai fama 1
Se cerchi vero onor di tua fierezza,
Rivolgi l'armi a chi t'attende, e chiama.
Così dicendo al fiero assalto mosse,
E con alto furor l'elmo percosse. [te.
Quel come ferro entro la fiamma arden-
Mille chiare faville al cielo ha sparte.
Ella I colpi raddoppia, e fieramente
Batte l'aurato scudo, e gllel diparte,
Ei , che dianzi le voci , e pur or sente
L'opere altiere nel mestier di Marte,
Sdegnoso che sul fine altri contende
La sua vittoria, di furor s'accende.
E là 've cerchio di metallo cigne
La gola, e preme l'amorosa neve,
La vincitrice spada Immerge , e spigne ,
Cb' entro 'I bel latte II purosangue beve ;
L' alma cui dura angoscia assale, e strlgne,
EROia.
Vassene al quinto del rapida, e lieve;
E morte rea la bella guancia oscura.
Che con tant'arte già formò natura.
Presso '1 cader della guerriera forte
Una v'avea delle donzelle armate.
Che seguita d' Arpallce la sorte
Spendeano h) arme la fiofita etate.
Costei scorgendo da vicin la morte.
Ebbe degli anni suol giusta pietate,
E ratta discendendo dal destriero.
Umilmente inchinossi al cavaliero.
Vlncea la neve il leggladretto volto,
Vincea la rosa di gentil colore,
E l'oro della chioma Iva dlsclolto,
E gli occhi fiammeggiavano d' amore :
Mira 11 campo, die' ella, in fuga volto,
0 nobil cavalier, dal tuo valore;
Omai poco di gloria agglugner puoi
Col sangue d' una donna agli onor tuoi.
Per la tua destra gloriosa ardila ,
Pel tuo valor, per la tua nobil fede ,
Per la vittoria, eh' a pugnar t'invita.
Comparti ad una vergine mercede;
Sospendi 'i braccio, e mia giovenll vlta-
Riponl , o cavalier, fra le tue prede,
E per umil tua serva mi destina,
0 chiedi gran tesor da mia regina.
Cosi pregava, e i begli occhi tremanti
Volgea pieni d' affanno, e di tormento.
Sì ch'ai detti soavi , ed al sembianti,
Ch'a lei dettava l' ultimo spavento,
• L' ira del cavalier non corse avanti ,
Benché alle piaghe, ed alle morti Intanto ;
Ma sotto nobil guardia eì la commise.
Indi spronò sopra le schiere ancise.
Benché di tanti popoli confuso
Fumasse il campo d'ogni orror funesto.
Il caso di costei non però chiuso
Fu colà , dove esser dovea molesto ;
Che pronto Amor, siccome ei tien per uso.
Il fece ad un suo servo manifesto.
Getulio, che da lei gli occhi non torse ,
Tutto rimira di sua vita in forse.
Ei ben lieto riman di sua salute.
Ma pur si duol , che le bellezze amste
A suoi martiri , a suoi dislr dovute ,
Cieca Fortuna in strana forza ha date.
Né potendo sperar tanta vlrtute,
E nell'uccislon tanta pietate;
Sopra r altera cortesia pensoso,
A passo a passo el ne divien geloso.
E così quel mortifero veleno
Amaramente gli circonda il core.
L
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DELLE GUERBE DE* GOTI. 81
Gbe in profondo pensiero ei venia meno, | Dall* empia , e sempre dura lontananza.
Vinto d* insopportabile dolore.
Pur aifin sprona, ed abbandona il freno,
E volge in quella parte il corridore ,
Per onde ei rimirò, che menata era
La bella, e dislata prigioniera.
Ma il moto di quei popoli infinito.
Che discorreano in cosi spessi girl.
Ed or un feritore , ora un ferito.
Diede tanto d* indugio a* suoi disiri ,
Ch*ei nulla scorge dalla pugna uscito,
G>niecbesi rivolga, e che si miri,
Sebben loco non v*ha, dov*ei non spii.
Ove no n guardo, ove non rocchio invii.
Adunque ove dcstin non gli consente ,
La donna ritrovar del suo dolore ,
Più non gli cai, più non gli torna a mente
L'arme, la guerra, o'I barbaro signore.
Solo si vuol , solo disia dolente
Loco segreto a disfogar il core.
Cosi sen va poco da lungc , dove
Tra r ombre il fiume a lento corso move.
Quivi discende, e mentre gira il piede
A cercar solitario ermo ricetto.
Tutto pensoso, e disarmato vede
Giovine d* anni un cavalier soletto.
Egli sull'erba in riva al fiume siede
Grave d' una percossa a mezzo *1 petto,
E con la man va procurando aita ,
E con r onda corrente alla ferita.
0 cavalier, che sia vaghezza , o sìa
Destin qui, dice, a guerreggiar sei giunto,
E eh* or s' io guardo, empia Fortuna, e ria
V ave pur meco nel dolor congiunto ;
Io , se l'opera mia grave non fia ,
La ti prometto infin da questo punto;
Ma tu, se '1 favellar non t'è tormento,
Di tua condizion fammi contento.
E quei le luci al cavalier converse
Tmto di passion ne' suoi sembianti :
Tenne le labbia , e fin che non l' aperse ,
Sparse fuore sospiri , e sparse pianti.
Indi rispose : Uom di fortune avverse
Fortuna avversa t'ha condotto avanti,
E mal richiedi , se piacer non hai ,
D'udir, guerrier, aspre miserie, e guai.
Ma se costume naturai ti sprona ,
Per diletto a spiar dell'altrui pene;
Io pur dirò, che quanto ne ragiona.
Tanto ne gode il cor, che le sostiene.
Cosi l'alta beiti , che le cagiona ,
Volgesse qui le luci alme serene ,
E mirasse la pena, che m'avanza.
Là dove il mar, che da* Tirreni prende
n nome, Ilalia in sull'estremo inonda;
Sotto l' altiero monte , che difende
Il freddo Dorca all' arenosa sponda :
Savona all'acque angusta falda stende,
Savona sempre di beltà feconda ;
In quelle piaggie, in que' bel liti adorni,
Ebb' io , signor, nascendo 1 primi giorni.
Appena nato, a' duri miei tormenti
Sorte volle adoprar di sua fierezza;
Mi negò le lusinghe dei parenti ,
Mi pose in risse , m'involò ricchezza.
Amore alfin con le sue fiamme ardenti
Servo mi fc' d'una crudel bellezza.
Per modo che nò forza , né desio
Ebbi poscia giammai d'esser più mio.
Cosi dolente mi distrussi , ed arsi
Tutto lo spazio della verde e tate :
Gridi , sospiri dal profondo sparsi ,
Ebbi le guancie pallide, e bagnate;
E pur quegli occhi avaramente scarsi
Mi negarono un guardo di pletate.
Nò sulla bella fronte altro mal lessi ,
Glie duri strazj , e che tormenti espressi.
Tanto peso di affaimo, e di martire.
Tante si lunghe feritadl estreme.
Non ben poteansi con ragion soffrire.
Senza alcun refrigerio, e senza speme.
Però la mia miseria , e '1 mio disire
Venne palese, e la caglon insieme,
E tutto '1 mondo a riguardar si diede
La sua dura alterezza , e la mia fede.
Ed ella vergognando al suo bel volto
Farsi palese un amator sì vile.
Nel domestico albergo ebbe sepolto
L' almo splendor della beltà gentile.
Né pel tempo avvenir poco, né molto
Si fu pentita dell' appreso stile ,
Nò giammai poscia io rimirar potei
Pur disdegnoso il sol degli occhi miei.
Allor feci pensier, benché dolente,
D'abbandonar quelle dilette arene ,
Pensando sol , eh' al ritornar, la gente
Gli occhi non avrla volti alle mie pene.
Così mi mossi entro la fiamma ardente,
Traendo dietro pur ceppi , e catene ;
E con angoscia, e con pensier di morte.
In Tracia venni alla romana corte.
Quivi é soverchio il dir del mio dolore.
Se per prova l' amor conosciuto hai.
Ma se delle sue piaghe hai sano '1 core ,
Che giova il dir ? noi crederai gianmiaL
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ss POEMI
L'estrema passlon d'un che si more,
One* rei sospir, que* rei luartir, que' guai,
£ quella pena tormentosa, e ria.
M'erano al cor, che Tolenticr sofTrìa.
Marte feroce indi discordia accese
Vago dell'opre sanguinose , e crude.
Ciascun destossi a perigliose imprese.
Per trame gloria, e per mostrar virlude :
10 lieto me ne corsi al bei paese ,
Ot' è la patria, che il mio ben rinchiude.
Sperandomi da lunge al suo bel ciglio
Passar men grave il doloroso esigilo.
Ma dura sorte , che di trarre è vaga
A fin acerbo la mia vita rea ,
Vuol , che di Marte ancor senta la plaga
11 cor, che pur quella d' amor piangea ;
Ma se ben di suo cibo or non l' appaga
La speme , che dappresso mi pascea :
Non però nel pensiero altro mai viene ,
Fuor che Liguria , e le paterne arene.
Tal mi son peregrìn , ed al ritomo
Veggio, che morte omal la via mi serra.
Ma tu chi se', che pur con l'armi intorno
Spendi in riposo l'ore della guerra?
Getulio il guardo di pietate adorno
Sospirando piegò verso la terra ,
E poi di nuovo nel guerriero il fisse.
Ed a lui rispondendo così disse :
Perchè tu sappia , che con cor pietoso
Sono stati raccolti i dolor tuoi ,
Saprai , eh* io son nel carcere amoroso ,
E provo duri i reggimenti suol.
Ma perchè nel mio stato aspro, e noioso
Alquanto di quiete arrecar puoi ,
Prego, eh' a consolar l'empia mia doglia
Pietosamente adoperarti voglia.
Dianzi pugnando aml>e le genti armate
Prigioniera n'andò la donna mia;
Ned ebbi di disciorla potestate ,
Sì trovai nel venir chiusa la via.
Or s'io posso riporla in liberiate.
Chi più felice, e fortunato fiat
Ma porla in libertate indarno lo spero.
Se conteixa non ho del cavaliero.
El con moro destriero in guerra venne,
Qie sol la fronte ha colorita in bianco;
Sopra 1 cimiero ha tre purpuree penne ;
E d'ostro fascia l'uno, e l'altro fianco.
Di cotanto valor, che sol sostenne
Le schiere avverse coraggioso, e franco;
Né d' alcun* altra destra anco vedute
Sono opre in arme di sì gran virtute.
Tn, chi nel campo dei Latin fai nido,
EROICI.
E con lor passi coli' esilio gli anni,
E saper devi i cavaller di grido,
E 'I nome loro rinvenir ai panni ;
Deh mi noma costui , che s' io *1 disfida
Troverò '1 fin degli amorosi aOanni ,
Che vincitor, la donna mia disciolta ,
Vinto, mia pena col morir fia tolta.
E quel Latin , che *1 cavalier sovrano
Avea raccolto a manifesto segno.
Grida : Oh che forte, oh che feroce mano,
T invola, amico, il caro tuo sostegno : [no
Non ha'l campo stranier, non ha*i Roma-
Di lui pugnando cavalier più degno.
Ed esser può, che l'armi, e la battaglia
Seco vie men , che *1 ripregar ti vaglia.
Pur oggi al mondo il terzo di risplende,
Ch'ei n'apparse solingo In sul mattino;
Chi '1 mandasse fra noi nulla s' intende.
Ma dall' Etrurìa ei mosse peregrino.
Solo Narsete del suo dir contende ,
Ch' a noi discenda messaggier divUio,
E quinci a lui commesso ha finalmente
Il governo dell'armi e della gente.
Egli a fermar nostra fortuna a>Tersa
Promette alto destin di sua persona «
E che vostra possanza andrà dispersa ,
Come di cosa certa altrui ragiona.
E certo se destin non s'attraversa,
11 bel regno d' Italia or v'abbandona ,
E Roma nostra, in che fermaste albergo»
Vinti vedrawi, e con le braccia al tergo.
E se *1 mio detto, e la credenza è vera,
Sian testimonio i tuoi medesmi lumi.
Veduto hai folgorar la destra altiera ,
N' hai rimirati i sanguinosi fiumi.
Questi si tien l'amaU tua guerriera.
Amico, per cui piagni , e ti consumi ,
E porti di martir sì gravi some :
Se '1 nome chiedi, ei di Vitellio ha'l nome»
Ei così gli rispose , e tenne alquanto
Getulio a terra nubiloso il ciglio.
Indi soggiunse : E verità sia quanto
Del mio ragioni , e del comun periglio;
Pensi 1 re nostro a sue fortune , intanto
D'Amore io solo prenderò consiglio ;
Ma la preghiera mia non ti sia greve
Per la pieU , che agli amator si deve.
Si tosto, come se' tornato in campo,
Se pace , se conforto Amor ti dia;
Trova la donna , del cui viso avvampo,
Sebben in sorte dispietata, e ria;
E dille tu per me , come al suo scampa
La fedel opra di Getulio fia.
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DELLE GUERRE DE* GOTI.
83
E che la servitù non le rincresca ,
Finché col noTo di l'alba se n'esca.
Cosi detto riprende il suo destriero
Rtrolgendo la mente alla partita ,
E ne porge la briglia al caTaiiero,
Cui grato esser dovea per la ferita :
E dice : Ornai vien notte all'emispero,
E n sol partito a dipartir n'inriU;
Monta in ardon , che sì piagato, e lasso,
Difficilmente moveresti i passo.
Ed egli alfln dopo, eh' invan contese
Con bel parlar di gentilezza adomo.
Pigliò '1 destrier del caralier cortese
Ed al campo d' Italia fé' ritorno.
Getolio poi , che dalle stelle accese
Mirò dal mondo ornai bandirsi 1 giorno ,
Nulla col ferro ei più curò provarsi
A prò dei Goti fuggitivi , e sparsi.
Ma non ViteUio il gran furore affrena,
Sebben lo stuol avverso in fuga è volto ;
E sebben cieca notte in giro mena
Ornai SQO carro, e 'I più vedere è tolto.
Già di gran tronchi la foresu è piena,
E d'atro sangue è tutto '1 campo involto.
Ed d pur su gli estinti , e su i mal vivi ,
Batte con l'arme il tergo ai fuggitivi.
Qual il gran fiume, dove ancor sospira
Febo sul caso di Fetonte indegno.
Se per nevi disciolte unqua s'adira,
E '1 freno usato ha delle rive a sdegno;
Ondeggia altiero in gran diluvio, e tira
Seco a basso ogni sponda, ogni ritegno,
E selve, e paschi, e ciò, che trova intomo
Ne porta il mar sopra l' orribil corno ;
Tal su lo stuol, che gli fuggiva innanti.
Alto fremendo il gran guerrier correa ,
E calpestando or cavalieri , or fanti
Spegiiea la gente scellerata , e rea.
Sotto il fier ciglio, e sotto 1 fier sembianti
Il fiero sguardo minaccioso ardea,
E dal gran scudo, e dal grand' elmo e fuore
Dal grandi usberghi sfavillava orrore.
Per entro '1 sangue, che ne giva erran-
Eransuoi fregj d' atre macchie offesi ; [do.
Sangue gli spron, sangue vedeasi il bran-
E sangue tutti distillar gli amesi. [do.
Se cieca notte dall' Ibero alzando
Non ingombrava allor tutti i paesi ,
Franca era Italia : ma pei ciechi orrori
Interruppe Yitellio i suoi furorié
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84
POEMI EROia.
BRACCIOLINI-
LA CROCE CONQUISTATA
LIBRO TERZO.
ARGOMENTO.
Segne Tcodor a far palesi , e chiari
De greroi piti famosi i nomi, e Topre,
E d'Elisa, e d'Alcesie i casi amari
Con dolci note al saggio Artemio scopre;
E cosi ne* diletti altrui s) cari
Mostra, quanti travagli il mondo copre,
E che in messo del riso aspro dolore
Sempre si mesce a tormentare il core.
Signor , que* due della seconda coppia
( Ricominciò Teodor) son capitani
Di gente greca , e ben l' un 1* altro accop-
D* animo invitti , e di valor sovrani , [pia
Virtù , che fuor naturalmente scoppia ,
Né lascia i cor gentil parer villani ,
Ben mostra in lor con manifesta luce
La nobiltà dell* uno, e T altro duce.
Quel da man destra , a cui sì lunga , e
bionda
La chioma è sparsa in sul lucente usbergo,
E quasi un fiume d*or, che si diffonda.
Riga armato d* acdar V omero, e *1 tergo ,
Cleanto è detto , e* n su la verde sponda
Dei ludd' Ebro ha 'I suo nativo albergo.
Nacque de i re di Tracia , ed egli i segni
Muove di tre provincle, anzi tre regni.
Sono i primi, e ben forti i propri Traci,
Per sua ferocità squadra temuta.
1 Macedoni poi, di pari audaci.
Ma vie più lor la disciplina aiuta.
Tersi i Dardani sono , e i feri Dad.
Che nessun per onor marte rifiuta,
E quel di Ponto , e di Dalmazia mesce
Con questi insieme , e la falange accresce.
Sono a pie diecimila , e novecento
Ne conduce a cavallo, e di lor porta
Famosa insegna un' aquila d' argento,
Ch* un altr* aquila tien nell' uDgbia toru ,
Che *1 sangue ha sparso , e le sue piume al
vento
Dall'artiglio maggior ferìU , e mona.
Per dinotar, che rimarrà dbperso
Dall' imperio romano il regno perso.
Vedi 1* altro a man manca , e più raccolto
Su '1 tergo ha '1 collo , e più le spalle aper-
Ed ha brune le chiome, e fosco il volto, [te.
Quegli onor della guerra è Poliperte ;
Trae d'Atene il natal , paese incolto ,
Fatti sono i giardin piagge diserte «
E di tanti edifld in fra l'arena
Riman dal tempo alcun vestigio a pena.
Ma se caggion le mura, e strazio indegno
Fa d' ogn' opra di man la lunga etade,
A mai grado suo pur prova d' ingegno
Fabbrica di scrittor giammai non cade.
Nelle carte fondau ha viu, e regno.
Se rovina nel suol l'alta clttade,
E mancar si vedranno ai sole i ni
Pria, che manchi d' Atene il grido mai.
E non sol Poliperte Atene admu.
Ma l'Epiro, e l' Acaia. All'Oriente
Dell'incolte Provincie esposta è l' una.
Guarda l'altra a Corfù verso Ocddente.
Non può nulla temer l'irsuu , e bruna
Per li monti Cerauni avvezza gente;
Che le fere soiea di balza in balza
Saettando seguir leggiera, e acalxa.
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LA CROCE CONQUISTATA.
85
Tratti poi fuor del cm u;»o , e *nsieine ac-
DaUa tromba medesima conduce [colti
Quei del Pdoponnesm , e seguon molti
L'ardito suon del fortunato duce«
E più altri di lor sparsi , e disdolti
Là per l'isole Egee chiama, e riduce
Lhbo^ e Creu concorre, e Negroponte
E k minute Qdadi : ma pronte.
Quasi a pie tutu è la sua gente greca 9
Ma grave d* armi , e d* animo costante,
Sì cb* a danno minor morte s'arreca.
Che torcer mai dal suo dover le piante.
Porta ei per segno una dentata seca ,
Che roder tenu un lucido diamante.
Né pur vi lascia alcuna nota impressa,
E non potendo a lui , noce a sé stessa.
Dodicimila il caplUn condutti
Tra pedoni e cavalli avea da prima,
Ma son g{4 quasi alla metà ridutti
Tanto il ferro, e l'età distrugge, e lima.
Son più d'ogn' altro a franger mura in-
Ne' duri assalti, e salir loro in cima,[8trutti
Né torre è mai , che resistenza faccia
Lungamente al crollar delle lor braccia.
Pon mente ai terzi , e ciaschedun lor fre-
Vedi Italico ornar dell' armi il pondo ; [gio
Triface è 1* un per chiare prove egr^o
Gentil di spirto, e di parlar facondo.
SuU' Amo è nato , o v* ei più raro ha '1 pre-
Delle note d' Etruria, e puro,e mondo[gÌo,
Corre con lento pie, che lo rattiene
De' cigni il canto alle famose arene.
Di membra è snello, e sovra i pieveloce
Nei corso a pena imprime d'orme 11 lito;
Fervido di voler, di cor feroce.
Ardito si , ma cautamente ardito.
Né del nettare d' Ibla ha la sua voce
Men soave concento, e men gradito.
Se va, se sta, s'egli ragiona, o tace
Hasempreunnon so che, che s'ama, e pia-
Di concorde voler da lui condutti [ce.
Van gì* lulici seco , i qua* partirò
Con varie insegne, e non volean ridutti
Andar sott' una , e 'n ritrosir s* udirò ,
Ma proposto Triface ei solo a tutti
Per duce piacque, ei sotto a lui s'unirò.
Ed ei sì dolce or gli governa, e regge,
Ch* amore é '1 freno, e volontà la legge.
Novemila ne regge , e ne raccoglie
Di quelli anco di là dal varco angusto ,
Ch* é fra ScilU , e Cariddi , onde si sclogUe
Da Leucote Peloro , e '1 monte adusto,
E con quei eh' abitar le bianche spoglie
Dell* Apennin di lunga neve onuste.
Tragge insieme Triface, e seco mena
Quei dell'onda adriatica, e tirrena.
Un leone é l' insegna , e mentre dorme
Chetamente, un fanciullo il fren li mette ;
Mille premono il suol di ferrat* orme
Sparse le lande lor d' archi , e saette.
Partenopee son le guerriere torme,
E fan chiaro veder le squadre dette.
Che l'antica virtù che già fioriva
Negl* lulici petti ancora é viva.
Vedi l'altro a man manca; a sue gran
Non é già punto inferlor la forza, [membra
D'esser nato mortai non si rimembra ,
11 cuor feroce niun periglio ammorza :
Tra gli armenti minor tauro rassembra ,
Rompe r armi , e ie schiere, e 1* aste sforza,
E qual leone orribil velli , e folti
Spargon la fronte sua capelli incolti.
Adamasto é costui , sol ei non puote
Emulo di Batran soffrirne II grido.
Per sangue é chiaro, e d'Alboin nepotc
Nato di Lombardia nel fertil nido.
Dove l' Adda , e '1 Tesin con larghe rote
Traggon l'umido pie spargendo il Udo,
E più volte fecondi I campi fanno
Pria che di neve incanutisca l' anno.
ISequani, e gli Elvetl egli conduce,
E del ferro, e dd vUio amica gente,
Che sUnil di costume al fero duce
Non alberga timor, piaga non sente.
Un Orlon , che le tempeste Induce
Morte , e strage crudel delle semente ,
È la sua insegna , e la falange piena [pena.
Da prima ei mosse , or n' ha due quinti a
Vedi il quarto a man manca; é quello il
figlio
Dei canuto Silvan eh' ha per cimiero
Grave d' alu pruina un bianco giglio.
Bello é d'aspetto, e d'animo guerriero.
Sventola il pennoncel d' oro, e vermiglio.
E '1 generoso, e nobile destriero,
A cui r omero preme , e stringe il morso ,
Sembra neve al color , zefiro al corso.
Tra '1 fin del quarto, e'I comhidar dd
quinto
Lustro degli anni suol lieta stagione
Corre età favorita a gloria spUito
Da generoso, e volontario sprone,
E ben figliuolo al naturale Istinto,
Ed al nobile fin , ch'ei si propone,
Si dhnostra a Silvan per via d'onore,
Emulando a gran passi il genitore»
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86 POEMI
Venturiero è *1 garzon leggiadro, e fran-
Seco è *1 duce Anfimea , carico d* oro , [co,
A cui pende ricurvo al iato manco
Gemmato il ferro in barbaro lavoro.
Sopra li nero ha *1 destrier sottile il bianco
Pur com' un velo , e i piedi e *1 capo è moro,
Non preme ei no , ma perchè rada il suolo ,
L* ali al corso non vedi , e vedi *I volo.
Condutti a noi del caspio monte ha ftiore
Gente , che *n sé non ha legge, né freno,
Oh , se pari in costor fussi '1 valore
Al numero, all'ardir ch'egli hanno in seno !
Ma fidar non ne può Timperadore ,
E nuoce, ovunque sia, l'empio veleno.
Son trenta mila, e più tutti gazzarri
Ingiuriosi , indomiti, e bizzarri.
Dall' Ircania costui con le sue genti,
A cui serra le vie l'orribìl tosco
Nemiche a Cosdra , e di disdegno ardenti
A congiunger si venne in guerra nosco.
Quando ai giorni maggior gii atri serpenti
Fan vìva siepe al duro varco, e fosco
E pur or, quando il velenoso calle
Chinggon le serpi alla profonda valle;
Tacite al penetrar del cieco sasso
Movean le schiere , e sospettose , e preste ,
Perché dal suon del periglioso passo
Il diluvio degli angui non si deste.
Ma indamo pur, eh* ad assalirìe al basso
Sibilando strisciò V orrenda peste ,
E la piaggia , e la valle , e '1 piano , e l' erta
Di serpi è tutta a danno lor coperta.
Aran con larghe , e velenose rote
Gli adirati colubri il gran deserto,
Rigan lubrici il suolo, e 'I del percote
Di lor sibili ardenti un suono Incerto.
Spaventosi sembianti , e forme ignote
Precipitose in giù scendon dall'erto.
Rassembra al elei s'oscuro nembo il serra,
Scminau di fulmini la terra.
Suona l' orrida valle , ogn' antro geme.
Spargon le biscìe awelenau spuma.
Con le spade i guerrier l'orrendo seme
Troncansl intorno, e'I varco ondeggia, e
Seguita il popol fiero, e nulla teme. [fuma.
E col ferro, e coi pie la via consuma,
Tantoch* escon d* impaccio , e ne conduce
Liberi i suoi guerrier l'ardito duce.
La loro insegna è con argenteo corno
Quel pianeta, che in del già mal non suole
Tal far altrui , qual si partì ritomo.
Compartendo alla notte i ral dei sole;[no
Con quel da poi che non l' estingue 11 gior-
EROia.
11 barbarico stuol mostrar d Tuole,
Che vai per buona, e più per reafortniia,
Qual notturna assai più luce la luna.
Vedi gli ultimi due, che d'un colore.
Che nel bianco in vermiglia lian la divisa ,
Rara coppia gentil eh' ha giunto Amore
Di legittimo nodo, Alceste, e Elisa.
Vive indistinto infra due petti un core ,
E in due corpi è tra lor l' alma indivisa ,
Ella per lui, mercè d'Amore, audace
Combatte in guerra, egli amoreggia In
pace.
Di dolore, e d'amor trafitta e punta
La giovane tta assai fu presso a morte,
E soffrendo , ed amando a tale è giunta ,
Ch'eli' è ben tra I più rari esempio forte.
Che disperata, e dal suo amor disgiunta
Ben la tenne quattr* anni acerba sorte
Sotto ruvide spoglie Infra le piante
D'antica selva sconosciuu amante.
Sola è donna nel campo, e la permette
L' imperador, quantunque pur sia tale.
Però che doti in sé raccoglie elette.
Ch'ai virile valor la fanno eguale.
Sicuramente in certo segno mette
Dall^aurau faretra ogni suo strale.
Rompe 'I corso alle fere in mezzo al suolo,
E per l'aria agii augei la vita, e 'I volo.
E dall'arco promette, e se ne spera
Della man feminil prove maggiori ,
E r istoria direi pietosa , e vera
Delle lagrime sue, de* suoi dolori ,
Per cui divenne In mezzo i boschi arderà,
S' io non temessi 1 suol dolenti amori
Portarvi noia, e qui si ferma, e tace.
Sovrastando a mirar, quel eh* a lui piace.
Ma scorta allor nel principe Teodoro
Dai sacro ambasciador l'aperu voglia.
Di contar di que' due, eh' un tempo foro
Piangendo amando in disperata dogUa,
Volgesi ad ascoltar gli affanni loro ,
Benché I casi d'amor gradir non sogfia.
Ma in lievi cose affabilmente in lui
Vinto il proprio voler, cede all'altrui.
E rispondendo : a me l' udir fia caro ,
Purch'avoi forse il raccontar non grave.
De' legitthnl amanti il caso amaro
Dopo lunga stagion patto soave, [chiaro
Qò detto d tacque, e 'n suon distinto, e
Ripigliando Teodor quel eh* a dir ave.
Con lieta fronte al sacro messo, e pio
Più volgendosi ancor, cosi seguio:
Nd laconico mar Citerà siede ,
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boia, cbe più bella, e più feconda
Sopra '1 nostro orUzonte il sol non Tede ,
Né pài beUa a veder 1* acqua circonda.
QaiTi nacqaer gii amanti, e 'n quella sede
Pargoletti godean vita gioconda.
Della tenera eti nel doke loco.
Partendo il riso, e r allegrezza, e 1 gioco.
Quivi un amor, che non sapea d' amare,
D'un incognito affetto i cori univa,
Sospiravan talor l'anime care
Né sapean quei sospir d*onde ei veniva ;
Che temo* non avean né che sperare,
E speranza, e timor l'amor nutriva.
E cosi sempHeetti un tempo avanti
Che 'ttlendessero amor, vissero amanti.
L'età crebbe , e le voglie , e furon poi
Dalletto marìul spente, e raccese.
Fin cbe Fortuna con gli assenzi suoi
A conturbar tanU dolcezza intese.
Cosdra affronta Cartagine , ed a noi
Coovlcn repente apparecchiar difese
E già già parte, e se ne va per l'onde
La nostra armau e 1 mar tra i legni ascon-
Cosl a parUr dalla diletu moglie [de.
Dura necessità lo sposo astringe.
Da lei congedo lagrimando toglie
E di mesto paUor tutto si tinge.
Allin si parte , e la sua vela scioglie
L'alDItto amante, e l' Aquilon la spìnge;
Vaaene senza cor, che lo ritiene
La bella sposa alle paterne arene.
Pten di lagrime il volto, e *1 sen di duolo
Con r altre vele il doloroso amante
Sospirando , varcò 1* umido suolo ,
Ma fermò tardi in sul terren le piante.
Cbé r amica città l'avverso stuolo
Avea disfatta alcuni giorni avante.
PIÙ di fennossi a racconciar l'antenne.
Per tornar quell' armau, ond'ella venne.
Or tra queste dimore un cavallero
NoveBamente In Affrica venuto.
Per portar a Cartago, ove mestiero
Ne fusse a lei , con la sua destra aiuto ;
Qmndo alfln della cena ogni pensiero
Geo poca guardia é più dal cor tenuto,
Veggendo ei pur con basse ciglia, e meste
Ddeote star l'innamorato Alceste :
Dell, signor. Il diss'ei, sbandisci omai
Così tristo pensier, che t'ange il core.
Che nuli' altro può far, come ben sai.
Nostro pensar, che raddoppiar dolore.
E se forse é cagion di darti guai.
Come fk spesso in età fresca amore.
LA CROCE CONQUISTATA.
87
Sterpalo, che non é maggior follia
D'uom, eh' a femina vii soggetto stia.
Né femina esser può, che non sia vile,
Nuir amor, nulla fede ha '1 sesso avaro.
Non i)eltà, senno, non \irtù gentile.
Ma Toro é sol eh' alle lor voglie é caro.
Provato ho mille , e mai diverso stile
Non vidi in una, ond'a fuggirie imparo;
E di molte il guerrier narrando disse
Godute a prezzo, e l'ultima descrisse.
Sulla sponda a Citerà, ond'ella vede
D* Asopo il dorso , é gran magione eretu.
Che sporge fuor sopr* uno scoglio, e siede
Quasi a specchio del mar, che l'ha ristretta.
Qui una donna gentil, ma per mercede.
Pur ebb'io , come l' altre , Elisa detu.
E se mai dal sembiante alcuna onesta
Comprender puossi, a me parca ben
questa.
Che 'n sé raccolta, e nel suo bruno man-
Dei crine avara, e del pudico sguardo, [to
Neil* andar schiva, e vergognosa alquanto
Movea guardingo ogni suo gesto, e lardo.
E chinando il bel viso a terra intento
Scoccava a pie de* suoi begli occhi li dardo
Quasi a dir, non guard' lo, nessun mi miri,
Ch'Io non porto pietà d' altrui martiri.
Ma *1 tesoro d'amor chi più raccoglie
Fa più caro parerlo, ond'ei più s'ama,
E così avvien , che dell* ardenti voglie
Mantice, é '1 dinegar quel cbe si brama.
Tal io d' Elisa in quelle honeste spoglie
Vie più m'accesi , e ne sfogai la brama.
Che per far me dell'amor mio felice.
Chiuse il patto tra noi la sua nutrice.
Costei dagli anni attenuata, e trista
Mostra ipocritamente atto devoto ,
Formar preghiere ad or, ad or la vista
Confondendo i blsbi^i in suono Ignoto.
Baciar sovente il terren sacro é vista.
Battersi, e risonarne 11 petto voto,
D* ogni inganno é maestra , e con soari
Detti d'ogn* altrui cor volge le chiari.
Costei di notte tacito, e soletto
Mi condusse a goder l' idolo mio.
Passai per varco Inu^tato, e stretto,
Ch'ad aprirmi sul mar la balla usdo.
La sua camera a lui descrisse, e '1 letto,
Tutte sue frodi 11 cavalier gii aprio.
Loquacissimo fatto a mensa lieta.
Dove scioglie la lingua il vln di Creta.
Quindi accorto il marito, e certo omii
Dello scorno da lui centra sé fatto :
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M POEMI
Ahi, mahragio, gridò, tu dunque andrai
Superbo ancor di cosi reo misfatto ?
Tu di mia moglie, e r onor mio tolt' liai t
Per pagarne le pene il del t'ha tratto
Nelle mie mani ; e '1 ferro trae dal fianco ,
Sospingendosi a lui feroce, e franco.
Or confuso l'adultero, e sorpreso.
Tratta con l'ebra man la spada a pena;
Mal accorto egualmente, e mal difeso
Trafitto cade a insanguinar l'arena.
Dalla mensa alla tomba Inutil peso.
Passar gli è forza alla dolente cena*
E tra i rasi ravvolto, e le vivande,
E col sangue, e col vin l'anima spande.
Non bada Alceste ; un picdol legno sale.
Lasciando gli altri , e la sua vela scioglie.
Cui l'Austro gonfia, e per l'ondoso sale
Portatrice ne va d'amare doglie.
Tinto è nel volto di pallor mortale.
Dolor peggio, che morte in seno accoglie.
Tacito è sempre, e ne' sospir di foco
Talor prorompe, e non ha posa, o loco.
E '1 quarto dì, che 'I disperato amante
Dal confine affrican partito s' era.
Di lunghissimo spazio ancor distante
Per lo piano del mar vide Qtera.
Ma '1 sentier torse e poi fermò le piante
Sul terren di Mallea giunto la sera,
K quindi un messo alla consorte manda
Nel proprio legno, e a lui così comanda :
Vanne, e imbarca mia moglie, e come
Tu dall' isola sei tanto lonuno , [ poi
Che più visto, o sentito esser non puoi ,
Dalle morte crudel di propria mano.
0 se '1 sangue di lei sparger non vuoi.
Gettala immantinente al flutto insano;
Fa ch'ella muoia, e non udir da lei
Scusa, 0 pregar, se tu fedel mi sei.
Pronto all'opra crudel vanne colui;
Giunge a Qtera, e l'innocente Elisa
(Chiama per parte del marito, a cui
Menarla intende , e '1 suo ritomo avvisa.
Ch'eL giunto è 14 con altri amici suoi
Sulla riva del mar, quinci divisa.
Dove è stretto a badar per alcun giorno,
Pria che far possa all'isola ritomo.
L'amorosa consorte al noto messo
Volenterosa immantinente crede,
E tutta lieu alior, allor con esso
Mette nel legno suo l'Incauto piede.
Lascia l'empio la riva, ed all'eccesso
Come il luogo opportuno, e 'I tempo vede.
Più feroce del mar, che lo sostiene
EROia
Contr'alla donna impstuoso viene,
E nel viso gentil , ciie forra avrebbe
Torlo sdegno alle fere, agli angui 'I tosco.
E di pietade intenerir potrebtie
Le dure querce al più deserto bosco;
Poiché fissato orribilmente egli ebbe
Spietatissimo in atto II guardo fosco.
Le man distende, e '1 biondo crine avvolto
S* ha gl4 nell' una, e l' altra 11 ferro ha tolto.
E con aspra favella , ed interrotu
Dall' orror del misfatto : Elisa, dice.
Su disponti a morir, che giunta è l'otta
Della tua fine , e viver più non lice.
0 vuoi ferro, o vuoi mar : cosi ridotta
Al partito crudel queir infelice, [smorte.
Tremante , e fredda , e con le labbra
Chiede almen la cagion della sua morte.
La cagione è '1 voler, le rìspond*egli.
Del tuo marito, ed el cosi comanda ;
E traendo a quel dir gl'aurei capegU,
Muove il ferro ad empir l' opra nefanda.
Rasserena allor queta i dolci spegli
La giovanetta, e fuor le voci manda:
Eccoti il petto, il tuo signor, e mio.
Se così vuole, e cosi voglio anch'io.
Per lui sol non per me piacque la vita.
Per lui mi spiaccia or ch'ei l'abborre, e
schiva.
Nodo etemo d'amor l'ha seco unita
Da lui dipenda , e per lui mora, e viva.
E se forse parer morte gradita
Non mi potrà, poi che di lui mi priva.
Di contentarlo II mio contento fia ,
Tal ch'addolcisca ogh' amarezza mia.
Ben mi resta un sol dubbio , e t' addi-
Per l'estrema mercè, che tu ridica, [mando
Queste parole al mio signor tornando.
Ch'ella del petto fuor trasse a fatica :
Elisa tua , che fedelmente amando
Non t'oflcse già mai , mori pudica.
E qui la mente a Dio converte , e nodo
Porge altera li bel fianco al ferro crudo.
Ma quel servo crudel, che s' era armato,
Contra i preghi d' asprezra, e contra I plan-
Rendon (eh' il crederia?) preso, e legato [ti.
Del magnanimo cor gli atti costanti.
E due, e tre volte il fiero braccio alzato.
Quasi maga pietà l'arresti, e 'ncand, [sa.
Non può muovere il colpo, e non l'abbas-
Anzi '1 ferro di man cader si lassa.
Sì eh' ei l' opra abbandona, e volto a lei
Cosi spiegò più raddolcito il suono.
Deh , che morte mai dar non ti potrei «
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Ma non è in poter mio darti perdono.
Che qnal tu moglie al signor nostro sei,
Dd crudel ciie mi manda , io servo sono ;
Ma della morte etemo esilio in vece
Aver da me , se pur vorrai , ti lece.
Se la fede per pegno a me tu presti
Di partir quinci, e non mjd più tornare,
TI lascerò su quelle spiagge agresti ,
E dirò poi che t' ho sommersa in mare.
E tu di là te ne potrai da questi
Nostri oonfin peregrinando andare.
Ma giura a me di ricovrarti dove
Qui non s* odan mai più d'Elisa nuove.
Risponde: amico, uccidi pur, trapassa
Pur questo petto, e che vuoi tu, ch'io viva.
Da quel crudel, che, benché tale, ahi lassa,
£ pur la viu mia, lontana, e priva?
Abbassa , olmo , la mortai mano abbassa,
Non mi lasciar contr* a sua voglia viva,
Che saria troppo a me tal vita amara,
E morte a piacer suo m*è dolce, e cara.
Cosi pur ella il mortai colpo chiede ,
Perch' adempiasi in lei l' empio mandato,
Ma pietoso il morir non le concede
Chi la vita negar dovea spietato.
Or die lite ammirabile si vede
Nascer tra lor, che generoso piato!
Giovane donna, ed innocente prega
Pur la sua morte, e Tucdsor la nega.
Ma poi eh' un tempo inutilmente Elisa
All'omicida suo chiese la morte,
E dimostrò con disusata guisa
Ne' magnanimi preghi animo forte;
La speme alfin, se non rimane uccisa.
Dì scoprirsi innocente a miglior sorte ,
Fa che cede la misera, e dolente
All'odioso suo viver consente.
E di lagrime sparse ambe le gote.
Qua! rose intatte al mattutino giclo.
Di trar l'esule piò tra genti ignote
Promette a lui sotto diverso cielo.
Indi, per variar più ch'ella puote
Suo sembiante gentil, depone il velo.
Tronca il bel crino, e la purpurea vesta
Piangendo spoglia, e 'n servii manto resta.
Colui gliel presta, e sopr' un' erma
spiaggia
Ladepon lagrtmosa, e se n' invola, [saggia
Pass* dia 1 monti , e fuor che'l pianto, as-
Poc' altro dbo, e va dolente, e sola.
Parer si sforza, e ruvida, e selvaggia
Nutrir anch' essa in boscarecda scola
Tra dora gente ov'ella arriva, o parte,
LA CROCE CONQUISTATA.
89
Ma non giunge al desio lo studio, e l'arte.
Del bel viso gentil fa prova in vano
Nasconder l'aria, e'I portamento, e'I moto.
Non può l'atto ci vii farsi villano.
Né restar di sue grazie il ciglio voto.
Troppo candida appar la bella mano.
Troppo ad ogn'opra il nobil gesto è noto.
Cosi nuvola il sol con atri veli
Non può tanto celar che 'I giorno celi.
Ma poi ch'eli' ebbe e quattro lune, e sd.
Misera, e sconosduta peregrina.
Trascorso errando, e con gli accesi omd
Fatt'ogni selva risonar vicina;
Tra la sua famiglluola a raccor lei
Un pietoso paistor pronto s'inchina,
E da quel panni un garzoncel creduta.
Pasce or greggia lanosa, ed or cornuta.
E con ruvida verga , e con accenti
Soavi troppo a cosi duri uffici ,
Correggendo conduce 1 bianchi armenti
A pascer l'odorifere pendici.
E spesso ai suoi dolcissimi lamenti
Fa pietose le selve ascoltalrici ,
E compiangon sovente al suo dolore.
Alternando 1 susurrì, or l' acque, or l' ore.
Ed ella un giorno insidiando , aggiunto
D'un selvatico capro il correr lieve.
Lui feri dall'agguato, e '1 fianco punto
Pasce '1 ferro la vita , e 'I sangue beve.
E l'un poi delle corna all'altro aggiunto
Ne compose '1 grand' arco, ond'dla hi
Divenne arderà, e sagittaria tale, [breve
Che né '1 Parto, né 'I Perso ha forse eguale.
Quindi corre la selva, e poi la sera
Ricca di preda il chiuso albergo rlede,
E '1 di soletta, ov'é più folu, e nera
L'ombra d'antiche piante affrena il piede,
Sfogando allor l'acerba doglia, e fera.
Che l'usato tributo agli occhi chiede,
E riman poi delia sua pena acerba
Tiepida al sospir l'aura, al piangeri' erba.
Durò lunga stagion l' amaro stile
Che '1 suo fior di bellezza in uggia tenne,
E '1 suo più vago addolorato aprile.
Per lei pur sempre oscurità mantenne.
Ferito intanto un cavalier gentile
Nei medesimo albergo a morir venne,
Di cui la donna il luminoso arnese
Da lui lasciato , e '1 corridor si prese.
E con queir armi ella pensò da poi
Fingersi un cavalier cangiando sorte ,
E passar con più laude 1 giorni suol ,
0 i suoi lunghi dolor finir con morte,
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90 POEMI
E i>en che grire al moHe petto annoi
Tropp' aspro peso il doro arnese, e forte,
Yi s'aTTezz'ella, e non so dir, se pare.
S'intenerisca '1 ferro, o 1 sen s' indare.
Ma tornato il famiglio, a cui commise
La sua morte il marito , e inteso come
Egli in mar la sommerse , e pria 1* uccise
Presala di sua man nell'auree cliiome;
Data a lui la mercè , qual ei promise «
Quindi ii fa dipartir, però clie 1 nome
Teme dell'omicidio, e '1 fatto abborre
E *1 ministro si vuoi dagli occhi torre.
Colui si parte , e poi nel cor martella
Più d' un sospetto al credulo marito.
Dubbio della cagion d'opra si fella
L'immaturo consiglio li fa pentito.
Toma a Citerà , e la nutrice appella
Ei con volto feroce, ella smarrito,
E le dimanda, ravveduto tardi , [di :
Col ferro insieme, e con gli ardenti sguar-
Di' su, malvagia, lo vo' saperne il vero.
Chi fu colui eh* a violar menasti
L' impudica mia moglie ali* aer nero.
Tu '1 sai, tu sei che l' onor mio macchiasti.
La mala vecchia a minacciar si fero
Tremante cade, e non ha cuor che basti ,
Ma gridando mercè , mostra in che guisa
Sol ella ha colpa ; ed è innocente Elisa.
Signor, vinta dall'oro, orecchia porsi
Ad un vano amator, che qui venuto
Con desir molto e poco senno io scorsi
A dimandarmi alle sue Oamme aiuto.
Ed io che bene ogni tentar m'accorsi
La casta Elisa tua , tempo perduto ,
Mi rivolsi all'astuzie, e lui contento
Pei d'amor con inganno, e me d'argento.
Persuasi a Terea d' accoglier essa
D' Elisa in vece il folle amante in seno ,
Che d' un'ctade, e d' una forma impressa
Terea somiglia alla tua sposa a pieno.
E nella mari tal camera stessa
Trassi il vano amator di gaudio pieno.
Che l'incauta tua moglie indussi ad art(ì
A trar la notte in più lontana parto.
Lascio in camera il vago, e poi ch'al-
quanto
Sovrastette in desio del mio ritorno.
Con l'ancella simil chiusa nel manto
Della mia donna, a chi m'aspetta io tomo,
E spento a un tratto un picciol lume tanto.
Che mal vincer potea l'ombra d' intomo.
Avidamente nel tuo proprio letto
L*un dell'altro di lor preaer diletto.
EROia.
Ed io prima che 1* alba In Oriente
Biancheggiar faccia alcuna parte j
Affretto lui , che tadto , e repente
Partir sen voglia, e prevenir r aurora,
Ed egli a pieno al creder suo contente
L'accese brame , usci dell' asdo foora;
E qni tace la ^-ecchia , inunobil cote
Rimansi Alceste, e poi s' infiamma, e scote.
Ed alii , grida , malvagia , io dwiqiie i
Per te la donna , anzi la vita mia, [torto
Fedele , e casta , ed innocente ho morta?
Tanto error senza pena unqua non Ha.
Vuol trarre il colpo, e rinan poi, che
Ha *i vile oggetto, In cui ferir desia, [scorto
La lascia, e corre a minacciar Terea,
Se narratole il ver la balia avea.
E cosi '1 trova , ond' ei non por ferito,
Ma trapassato il cor d'aspra saetta.
Per soverchio dolor di senno uscito
Di sé far pensa Incontr* a sé vendetta.
K 'I suo spirito sciolto avrìa seguito
Lei , che nuda si crede alma diletta.
Ma v' accorser gli amici , e gliel vietare
E del morir la miglior via mostrare.
Persuaso da lor, che 'n lui non deggla
Morte d' eterno danno esser cagione ,
Passa il misero in Asia, e qui goerregina;
Disperato ai perìgli il petto espone, [già.
Ma quantunque il morir pur semprecbleg-
Con mill' opere ardite, ov'ei si pone,
Hiserbandolo a meglio amica sorte
Gì' incontra gloria , ov' ei ricerca nuTte.
E già quattr* anni 11 lagrimoso amante
Avea miseramente ad ora ad on
Le colpe sue rammemorate, e piante.
Né sentito il dolor temprarsi ancora :
Quando un guerriero alle trincee d'avante
Venne a chiamarlo a guerreggiar di fuora.
Tace il suo nome II cavallero, e '1 volto
Tien dentr* ali' elmo ascosamente accolto.
Del guerricr peregrin più d' un a voce
La disfida ad Alceste in fretta porta.
Subito ei s'arma, e sul destrier veloce
Viensone al vallo, e s'apre a lui la porta.
È ben del petto intrepido, e feroce
L'alta virtù nel fier sembiante è scorta.
La lancia stringe, e si rassetta in sella.
Ma prìa, che muova, al cavalìer favella:
Queir Alceste son io, che tu richiedi
Teco a pugnar, né la cagion dir >'uoi ,
Ma se neghi a me questo, almen concedi
Prima dirmi 11 tuo nome , e giostrar poi.
E *1 peregrino : Un cavalier tu ve<fi,
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LA CROCE CONQUISTATA.
91
Hi od qoesto, e non altro intender puoi ;
Ch'odio non ti port*Ìo, ma tn nemico
Non hai maggiore, e nona più ti dico.
Equi punti i destrier coironsi incontra ;
CSvier la lancia, il peregrìn si lassa,
E ben Tedesi a studio, Alceste incontra
Ahd lo scodo, e lo divide, e passa.
Ma meglio assai che non Torrìa gì' incontra
Perchè spezzasi l'asu, e si fracassa
DI tal ptè molle, e più pietosa, e solo
Lo scontrato guerrìer batte nel snolo.
Diamonta Alceste , e corre al vinto a
piede,
Per torgH I* armi, e tratto a hii 1* elmetto ,
Stupido , ed adombrato Elisa vede ,
Riconosce ben ei ramato aspetto.
La sua donna gentil, che morta crede,
E pur Tira mantiensi in mezzo al petto.
Fermo attonito ei resta, e in tatto immolo
Koo ha voce , né suon , senso , né moto.
E ben morto sarìa , ch'erranti, e sparte
Sue virtù dal piacer foggian dal core.
Se non eh* in dentro alla più nobil parte
Premeale il dnol del suo commesso errore :
Quindi errando la vita, or toma, or parte
Nd reflusso di morte, e pur non muore;
Potea solo il dolor, sola la gioia.
Né pon fare amendue , eh' Alceste muoia.
L'amorosa consorte in fronte il mira
E veggendo, eh' ei resta , e non l'offende ,
Tadto un favellar dagli occhi ^ira
Qie solo chiama , e nessun' altro intende.
Cmdel , poi dice , or che non empi l'ira ,
CU mi salva da te , chi mi difende?
Nelle tue mani è pervenuta EHsa ,
Sol per restar dalle tue mani uccisa.
GU so ben io eh' è tuo piacere, Alceste,
Non ti turbar, non ti dirò consorte.
Che né moglie né viva Elisa reste.
Né vo' che '1 viver mio noia t* apporte.
Morir vogi'io, ma spargi tu di queste
Mie vene il sangue , e dammi tu la i
Fallo ; che più tardar? saziati omai,
E sappi sol ch'io non t' offesi mal.
E se già per pietade or é '1 quart' i
Ch'ebbe li servo di me, morta non fui.
Non ti doler, che , benché viva , m* hanno
Poi tenuta sepolu i boschi bui.
E vengo a te per rimorire : avranno
Questo nuovo contento i desir tui.
Che in quanto a te morrò due volte, e ffa
Con tuo doppio piacer la morte mia.
Pentito Alceste a quel parlar tremendo,
Qual filo d'aiga in sulla riva al mare.
La rea cagion dell' error suo. contando.
Versa per gli occhi fuor lagrhne amare ;
E d'amor vinto, e di dolor parlando
Spesso ammutisce, e nel silenzio appare
Quel che serra la lingua , e più rivda
La vista in lui , che '1 suo tacer non cela.
Ma poi eh' a pieno il fallir proprio aper-
Le preghiere condi col pianto amaro, [to.
Amaro a lui, ma '1 pentir suo scoperto
D'ogni nettare d'Ibia a lei più caro.
L'amorosa obliando ogni demerto [ro.
Con un guardo li mirò tranquillo, e chla-
Che dell'intimo cor nunzio verace
Perdon li porge , e li promette pace.
GRAZIANL
IL CONQUISTO DI GRANATA.
Colombo racconta la sua prima Davigmzione.
Indi sorge n Colombo , e altrui palesa
li suo lungo viaggio , e l' alu impresa :
Poiché gli ordini appresi, e poiché tolto
Dai cattolici regi ebbi commiato ,
In Palo lo mi trattenni , ove raccolto
De le mie navi era lo stuolo armato.
Qui pria che il sole 11 luminoso volto
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92 POEMI
Da le rive del Gange avesse alzato ,
Del mio partir nel destinato giorno
Mi apparve in sogno un giovanetto adorno.
Di raggi adomo e di purpurea veste
Scote dorale piume, e in lieto aspetto
Cosi parlando 11 giovane celeste
M'empie d*alta speranza il dubbio petto :
Scaccia , amico , i timori e le tempeste
Che sinor ti agitar con vario aflctto;
Non errò tuo pcnsier quando ha creduto
Di trovar nuovo mondo , e sconosciuto.
Quel corpo che universo il vulgo chiama,
E che r acqua e la terra in sé comprende.
Forma una sfera , a cui V antica fama
Duo poli consegnò con cinque bende.
Finse alcun per frenar V umana brama
Che il mondo quindi agghiaccia, e quinci
incende;
Onde sotto 1 duo poli , e V Equatore,
0 non vada , o non viva abitatore.
Ma falsa è tal sentenza, e falso ò il grido
De la gelida zona e de 1* ardente :
Vuol la somma Bontà che in ogni lido
Sia fecondo il icrren , viva la f;ente.
Circonda da 1* aurora il mare infido
n globo universale a T Occidente;
K nel mondo non è strana contrada ,
Ove r uom non alberghi , ove non vada.
Con vario corso il Lusitano ardito
Già scoprì r Oriente, e resta solo
Che verso 1* Occidente a l'altro lito
Tu spieghi adesso 11 fortunato volo.
Cosi il globo terren sarà compito,
Cosi fia palesato il nuovo polo :
Misura 1 gradi , e le distanze osserva.
Vedrai, che terre immense 11 mar riserva.
De r atlantica terra ancor si ascolta
Un debll suono a la presente etade ,
E che un tremoto avendo T acqua sciolta.
Fece mar divenir quelle contrade.
Dal cupo oblio fu la memoria tolta
Di queir estreme e procellose strade ,
Che possono guidare ad altri regni
Sottoposti a r Occaso i vostri legni.
Nel trigono de T acqua è già congiunto
Con massima union Saturno e Giove ,
Ed In sito partii mostrano il punto ,
Che mostra usanze ignote, e terre nove.
Porse al mondo lunar tanto disgiunto
Fia che 1* uomo il commercio un di ritrove :
Vuol Dio eh* ogni secreto, ogni arte, ogni
In secoli diversi a 1* uom si scopra, [opra
Lo spazio che finora è sconosciuto,
EROIGL
Fia pari di grandezza al vostro mondo :
Quivi di gemme e d*or largo tributo
Porge d'ampi tesori il suol fecondo.
Vanne, lo son 1* angel tuo, che reco aioto ;
Non temer l'empia Dite, e *1 mar profondo ;
Vanne, soffri, conAda; a la tua gloria
Nuovo mondo rimbomba, e nuova istoria.
Qui tacque, e sparve, e me lasciò ripieno
Di piacer, di speranza e di stupore :
Sorgo , e parlo ai compagni , e sprono il
Con stimoli di gloria a nuovo onore, [seno
Spirano aure tranquille in del sereno.
Solcano il cupo mar V ardite prore :
Fugge 11 lito di Spagna , e solo appare
Il mar del cielo, e *1 ciel confin del mare.
Per r immenso Ocean drizzano il corso
Le navi a la sinistra , e si perviene
A r isole Canarie , ove soccorso [vene.
Di fresche acque prendiam da fresche
Quinci veggiam d' un alto scòglio il dorso.
Che versa fiamme in su le trite arene
De Tarsa Tenarife, onde altri crede
Ch'indi si cali a la tartarea sede.
De la vergine Astrea varcava il sole
Con l'alau quadriga i primi segni,
Quand'io, lasciale le Canarie sole.
Presi il viaggio ai desiati regni.
Di quel vasto Ocean per l'ampia mole
A l'acquisto fatai volano i legni;
E s'internano ognor le vele ardite
Fra l'Ignote voragini infinite.
Nullo aspetto di terra a noi rimane.
Occupa r orizzonte o 11 cielo , o il mare ;
D' orrida morte Infra quell'onde insane
Fiero teatro ai naviganti appare.
Mirano ad or ad or le plaghe Ispane
Quanto remote più, tanto più care.
Gii smarriti compagni , e loro avanza
Di salute e d'onor poca speranza.
Dei gradi de la Vergine celeste
Entrò ne la Bilancia il sol cadente ,
Né terra apparve, onde vie più moleste
Cure agiur la sbigottita gente.
Freme, e par che a fatica ella si arresie
Di sfogar contro me l'impeto ardente;
E già mi accusa il pubblico dmore
De la morte comun perfido autore.
Io tento di frenar l'Impeto insano
Con sensi vari , e con ragion diverse
E di ricco tesor con larga mano
Prometto 1 premj a Unte prove avverse.
Mentre ognun sospirava, ecco lontano
Verde prato nel mare a noi si offerse :
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IL CONQUISTO
Gode ognuno a tal visU, e spera ognuno
Di fecondo terren lUo opportuno.
Ma fatti più vicini apparclie l*erl)a
Svelu dal lito era dal mar portata ;
Onde fassì maggior la pena acerba
Ne la timida gente addolorata.
Quindi freme, minaccia, e disacerba
Con mordace parlar la mente irata ;
E de le sue querele e del suo sdegno
DiYennto son io ludibrio e segno.
Va gi4 r inferno a danno mio prepara
Novelle insidie , e congiurati 1 venti
Da le tetre caverne escono a gara ,
E gonfiano del mar 1* onde crescenti. ^
Già si offusca nel 9|el l'aria più chiara,
Se non quanto rìsplende ai lampi ardenti ;
Fulmina e piove e gi4 confonde il loco
L'orrÌl>Ìle procella a l'acqua e al foco.
Guerreggiando col mar V aria imper-
versa.
Questa con un diluvio, e quei con 1* onde ;
Turba i vari pensier cura diversa ,
E '1 periglio comun tutti confonde.
Stillato in ploggie il del in mar si versa ,
Il mar coi flutti urta del elei le sponde ;
Parve allor, che dal venti In aria alzate
Navigassero in elei le navi alate.
Fra si vari |>erigli, e in mezzo a quella
Fiera tempesta alzo la mente a Dio ,
E l'imploro a frenar Talta procella
Con umil voce , e cor devoto e pio.
Vidi allor fiammeggiar lucida stella ,
Che r onde abbonacciò , l' aure addolcio ;
E quasi in pegno di futura pace
Dal elei cadde nel mare un'aurea face.
Cedono i flutti a lo splendor celeste
Cbe ai venti procellosi impone il freno ,
E i turirini fuggendo, e le tempeste,
Lasciano il mar tranquillo, e '1 elei sereno.
Ha cbe? se foche immense, orche funeste
Sorgono contra noi dal cupo seno?
Balene e tiburoni, e ciò che serra
Proteo di mostruoso, a noi fa guerra.
Spezzano i remi, assalgono 1 nocchieri
Gli orridi mostri , e rodono le navi ,
Ed urtano d'intorno ingordi e fieri
n nodoso timon , l'ancore gravi.
Panni ancor di veder Lurgo , e Rinierl ,
Che i legni risarcian dai colpi gravi ;
Al primo un Uburon tronca una mano ,
L'altro un'orca inghiotti ne l'Oceano.
A sì rigidi assalti , a si diversa
Forma di guerra ognun paventa e geme ;
DI GRANATA. 93
Ma sol lo con la mente a Dio conversa
Ne l'imagine sua fondo mia speme.
Questa di sangue in dura croce aspersa.
Questa, che adora il elei, l' inferno teme.
Questa alzata da me sovra quei mostri
Gli rispinge del mar nei bassi chiostri.
Fuggon le belve, e prende alcun ristoro
La gente afflitta , affaticata e stanca ;
Ma breve è tal conforto appo costoro ;
Tosto scema l' ardir che gli rinfranca.
Manca il vigor, mancano i cibi a loro ,
Varia la calamita , e se non manca
Il noto polo , almeno pigra e tarda
Con dubbiose vicende incerta il guarda.
Allor fu che occupò l' animo afflitto
Del popolo confuso alta paura :
Già slam noi senza forze e senza vitto ,
Già ne sembra fuggir la Cinosura.
Dispera ognun; sol io mi serbo invitto ,
Poiché l'angel di Dio mi rassicura;
Spero, vinti 1 disagj e le procelle.
Vincere 1 mari , e dominar le stelle.
Ha non sperano gli altri ; anzi ciascuno
Contra me volge l'Ire, e i detti arrota;
Contra me fremon tutti , e vuole ognuno
Che lo sdegno di tutti in me percola.
11 timor di naufragio e di digiuno.
Di mar si vasto in regione ignota.
Fa che a mio scherno in minacciosi detti
Sfoghi il vulgo adirato i chiusi afletti.
Dunque, dlcean, per saziar d'uom vano
Il mal fondato ambizioso instinto
Fra gli abissi del torbid* Oceano
Ha da restare il popol nostro estinto?
Sotto incognito clima, in mar lontano
Il nocchier temerario ecco si è spinto :
Or che farà famelico e confuso ,
Se del polo e del mar perduto ha l'uso?
Questi sono gli acquisti e le venture
Che al re promise ? E noi seguirlo ancora ?
E noi lasciam che nel suo imperio ei dure ?
Chi si perde per lui dunque l'onora?
Deh perisca l'autor di tai sciagure;
Del suo popolo invece egli sol mora ;
Si sommerga nel mar, so stesso incoipe ;
Nacquer dal mar, castighi il mar sue colpe.
Direm che nel mirar le stelle e 1 segni ,
In cui si aggira il portator del giorno.
Incauto sdrucciolò nel salsi regni
Pria eh' aita recasse alcun d' Intorno.
Quinci , salvi noi stessi , e salvi 1 legni ,
A le rive natie farem ritomo :
Altro non resu in così estrema sorte ,
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94 PORMI
Cbe comprar mille vite in um morte.
Con tal detti accendean gii animi audaci
A muover contra me l'armi rul)elle :
10 pien d'alte q>eranze, e di vivaci
Grazie espongo me stesso a tal procelle.
Dell, gridai, qual furore , o miei seguaci ,
La prudenza e la fé dal cor vi svelle?
Qual nube di follia la mente oscura ?
Chi vi spinge, infelid, a tal congiurai
Quella fé, che a gli Ebrei da rozza cote
Acque vitali a gli arsi labbri aperse.
Quella fé, che del Sol fermò le rote,
E la vittoria a Giosuè scoperse;
Quella può voi condurre a terre ignote
Fra l'onde procellose e l'aure avverse :
L'ancora de la fede immobil reste,
Né si temano i mostri e le tempeste.
Se fusse la mia vita oggi bastante
A comprar tante vite, io da me stesso
Vorrei precipitarmi al mar sonante ,
E farmi autor di prospero successo;
Ma chi sarà che regga voi fra tante
Varie procelle, ovMo rimanga oppresso?
Chi dei venti, del mar, del ciel ignoto
Conosce T influenze, i siti e '1 moto?
Ma concedo che siano amici i venti ,
Tranquillo il mare, e che torniate in corte.
11 re non crederà gii strani eventi
Che fingeste fra voi de la mia morte.
Vorrà con le promesse , o coi tormenti
11 vero penetrar de la mia sorte;
E punirà quel barbaro pensiero
Che a me la vita, a lui scemò V impero.
Meglio fia dunque avventurarsi a l' onde.
Che provar del re nostro 11 certo sdegno;
Del paese fatai le care sponde
10 già scorgo vicine a più d' un segno.
Mirate quegli augelli , e quelle fronde
Colà vaganti entro l'ondoso regno :
Questo è certo argomento, e mai non erra,
Cbe non lungi di qua sorge la terra.
E che terra? Ivi l'ostro, ivi gl'lnoend,
Ivi nascon gli amomi, ivi gli odori,
E difendono wcA quei regni Immensi
Fochi , timidi e inermi abitatori.
Vedrete come largo li del dispensi
Al felice paese «npi tesori :
11 mar di perle, i rivi e le maremme
Risplendono colà d'oro e di gemme.
A che dunque temer? Duriamo, amld;
Me stesso a tanti rlschj anch'io confido;
Ecco tranquillo il mar, l' aure felid ;
Ecco vidii rarfentnroto Udo.
EROia
Venti contrari, e turbini i
Non d ponno vietare il fatai nido.
Duriam ; non ha l' inferno, o la f
Su la nostra virtù possanza alcuna.
Così tentai con provvidi coniigM
Del lor cieco timor fermare il oorM;
Ma la ragion confondono i perigU ,
E ricusa la fame ogni discorso.
Non appare argomento onde al pIgH
Speranza di salute e di soccorso;
E d stimola ognor senso importuno
DI vigilia , di sete e di digiuno.
Quando tale io mi vidi, a Dio mi i
E in brevi detti i miei desirì esposi :
Signor, questi a la papria lo primo tolsi.
Ed immense ricchezze a lor propori.
Io spirato da te primo rivolsi
Queste lacere vele ai regni ascosi :
0 tu, signor, mi scopri il nuovo polo,
0 salva gli altri , e fa che mora io solo.
Dissi ; e quasi che siano 1 nostri affetti
Favoriti nel del dal re sovrano.
Tosto volar duo candidi augeUetti
Su la mobile antenna a destra niana.
Questi sgorgando armoniosi detti [do;
Temprar con lieto augurio 11 duolo ìmat-
E predissero altrui , eh' Indi non losfe
La terra, onde volaro, il mar disgiunge.
Preso da tale augurio alcun ristoro,
Vediam che rosseggiava il di cadente ,
E che d' altri augeUetti allegro coro
Cantando raddolcla l' afflitta mente.
Fermiamo il corso infin che i raggi d'oro
Spieghi per l' orizzonte il sol nascerle;
E con animo vario attende ognuno
Che succeda la luce a i'aer bruno.
De la sonuna Bilanda il Sol correa
Dd temperato segno inverso il fine ,
E dopo otto carriere entrar dovea
Dd luddo Scorpione entro il confine,
Alior che di Tfton la bella Dea
Le bramate scopri terre vidne :
Vaga é la spiaggia, e 1 riguardanti 1
D'odoriferi fior l'erba vestita.
Di tenerezza e di piacer discese
A ciascun per le guande un lieto |
E ciascun con le palme al dd distese
Di Galizia adorò i'apostoi santo.
Quind rendono a me de l'alte imprete
Con vario applauso U fortunato rmlù :
Tutti accordano 1 detti a mio favore.
Tutti accusano umili il lor timore.
Da varie parti In su r aBMMi riva
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IL CONQUISTO
Goneone intanto il popolo straniero
Per osserfar chi sia colai che arriva ,
E qua! sia la sua patria e '1 suo pensiero.
Pende al color de la matura olirà
De 10* inculti abitanti il volto nero :
Sono essi ignudi , ed agili e robusti
Hanno dai caldi raggi i corpi adusti.
Sovra lievi battelli andiamo al lito,
E su il caro lerren giunti in breve ora ,
LagrìDando di gioia intenerito
Ognun b^dà^ la riva, e '1 delo adora.
Con Beta pompa e con solenne rito
n possesso real prendesi allora ;
E *1 governo de 1* Indie a la mia cura
Conferma il vulgo , e fedeltà mi giura.
Seguendo gli abitanti il chiaro esempio,
A r ispanico re giurano omaggio :
lodopoalso una croce, e fondo uu tempio
A memoria immortai del gran pasf^aggio.
Quivi rendo le fiprazie , e i voti adempio
Del nuovo mondo , e del fatai viaggio :
Concorron gl'Indiani, e mansueti
Osservano di Dio gli alti secreti.
Lungo saria , s* io racconur volessi
Di quei regni idolatri ogni costume :
Basta saper, che in breve a lor porgessi
De la fede cristiana il vero lume.
£ sol breve dirò , eh* ivi scorgessi
D*oro folgoreggiar gonfio ogni fiume;
E che nei monti , preziosi e fini
I diamanti lampeggino e i rubini.
L*aria è salubre, e temperato il sole.
Misto al florido aprii rìde il settembre ,
Onde i pomi congiunti a le viole
Primavera d'autunno altrui rassembre.
Donne sincere in sempiici carole
Mostrano senza colpa ignude membre ;
II vizio non alberga In mente pura,
A cui norma di legge è la natura.
Prodooono le piante amomi e incensi ,
IH GRANATA. 96
Nutre porpore e perle il ricco mare.
Con fortunata messe i campi immensi
Danno miniere preziose e rare.
Par che prodigo quivi il ciel dispensi
Ciò che scarso e diviso altrove appare;
Con felice stagion la terra serba
Vaghi i fior, dolci 1 frutti , e verde 1* erba.
Mentre io godea di quel paese ameno
Le delizie e i tesori, arriva al lito
Gente armata di freccie e di veneno ,
Che move In guerra esercito infinito.
Senza fé, senza legge e senza freno
Corre a libere prede il vulgo ardito ;
Sono detti Caribi , e ai loro insulti
Lasciano gl'Indi Imbelli 1 campi inculti.
Contra costoro a sollevar gli oppressi
Impugnai l'armi in general conflitto;
Ruppi l'orgoglio, e l'impeto repressi,
E tolsi al giogo indegno il vulgo afllitto.
10 primo dei Caribi il duce oppressi
Con duo ferite in mezzo al sen trafitto ;
Mossa la gente mia da tale esempio
Fé' del barbaro stuolo orrido scempio.
Vinti appena i Caribi , accese i cori
De gl'Indiani ai nostri danni Alctto;
Onde per rintuzzare i lor furori
Fui di pugnar, d* Uicriidelir costretto.
S'inchinarono umili 1 perditori,
E per legge accetlaro ogni mio detto ;
E fu mio vanto in si remota sede
Subilire il battesmo , alzar la fede.
A la riva del mar poco lontana
D'alta rocca fondai poscia le mura,
E con altri lasciai Diego d' Arana,
Che del loco difeso abbia la cura.
Quinci scorsa la terra, a cui d'Ioana
11 titolo preposi e la ventura,
Io risolvo portar del memorando
Successo 1 primi avvisi al gran Ferrando.
CANTO VIGESIMOQUINTO.
Parlata di Fernando agli Spagnuoli e di Alimoro ai Mori
Già di belliche trombe il suono altiero
Chiama dal mar la sonnacchiosa Aurora,
Che presaga del di sanguigno e fiero ,
D'un torbido vermiglio 11 ciel colora.
Sorge nel fedel campo il re primiero ,
E lieto in volto I popoli rincora ;
Indi g^ì schiera, e con mirabile arte
Divide i siti 9 e gli ordini comparte.
Con sembianza di luna in doppio corno
Il saggio re 1* esercito dispose :
Egli il mezzo ritenne, e parte intomo
Col duca di Sldonia a destra pose.
Stese parte a sinistra al mezzogiorno,
E '1 duca d* Alva a cura lor prepose :
Stetter distinti in debiti intervalli
A difesa comun fanti e cavalli.
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96 POEBfl
Fremeano i Catalani, e quei che manda
La ferule Sicilia al destro lato.
Quei che Maiorca e Andalusia comanda,
Quei che il freddo Aragone avean lasciato ;
Ma si vedca ne la sinistra banda
Di Cordova e Valenza il Tulgo armato :
Quei di Leon, d* Asturia, e quei che a prova
Con Murcia alpestre invia Castiglìa Nova.
Nel mezzo intomo al re viene il restante
Del campo invitto, ed ei medesmo è duce,
E con angusto intrepido sembiante
Sovra un baio corsier d'ostro riluce.
Fra i piùgrandilosiegueErnandoavante,
Seco al pari Darassa il re conduce ;
Poi dice ad Altabruno : ove la selva
Copre il fianco nemico , i tuoi rinselva.
Quando fia poscia il gran conflitto acce-
Tu del campo africano urta le spaile, [so,
Ond*egii fia con maggior danno offeso,
E di sangue nemico empi la valle.
Te di tale opra esecutore ho preso.
Che puoi della vittoria aprire il calle :
Cosa nuova da te non si richiede ,
Ma l'usato valor, 1* usata fede.
Andrò nel bosco, il cavalier rispose.
Per insolite vie come ti aggrada ,
E dove più saran Tarmi dannose,
A la vittoria io ti aprirò la strada.
Ben è ragion che tu 1* usate cose
TI prometta, o signor, da la mia spada :
Mi fia legge fatale il tuo comando :
Vivrò vincendo , o morirò pugnando.
Tacque , e di sua fortuna 1 duri eventi
Troppo veri augurò con questi detti :
Indi i suoi di rapine e d* ira ardenti
Entro al bosco vicin guida ristretti.
Trascorre il re veloce, e a l'altre genti
Propon di nuove glorie usati efletti ;
E magnanimo parla in tal maniera
A l'esercito suo di schiera in schiera :
Se non fussero a me per tante prove
Note l'opere vostre, o miei soldati,
Forse In voi tenterei con arti nove
Seminar di virtù sensi onorati.
Direi che le vittorie e l premj altrove
Sospirati da voi sono adunati
In questo giorno appunto, e in questo loco.
Dove immenso il guadagno, e '1 rischio è
poco.
Direi che in quelle schiere ed In quel
È riposta dei Mori ogni speranza ; [duce
Onde , se il valor prisco in voi riluce,
Aìnti costor, non altro intoppo avanza.
EROia.
Direi che quella turba In guerra adduce
Priva d'armi, d'ardire e d'ordinanza.
Non rispetto d'onor, legge di fede.
Ma con tema servii brama di prede.
Direi ch'audace si, ma non esperto
D'arti guerriere il capitan garzone
Forse nel boschi d'orrido deserto
Con le belve africane ebbe tenzone.
Ma l'onor di tal opra e di tal merto
Diasi a privato avventurier campione;
D'altra lode si vanta, e d'altra legge
Chi gii eserciti aduna, e chi gii regge.
Direi più chiaro, e vi porrei davinte
De la perdita 11 danno, e più lo 50onio«
La patria lagrimosa e supplicante ,
L'afllitte mogli, e 1 mesti figli intorno,
lo vi direi che tante ingiurie e tante
0 vendicar dovete in questo giorno ,
0 che avete a patir miseri servi
Del Moro vincltor gli odj protervi, [glìo
Ma ciò tralascio , e rammentar non vo-
Quanto acerbo saria mirar da gli empj
Con grave sì , ma Inutile cordoglio
Violati i sepolcri , ed arsi 1 tempj.
Pensate di veder barbaro orgoglio
Far de 1 teneri figli orridi scempj ;
Pensate di veder, che prigioniere
Servono a sozzo amor le donne ibere.
Tutto lascio da parte , e non ritardo
Con le parole mie le vostre prove ,
Né propongo, o miei fidi, altro riguardo
A la virtù già conosciuta altrove.
50 che voi non temete il suon bugiardo
Di linguaggio siranier, di genti nove;
Tirchi , Egizi , Etiopi ed Indiani
Sono vani romori , e nomi vani.
Quante volte da noi vinti restaro
In varie guerre i Saracini e i Morì ,
Da cui per vanto, e per trofeo più chiaro
Questa gente deriva i suol maggiori?
Contra 11 ferro Cristian debil riparo
Son di cuoio e di lin rozzi lavori :
Durate voi , che in una breve pugna
51 vince il campo, e la città si espugni.
Cosi poi goderà dopo mille anni
Intiera libertà l'afllitto regno,
E del vostro valor, dei vostri affanni
Nobil frutto sarà fatto sì degno. [ni
Ma che più ? l'onor vostro, e gli altrui dan-
lo preveggo distinti a più d' un segno :
Son vosco , ma per me nulla desio ;
Le prede a voi , serbo le glorie a Dio.
Disse, e tonò da la sinistra il cielo.
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IL CONQUISTO
Db baleno indorò con Faria 11 campo,
E dei suoi detti accompagnando il zelo
A la nuoTa tattaglia accese il campo.
Chito Micliel di luminoso toIo
Fa r autor di quel tuono, e di quel lampo :
Dei Cristiani a faTor schierò quel segno
(Cosi crede pietà) l'empireo regno.
Da l'altra parte il giovine Alimoro
Con forma egual l'esercito dispose :
Per sé tenne nel mezzo il popol moro.
Gli Egizi, e quei di Barca a destra pose.
Collocò da sinistra incontro a loro
I Neri, e gii Etiopi, indi prepose
n circasso Orcomanne ai destro lato;
UtL Termnte il sinistro era guidato.
CUama poscia i Numidi e i Trogloditi,
Esperti sagìtUri, e loro impone
Che precorrano ognun lievi e spediti ,
E dian principio a la crudel tenzone.
Coo presidio opportun lascia muniti
Gli steccati , e gl'infermi ivi ripone,
E gl'inutili a l'armi : in cotal guisa
La gente saradna era divìsa.
Sdiierato il campo, il giovine africano
Scorrendo va sopra un destrier feroce
Di pel morello, e di tre pie balzano,
E col guardo favella, e con la voce :
Mon varcaste l'Atlante, e l' Oceano,
E de l'erculeo mar l'orrida foce.
Guerrieri miei, perchè arrivati in Spagna
Yol perdeste, e fuggiste a la campagna.
So che dal patrio lido aura d'onore
Vi 9pÌDat a liberar ^ oppressi amici;
E so che voi col solito valore
N'andrete a soggiogar gli empj nemid.
Dooqoe Inutil sari che al vostro core
DI GRANATA. 97
Io procuri accostar caldi artifici
Per infiammarvi a quella pugna Istessa
Che voi tanto bramaste, e che si appressa.
Sol dirò che in breve ora èqui ristretta
Libertà, servitù, vergogna, e gloria,
E che quinci da voi l' Afric' aspetta
0 di biasmo, o di lode alta memoria.
Se vincete, io vedrò tosto soggetta
La Spagna riverir la mia vittoria ;
Granata goderà gli antichi onori ,
E saran vostre prede ampi tesori.
Né vi rechi, o soldati, alcun spavento
0 Ferrando , o l' esercito cristiano ; [to.
Poiché alfine il lor grido è un fumo, un ven-
Che sparisce vicino, e appar lontano.
Quel titolo di Grande è un ornamento.
Che dona un re sagace a un popol vano.
Che non sa de la guerra i duri modi.
Ma fra i lussi di corte usa le frodi.
Vinse talor, noi niego, e di dò fanno
Questi campi distrutti aperta fede;
Ma fu de l'onor suo, del nostro danno
La discordia dei Mori unica sede.
Or non vagliono più l'arte e l'inganno :
SoflìBrenza e valor l' opra richiede :
A noi dunque farà breve contrasto
Di gente ambiziosa inutil fasto.
Su, a l'armi su, voi non sperate altron-
Che vincere, 0 morire oggi conviene : [de ;
Del procelloso mar le torbide onde
Tolgono di fuggir l' ultima spene.
0 drizzate i trofei su queste sponde,
0 morite , o vivete a le catene.
Ma del vostro valor perchè diflido t
Noi vincerem, voi seguiute, io guido.
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POEMI SACRI.
TORQUATO TASSa
LE SETTE GIORNATE DEL MONDO CREATO.
GIORNATA PRIMA.
Nella quale Dio creò il Cielo, U Terra, e la Luce, e la distinae dalle tenebre.
Padre del cielo, e tu del Padre eterno
Eterno Figlio, e non creata prole.
Dell' immutabll mente unico parto;
Divina immago, al tuo divino esempio
Egual ; e lume pur dì lume ardente :
E tu, che d* ambo spiri, e d' ambo splendi,
O di gemina luce acceso Spirto,
Che se' pur sacro lume, e sacra fiamma,
Quasi lucido rivo In chiaro fonte ,
E vera Immago ancor di vera immago.
In cui sé stesso '1 primo esemplo agguaglia
(Se dir conviensi), e triplicato Sole, [stri :
Che Talme accendi, e 1 puri ingegni ìllu-
Santo don, santo messo, e santo nodo,
Che tre sante persone in un congiungi :
Dio non solingo, in cui s'aduna *1 tutto.
Che *n varie parti poi si scema e sparge :
Termine d'infinito, alto consiglio,
E dell'ordine suo; divino Amore,
Tu dal Padre, e dal Figlio in me discendi,
E nel mio core alberga; e quinci e quindi
Porta le grazie, e 'nspira 1 sensi e i carmi,
Perch'io canti quel primo alto lavoro,
Ch'è da voi fatto, e fuor di voi risplendc
Maraviglioso, e '1 magistero adorno
DI questo allor da voi creato mondo ,
In sei giorni distinto. 0 tu l' Insegni, [so,
Che'n un sol punto chiudi 1 spazj, e *l cor-
Che per oblique vie sempre rotando
Con mille girl fa veloce il tempo.
Piacciati ancor che del tuo foco all'aura
Canti 'l settimo dì, soave e dolce
Ripo^ eterno. In cui prometti, e rendi
Non pur sedi lucenti, e gioia e fesu.
Ma di breve, terrena, Inceru guerra
Alfin certe lassù corone e palme,
E trionfo celeste. 0 pure intanto
Questa quiete, in cui m'attempo, e piango
(Se quiete è quaggiù fra '1 pianto e l'Ira)
Somigli quella, a cui n'invita e chiama
D* iiifallibil promessa alta speranza ,
Ch' al suon d' eterna gloria '1 cor lusinga.
Tu le cagioni a me del nuovo mondo
Rammenta ornai , prima cagione etema
Delle cose create innanzi al giro
De' secoli volubili e correnti.
E qual pria mosse Te, cui nulla move,
Motor superno, alla mirabll opra,
Già novissima esterna, ornai vetusta, [bo ;
Che tutto aduna e tutto accoglie 'n grem-
E serba ancor le prime antiche leggi.
Mentre risplende pur di luce e d'oro
E di vari colori e varie forme
Mirabilmente figurata a' sensi.
Dimmi , qual opra allora , o qual riposo
Fosse nella divina e sacra mente
In quel d'eternità felice stato.
E 'n qual ignota parte , e ^n quale idea
Era l'esempio tuo, celeste Fabbro,
Quando facesti a te la reggia e *1 tempio.
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LE SETTE GIORNATE
Torcile 1 sii, ta 1 rireU : e chiare econte,
Sipior, per me fa' l'opre, i modi e l'arti.
SgDor, ta se* la mano, io son la cetra.
La qiial moesa da te, con dolci tempre
IH soave annonla risnona, e molce
D'adamantino smalto i duri affetti.
Signor, In se* Io spirto, io roca tromba
Son perme steasoalla tua gloria ; e langue.
Se Boo m'inspiri tQ, la voce e '1 snono.
Tta le tne mararigUe in me rimbomba.
Signore : e ila tua grazia '1 nnoTO canto :
Percfaè non pur s' ascolti in riva al Tebro,
Al bel Sebeto, all'Amo, al re de' fiumi ,
Al Mlndo, al Brembo, al Ren gelato, all' I-
Ma dovei Nilo! suo' Ticini assorda, [stro.
Eque! che fa più sordi errore e colpa ,
DÓu per tempo, o tardi a' sacri accenti.
Pria cbe facesse Dio la terra e '1 cielo.
Non eran molti Dei , né molti regi
Discordi al fabbricar del nuoTo mondo.
Né solitario in un silenzio etemo
In tenebre Tiveasi '1 soauno Padre;
Ma col suo Figlio e col divino Spirto
In sé medesmo avea la sede e '1 regno;
De' suo' pensati mondi alto Monarca.
Perch' opra fu 1 pensler divina , intema ,
Né d' uopo a lui facean le schiere e l' armi,
Né teatro alla gloria, in cui risplende
Solo a sé stesso , e parte altrui s' involve.
Ma narrar non si può, né 'n spazio angusto
Cape dell'intelletto umano e tardo.
Come 'n sé stesso, e di sé stesso '1 Verbo
Generasse ab etemo; e '1 sacro modo
Dì sua progenie; e l'Ineffabil parto
Dd suo Figlittol, che 'n maestà sublime
A sé medesmo adegua assiso a destra.
Tacda l'antica omai Grecia bugiarda
La progenie di Gelo e di Saturno,
£ de' cacciati Del le tronche parti;
E i Giganti e i Titani al fondo avvinti
BeUa tartarea, tenebrosa notte;
E ^ usurpati seggi , e 'I figlio ingiusto
Contaminato dal paterno oltraggio;
E quella, cbe dal capo ei fuor produsse ,
l>ea favolosa, e collo scudo e l'asta;
E con Osiri e col latrante Anubi
Tacda i suo' mostri il tenebroso Egitto,
Cbe d' antiche menzogne 'I vero adombra.
O (se n'é degno) li chiaro suono ascolti
Di lei , eh' usdo dalla divina bocca
Dell'altissimo Padre innanzi al tempo
Delle cose create, e seco alberga
D'antica etemlU gli eccelsi monti.
DEL MONDO CREATO. 9»
Primogenita sua neiralta hice,
A cui la mente umana aspira indamo.
Questa nata di lui figliuola eterna
Sempre fu seco, e '1 raggirar de' lustri
Non l'è vicino, o '1 varfar degli anni.
E non erano ancor gli oscuri abissi ,
Né rotto avean la terra 1 primi fonti ,
Quando fu conceputa; e l'erto giogo
Non alzavano ancor Pirene ed Alpe,
Ossa, Pelio ed Olimpo e '1 duro Atlante
0 gli altri monti ; e dall' aperto fianco
Non correan ondeggiando al mar 1 fiumi
Dalle quattro dd mondo avverse parti ,
Quando lei partoriva '1 sommo Padre,
Seco era allor eh' a' dechl abissi intorno
Egli facea l'oscuro cerchio e '1 vallo;
Seco era allor che 'n cid le stelle aflisse,
E l'acque sue librando appese in alto;
Seco era allor ch'ali' Ocean profondo
Termine pose , e die sue leggi all' onde.
E quand'ei collocò dell'ampia terra
1 fondamenti , era pur seco all' opro.
Seco '1 tutto foralo di giorno in giomo.
Quasi scherzando ; e fu l'oprar diletto.
Ma questa fatt'avea l' aurato albergo
Di chiaro stelle e d' oro adorno e sparso,
Alla croata Sapienza , e 'n parte
Lei deU'eteraitJi felice e lieU.
Ma quell'albergo in disusate tempre
Per sua natura si trasmuta e cangia ;
E nel suo variar già quasi algente
Pur diverrebbe ottenebrato in parte;
E qnal caduca e rainosa mole
Vacillar già potria; però s'appressa,
E giunge a lui che gli è sostegno, e 'I folce,
E tutto dd su' amor r illustra e 'nfiamma.
Talché non si dissolve e non paventa
Morte , o mina mal , né caso , o crollo
Per yicenda di tempo , o per rivolta.: .
Benché pur d'Isslon la ruota , e. U pondo
Del Mauritano stanco altri raccontL [na
Ma 'n lui s' acqueta , e 'n contemplar s'eter-
La celeste magion , che 'n sé n'accoglie.
E quella da principio , a Dio presente ,
Pria ch'd facesse 'I suo lavoro adomo,
Seco era nel prindpio allorch' d volle
Formar co* detti le mirabll opre.
È buono Dio , tranquillo e chiaro fonte.
Anzi mar di bontà profondo e largo,
Cbe per invidia non si scema, o turba t
Ma quel cb'é buono e 'n sé perfetto ap-
pieno.
La sua bonute altrui comparte , e versa.
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100 POEMI
Dunque el di sua bonU fecondo e colmo,
La sparge, quasi un mar che 1* onde spar-
ge;
La spiegò come un Sol che spiega I raggi :
E volere e natura in un congiunse.
E quinci fur quasi germogli o parti ,
Le cose poi creale , in cui si scorge
Più e men chiaramente; e dall'eccelse
Insin air ime ancor riluce e splende.
E *n tutte '1 Creatore alto vestigio
Di lei c'impresse, e figurolle a dentro.
Ma della sua bontà la vera immago
In altre appare , e con sembianza illustre
Son degne d' innalzare al ciel la fronte ,
Di sua divinità parte mostrando.
Anzi non è si vii di pregio , o 'n \ista
Cosa fra le create , o si lontana
IDalle pure del ciel lucenti forme
Per faticosa via non move , o serpe ;
0 non s* appiglia 'n terra, o *n dura pietra.
Che bagni *1 mar, non si rìlrova afiissa ;
0 non giace in palude , o 'n ima valle ,
In cui non si ritrovi , e non sì mostri
Mirabil arte del suo Mastro etemo ,
Che fé* di nulla *1 magistero e V opre.
Questa fu V una del creato mondo
Alta cagion, ch'i vari effetti adempie
Di sé medesma , ed infinita avanza.
E non mai de' suo' doni avara e parca ,
Sua largita comparte. A questa arroge
La gloria sua , che star non deve occulta.
Ma come in ciel fra gli stellanti chiostri ,
In quel sacro al suo nome, etemo tempio,
É chi r adori , e con perpetuo suono
D'alta voce immortale il lodi, e canti :
Sicché degli onor suoi lieto rimbomba
L* Orto e l' Occaso, l'Aquilone e l'Austro ;
E dell'eternità gli antichi monti
Risuonan tutti all'armonia superna;
Cosi deve quaggiuso aver la terra
Adoratori , e chi 'n sonoro carme
Sacrificio di laude a Dio consacri :
Perchè quanto adempiè supema ed alta
Bontà divina, ancor sua gloria adempia,
E colmi il tutto , e co' suo' raggi illustri
Per le parti di mezzo e per l'estreme.
Già di quel eh* ab eterno in sé prescrisse
Dio, eh' è senza principio e senza fine,
Era giunto '1 principio e giunto '1 tempo
Col principio del tempo. E qual di gorgo,
0 di pelago pur tranquillo ed alto.
Che senza '1 moto e 1* onde, e posi e stagni,
Esce ttdvolu *1 rapido torrente :
SAGRI.
Tal dall* eternità , che 'n sé ncoolU
Si gira, e di sé stessa è sfera e centro.
Ornai prendeva '1 tempo '1 moto, e *\ cono.
Quando 'I suo Creator lo spazio al passo,
E la misura die , lo stato etemo.
GÌ' invlslblU oggetU appena intesi ,
(Se lece dir avanti) erano avanti.
E l'orìgìn degli altri esposU a' sensi.
Già cominciava allor, che 'I sommo Padre,
Che 'I suo Figlio e '1 suo Spirto aU'opre
esterne
E comuni fra lor, non lascia addietro.
Die '1 pensato principio al nuovo mondo,
Più d'ogni creatura antico e prisco.
Il sommo ciel creando, e l'ima terra.
Ma come di sublime e chiaro albergo.
Che pareggi le cime agli erti coill ;
E gli aurei tetti infra le nubi asconda;
Il principio , che 'n lui si loca e fonda.
None l'albergo ancora : e 'n calle obliquo
Non è *l principio suo l' Istesso calle :
Cosi lo stabii punto , onde si volge [pò,
11 tempo in sé non è '1 suo spazio o '1 tem-
Che parte dal principio, e 'n lui ritorna.
Dio fece nel principio *1 cerchio estremo,
E quella , eh' a noi par costante e salda
Sede , pur fece in mezzo all'ampio giro ;
Né fu del suo poter, che sia disgiunto
Dell' etemo volere , ombrato effetto ,
Come talor del corpo opaco, e denso [gio ;
È 1* ombra , e del lucente 'I lume e *l rag-
E 'I voler fu potere ed opra eletta.
Ma siccome di creta in Lesbo, o 'n Samo
Mille vasi compone , e 'n mille guise
n suo buon mastro li colora e plnge ;
Né consuma '1 poter coli' arte insieme.
L'arte infinita, onde pon fine all'opre :
Così del mondo il Fabbro eguale a un
mondo
Non ha la possa , che soverchia '1 tutto,
E mille mondi e l'infinito eccede.
Quel che ne' vari e smisurati campi.
In cui trovar non lece il sommo, o l'imo.
Né *i manco ivi segnar, né '1 lato destro ;
Dal vago incontro di minuti corpi
Commossi a caso, e 'n lungo error volanti,
Simili a quel ch'ove risplende 'I Sole,
Talor veggiamo in varia turba e mteta.
Fa vari mondi , e li riforma e guasta,
E di sito diversi e di figura :
Mentr'egli insieme gli congiunge, o parte.
Tela forma d'Aracne, e fral contesto.
Che leggermente poi disperde, o solve
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LE SETTE GIORNATE
Mia rortuna errante 'I soffio e l*aura ,
O 'I dubbio respirar del corso incerto.
Ma queste (se dir lece} alte colonne [già.
Forma In ben salda base, e 'n lor s*appog-
Comc a lui piace, la profonda terra;
E crollar non la può tempesta, o turbo,
Ma solo il suo Toler la move e scuote.
n suo voler, clie d' infiniti abissi
Ha tenebrose, oscure, alte latebre.
In cui s'aperti avesse i ciechi lumi
Quel , eh' i termini tolse al vasto mondo ,
Le fiammeggianti mura a terra sparse ,
E 1 vano immenso col pensier trascorse,
Non avrla dato a Dea fallace ed orba
Della terra e del eie! lo scettro e '1 regno.
FoOe ! che non conobbe '1 modo e l'arte,
Per cui creato è '1 mondo, al primo esem-
Che 1 divin Architetto in sé dipinse [pio.
Maggior dell' opra assai, che poscia offerse
Quasi da contemplare oggetto ai sensi.
Ma qual mastro terren scolpisce e forma
DI predosa gemma in giro angusto
il cielo e i suo' lucenti e vaghi segni ;
Tal U Fabbro immortale in queste im-
Sparse di varie luci erranti sfere [presse
L* Interna idea , cui non è pari il mondo :
E da lei stanca è la materia , e perde,
La qual creata fu dal primo Mastro ,
Che fece l'opra, e non eletta altronde,
Ch'altra orìgine a lei si cerca indamo.
Bla al suo Creator si volge, e veste
Vaga di sua beltate : e 'n rozzo grembo
MlUe forme colora ; e in mille lumi
Della sua luce in varie guise accende.
Chi ponei due prìncipj , e '1 doppio fonte ;
E quinci I beni sol deriva, quindi
Origina di mali ampi torrenti ;
0 divide l'imperio, o 'n due l'adegua
E di tenebre un Dio si finge , ed orna ,
E la di sua malizia a lui corona.
E se ciò fosse, in contrasUr rubella
La materia sarebbe , o schiva , o tarda
SI mostreria sotto 'I contrario manto
Aquelche la'nvagfal pur dianzi e piacque.
Ma noi vegglam eh* ella bramosa e pronta
L« forme accoglie , e le trasmuu e varia ,
Come place a colui che si r adoma.
Forse nelle più beile è più costante ;
Ed in guisa di lor sue brame adempie.
Che spogliar sen ricusa, anzi che '1 mondo
Rnlnoso vacilli ; e 'I corso obliquo
Ce«i del Sole e deU' erranti stelle.
Ma ila por questa In del materia, od altra
DEL MONDO CREATO. foi
D'altra ragion : d'eterniti superba
La materia non vada , e non s'agguagli
Per antica vecchiezza e veneranda
A quel degli altri , e suo vetusto Padre ,
E vetusto Signore e Dio vetusto.
Dunque lo Spirto suo non poscia, od ante,
Ma colle forme la creò spirando,
E di bellezza e di bontà divina
Spirolle al seno un desiderio interno.
Un vago istinto, anzi un leggiadro amore,
Gh' alla natia dio fine orrida guerra ,
Per cui ritrosa, fella e ribellante
Era a sé stessa , in suo furor discorde ;
Se dir si può che mai la terra al foco
Fosse confusa in quella orribil mischia.
Né foco era , né terra, e l'aria e l'onde
Si distruggean nelle contrarie tempre.
E ciascuna di lor nel dubbio acquisto
Se medesma perdeva , e fiera morte
Era la sua vittoria, e l'imo al sommo
Male adeguato , e mal confuso appresso.
Onde quella Incomposta e rozza mole
Né tutto era, né nulla, e nulla parve
Fu questa forse immaginata guerra ,
E d'altra guerra pur immago ed ombra,
E simulacro di tenzon maligna ,
Che fé' natura al suo Fattore avversa.
Ma r alto Dio creò quasi repente
La materia e le forme. E qual sia prima
0 questa, o quelle, io non mi glorio e vanto
Già di provare in periglioso arringo ,
Dall'accademia uscito e dal liceo.
Ma pur l'arte divina é prima , e vince
L'altre per dignitate , e vince '1 tempo.
Ma l'arte umana pargoleggia, e sembra
Negli scherzi fanciulla all'opre intorno.
Prima vestia le mansuete agnelle
La bianca lana; e poi la tesse, e tinge
11 buon testore , e 'n rugiadosa conca
Porpora coglie pur Sidone e Tiro,
Quasi marini fiori. E l'alto pino
Pria con acute foglie in verdi monti
Frondeggia, o pur l'abete, o l'orno, o '1
Poscia l'arte ne fa le navi e l'aste, [cerro;
Prima nell'ampio sen la terra avara [ma
Nasconde '1 ferro, e quinci 'I tragge, efor-
L' industria umana o spada, o lucid' elmo,
Od innocente a' duri campi aratro.
Ma quella Innanzi al tempo , e Innanzi al
Arte divina fé' la terra e '1 cielo, [mondo
Ed intiero ciascun , né parte addietro
Lasciò ; ma riempi gii estremi e '1 mezzo.
E 'n lor dispose *1 foco e l' aria e l'onda ,
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102 POEMI
Ch'alia term, graTOsa e rcrma tede*
Stese le braccia monnorando intorno.
Vaga , instabil , ma grave ; e *n giro cinta
Fu dall' aria più vaga e più leggiera.
E levissimo '1 foco a lei corona
Fece , e vicino al ciel suo loco scelse.
Cosi r arte divina insieme avvinse,
Quasi catena inanellata e salda,
Gli elementi fra lor vari e discordi,
E fra gli estremi per natura avversi
Pose in parte contrari , in parte amici ,
In due di mezzo : e fé' costante e fermo
In questa guisa , e 'ndissolubil nodo.
Invisibile ancor la nuda terra
Era dianzi creata, e non adoma.
Quasi nuovo teatro, e voto i seggi.
In cui non sia chi miri , o pur contenda :
Che naU ancora i miseri mortali
Non erano a vederla, e vasu ed erma
Solitudine inculta i campi, e i monti
Empiea d'orrore, e ie deserte arene ,
Non spiegavano ancor l' ombrose chiome
Gli alberi eccelsi ; e di lor fronde ed ombra
Non facean vaga scena a' verdi colli.
Non fiorivano ancor rose e ligustri ;
E i giacinti e 1 narcisi e gli altri fiori
Non dipingeano 'i seno a prati erbosi ,
Né fean lieta ghirlanda a' chiari fonti.
Era quasi coperta ancor dall'acque ;
Che parea tenebroso e fosco '1 velo,
Ond' ascosa tenea l' orrida faccia
E le squallide membra e '1 rozzo grembo,
Quasi attonita ancor l' antica madre.
E '1 ciel sublime ancor non era adomo ;
Né '1 mirabil lavoro in lui disUnto
Splendea d'un bel sereno e d'aurei freg],
E di segni lucenti. E '1 Sol rotando
Non scuotea ì'fanmortale ardente lampa.
Né la candida Luna in colmo giro
Gli si opponeTa, o con argentee coma
Per distorto cammin volgeva '1 corso.
Mancavan le carole e '1 suono e 1 cori ,
E delle stelle fisse e dell'erranti;
Lui non clngeano ancor l' alte corona;
Né creata era ancor la vaga luce.
Ma sulla faccia degli oscuri abisal
Eran tenebre oacure. In tale aspetto
Nascendo ancor non si vedeva '1 mondo^
Ma qua! fur (se spiarlo a noi conviene)
Quelle tenebre antiche e quegli abissi?
Quando non anco il Soie ad altre genti
Portando '1 giomo : a noi la notte e l'ombra
Alfeote, uadi dal grembo opaco e denso
SAGRL
Della terra, e giungeva insin ai cietot
Né gbk molte potenze Incontra opposi»
Gli abissi fur, com'akri estima a torto:
Né le tenebre furo al bene avrerie,
E di gran forza potestà maUgna.
Perché se fosse pari al bene il male
Di possa e di valor, perpetua guerra
Saria fra loro, anzi perpetua morie.
Morendo 'nsieme i vincitori e 1 vinti*
Ma se '1 ben di potere avanza e vince.
Perché non si distragge '1 male, e stcrpat
Deh ! sarà mai che senza mali il mondo
Solo di beni abbondi? e parte, o loco
Più non si lasci all'importuna Morte?
Ma trionfi la Vita, e Morte ancida
Nella vittoria ? e dell'antica fraudo
Non rimanga fra noi vestigio, od oratt
Or non ardisca Ingiuriosa lingua.
Che si rivolge in Dio , profana e lorda,
E le bestemmie in lui saetta e vibra.
Non ardisca aflermar die '1 mal derivi
Generato da lui, ch'é largo fonte
Ond' ogni bene a noi si sparge e spande.
Perché nlun contrario (omai distingui
Si genera dall'altro, o si produce*
Benché se cade l' uno in terra estinto.
Pur l'altro dopo lui risorge e vive,
E dal simile anzi é prodotto, e nasee
Il suo simìl , come dal foco il foco.
Ma dalla chiara luce indarno uom tenta
Dar principio alle tenebre maligne;
E dalla morte originar la vita,
0 pur da' morbi la salute agli egri
E miseri mortali. Or non c'inganni
Falsa di verità sembianza e larva.
Non é natura '1 mal, non vera essenia:
Né di lui ricercar lontane parti ;
Né pur d' intorno a te riguarda , o fuori,
Come sia cosa in sé fondata , e salda ;
Ma 'n te stesso '1 ritrova, e'n mezzo all'alma
Rimira lui , pur quasi macchia , od ombra
Di volontaria colpa , e di gradita.
A te medesmo sei perpetuo fabbro
De' propri mali , e li colori ed orni ;
E 'nvaghito di lor, con vano affetto.
Pur com'idoli amati , in te gli adori ;
Ma la vergogna e l' Unfelice esUlo ,
E l'odiosa povertate , e quella.
Che tanto ne spaventa , orrida morte,
Veri mali non sono. Or oessl , o lunge
Vada '1 Umor. Ma i veri beai Indarno
Ne' contrari quaggiù ricerchi, o spati:
Benchésia nud, quando più I beni a
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LE SETTE GIORNATE
L* esser prhro itt loro. 11 loco adunque ,
Cke priTato è del bene, il male adombra.
E le tenebre foro (o cb'io Tanegglo)
HeB* aria, che di luce è prìTa, e cieca
QaaliCate , od affetto antico , o nuoto.
Ma se più antiche for del nuoTO parto
5eir oniTerso, il male è prisco e Teglio :
Ma non conrien che sia più vecchio 1 peg-
gio.
Dunque era luce etema innanzi al mondo,
E le tenebre esteme ond*egII è cinto :
L«ce, che luce alle beate menti,
A' «ensi no, ma quel ch'i sensi Illustra.
E questa a* sensi esposta adoma mole ,
Tlslbil lume , e sol di luce immago :
Iramago che s'adorna al primo esempio ;
Esemplo da cui lunge 11 Sole è raggio
Qw si perturba spesso in nube, e 'n ombra;
Era luce increata innanzi al mondo ,
Forse e creata luce, e mille e mille
Lustri non solo e secoli volanti
Erano Innanzi a lui rivolti in giro.
Ma quasi eterniti (se dir conviensi],
Piecedevano ancora 1 mondo, e *1 tempo
Da che furo creati al prhno lume
1 seooodi splendori , Angeli santi.
Né già doveano 1 Principi celesd ,
Le DigniUti, e le Virtù sublimi,
Taote armate lassù d'oro e d'elettro
GkMiose, immortali, elette schiere.
Tanti eserciti suoi vita sì lunga
In tenebre menare oscura e fosca.
S'eran dunque primler create menti,
Era creata luce ; e *n festa e 'n canto
Elle già si vivean lucida viu,
A sembianza di lui eh' è vita e luce.
Facendo i sacri balli e liett cori,
E I sacrUId di sovrana laude.
Allo splendor della sua gloria etema ,
In quel sereno e luminoso impero.
E questa luce dagli antichi Padri
Fu già promessa a' giusti, e i giusti avranno
Sempre luce Immortal , sortiti a parte
Della luce de' Santi. Avranno incontra
Pene In tenebre eteme Iniqui spirti.
Nelle tenebre allor de' ciechi abissi
Lo Spirito divino, e sovra l'acque
Era portato , e l' umida natura
Già preparava. Anch' ei presente all'opra
Spirando già forza e virtude all'onda,
ìf uccello in guisa , che da frale scorza
Gol suo caldo vital covata, e piena
Trae non pennato '1 figlio, e quasi Informe.
DEL MONDO CREATO. 103
E disse : FatU sia la luce; ed opra
Fu '1 deUo, al comandar del Padre eterno.
Ma '1 suo pariar suon di snodata lingua.
Né percossa fu già, che l'aria hnprima
Di sé medesma, e di sua voce Informe;
Ma del santo voler, eh' all' opre inchina,
Quell' inchinarsi è la parola intema.
Cosi la prima voce e '1 primo impero
Del gran Padre del del creò repente
La chiarissima , pura e bella hice ,
Che fu prima raccolta , e poi divisa,
E 'n più lumi distinta 'I quarto giomo.
Sgombrò l'orror, le tenebre disperse «
Illustrò da più lati il cieco mondo ;
Manifestò del ciclo 11 dolce aspetto;
Rivelò con serena , alma sembianza
L'altre forme leggiadre; e d'ogni parte
Egli indusse la cara e lieta vista ,
Gioia della natura , ahno diletto
Della terra e del elei , piacere e gloria
Della mente e del senso, e quasi a prova
Delle cose mortali e dell'eterne.
Ed in un punto l'Aquilone e T Austro,
E parimente ancor l'Occaso e l'Orto,
Tutto irrigato fu dall'aurea luce.
E rapido sembrò mlrabil carro ,
Vieppiù del tempo e del pensier veloce.
Che divina rirtù cosparga e porte.
E qual carro più bello , o più veloce,
0 bellissima luce , o luce amica
Della natura e della mente umana.
Della divinità serena immago.
Che ne consoli , e ne richiami al delo,
Potea 'ntomo portar vlrtutl e doni
Celesti In terra a' miseri mortai
Da quei tesori , e da quel regni eterni ,
Ch' a noi dispensa con si larga mano
De' lumi il Padre, e '1 Donator fecondo?
Come possente re di Persi , o d'Indi,
Del grembo oscuro dell' avara terra
Preziosi metalli insieme accoglie,
E dall'arene pur d'oro cosparte
E dal profondo mar le perie e gli ostri
Aduna ; e i bei rubini a questi aggiunge,
E I bei smeraldi e 1 lucidi giacinti,
E qual pregiata più s'indura e 'mpetra
Nell'Oriente luminosa gemma :
Così dell'universo 11 Re superno
Nel cielo empireo ascoso a' vaghi sensi,
E ignoto al contemplar degli alti Ingegni,
Che misurar degli altri I giri e 'I corso.
Ha di luce divina etera! ed ampi
Tesori , e quinci poi gli parte, o sertMU
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104 POEMI
Anzi ristesso cielo è pura luce.
In cui nulla giammai si turba, o mesce.
Luce '1 suo tempio adomo, e l'alta reggia
E son di luce le corone e Tarmi,
Onde gli eletti suoi circonda e veste.
Ma vedendo quaggiù creata luce.
Disse, eh' è buona; e '1 testimonio aggiunse
Della sua voce, anzi *1 giudizio espresso.
E perch'è buona e bella, e non si vanti
Per bellezza di parti aggiunte insieme,
E con giusta misura in un composte,
La natura terrena , o la sublime ;
Né ricerchi in frondosa ed ima valle
Di mal cauto pastor giudicio errante,
E fallace sentenza : Espero in cielo.
Espero miri in del lascivo sguardo.
Che Lucifero è poi recando '1 giorno,
E la sua desiata e chiara luce :
E di sua puritate i sensi appaghi ,
Perch'ascenda la mente a' primi oggetti.
Però Dio separò la chiara luce :
Dalle tenebre oscure; e 1 nomi impose.
Queste notte chiamando, e giorno quella.
E fece solo un dì da mane a sera ,
Fra' tenebrosi e lucidi confini
Quinci e quindi ristretto, a cui rotando
Il Sol non stabilì l'eccelsa meta.
Mentre in sé stesso pur ri toma e gira i
Ch' ei non aveva ancor la forma, o '1 corso.
Ma quel che fu del tempo etemo Fabbro,
Gli die lo spazio, la misura e 1 segni :
E col quattro e col tre rivolse in giro
Le sue misure, e riempiè d'un giorno,
Che sette volte in sé si volge, e riede
Ck»n tal numero pur, lo spazio intero.
Quesu figura ha in sé principio e fine :
Ed ali'etemitA , non solo al tempo ,
Conviensi ; and del tempo è quasi un capo;
Però di esser primiera ancor si sdegna,
Perchè il suo Creator scacciata , e scevra |
SACRL
La scompagnò dall' altre, e quasi Impresse
Delia sua nota , onde sen va solinga.
Questa è dì del Signor, da lui s'appella.
Che nomarsi dal Sole a sdegno prende;
E da sé caccia 1 miseri mortali
Intenti all'opre faticose e 'ndegne.
Questa è dì del Signor grande ed illustre ;
Alfin , quando che sia , sarà disgiunta
Dal numero de' giorni, anzi degli anni,
£ de' lustri e de' secoli correnti ;
Ned altra a lui sarà seconda, o terza.
Ma voi, che del Signor cercate '1 giorno.
Deh non seguite 1 sogni antichi e l'ombre
Di questo dì nell'orrida tenèbra:
Seguite omai, eh' a voi riluce e splende
La chiara dell'ottava e nuova luce.
La qual non corre faticosa al vespro :
Non ha sera, oconfin di fosco, o d' ombra ;
Ned altro in lei succede in giro alterno.
Giorno finito da nemica notte;
E costante sarà felice stato
Alfine, e resterà solinga ed una.
Giorno, o secolo sia, che pur s' eterni,
Questa a voi dimostrò ne' primi tempi
Del profetico spirto il chiaro suono.
Questa poi dimostrò quando risorse.
In guisa di leone, il Re celeste,
E trionfò del tenebroso inferno*
E quella che per lui guerreggia e vince,
Santa Chiesa di Roma , a voi l'insegna,
E la celebra in sacri accenti, ed orna
Di ben mille sacrate ed auree spoglie.
E d'altissimo seggio, in cui s'adora,
Pur anco a voi la benedice, e segna
Quegli al cui sacro regno in cielo e'n terra
Non è confine, o meta. E ben conviensi
Che l'Ottavo Clemente '1 giorno ottavo
Della divina luce 1 cori illustre,
E 1 rozzi, tenebrosi e tardi Ingegni.
GIORNATA SECONDA.
Nella quale Dio creò il Firmamento, con le Stelle, e divise le Acque superiori
dalle inferiori.
Anzi le porte del mirabil tempio.
Che si porUva d' una ad altra parte.
In lochi aperti e neU' aperto cielo.
Cui tetto non ricopre, o velo adombra.
Erano esposti alle praine, al ghiaccio.
Al torbido spirar d' orridi venti ,
E del fervido Cane a* raggi estivL
E 'n lor già s'accogliea profana turba,
E destinati al ferro armenti, o gregge, [do
Tal son pur quelli, in cui n' alberga '1 1
Nella profonda sua parte più fosca.
Di lui parlando, e di terreni obiettL
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LE SETTE GIORNATE
Or da caUglnose alte tenèbre
àà trapassati alla serena luce
Siam, dofe in sette lumi appar distinto
Il candelabro , e 'nestinguibil lampa ,
Lieta e sicura dal soffiar dell'Austro,
A Dio s* accende : e qui d* immondo affetto,
0 di brutto desio le parti sacre
Non ha contaminate '1 puro albergo.
Limge , lunge , o profani , ite in disparte.
Or chi rimove a gran misteri il velo,
Sicché n'appaia fiammeggiando in ala
L'alato Cherobin, qual prima apparse?
Già nel suo Figlio avea creato il Padre,
Md Figlio, eh' è principio, il primo cielo,
Cb'è fuor degli stellanti e vaghi giri.
Già si godea tranquilla e stabil pace.
Cui non perturba, o varia '1 corso, a destra.
Od a sinistra pur volgendo intorno.
Già coir empireo ciel , di pure menti
GII angelici splendori insieme accensi ,
Eran del sommo Sol diffusi i raggi :
£ s'altri fur creati in altre parti ,
Far di grado men alto, e meno eccelse
Ebber le sedi , e i loro ofiicj e l'opre.
Già rivolgeasi da mattino a vespro
Lor conoscenza : e quasi in lucid'alba
Ciascun In Dio mirando al ver s'illustra
Ma nelle cose quel saper s* adombra ,
E quasi assera : e già la grazia e '1 merto
Gli fa beati, e gli riempie , ed orna;
Quando conllnuò di giorno in giorno
Le sante maraviglie il Fabbro eterno.
Facciasi, disse, e sia cosunte e fermo
In mezzo all'acque, il ciel sparso di stelle,
Lo qual divide pur l'acque dall'acque.
E fece un chiaro ciel di stelle sparso ,
incontra *1 tempo di robusta forza,
E saldo al raggirar d' un lungo corso;
Perch'egli al variar degli altri erranti
Sia quasi certa norma e certa legge.
E col denso di lui l'acque distinse
Vaghe, rare, sottili, preste e snelle,
O d'ondeggiante, o di gelata e salda
Matura in sé raccolta ; e dipartille ,
Altre sotto lasciando , altre di sopra.
Così Dio fece ; e '1 nome imposto al cielo
Da sua fermezza il firmamento appella,
Qnelche l' uom chiamò poi steilantesfera,
O pur giri stellanti : e fatto insieme
Fu da mattino a sera il dì secondo.
Come Dedalo o Scopa, od altro antico
D'artificio gentil famoso mastro
Prima raccoglie I peregrini marmi,
DEL MONDO CREATO. 10&
E 1 lucidi metalli e i cedri eletti,
I qual del tempo e dell'età vetusta
L'invido dente non consumi , o roda :
Poi forma '1 tutto , e la superba mole [chi
Comparte e compie , e le sue volte e gli ar-
Fonda sovra marmoree alte colonne ,
0 pur di Caria a' simulacri appoggia,
E fa teatri e logge entro e d'intorno
Con lavori di Ionia e di Corinto :
Cosi di sua materia il Fabbro etemo
Pria r universo informa e poi distingue
Le varie parti , e l'abbellisce ed orna.
Né vero è quel che si descrive e mostra
Da' saggi , onde la Grecia ancor si vanta,
Che tutta la materia al far d'un mondo
Consumasse ei nell' opra, e quinci awegna
Che ne facesse un sol , che '1 tutto cinge,
E tutto accoglie ancor nel vasto grembo.
Ned infiniti sono i mondi e i cieli ,
Coui' altri afferma, che d'opposta parte
II furor letterato adduce in guerra.
Ma Dio, Cile generò la forma , e 'nsieme
La materia del mondo alior produsse ,
Molti far ne potea, di bolle in guisa,
Cile di spumoso umor riempie 'I vento.
Perchè allato al poter che tutto avanza ,
Son quasi gonfie l>olle 1 mondi e 1 cieli.
Ma pur ne fece un solo il Fabbro etemo;
Perch'uno era l'esempio, ed uno il ma-
E della sua virtù formollo impresso, [stro ;
Uno è l'ordine ancora, e 'n un si volge,
Ma 'n molte sfere si comparte , e gira
La somma delle sfere, o '1 sommo cielo ,
Che non ha moto, onde conosca '1 senso
Umano e 'nfermo le sostanze eterne.
Corpo ancora non è , ma pura forma.
Che di serena luce arde e fiammeggia;
E questo, empireo del fra noi s'appella.
L'altro, eh' è pur corporea e vagamele,
E conosciuto ancor da' sensi erranti,
In nove giri si divide e voi ve.
E della sua materia è lite e guerra.
Per cui la dialettica faretra
S'empie d'acuti sillogismi a prova
E n'armale nemiche avverse parti.
Altri pur di mistura informe e rozza,
Ond' uscir gli elementi , il forma e finge
Ruinoso e caduco , esposto a morte.
Ma colla forma sua, che tutto adempie.
Un suo desio leggiadro il tiene in vita
Etema quasi ; ed alle cose eterne
Il fa sembiante in sì mirabil vista.
Altri degli elementi il sommo e *1 puro.
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fOe POEMI
Dall' immoDdo e feccioso aduna e sceglie,
E ne figura gli stellanti chiostri ,
C* hanno dal foco la serena luce,
E dalla terra '1 suo costante e saldo.
Questi libera ancor d* orrida morie,
Quasi giudice amico, il nato mondo :
Non per natura , che soggiace a fona
DI tenebrosa morte al duro fato;
Ma perchè '1 suo Fattore *1 regge, e *1 folce,
E sol per suo Tolere eterno il serba.
Altri vieppiù vicino a' primi tempi ,
De' suoi quattro principj In sé diversi
Alternando le volte, il face e guasta;
Ma come vuol Discordia, o vuole Amore.
E se Discordia è vincitrice in guerra ,
Ma vinto Amor, nasce il sensibil mondo.
E s'ali' incontro la Discordia è vinta ,
Amor vittorioso '1 suo riforma
Agl'intelletti , e 'n lui trionfa e regna.
Altri un vano intelletto affanna e stanca
Nella confuslon torbida e miscliia
Dell* infinite parti : e quinci indamo
La mente folle s'argomenta , e 'ngegna
Di separarle. Altri corporea mole
Genera di figura in vari aspetti :
Di piramide acuta il sottìl foco ;
Di quadriforme poi la stabil terra ;
Di venti quasi faccie il vago e leve
Spirante aer sublime egli compone,
E d' otto r acqua : e vuol che peso e corpo
Vane figure , e senza moto e pondo ,
Dieno a' quattro elementi in varie guise.
Altri una quinta essenza al cielo assegna.
Sciolta da tutte qualitatl umane ;
E da morte 'I difende , e d*ognÌ oltraggio
Mortale '1 guarda, e nel suo corso etema.
Ch'egli volge e rivolge In vari giri
Al suo Motor, come bramoso amante.
Ma che? nostra ragion ha corti i vanni
Dietro 11 senso fallace , e strada incerta
Il vario moto ne dimostra e segna.
E perchè al mezzo pur s'inchini il grave.
Ed inverso l' estremo 1 leve ascenda ,
E *i corpo non leggiero e non gravoso,
Dintorno al centro si raggiri e volga,
E quinci e quindi a non veduti oggetti
Non trova ingegno umano aperto '1 varco :
E ne' veduti ancor sovente adombra ;
Negli altri al troppo lume i lumi abbaglia.
Di qual materia sian le stelle e 1 deh).
Dicalo quel che lui spiegò d' Intorno.
Qual picdol velo, o quasi leggter fumo
Formare 1 volle, e *1 fé' costante e fermo,
SACRI.
Più di cristallo assai ch'ai gel s* indori,
E lucido divenga in aspro monte ;
Più di metallo che s'impetri e stringa,
E renda, come specchio, altrui l' immago.
Di sembiante materia 11 Padre eterno
Fece ancor di cristallo un puro cielo
( Se le coso terrene alle celesti
Tanto pon simigliare), e questo ancora
Girò d'intorno alle stellanti sfere;
E sopra Tacque vi ripone e serba.
Quali acque, o Dio, sovra le stelle e llome
Del Sol ponesti ? ed a qual uopo, o quando.
Come a te piace le riserbi e versi ?
Son le sostanze spiritali e pronte.
Onde il tuo nome glorioso , eterno ,
Di chiarissime laudi Ivi risuona?
Ma che? ti loda la tempesta e *1 foco?
Son l'acque forse la materia Informe?
Ma da principio tu l'imprimi e fingi.
Son l'acque gravi , ove non giunge il leve.
Che vola press' al del, nò passa Innanzi?
Dunque a natura In del mutata 6 legge?
Ma del turbato del l' orride porte
Tu apristi all' acque, e le spargesti a terra,
Lei ricoprendo , e i più superbi monti ,
Quando, sommerso in gran diluvio '1 mon-
Appena rlcovrossi a* monti armeni [do.
Il seme de' mortali In fragll legno.
Sono adunque di pena e di spavento
L'acque lassù nel elei ministre eterne
A' miseri mortali ? o pur son anco
Incontra 'l foco refrigerio e scampo,
Ond' ha sua vita '1 mondo in varie tempre?
S'è necessario 'l foco all'uso, all'arte
Del viver nostro, e di natura amico;
Necessarie son Tacque, *n varie sedi
L'uno dalT altro si difende e guarda.
E 'n paragon deli* acque ha segi^lo angusto
La terra antica madre , e picciol giro.
Però nel grembo degli oscuri abissi
Già nascosa si giacque ; appena or mostra
Parte delle sue membra , appena Innalza
Dalle spumose braccia al del la fronte.
Ma gran parte del mare anco è sommersa:
Né sole accolte in un oscuro fondo
Son T acque ascose entr' a perpetua notte,
0 fan sotterra un tenebroso corso :
Ma sovra '1 volto suo diffuse e sparte
Quinci vedi stagnar paludi e lagM ,
E sorger monnorando I chiarì fonti ,
E l'alte rive empir torrenti e fiumi.
Corron dall'Oriente Idaspe ed Indo,
E degli altri maggior trascorre 1 Gange,
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LE15ETTE GIORNATE
Ed il Caspie e TArasse, e Cirro e Battro.
LaTam ancor, coi V onde 1 ghiaccio strin-
Nella salsa discende alla palude ; [gè ,
E dal Caucaso 1 Fasi al mare Euslno ,
DalT recidente ancor Tarteso ed Istro:
QaegH oltra le Colonne in mar si sparge,
Questi nel Ponto ; e pria divide e parte
I popoli d* Europa , 1 campi e 1 regni.
Oh quanti ancor dagl* iperborei monti
Cerróii veloci, e da Pirene e d*Alpe,
Distinguendo Germani , e Belgi e Celti !
Dai Mezzogiorno 1* Etiopia inonda
D NUo ; e i campi impingua al verde Egi tto .
E'lCremeteerEgon,e*lNi^oenNegro;
Altri nei nostro mar si spande e mesce :
Altri si vota ali* Oceano in grembo.
E r ondoso Ocean superbo 'n vista
L*nmil terra percuote, e lei circonda.
E fu secreta provvidenza ed alta,
Che di tant* acque, e tanti umori occulti.
Tanti p^esi , assecurò la terra
Dal foco viotento, a lei nemico.
Perch* ei, che signoreggia, e *1 tutto vince
D'Impeto e d^ ira, e di contraria possa,
floo signoreggi ancor, quasi tiranno.
Usurpando degff altri 1 regni e i seg^ ,
Sin a quei paventoso estremo giorno.
Da giudido divino a lui prescritto.
Tempo certo verrà , come rimbomba
Sacra fama in più lingue , e già vetusta,
Che '1 foco Infiammerà la terra e V onde ,
E tutto in un Incendio accolto 1 mondo
Caderà sparso in cenere e 'n faville.
Allor tutti fien secchi 1 fiumi e 1 fonti ;
Me fien sicuri i tenebrosi abissi
Dal foco vincitor. N'affida intanto
Quel che dispose In più soavi tempre
Le cose tutte insin dal sommo ali* Imo ,
E quell'acque da queste allor distinse.
Acque son dunque : e la stellante sfera.
Che sette giri In sé contiene, e copre.
Soggiace all'acque. EI suo Maestro etemo,
Quando gU fece cosi adomi in vista,
Quadrata lor gli die costante e salda
Figura, ovver slmile a turbo acuto;
Né piramide volle, o pur cilindro
Assomigliar nel magistero antico :
Ma l'un Dell' altro i^ro Intorno avvolse ^
In guisa tal , che I più sublimi ed ampi
Qngon gli altri raen ampi e men sublimi:
E coBM quel , che pria disegna e fonda,
E nelle parti sue dispone '1 tutto,
$ poi l'adorna, e di colori e d'aure
DEL MONDO CREATO. 107
I Fa vari fregj al magistero illustre;
Ed immagini aggiunge , e simolacri :
Così tutte ei facea del mondo intero
Le parti omate ; e la sublime sfera
Ei figurava già di stelle ardenti
In vari modi ; e le sue note e i segni
Imprimea di sua mano H Mastro eterno.
Quel di ch'ei fece i bel stellanti chiostri :
E non sol fece Arturo ed Orione;
Ma tutte l'altre onde s'adorna '1 delo^
Immagini lucenti a' vaghi sensi ,
A cui l'età futura i nomi impose.
E la rota al girar leggiera e pronta,
So>Ta due punti in sé contrari affisse ,
E i duo poli nel elei costanti e fermi.
L* un mai sempre si mostra ed erge in alio,
L'altro s'inchina alla profonda Stige«
E si rimane ognor sotterra ascoso.
Questo Dio fece, e poi fumana gente.
Nel cielo immaginando 1 vari cerchi.
Col pensiero '1 distinse , e 'n cinque zone
Partillo ; e 'n altre e tante impari fasce
Sotto 'I del dipartì l'opaca terra.
EI maggior cerchio, che'n due parti eguali
Seca per mezzo '1 cielo ; e quinci e quindi
Lascia 1 due fissi poli incontra opposti ,
Fu nomato Equator, perch' egli adegua,
Allorchè'I Sol vi giunge, il giorno e l'ombra
L'altro eh' obliquo si rivolge intomo
Sino ai due punti , onde ritorna '1 Sole
A ritesser di nuovo 1 giro istesso ,
Cerdiio degli animali, o della vita,
E de' segni appellar future genti.
E i due minori intorno ai punto affissi ,
Onde '1 torto viaggio *1 Sol converte ,
Tropici fur chiamati , e gli altri due
Fatti da poli ebber di Poli il nome.
E i duo' cerchi Imperfetti anco nomaro
Dalle rivolte del pianeta illustre.
E quel che terminò 1* umana vbta
Ne' tenebrosi e lucidi confini ,
Orizzonte fu detto , e dal meriggio
Quello, acuì giunge a mezzogiorno 11 Sole,
Ch'a vari abltator si cangia e varia.
Ma queir obliquo, In cui distinto caOe
Fecer poscia girando erranti lumi ,
Seca in due parti eguali il largo cinto ,
Che parte '1 mondo ; e giomo a notte ag-
guaglia,
Ed a' Tropici aggiunto e quind e quindi ;
Talch'egU solo è con tre cerchi affisso;
E la metà di sé dimostra ognora
Con «d ^ steUe adorni ardenti segni
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108 POEMI
Sopra la terra ; e 1* altra parte ascosa
Con altri e tanti pur sotto riniansi :
E ciascun spazio eguale in cielo ingombra :
Ma con tempo ineguale or nasce, or cade,
Veloce, 0 tardo; e sei la notte oscura
Si fuggon di lassù cadenti segni ,
E sei riveggon poi tornando '1 cielo
Immagini di stelle accese, e d*auro.
Come le figurar gì' ingegni audaci,
Che già produsse 'i tenebroso Egitto.
E la Grecia i suo' mostri ancor ci finse;
E , di favole vane il ciel ripieno ,*
Più adorno '1 fece di menzogne illustri.
Primo (come si scrive e si figura)
Sovra l'aurate spoglie oscuro lume
Dimostra '1 portatordi Frisso e d'Elle,
Che dopo '1 verno primavera adduce.
Poi col ginocchio ripiegalo '1 Tauro
Distende '1 corpo; e dall'accese coma
Gravido fa di sua feconda luce
V umor terrestre ; e i due Gemelli aggiunti
'Spargon da chiare stelle ardente foco.
E l'infiammato Cancro al Sole indugio
Par che sia quasi , e gli ritardi '1 corso.
E '1 superbo Leon con torvo aspetto [eia.
Fiammeggia, e 'nsin dal ciel ancor minac-
La Vergine vicina a lui risplende
Coir aurea spiga, e poi la luce , e l'ombra
L' alta Libra celeste agguaglia in lance.
Indi lo Scorplon del cielo usurpa
Più del suo giusto spazio ; e par eh' ci faccia
Colle branche ad Astrea lucida libra.
Il Sagiturio ha nelV orribil destra
L'arco piegato, e 'i Capricorno '1 segue
Con fier sembiante : e del gran Sole al corso
Par eh' egli sia lassù di nuovo intoppo,
E ritenga le notti algenti e pigre.
Risplende dopo lui con lucid' urna
11 Fanciullo troiano. E 'n una stella
Luminosa catena , ed aure<v nodo
Fan di squamosa coda umidi Pesci.
Così nel cerchio obliquo i Segni ardenti
Poi figurò nel cielo il sccol prisco.
Altre Immagini a destra, altre a sinistra
Verso il fredd* Aquilone, e '1 nubii Austro
Collocò poscia, e 1 chiari nomi impose.
Vicina al Polo, che s'innalza, e scopre ,
Con brevissbno giro intorno ruota
L'Orsa minor, che già fu scorta e segno
Della Fenicia a' naviganti audaci.
Di sette stelle poscia adomo '1 vello
L'Orsa maggior fa brevi giri e lenti;
L'Orsa, ch'i* Greci in tempestoso mare
SAGRL
Fu già fidata duce e segno amico.
Par ch'ei le gridi appresso ad alta voce
Il suo pigro Boote. E '1 fiero Drago
Fra l'Orsa fiammeggiando orrido serpe.
Cefeo poser non lunge, e d'Arianna
La stellata corona; e '1 grand' Alcide,
E la Cetra col Qgno. E l'altro figlio
Del favoloso Giove in ciel sublime.
Cui d'Aquilone '1 fiato aspira, e d'alto
Il fiede : a Cassiopea la destra ei tende ;
E i piedi alzati vincitore al cielo
Porta , quasi di terra alzato a volo
Polveroso , e repente ; e 'ntorao al manco
Ginocchio con tremante e debil luce ,
Le stelle picdolette anco locaro.
Che Vergilie chiamò l'età vetusta :
Segno del ciel d'oscuro e picciol lume.
Ma pur di nome ancora e cliiaro e grande.
Perchè i principi della State illustra,
E gì' industri mortali all'opre invita :
Perch'è già tempo eh' all' antica madre
Gonfidi 'i buon cultore il seme sparso.
Qui insieme collocar sublime auriga ,
Clic di serpente i pie nel carro ascose ,
E d'Esculaplo (o cosi parve) all'angue
Rafligurato. E la Saetta accesa
Di cinque stelle, e l'Aquila superba;
E '1 guizzante Delfino, e '1 gran Pegaso,
Che già portò Belierofonte a volo.
E la figlia di Cefeo, e '1 Delta appresso;
E quella immago che figura e segna
L'Isola che tre monti innalza in mare;
E del nudo Munton l' oscura testa [parte
Del suo splendore 'nfiamma ; e 'n quella
Alle vie degli erranti è più vicina.
Dall'altre verso '1 Polo opposto ali' Orse,
Press' al torto viaggio è il fiero mostro,
A cui fu ignuda esposta in riva all'acque
Andromeda legata al duro scoglio :
E par che 'n cielo ancor di lei ricerchi
Già lontana, e sicura in parti eccelse.
Ricoverata d'Aquilone all'aura.
Ed Orlon di fiamme armato e d'auro
V'immaginar, che nella notte estrema.
Allorché nasce Scorpio egli s'asconde :
E l'immagin del Fiume ivi risplende
D'eterno foco. E timidetta Lepre
Fuggir di Can veloci i fieri morsi
Vi figurare, e '1 mhior Cane ardente
Di rabbia '1 cielo ancor nascendo attrista
Coir infelice lume , e i campi infiamma ,
E dopo l'altro a noi sorgendo appare.
Ma prima i quei, eh' oltra l' obliquo doto
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LE SETTE GIORNATE
AbiUtori son di terra adusta ,
Argo conversa in del si Tolge addietro
Con proda oscura , e fa ritroso corso :
Ma r altra parte ha luminosa e illustre.
Qui ridrae*lYasoeMGonroe'i gran Cen-
tauro;
E qui risplende *1 Lupo, e qui l'Altare.
Altra corona ancor di stelle adorna
Da questo lato '1 cielo, ed altro Pesce
In più lontana parte in lui risplende :
11 Pesce , ch'adornò ne' propri alberghi ,
Siccome proprio Dio, l'antica gente
Di Siria abiutrice; a cui non basta
Farlo in magion terrene e vivo e nume ,
Ma nel ciclo '1 figura e *n cìel l'adora ,
Fatto, come stimò, nel cielo eterno.
0 delle pazze genti antico errore ,
E prisca fraude, e mal nodrito inganno,
Che torse 'I mondo al culto iniquo ed eni-
E di cerchi e di stelle in un congiunte [pio ;
Vane figure, immaginate indarno
Contra la Provvidenza, e contra '1 vero!
0 vana sapienza, e vano ingegno
Ddla natura umana in Dio superba I
Van pensier, vano ardire e vano orgoglio,
Che 'n elei presume annoverar le stelle;
E quaggiù le minute inculte arene,
E misurar gli smisurati campi
Della terra, dei mar, del elei profondo;
E terminar degl'infiniti abissi
L'altezza e '1 fondo ; e por costante meta
A questo spazio delia vita incerto;
E prescriver de' fati eterna legge;
Serva facendo la natura a forza;
E '1 libero voler, libero dono ,
Cui non vince, né forza, stella, od astro.
Egli all' incontro signoreggia e vince ;
E può rapire '1 gran regno celeste
Con violenza, se d' amor s' infiamma;
Ma d' altro amor più santo, o d' altre fiam-
Di quelle, onde l'età vetusta e folle [me
Coir immagini sue mentite e false
Tentò di far quasi profano, immondo
Del cielo '1 luminoso e puro tempio.
Poco era dunque del lascivo Cigno
Furto amoroso, o d'Aquila ministra,
Non di folgori più , né d' ire ardenti ,
Ma di pianeti, la rapina ingiusta «
£ la corona d'Arianna , e mille
Favole vaglie , e favolosi amori , [che
Che Grecia aggiunse alle menzogne and-
Di Babilonia e del superbo Egitto ;
Se d'Alessandro '1 successor novello
DEL MONDO CREATO. 109
Non aggiungeva ancor la tronca chioma
DI Berenice all'altre stelle ardenti?
Tanto lece a' mortali adunque 'n terra,
Ch'osan di far, non sol di rozza pietra,
0 di ruvido pur selvaggio tronco
Dei lor terreni , ed idoli superbi :
Ma fauno oltraggio alle nature eteme.
Ed alla gloria de' celesti giri ?
Che delle stelle è gloria '1 chiaro lume,
Ond' è stella da stella in del diversa.
Ma quei già non dovean si pure forme
Farsi cagion di si dannoso inganno;
E 'n tenebre cader da pura luce ,
Predpitando negli oscuri abissi :
Anzi salire a Dio di lume in lume,
E riconoscer Lui nell' opre eccelse ,
Che son del suo splendor faville e raggi.
Dio solo è quel che numerare appieno
Nel mar puote le stille , e 'n del le stelle.
E Dio pose a ciascuna '1 proprio nome ,
Onde chiamata al suo Signor risponde ,
Pronta al servizio del sublime impero.
E quai fidi guerrier locad in guardia.
Nella più tenebrosa oscura notte
Giran le mura vigilando attorno ;
Tal drcondano ancor notturne e preste
L' alte parti del ciel le stelle ardenti
Come lor pria dispose '1 Re superno.
Lo qua! non Orso, non Leone, o Drago,
Non Aquila sublime in ciel dipinse
D'eterni himi, e di perpetue fiamme ;
Non altra forma, che nel mar profondo,
0 'n fiume si rimiri, o 'n monte, o 'n bosco :
Ma qudla croce , ove '1 suo Figlio estinto
Trionfar poi dovea de' regni sligi ,
In cielo impresse, e ne formò l' esempio
Con quattro luminose e chiare stelle;
Le quai non rimirò l' etate antica
In questo Polo , in cui Boote e '1 Carro
Immaginossi, e l'altre forme illustri :
Ma la nuova le scorge in del sublime,
E 1* altro Polo a' nostri sensi ascoso
Ad altri abiutori in sé l'esalU;
E di certa vittoria é segno etemo
Al giusto Re nella pietosa guerra
Quella, che fiammeggiando in aria apparsa
D' Elena al figlio glorioso, invitto.
Che '1 nuovo Faraon sommerso in Tebro
Fece cader dal ruinoso ponte ,
E Roma liberò dal giogo oppressa,
E gì' idoli superbi a terra sparse ;
E quella poi che folgorando in alto
Pur dimostrossi il lucceasore Indegno
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fio POEMI
SI dlssoWea , come Tapori accesi ,
In quel dell'aria tempestosi campi.
Ma questo In del di lumi eterni e fissi
E trofeo non caduco, e stabll segno
(Se sperar lece) di costante Impero ;
E quasi nota, onde sue leggi Inscrisse
li Re superno a* Ttncìtorl, a' vinti ;
Che gloria agli uni , e dà salute agli altri.
Ben se n'avvide ancor T antico Egitto
Nelle tenebre sue più fosche e dense ;
Onde tra V altre sue figure e note
De* suol misteri , ancor la croce Impresse.
E figurò la croce II Fabbro eterno
Nelle quattro del mondo avverse parti ,
Talché la forma sua divide e segna
L* Orto , rOccaso , V Aquilone e V Austro.
Son dunque segni di salute I segni ,
Ch'Impresse Dio nel magistero eterno.
Né cosa feo lassù malvagia, o fella,
0 di morte cagione , o d* altro danno
A' miseri mortali. Ahi ! cessi or 1* empio ,
Cessi il superbo, che saetta e vibra
Incontr'al elei l'ingiuriosa lingua.
Non son maligne le serene stelle ,
Né pon nuocer altrui con fiero aspetto ,
Né per elezion , nò per natufa.
Non per elezion , che senso ed alma
Avrian le stelle ; e d'animali In guisa.
Perturbata sarlan da' nostri affetti.
Non per natura ancor, se Dio creolie ;
Che non é creator di mali Iddio , [bro.
Né mal d'opra non buona é mastro, o fab-
Né mal , per variare 'I loco e 'I sito ,
Potrlandl buone divenir maligne,
0 pur buone di ree , chinando '1 guardo,
0 mutando figura, o pur sembiante,
Come si dice che più lieta 'n vista
Alcuna si rallegra , allorché nasce,
E innanzi al suo cader si duole e turba.
Altra all'Incontro é lieta nell'Occaso,
E dogliosa ncir Orto. Altra si sdegna ,
E poi si placa nel cangiare 'I grado.
Che se ciò fosse , la natura umana
Sarìa men varfablie e 'ncostante
Della celeste; e 'n quelle eteme leggi
Certezza non saria , ma vano errore.
Né già convien che 'I messaggier di Giove
(Come animai da' luoghi, a cui s' appressa.
In mille guise si colora e varia).
Così mille colori e mille forme
Prenda da' suo' vicini. Adunque In ciclo
Non si perde bontà per grado, o scema,
Che 1 cielo é tatto buono ; e 'n ogni grado
SACRI.
La divina bontà diletta e giova.
Taccìansl ancor delle sublimi stelle
GII odj celesti , e 1 lor celesti amori
(Ma non degni del cielo), e I vari aspetti ,
Cli' altri si miri da contraria parte.
Altri congiunto, altri girando intomo
Tre segni, o quattro, o sei, si trovi in mezzo
Mentre riguarda la su* amica stella ,
0 la nemica ; che discordia In ciclo
Esser non può , nò Ingiurioso sdegno ,
Ne' cinque aspetti soli ; e *n altre guise
L' una potria ver l'altra esser conversa
Benigna stella in placido sembiante.
E se dimostra pur dal ciclo , e segna
Quanto schivar, quanto seguir conviensi
In questo spazio della vita Incerto,
Non ci costringe a forza, e non ci offcnili' ;
Ma giova scmprc,o'l bene, o'I mal predica.
Giova al nocchiero entr' al sicuro porti»
La nave ritener, se '1 vento, e l' onda
Spaventosa tempesta a lui minaccia ;
Ed armato Orlon guerra gì' indice.
E giova al percgrin volgendo '1 passo
Fuggir la noia d* importuna pioggia ,
E ricovrarsi in solitario albergo.
E giova agli egri l'osservar de' giorni
Giudici delia vita e della morte. [ $(a,
E 'I buon cultor de' campi , o'I seme spar-
0 pianti, osserva pur nell'opre usate
li nascer e 'I cader di stelle amiche.
Ed opportuna la sUglone e '1 tempo.
Ma che? l'alio Signor a noi predisse
Ch'appariran gii spaventosi segni
Del mondo , che ruina alfin minaccia ,
Nel Sole , nella Luna e nelle Stelle.
Ci negherà la Luna 11 lume e I raggi ,
E fia converso 'I Sol turbato In sangue.
E questi fian della mina estrema
Orridi segni. Or chi trapassa 'I guado ,
Di nostra vita le regioni assegna :
E quasi awhita con un saldo stame
Al fatai fuso di severa Parca,
La fa soggetta al variar de' dell ,
E loda de' Caldei gl'Ingegni e l'arte.
Ma concedasi pur che 'n del descritti
1 segni sien , non di tempesta , o nembo*
0 dell' Incerto variar de' tempi.
Ma della vita , e di sue varie sorti ;
Che ne diran? che delle stdle erranti ,
E dell'affisse nell'obliquo cinto
Congiunte insieme, gl'implicati nodi,
E le varie figure e 1 vari Incontri
SlendlfeUce atrenturosa Ttta
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LE SETTE GIORNATE DEL MONDO CREATO.
AIU cagione , a chi Io del sorUlIa ,
0 di contralia por dogliosa sorte ?
Ma por dirò per illustrare '1 dubbio
Quel che degli altri è detto, e'detti in prora
Put addurrò contra gli stessi in lite.
Grinrentorì delParte in poco spazio
Vidernolte figure, e 'n brere tempo,
Che (fisparian troppo veloci innanzi
AgM occhi loro ; onde raccolte e chiuse
Fur dagl'istesst entr'a misure anguste,
Qwil in un solo indi\isìbli punto, [parve,
Che «Il un sol batter d'occhio altrui dls-
Qoind di quei che da' materni chiostri
Nascer dofeano alla serena luce , [presso.
Nel prwo puato , o 'n quel che segue ap-
Molte Tartetà d'Ingegno e d'arte
fiotuo^ e di possanza e di fortuna ;
Gh'altrì ci nasce por Cambise, o Ciro,
Od Alessandro, e fortunato Augusto,
A scettro, a regno, a glorioso Impero,
AH'onor di trionfi e di vittorie ;
Aitr* Iro a ricercar di porta In porta
Qmì che sostegna la noiosa vita
In vergognosa povertate , e grave.
Però in dodid parU il cerchio obliquo
Ulvtoer prima , ed ogni parte in trenta :
Che 'n tanH giorni un segno il Sol trascorre
IH que' dodki in lui segnati e 'mpressi.
E poi secar le trenta ; e risecaro
Le sessanta in sessanta ; e 'n si minute
Parti distinte fer gli aspelli e Tore,
Per trovar quella di chi nasce al mondo.
E non fur certi dell' IsUbiI punto ;
Perchè sparire, e dileguar repente
In delo '1 vedi col volar del tempo.
È nato appena il fanciuTlelto ignudo,
Qie si riguarda 'l sesso , e poi s' aspetta
n pianto, segno dell'umana vita
Lagrìmoso e dolente , a lei conforme :
Predice indi 1 Caldeo le varie sorli.
Quanti punti trascorsi intanto a volo
SoB nell' indugio? e chi descrive appunto
La figura del delo 7 e quale ascenda
Sublime stella , e signoreggi intanto ,
E prescriva al fanciullo 'l proprio fato ?
Però nelle figure e varie e vaghe
È ceno inganno , e nel volar dell'ore.
Nasce costui di grazioso aspetto,
Pladdo e grave, e lento, e crespo 'I crine ;
E Torà sua deU' anhnal di Frisso
Aver si crede ; equesti è d'alto core,
E magnanimo ancor, che tal si mostra
L'anfanai che degli altri è quasi duce.
tu
Ardito al cozro, ed al ferir di corno,
E mansueto poi mentre si spoglia
Senza dolor la molle e bianca lana,
Di cui natura poi V orna e riveste
Agevolmente. E quel eh' l lumi aperse
Mentr* ha nel Tauro *l Sol luddo albergo,
É faticoso e tollerante all'opre;
Ed in atto servii sé stesso ei doma ,
Perocch' avvezz' è 1 uuro al grave giogo.
Quegli, a cui Scorpio in del lucente a-
Allrol percuote disdegnoso e fere,[scende.
Come la fera che le piaghe attosca.
Ma Libra , che le cose agguaglia in lance.
Giusto fa r uomo e di giustizia amico.
Or Ueni '1 riso? Il segno in via distorta.
Onde prendi alla vita alto prindpio,
0 sia 'I Monton, che già le notti adegua
Co' di sereni, o pur lucida Libra,
Poca è del delo, e più lontana parte.
E dalle fere e dalle greggi immonde
1 costumi dell' uom figuri, e formi ?
E ferina per te , non pure immonda ,
È la natura umana? Al cielo ancora
La feritale assegni. Il del dipende
Dalle contaminate e lorde mandre ?
E fai soggette le celesti sfere
Alle terrene belve? Oh ! sciocca e stolU
Sapienza mondana, ond'uom si gonfia
Di vano fasto e di superbo orgoglio,
Simile a tela d' infelice aragna ,
Che nella sua testura appena 'nvolve ,
E 'ntrica l' ale all'importuna mosca ;
Ma se peso più grave in lei s'incappa.
Non si ritien , ma la dissolve e frange.
Oh ! piaccia a lui che ne distringe e lega,
Com'a lui piace, e talor solve e suoda
I lacci del peccato , e i duri nodi
Onde 'I fato quaggiù tien l' alme avvinte :
Oh ! piaccia (dico) a lui, cui tanto aggrada
II libero voler, celeste dono.
Anzi divino, e non soggetto al cielo.
Di squarciar de* contesti antichi inganni
La fragii tela ; e peso aggiunga a detto
Liberator degl'infelici ingegni.
Dunque dirò che nel continuo corso
De' sette erranti , altri al suo centro intoroo
Fan più veloce il giro, altri più tardo.
Ed in un* ora altri guardarsi insieme
Soglion, altri celarsi , e mille e mille
Fanno di sé negli stellanti chiostri
Varie figure , e da minuto inganno
Nel suo principio , che s' avanza e cresce,
Un Infinito errore alfln deriva.
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112 POEMI
E sMn ogni momento '1 del si cangia,
E muta in un sol dì mille sembianze.
Perchè non ogni giorno 11 re ci nasce ?
0 perch'ai padre nel paterno regno
Succede *1 figlio nato in vario clima
Sott'a varia del ciel figura, od astro ?
Perchè non tutti i regi, e ì grandi Augusti
Regia figura in ciel, reale aspetto ,
Attendono de* figli al nuovo parto ?
£ qual nel generarli almeno elegge
L* ora opportuna ? e di bramata prole
Chiede consiglio alle fatali stelle?
Ebbe forse nei ciel reale fanmago
Di fortunate luci , allorché nacque
Gige , che re di servo alfin divenne ?
0 Servio che di Roma al regno ascese ?
0 '1 Tartaro che TAsia vinse e corse ?
Creso all'incontra con serbile aspetto
Nacque di fiera stella e di maligna ?
E Perseo e '1 fier Glugurta e gli altri regi.
Che '1 trionfo onorar di Roma Invitu ?
E come gli altri 1* Infelice Augusto.
Preso dal re de' Persi, e l'altro avvinto
Dal barbarico orgoglio ha pari scempio?
Ma nell'estremo, quel che tutto avanza,
Ponga omai fine alle question profonde :
Perchè vane sarlan le sacre leggi ,
Vani 1 giudicj, onde virtù s'onora
SACRI.
Col guiderdone, e 'Ivlzlobapenae scorilo.
Se 1 gran princlpj derivati altronde
Fosser dell'opre giuste e dell'inique,
E non in noi medesml : e ladro il ladro*
Non fora, e non farla col furto oltragglow
Né percuotendo '1 micidiale 'ngiusto ;
Se non potesse la sua errante destra
Quei dall'oro astener, questi dal ferro ;
Sospinto a forza dal destino avverso.
Vani sariano 1 magisteri e l'arti,
E le fatiche ancora, e i campi Indarno
Segnerlacoir aratro '1 buon cultore,
0 domeria col rastro e col bidente.
Aguzzando talor l'adunca falce ;
Se dall'ira del Ciel matura messe
Fosse negata , o dal voler del Fato.
E 'nvano altri solcando '1 mare Eussiiio,
0 '1 Caspio, o l'Eritreo, travaglia e merca t
Se *1 Fato le ricchezze accoglie e sparge.
E quella de' fedeli antica speme,
Ch' al gran regno del cielo invitU aspira ,
Perir potrebbe, ove '1 suo premio ai giusto
Non si conceda, e la sua pena ali* empio;
Che dove '1 Fato signoreggia e sforsi.
La dignltate e la virtù sublime
Non han loco fra noi conforme al merlo.
Ma temer non dobbiam che '1 Qel non aerU
Alle buon'opre alfin corona e palma.
GIORNATA TERZA.
Nella quale per comandameuto di Dio si congregarono le acque in un luogo, e la terra
apparve, e produsse le erbe e le piante co' frutti.
Sono città del suo valor superbe,
E di bellezza e d'arti varie e d'opre
Meravigliose, e d'edifici eccelsi,
Od onorate pur di gloria antica ;
Che dal nascer del giorno al Sol cadente,
E talor anco insln che gira Intorno
La fredda notte 'I suo stellato carro,
Empion di turba lleu e di festante.
Piazze, campi, teatri adomi e logge.
Ove a' dialetti vari intende e passa
L'ore del di fugaci , e le notturne
Lunghe ed algenti, e nel volar del tempo
Pur sé medesma volontaria inganna.
Altri dall'apparente e vana fraude
D'arte fallace, ond'é schernito 'I senso,
Deluso pende, e ne' prestigi incerti
Meravigliando quasi '1 falso afferma.
Ed altri all' armonia di vari icceoU,
0 pure al dolce suon di cetra, o d'arpa.
Che r alme acqueta, e 1 cor lusinga e moloe,
E gli tien lieti , o mesti in varie tempre ,
Oblia le cure. Altri carole e balli
Lieto rimira; e d'impudica donna.
Che 'n varie guise , e quasi 'n varie forme
Le pieghevoli membra e muove e cangia.
Mira 1 lascivi salti e 1 modi e l'arte.
Lusinghieri e vezzosi : e parte agogna.
0 dove splende pur dipinta scena
Di colorì e di lampe , e quinci innalza
Gli archi e le mete, e 'ntomo a' sacri tempj
Con marmorei giganti alte colonne.
Piange I casi d'Edipo, o di Tieste ;
E 'n finto cielo li finto Sol gli appare
Tornar turbato addietro in mezz'ai cono:
0 con Davo, o con Siro allegro rido
Degli scherniti vecchi I falsi ingaiuiL
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LE SETTE GIORNATE
Altri i destrier feroci e pronti al corso,
A destra ed a sinistra in giro Tolti
Riguarda, o *n chiuso arringo, o 'n largo
I simulacri pur d' orrida guerra, [campo
Al chiaro suon della canora tromba ,
Contempla, e de* guerrier l'insegne e
E lor Tirtù con lieti gridi esalta. [Vanne,
Ma noi, che '1 Re del del, Fattore e Ma-
D'Opre meravigliose, invita e chiama [stro
A contemplare '1 magistero e l' arte
Divina , e questo sol lavoro adomo ,
Ch* è di cose celesti e di terrene
Con si diverse tempre in un conteste ;
Sarem pigri a mirarlo ? o pur languenti
Ascolterem , come l' etemo Fabbro
Fé' di sua man le meraviglie eccelse ?
E non più tosto, rimirando intorno
Questa si varia e sì mirabii mole ,
Ciascun per sé colla sua mente indietro
Ritornerà, pensand' al primo tempo,
Ch' ebbe principio '1 tempo e '1 nuovo mon-
In guisa di gran volu il del ricopre [do ?
Le somme parti , e gli stellanti chiostri ;
Onde con tante faci altrai risplende
Questo sacrato a Dio terreno tempio.
E 'n sé medesma si riposa, e fonda
La gravissima, vasta e rozza terra :
E l'aer vago si diffonde Intomo
Tenero e molle. In cui non trova Intoppo
Chi si muove per lui , si pront'el cede,
E ch'altr'il fenda di leggler consente.
Senza contesa egli si sparge a tergo,
Umido nodrlmento a chi respira
Porgendo , o dolce refrigerio intomo :
Tant' è r aere amico al vago spirto, [usi
L'acqua ancor nutre ; ed opportuna agli
Della vita mortai del mondo immondo
Ordinata lor fu dal Padre eterno ;
Ma non contenta già d'Incerta sede,
Ebbe termine proprio , e certo loco
Tra suo* certi confini. In cui s'accolse
Ubbidiente , e ragunossl Insieme
Al comandar della divina voce.
Disse '1 gran Dio : L' acqua di' è sott'al
In una ragunanza omai s' accoglla , [delo
Perchè r arida fuore indi si veggia :
E cosi fatto fu. L'acqua repente,
Ch' è sott' i giri del sereno delo ,
Nelle sue ragunanze allor s'accolse.
Onde veduta fu l'arida parte;
E l'eterno Fattor per proprio nome
L' arida chiamò Terra ; e l'acque ondose
Mare nomò negli ampj spazj accolto.
DEL MONDO CREATO. 113
E come suol talor ceraleo velo ,
Che gran teatro ricoprendo adombri ,
Quind e quindi ritratto in sé raccorsi,
E discoprir della dipinta mole
Archi, statue, colonne, altari e tempj :
Cosi al raccor dell' umida natura
Neil' arida apparirò il piano e 1 colli :
E gli altissimi monti alzar la fronte
(Dianzi coperti) imperiosi in vista.
E 'I mare ondoso mormorando appena
Lavava 1 piedi al maurilano Atlante,
E del gran Tauro , e di Parnaso e d' Ato,
Cli' allungar può la breve e fragil vita
De' mortali egri ; e d' Apennln nevoso
L'Ime parli bagnava, e quinci e quindi*
E correvano al chln dal seno alpestre
Degli aspri monti i rapidi torrenti :
E con rimbombo Impetuoso , al corso
Precipitando gian le torbide onde.
Correano a basso i quieti e lenti fiumi,
E 'n giù correano 1 lucidi mscelll.
Perocché Dio colla parola eterna, [pose.
Che scendesser correndo all' acque im*
E da principio l'affrettare 'I passo
Fu comandato all'umida natura
Dell'acque vaghe, e lor negò quiete
Della divina voce II santo impero :
Perchè nell' ozio l'acqua è pigra e torpe,
E là dov'dla s* Impaluda e stagna,
Da neghittoso grembo esala intorno
Vapor grave e nocente e feri spirti
D'aure maligne; onde perturba *1 cido,
E quasi Paria infetta : e parte In seno
Mal sano nutrimento accoglie e seri»
Nel suo limo tenace , onde sovente
Lo sfortunato abitatore ammorba.
Ma l'acqua die veloce In giù discende.
Da qual parte '1 suo corso ella rivolga,
Salubre 1 sani in suU' erbose rive
Nutre ; e i tesori suol lieta dispensa
Poscia con auree squame e molle argento,
0 liquidi cristalli; onde s'estingua
L' ardente sete a* miseri mortali.
Ma più salubre è, se tra vive pietre
Rompendo l'argentate e fredde coma,
Incontra '1 nuovo Sol, che '1 puro argento
Co' raggi Indora, e 1 passi In breve avanza.
Quasi rimembri, ubbidiente ancella,
Ddl'alta voce ancora '1 suon celeste.
Che pria la mosse, e la fé* pronta al corso.
Ma s* è natura pur, eh' è propria all' ac-
que,
L* andare a basso, e '1 non fermarsi Inalto,
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114 POEMI
Ricercando quiete in umii parte,
A die fu d' uopo la diTina voce 7
Bastar potea la sua natura al corso;
E fu soverchio *1 comandar severo ,
Che le tolse '1 riposo, e 'n moto etemo
La feMnquIeta, istabile e vagante.
E pur fu necessario '1 santo impero:
Perocché '1 suon della parola eterna
Se creò Tacque, creatore insieme
Fu della mobii lor natura errante ,
Che la conserva ; e nel suo moto etema
Quasi la rende, e rassomiglia al cielo ;
Onde la sua natura è certa legge
DellMmmutabil verbo; e cerU sede
Dopo *ì suo lungo corso a lei prescrive :
Ma quivi ancor dalie superne rote
Agitata si muove, e torna indietro.
Cedendo intanto all' arenosa terra
Gli usurpati confini. E 'n questa guisa
Segue del Sole e delle stelle erranti.
Ma più delia vicina e bianca luce ,
Il certissimo errore e *1 vago giro ;
E da sei ore in sei s* avanza , o scema.
Perocché quando air orizzonte ascende
La vaga Luna, in riva al mar sonante
Cresce '1 canuto flutto, e i lidi inonda
Vittorioso , e parte , o copre , o sparge
D'arida terra, iiisin eh* al sommo cielo
Aggiunga della Luna il freddo carro.
Quinci , mentr' ella all'orizzonte estremo
Declina in ver l'Occaso, il mar decresce,
E'n sé medesmo si raccoglie; e scopre
Di bianchissima spuma 1 lidi aspersi.
Ma ferve '1 mar di nuovo , e 'n fera vista
Gonfia 1* onde spumanti , e spazio ingom-
Neir occupata terra, allorché torna [bra
Ella a quel punto dell' opposta parte ;
E nell'altro emispero ad altre genti
Altissima rìsplende in mezz'ai cielo.
Di nuovo cala '1 mare, e'n umil faccia,
E par che fugga ed abbandoni '1 lito ;
L'onde, fer\ide dianzi, appiana e queta.
Quando la Luna fa ritorno in alto
Nel suo Oriente, ond* ella a noi si mostra.
. Ma non serba ogni marl'istessa legge
Quand' egli cresce o scema : e varia 'n parte
L'ordine e'I moto, e 'n al tri modi ondeggia.
Pressoi Tauromitani assai più spesso,
E Dell' Eubea (rome si legge) il mare
Ben sette volte '1 dì s'avanza, e scema;
Gran maraviglia ! onde sublime ingegno
Affaticato e vinto , a morte giunse ,
Mentr'ei cercando la cagione occulta.
SACRI.
Si dolse che natura a no! T asconda
Nel suo profondo e tenebroso f^rembo.
Ma tra fiate '1 giorno assorbe e mesce
L* onde la tempestosa empia Cariditt ,
Da cui latra non lunge orrida Scilla.
Altri mari vi son (come s'afferma)
Che nello spazio pur d' un mese Integro
Soglion due volte alzar l'onde spumose ,
E due volte chinarìe in sé rìprease.
Anzi nel mar degli Etiopi adusti
Non v'ha flusso e riflusso. E più lontano
Solt' un altro emispero , e un altro polo.
In cui non splende '1 pigro Arturo e r Orsa,
Solca un gran mar d' una perpetua pace
L' ardito navigante. E quel eh* Intorno
La terra mormorando ognor circonda.
Indomito Ocean respinge, e caccia
Lunge nel crescer suo torrenti e fiumi ,
Talché paion fuggendo 1 porti e '1 lido
Lasciar per tema , e le deserte arene ,
E tomarsen' indietro a* propri fonti :
Tant'é'l poter, che gli reprime e sforza.
Dell' Ocean che mugge alto e superbo !
Ma '1 ligustico seno , e qnel de* Toschi ,
Ch'ondeggia presso alla novella Pisa,
Cli'a' più onorati studj; i premj serba,
E le corone alle più dotte fronti ,
Non ha quasi dell* onde '1 moto alterno.
Ma se da prima l' acque al chiaro suono
Fur mosse già della dirina voce ,
Perchè cercare in terra, o 'n mezzo ali* on-
Allracagion del lor perpetuo moto? [de
0 pur lassù tra gli stellanti chiostri T
Come fer molli , il cui pensiero ondeggia
Pur quasi d' acqua 11 tremolante lume.
Altri al moto divino , onde si gira
La sfera più sublime, assegna e rende
L'alta cagione : altri alle stelle erranti,
A quelle più della più bassa luce , [fona
Ch'é più vicina, e quinci ha maggior
Nelle cose mortali a lei soggette.
E dì questi, altri vuol eh' obliquo, o dritto
Il bianco raggio innalzi l* onde, o spiani :
Altri , che della Luna il pieno aspetto
Riempia '1 mar di tempestoso flotto;
E scemando lo scemi ; ed altri afferma
Che per consentimento di natura
Tacilo imiti il mar del cielo il corso :
Ma sono questi in ciò quasi concordi.
Altri de' venti al respirare obHquo
E 'n sé stesso ritorto , Il corso all'onde
Ritorce,elecommoveor quinci, or quindi.
Altri fu, che, seguendo antica fama.
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LE SETTE. GIORNATE
OlHt chel nar, qnasl spirante e tìto
Grand'anima] , che del gran mondo è i>arte,
Maoéa fuori, e raccogiie '1 corso, e l' onde ,
Spirando , e respirando in vari modi.
Altri Beli* Inegual suo Tetto angusto
Nm fuol che troTi*l mar riposo, o pace:
E quiod sempre egli si muoTa, e lagni
Con reco pianto , e V inquieto regno
GH sia di guerra pur turbato campo ;
Ma più si muova nelle parti eccelse.
Che aoo quelle rivolte al freddo Carro,
Là doTe sempre di gelato umore
Gravidi e pieni son gli orridi monti ,
Lo qual compresso In mar si stilla eversa.
E perchè la gelata alta palude»
Che r Aquilon superbo astringe, e *ndura,
È più sublime assai : però discende
Neirinospite Eussino : e quel trascorre
Kel Biare Egeo col suo veloce flutto :
Ma poi respinto d'arenosa piaggia
Ka l'Egeo ndl'Eussin ritorno, e riede
L'Eussin nella meotlca palude :
Qiiiid hanno i mari ognor flusso e reflusso.
Alcun vi fu di più sublime ingegno
Ch*a non giuste bilance '1 mar somiglia;
Ed una parte sua solleva in alto.
L'altra deprime all'arenoso fondo:
Ma da quel favoloso antico varco ,
Ove Alcide innalzò le mete e I segni
(Cone si disse), e dall'ondose porte
(Se pur sue porte ha l'Ocean profondo)
In guisa di torrente '1 mar si sgombra
Di seno in seno, e con diversi aspetti
Egli 8è stesso pur figura , e stringe
Tra i curvi lidi e l' arenose sponde.
Anzi fu l'alta man del Mastro eterno.
Che 'd tante forme figuroUo , e finge ,
Or facendo *1 mar lungo, or tondo, orqua*
K'b guisa di piramide e di croce [dro ;
Anco forraolio, e di mirabil vaso ;
Siccome là, dove'l Tirreno inonda
Di Partenope bella i lidie i coUl,
Gran lana colma di spumoso umore.
Ma qual si sia del mar la forma e '1 moto,
Posa diurna mai , posa notturna
Non trova , né silenzio in chiaro tempo ,
Od In turbato , ed in orror profondo ,
Benché I silenzi neU' amica notte
AbMa la Luna. Io la cagion primiera
Non reco al Sole , od alle st«Ue erranti ,
Non a' raggi di Luna obliqui, o dritti,
Non al ritorto respirar la rendo
DegI' inquieti venti , al vario fondo.
DEL MONDO CREATO. 115
In cui s'appende 1 mar sospeso In lance :
Che la prima cagion fu l'alta voce.
Movendo *1 cielo in giro , e 1 mari insieme.
De' quai (com' altri disse) In giro parte
L' onda, ed al suo principio in giro toma.
Deh ! se giammai sovra una viva fonte.
Che d'acqua Intorno larga copia spande.
Sedesti lasso; e nel pensicr t'occorse,
Chi é colui che fuor del seno algente
Della profonda e tenebrosa terra
Manda fuori' acqua ? echi la spinge avanti,
Perch'ella mai non cessi e non s* arresti 'r
Quai sono 1 vasi eie spelonche inteme.
Da cui deriva ? ed a qual loco affretta
Mai sempre '1 corso ? ed onde avviene e
come , [s'empia 7
Che questa mai non manchi e quel non
Questi effetti si ascosi al nostro senso
Pendon da quella prima e chiara voce [so.
Ch*airacque indulse, e le fé' pronte al cor-
Tu che volgesti pur le antiche carte ,
E spesso volgi le moderne illustri ,
Ricorda pur fra te , come rimbombi
Di quella prima voce 11 chiaro suono :
e Si ragunino l'acque; > e quinci innalza
Il tuo pensiero alle cagioni eteme.
Il correr pria fu necessario all'acque
Per occupar la certa ed ampia sede.
Giunte nei proprio loco a lor convenne
In sé stesse fermarsi , ed oltra '1 corso
Non affrettar con un perpetuo errore.
E quinci certo avvicn ch'alfin si scorga
Ogni torrente in m are,e'i mar non s'empie:
Perchè fu dato in sorte all'acque II corso,
E circoscritto entr'a' confini 11 mare,
Com' impose *1 buon Re che fece 'i mondo.
E quel suo comandar fu prima legge ,
Legge eterna e comune , a cui rubella
Non è natura, e tra gli spazj angusti
Queta '1 mar violento il fero orgoglio.
Se ciò non fosse , ei già diffuso e sparso
Coperto avria con un diluvio eterno
La bassa terra eh* ei circonda e parte.
Né quel di lei, che fuor dell' acque appare.
Picciolo spazio ei lascerebbe intero
A* faticosi e miseri mortali.
Quando agitato è più fra' tuoni e lampi
Dal gran furor de* procellosi spirti ,
E volge al lido , e sino al cielo innalza
Gran monti d'onde rapidi e spumanti ;
Appena tocca l'arenose rive,
Che 'I suo furor si frange, e 'n lieve spuma
L' impeto si dissolve, e rotti e sparsi *
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no POEMI
CaggioDo i monti, ond'el ri torna iDdietro.
Qual dell'arena più minuta e vile
£ debil cosa più trovar potresti?
0 qual più violenta e più superba
Dell'orgoglioso mare? e pure a freno
L' arena tien del mar l'orgoglio e l'ira.
E non temcrem noi quei Re superno ,
Che pose al mar con sì mirabil arte
Per termine l'arena? è pereti' uom pensi
Al magistero, egli medesmoil dice, [vieto,
Qua! potrebbe altro in toppo, e qual di-
Qual podestà terrena, o legge , o forza,
Tener il Rosso mar sublime , o gonfio ,
Ch'air Egitto, di lui più cavo e basso,
Fatt'avria prima impetuoso assalto,
E lui sommerso entr' a' suo* vasti abissi ?
Già coli' indico mar si fora aggiunto
Senza fatica, e senza ingegno, od opra
Degl* industri mortali , e senza '1 vanto
De' superbi tiranni. 11 gran Sesostre,
Ch'i regi catenati al duro giogo,
Quasi cavalli o buoi , soggetti a forza
Tenne , e traggcr li fece il proprio carro
Per le già dome e soggiogate genti :
Quel Sesostre , dlch' lo, terrore e scempio
De' regni d'Aquilone , ov'egll in alto
Pose la sede (e ben di dò si vanta
Con fama antica '1 favoloso Egitto ),
Queir istesso Sesostre '1 mar degl'Indi,
E l'Eritreo tentò d'unire insieme
Con quel d' Egitto : e la mirabil opra
Il re possente abbandonò , temendo
Che sommersa dal mar la verde terra
Non rimanesse, e queir istessa tema
Poscia ritenne *1 successor di Ciro.
Eran, quando fu dato '1 corso all' acque.
Pieni di cavernosi e curvi monti
Gli antri, e le tenebrose atre spelunche,
E le valli palustri in varie forme
Pendenti, ed ime infra montagne e colli :
E quali eguali ai mare I larghi campi
Eran già cohni d'argentato umore :
E tutti insieme si voltar repente
Al comandar della divina voce,
Dacui l'acque fur mosse, e 'ngiù sospinte
Dalle quattro del mondo avverse parti ,
E *n una ragunanza Insieme accolte.
Anzi nel tempo istesso allor costrutti
Per opra fur della divina destra
1 larghissimi vasi, 1 fonti e l'urne,
E 01 altri lochi, in cui s'accoglie, o versa.
Non era ancor di là dal varco angusto ,
Che divide coU'onde AbiU e Calpe.
SACRI.
Anzi Libia ed Europa, il mar d' Atlanle,
Né quel si paventoso a' naviganti
Tempestoso Ocean , che 'ntomo inonda
Di Gerlone i fortunati regni ,
E r Inghilterra, e la vicina Irianda :
Ma fur di quella voce al gran rÌml>oml>o
Fabbricate le rive, e '1 vasto letto.
In cui si ragunar l' acque correnti.
Né 'neon tra '1 vero insuperbire ardisca
L'esperienza de' mortali erranti.
Fallace e vana , a cui di pochi lustri
li brevissimo spazio orgoglio accresce.
Perché, dich'io, se l>en riguardi e pensi
li numero de' secoli volanti ,
A lui non giunge esperienza umana.
E non adduca incontra noi l'esperto.
Che del mondo cercò le parti estreme.
Fosse , stagni fangosi , imi e palustri
Laghi, in cui si raccoglie U pigro umore.
Che Dio stimò di si gran nome IndegnL
E mari egli chiamò sol l'ampie e grandi
Ragunanze dell'acqua, anzi queli'una
Grandissima, e perfetta, in cui s'accoglie.
Come 'n suo loco , '1 liquido elemento.
E come '1 foco , che diviso e scevro
In parti minutissime, risplende
Qui per nostr' uso in verde legno, o 'n esca
Arida, in forma di carbone acceso,
0 di lucida fiamma, o di fumante.
Per cui si sparge 'n cenere e 'n faville:
Ma sotto *1 cid, ch'é men sublime ed ampio«
Nei cavo spazio si raccoglie insieme :
0 come l'aria che si spande, e spira
Per varie parti, e nell'occulto grembo
Passa dell' onda, onde germoglia e spuma ;
E fra spelonche e cavernosi monti
Penetra ancora, e nell'Interne vene
Della profonda e tenebrosa terra.
Ma pure insieme '1 proprio loco ingombra:
Così l'acqua non men s'aduna, e sparge
In vario letto, e tra confini angusti;
Ma poi raccolto in voto spazio , e vasto.
Empie '1 salso elemento il proprio sitow
L' altr' acque in varie parti insieme accolto
A questa somiglianza anco sortirò
Di mari '1 nome si famoso e illustre :
Siccome là , dove Aquilone algente
Versa mai sempre le pruine e '1 gelo, [da,
E i larghi campi e gli aspri monti aggliìao-
Che son canuti di perpetua neve.
Ivi (come la fama a noi divolga)
Sono ampissimi stagni , e nel profondo
Leuo, e fra le superile orride rive.
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LE SETTE GIORNATE
Quasi emolc del mare , alte paludi ,
E in gel converse, anzi Indurate e strette,
Quasi in lucente adamantino smalto.
Delle veloci rote il corso e *1 pondo
Sostengon del gravoso ed ampio carro,
Che gli animali ignoti a* nostri sensi
Soglion tirar, la fronte alU e superba.
Di più ramose armati e lunghe coma.
Facendo lunga strada al grave plaustro.
Li *ve dìanxi correa spalmaU nave.
Ma di tutti maggior candido lago
L* sotto a* sette gelidi Trioni [no.
Biancheggia, e quasi eguale al mare Irca-
Molte ha dintorno alle sue ignote sponde
Gttì, Provincie, regni, ignote genU,
Popoli barbareschi ; e quesU a caccia
Van per le rive degli augei volanti;
0 sa per r onde , e dentr* ali* onde Istcsse
Cercan Tumida preda, e M cibo usato
Degli animai squammosi, e degli alati.
Botmia, Botmla piscosa, assai vicina
Ai più lontani ed ultimi Biarmi ,
Intra quc* suo' gelali orridi monti
Ha molU quasi mari , e nutre e pasce
Pur di quell* esca le propinque genU ,
E potria mezzo nutricarne '1 mondo.
Ha di Venere 'l lago in altra parte.
Che sotto air Orse si dilaU e spande;
E nel suo spazioso e largo seno
Per ventìquattro porte i fiumi accoglie ,
Ch' entrano in lui : ma solo aperto un varco
Lasda al precipitoso uscir dell* acque ,
Che per sassoso calle al mar sonante
Corrono : e *1 suono i suo' vicini assorda.
Ei molte accoglie nell* ondoso grembo
Isole e tempi sacri al Re celeste ,
In cui s* adora con pietoso culto.
Quivi il lago di Mclce anco ristagna
Fra li regno di Suezla e quel de* Goti.
Quel di Vetere appresso ivi mareggia;
E di fulmine '1 tuono, o di metallo
ImiUtor del fulmine rassembra , [corso
Con quel dell* acque, allorché d'alto il
Muove precipitando; onde sovente
Tuonar diresti, e fulminare il ferro,
Che l'alte mura impetuoso atterra.
E l'uno e l'altro di meulli abbonda;
Si ricche son l'avventurose rive
DI gran vene d'argento, e di ferrigne.
Hai regno di Norvegia 'l proprio lago :
Che 'n vece di prodigio in scn si nutre
Orrido spaventoso empio serpente, [egro
L* baquel d' Ibemia, ov' uom languente ed
DEL MONDO CREATO. IH
Non può «Unco spirar lo H>irto e l'alma.
Se quinci ei non è tratto. E fra' Britanni
Si vede un lago, che pur scema e cresce
Con ordine contrario al mar sonoro ,
In cui, quand'egU cala. Il lago inonda;
Ma r onde a sé raccoglie , e toma'ndletro,
Quando più ferve l'Ocean superbo.
Ha Scozia '1 Lazio di famoso grido,
E la meravigliosa alU palude ,
Che quand' è più sereno e puro *1 cielo,
Né si muovon per l'aria o venti od aure.
Si gonfia non so come e l'onde accresce.
Molti Germania e Francia, e quel famoso.
Da cui ilRodan si partee'nmar trascorre.
Alla palude Lagia, onde si vanU
La nobil Gamia, lunga eU vetusU
Non ha scemato ancor l* onore e '1 grido :
Quivi si pesca prima, e poich'è fatu
Secca ed asciutta, in lei si sparge '1 seme,
E si raccogHe; e tra le verdi piante
Prende l'abiutor gl'incauti augelli.
E 'n tal guisa addivien che 'n vari tempi
L'istessa sia palude, e campo e selva.
E di Tracia e d' Arcadia ancor son conte
Le meraviglie. E nell'avversa parte
Del mondo , dove '1 Sole asciuga ed arde
U terra , sono ancor nel suolo adusto
DI mirabil virtù paludi e sugni,
A cui di mar non fu negato 'l nome.
In Giudea per miracolo s* addlU
Quello, cui piovve già dal cielo ardente
U giusu fiamma; e I* altro a lui vicino.
Onde prima 'i Glordan si muove e scende.
Fra PaiesUna giace, e '1 verde Egitto
Ne' deserti d'Arabia un ampio lago
Detto di Simoite. Or perchè narro
0 d'Arabi, odi Siri acque sUgnanU?
S» ancor la terra d'Etiopi e d'Indi,
Vieppiù soggetta al Sol , s' irriga e bagna
De' suo' laghi famosi; e si racconto
Che d' alcuni bevendo uom, foUe e stolto
Tosto diviene, o pur dal sonno oppresso
Si giace , e da morUfero leUrgo.
Oltra le Mete ancor d'Alcide, e i segni,
Fra 'l Tropico del Cancro e l' ampio cinto
Che la sfera maggior divide e f»»^* »
Ne' regni dianzi ignoU un lago ondeggia.
Lo qual non d' ora Inora oscema ©cresce.
Né d'un m altro giorno, e non s avanza
Di stagione in »t»8Ìone,od' anno In anno
Ma'nguisad'uomlerTen;chetardlglunga
Al suo perfetto stato; e tardi ancora
1 .^ ..„.j^ ^1 «A minor divenga;
I DccUnando , di sé minor divenga;
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na POEMI
Per cinqnant* aniil e^ s' accresce e colma.
Ed altrettanti poi si scema e Tota.
Ma dove, Italia bella, omal tralascio
I laghi tuoi descritti in mille carte,
E ciiiarissimi ancor di fama e d'onde?
Chi tace '1 Trasimeno 7 o quel eh* accoglie
Nei dolce seno la città di Manto,
0 *1 grandissimo Lario, o 'I gran Benaco,
Ch' assomiglia del mar V orgoglio e l'onde 7
0 tant* altri, onde lieta ancor ti nomi?
Perchè tace' io le maraviglie antiche
De' stagni di Rieti , in cui vedeansl
L' isolette ondeggianti ir quasi a noto?
0 nel lago Tarquinio i boschi ombrosi
Ir su per l'onde, e variar sovente
Forma e sembianza , or con ri tondo giro.
Or con tre lati, e fare 'i terzo acuto?
Ma dall'opre di Dio chi mi trasporta
A narrar di natura 1 vari effetti
Antichi, e nuovi? e riempir le carte.
Sacre alla maestà del Re superno,
D'altr' onor, d' altr' istoria e d' altro nome,
0 d'altre rare meraviglie eccelse.
Che delle sue medesme? o pur son anco
L'opere di natura opre divine?
E '1 magistero di natura è l'arte
Del Fattor primo, ond'è fattura e figlia
La gran madre Natura; e 'n lei s'onora,
E 'n lei si riconosce, e si contempla
II saper e 'i poter che tutto avanza.
Dell'alto Re, ch'è suo fattore e padre?
Lo quai de' mari die l' iramago e 'I nome,
E l'ondeggiar con tempestoso flutto
All' acque insieme accolte : e pur di tante
Fece un sol mar con magistero illustre ,
Ma pur in parte occulto a' sensi erranti ,
Ed uno sol dell' acqua ampio elemento ;
A cui fra la gravosa e stabil terra,
E l'aer leve e vago , egli prescrisse
La sede e '1 proprio loco ; e quinci e quindi
Pose 1 fermi confini , o quasi eterni.
Un solo adunque è '1 mare insieme ag-
D'acque infinite ed' infiniti abissi, [giunto
Come affermar quei che di Sole in guisa
Lustrar la terra e circondarla intorno,
Peregrinando dall'Occaso all'Orto,
0 da' regni di Borea a' regni d'Austro.
Bench' alcun sia , che stUni il mare Ircano
Da ciascun altro mar scevro e disgiunto.
Perchè tutto è di rive intomo cinto :
Né dimostra aitmmente '1 vago senso.
Come ben dimostrò l'antico errore
Di chi pensò, che nella stessa guisa
SAGRL
Separato ancor fosse '1 mar Vermiglio,
E quel degl'Indi. Ma non senso, o certa
Esperienza di mortali industri
Può dimostrar ch* agli altri mari ontte
Sien r onde caspie, che divise, e 'ntorno
Son circondate da si lunga terra :
Ma solo 1 pellegrino ed alto ingegno,
Ch' ascende al cielo, e gli stellanti chiostri
Di sfera In sfera alfin trapassa, e varct
I confini dei mondo , e I spazj angusti
Esposti a' sensi , e con etema pace
Si congiunge alle pure eterne mentL
II medesimo ingegno 1 letti e '1 fondo
Cerca de* mari ondosi , e va sotterra
Spiando le più occulte inteme parti ,
Che ne* segreti suoi Natura asconde.
Questo osò d* affermar del Caspio nnre,
Ch' ei sotterra con gli altri ancor s* agglia-
Come del greco Alfeo, come del Tigre, [fa;
Come degli altri fiumi ancor si legge.
Perocché Iddio, qual fondatore antle»
D'alu citude, od architetto Illustre,
Che per uso di lei profonde e lungÌM
Strade faccia sotterra al corso occulto
Dell'acque vaghe , e le conduca altronde,
0 da fonte, o da fiume, o da palnde :
Tal de' mari forò le vie nascose
Dentro la tenebrosa e fredda terra;
E dal suo fonte le rivolse in giro
il Dedalo dlvin (se dir conviensi).
Sicché non sol congiunto al mar di Gade
i-j V Affrìcano insieme , e quel de* Sanfi,
K '1 Ligustico appresso, e 1 mar Tirreno,
L' Adriano , l' Ionio , o pulr 1* Egeo
Otn tant' Isole sue, con tanti porti;
E '1 Mirteo suo vicino, e seco '1 Ponto,
Coir Ellesponto, e la palude amara:
Ma d'Arabi e di Persi e d' Indi adusti
1 larghi seni all' Ocean profondo
Son pur congiunti , e *n più mirabii modo
il Caspio mar, che si rinchiude, o copre
Per tanto spazio, e poi dagli altri appara
Diviso; e quasi peregrìn soUngo,
L' alta unione e *1 gran principio asconde.
Non disse allora Iddio : La terra appaia:
Ma l'arida si veggia. Arida volle
Chiamar la terra, e dimostrar col nome
Ch'arida fu la terra avanti '1 Sole.
Avanti che nascendo '1 Sole in cielo
Le seccasse co' ral le membra asciutte ,
L'antichissima madre «rida appanre.
Perocch' al suon della divina voce
Corsero tutte l'acque In giù repente;
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LE SETTE GIORNATE
OiMfeil» m& icbCò fangosa, e misCa
D* acque stagMim in anrie adorno aspetto.
Mafv s«a prtea quallfi letosta
L'eaer arida e secca , e nota andca ,
Om la ilatgiM, e sua sostanza adempie.
GoBi'èproprlodeiracqoa 1 fìreddo, e *1
M foco, e Farla è d* oniida natura ; [caldo
Gasi alla tara Tarido conrtensl.
E liDconw atf nragfire è noto 1 tauro ,
Siferleoae al suo ruggir superiM),
El amilo al nitrir: cosi la terra
Per l'aiMo s'informa e si dis^ngne.
Ma de^ priori eleaMnl! ancora immlsti
Dio solo intender pud l'accorta mente,
CoMenpIatrice d^ oggetti etemi.
Ma perciiè a* nostri sensi ornai soggetti
Son delle cose instatrili e cadnclie
I gran principi « onde perpetua guerra
È sott* al giro dell'algènte Luna;
In lor nulla di puro, o di sincero,
OdisenpIiceTedlfOdlsolingo; [pia
Ma son mischiati insieme, e 'n lor s' accop-
V una eoli' altra qualità primiera.
Onde la terra Insieme è secca e fredda :
Fredda ed umida l'acqua : umida e calda
L'aria : ma sovra lei ricino al delo
È cahlo e secco per natura 1 foco.
Cosi le qnalitati a eoppia a coppia
Ne' primi corpi son congiunte insieme,
Per col 1* uno coU' adiro in un si mesce
In brere pace. E come avviene in danza,
Ch'alcuno in aMszo è con due mani aT-
E con due mani avrinee ; e quinci equindf
L' intrecciata carola in lungo giro ,
MeBtr'ella si rivolge, in sé ritoma.
Cosi degli elementi il coro e 1 baHo
Si gira 'n oercbio, ed in sé slesso ei riede.
Perocché l'acqua col suo freddo unita,
Quasi con una mano, al suolo algente
È della fredda terra : e d'altra parte
Con altra, quasi mano, umida tocca
L* aria , che posa pur fra r acqua e '1 foco.
Sé per l'umido suo coli' aequa implica,
£ col suo caldo s'accompagna al foco;
E delle due nature In sé discordi
E guerreggianti , la contesa e l' ira
Divide e parte, e lor conglunge e lega.
Oh ! mirabil del mondo In un congiunta
Con nrie tempre e con tenad nodl^
Catena indSasotabik, e più salda
Che duro ferro, o lucido adamante ^
Per maglsitro del superno Fahbro!
DEL MONDO CREATO. Ut
Ohf defle cose Instabili e caduche
Ordin fermo e costante e quasi eterno!
Che nei tuo varTar perpetuo ósserri
Leggi incorrotte, universali, antique,
Che note sono alf Etiope adusto ,
Ed b1 gelido Scita ; e parte assembri
Nelle \icende, e nel tuo moto incerto
Le certe leggi , e sovra 'I cid dirine.
Ma poiclié fur nel suo profondo sito
Deli' acque scorse i gran (filuvj accolf! ,
Vide Dio ch'era bello '1 novo Mare,
Con gli occhi no, ma colla mente eterna,
Onde '1 fatto da lui nobH lavoro,
E r opre sue medesme egli contempla.
Lieta vista e gioconda e vago aspetto
Quello é del Mar quando tranquillo e plano
Biancheggia mormorando appresso '1 Ilio.
É bella vista ancor, se '1 dorso inaspra
Lieta e piacevol aura, e l'onda increspc«
Quand' ei ceruleo, ower purpureo appare
A' riguardanti , e non percuote irata
Con violenza la vicina terra ;
Ma dolcemente le distende Intono
L' amiche braccia; e la si accoglie In seM>.
Ma non in quesU guisa o beilo, o caro
Fu '1 sembiante del mare al Re celeste:
Né qui deUa beltà giudice é il senso ,
Ma la ragion della mirabil opra
Nel giudicio divino é beUa, e piace.
In prìma'lMare all'ampia terra intoiBO
É d'ogni umor di lei perpetuo fonte;
E per oscure e tenebrose strade
Sotto la cavernosa e rara terra
S« medesmo egli pur divide e parte,
Quasi per mine occulte assai profonde.
E poiché da sé stesso in lor s'è chiuso.
Con gli obliqui suo' corsi ascende in alto.
Dallo spirto, che 'I move, alto sospinto.
Rotto dell' aspra terra 'Iduro grembo.
Fuori se n' esce : e de' purgali umori
Il terrestre amaror cangiai' ha 'n dolce.
E trapassando da' meUlli ei prende
QualiU vieppiù calda, onde sovente
Con fervìd' acque eg^ s' accende , e bolle
Nell'isole , che '1 mv circonda e bagna,
E ne' lochi ricini al salso Udo ,
TalvolU in quei, che son fra terra, elunge.
Beno il Mar dunque é nel giudizio eter-
no.
Perché sotterra ha '1 suo profondo corso.
Bello, perché nel salso ed ampio grembo
Tutti raccoglie d'ogni parte i fiumi ^
E ne' termini suol aé stesso alrena.
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120 POEm
BeUo, perchè 1 priacipio e quasi U fonte
É delle pioggie e d'ogni umor che versi
L' aria ristretta in brina, in neve o 'n gelo ;
E riscaldato dagli ardenti raggi ,
Le sue parti più lievi esala in alto.
Le quali arrivan poi nel loco algente.
Ore di raggi ripiegati e torti
Non giunge 'i caldo. Ivi ristrette insieme
Sono dal freddo , che circonda intomo ,
E caggiono in gravoso e denso umore ,
Talché l'arido seno indi s'impingua
Della terra, che poi concepe, e flglia
Tante, sì varie e si leggiadre forme
Di piante, d'animai, di fiori e d'erbe.
E chi negar, può fede ai ver eh' io parto,
Veggendo come ferve al foco ardente
E fuma '1 vaso , che d' umore è colmo ;
Sicché ie parti sue sottili e levi
Spirando in aria, egli si vota e scema ?
Ma dell' btesso mar l'onda sovente
Nelle spugne raccolta, e cotta al foco ,
Degli assetati naviganti e lassi
Ferve al bisogno, e gli consola in parte.
Ma bellissimo é 11 Mare innanzi agli occhi
Della divina ed immutabil mente ,
Perché colle spumose e torte braccia
Tante isole nel sen raccoglie e stringe :
E perchè le remote e varie parti
Della terra ei congiunge , e i lidi opposti
Dalla natura : e largo e piano '1 varco
Porge al nocchier che lui trapassa, e corre.
Care portando e preziose merci
E quinci e quindi ; onde '1 difetto adempie
Dell* una gente e l' altra, e *1 peso alleggia.
Scemando quel che di soverchio abbonda,
E porta insieme ancor di cose occulte,
Anzi d'ignote meraviglie e strane.
Moderna istoria e peregrina fama, [glio,
Ma da qual alto, e 'n Mar pendente sco-
Eda qual più sublime eccelsa rupe ;
Da qual sommo di monti alpestre giogo,
Che signoreggi d'ambe parti il mare,
Vedrò la sua beltA sì chiaro, e tanto,
Quant' ella innanzi al suo Fattor s' offerse 7
Ma se pure è sì bello, e si lodato
Anzi 1 divin cospetto, il Mar ondoso.
Più bella assai , festante e foiu turba
É de' fedeli suoi raccolta e mista , [già,
Ch' anzi le porte, e dentr' al tempio ondeg-
Ed oifre 1 voti; e le preghiere al Cielo
Devota porge, onde s'ascolta un suono,
Pur come d'onda, che si rompe al llto.
Cosi quel suo pietoso e lieto aspetto
SACRI.
Nelle maravigliose e sacre pompt,
E la serena sua tranquilla pace
Conservi'l gran Gemente e'I cultoa
Nelle quattro del mondo avverse parti,
Mentr' apre '1 Cielo, e i suo' tesori eterni,
E le sue grazie altrui comparte e dona ;
Né faccia me di rimlrario indegno.
Poi disse Dio : La Terra ancor germogli
L' erba sua verde, e 'i suo fecondo legno.
Che produca i suo' frutti ; e questo, e quella
Conforme al seme che nel seno asconde.
Cosi diss'egli. E la gran Madre antica.
Che scosso avea dell'acque il grave peso.
Già respirava, ed alleggiata in parte
Parea, quando fuor diede i nuovi parti.
Perchè la voce del sovrano impero
Costante, certa ed immutabil legge
Fu quasi di natura ; e 'n parte alcuna
Ella non varia al variar de* lustri.
Ma si conserva ancor di tempo in tempo.
Però dell) pregnante e grave Terra
Quasi la prima prole è il verde germe;
E poiché dal suo freddo umido seno
Egli s'innalza alquanto, erba diviene.
E vigore e fermezza alfine acquista,
Talché fien si dimostra, o 'n altra forma
Perfetta appare , e 'n sua cresciuta etadc
Ha ciascuna di lor l'erboso e '1 verde.
Per cui quasi sorelle, e nate insieme.
Non ci paion ristesse, e non diverse
Molto, ma l'una assai simiglia l'altra :
E senz'aiuto altrui la vecchia Madre
Queste produsse, e non fu d' uopo altronde
Strana virtute, oltra '1 divino impero.
Fu chi pensò ch'alta cagione li Sole
Fosse di ciò che 'n lei s' appiglia, o nasce.
Lo qual la scalda con gli ardenti raggi,
E '1 suo natio vigor dal suo profondo
Con quel vital calor attragge in alto ;
Ma dietro sua ragion s'inganna e falle.
Perchè la Madre Terra è più vetusU,
E nata pria che 'n del nascesse '1 Sole.
Non gli perturbi dunque un vano errore;
E lascin d'adorar dei Sole il lume ,
Come di vita sia cagione etema.
Cessin le merarigUe antiche e nuove;
Cessino i preghi, i sacrificj e 1 voti;
Cessin non pur marmorei alti colossi ,
Ma con gli altari i sìmolacri e i tempj :
E cessi ogni fallace ed empio culto«
Ond' ancor quella sciocca e ro«a gente,
Ch' oltra le Mete, e le Colonne alberga
Sotto l'ignoto del la terra ignou,
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LE SETTE GIORNATE
Cbe rOcean da noi scompagna e parte ,
Adora '1 Sole ; e, come a Dio supremo,
gì* idoli suoi bugiardi a lui consacra.
E sappia , scorta omai da santa voce ,
Per cui del nato mondo in lei rimbombi
LamaraTiglia, e del celeste Fabbro
L*opra e 1 lavoro e *1 magistero adomo ;
Sappia ella, dico, omai (s* inganno, o dub-
bi que* semplici petti ancor rimane ) [bio
Sappia cbe quel lucente ardente Sole,
Cbe tutto del suo lume *1 mondo illustra,
E tutto *1 corre e lui circonda intomo ;
Quell'aureo fonte di serena luce, [dre
Quel grand* ocdiio del del, quell* alto pa-
Della Tita mortai, quel duce eccelso.
Lo qual co* raggi suoi ne guida e scorge.
Nuovo e giovane più di fieno e d'erba,
Lor cede di vecchiezza *1 primo onore :
Ib cbe fu prima alle lanute gregge ,
Ed a' cornuti armenti il verde pasto
Preparato dell' erbe; e *1 cibo umano
Fu d'ogni provvidenza allora indegno.
E quel Signor, eh' a* tardi e pigri buoi
Ed a' cavalli rapidi e correnti,
n facii nutrimento anco dispose;
Dolci apparecchia a te care vivande.
Onde tu goda, e ricca mensa ingombri.
Quel , che le mandre tue ti nutre e pasce,
Opur le torme in prato erboso impingua ;
In gran vasi d'argento, odi fin oro
Condisce il cibo, e ti nutrisce e giova,
1& co' sapori ti lusinga '1 gusto.
Ma '1 germogliare ancor di seme sparso
Altro non è eh' un prepararti avante
Quel che la vita ti mantenga e servi
E r erbe ancor son nutrimenti umani ;
E l'altre che produce '1 suol fecondo.
Quasi fra l'erbe e le frondose piante
In mtEEO poste, e di natura incerta.
Benché non tutti dell'erbosa terra
Nascanda semi sparsi 1 germi e 1 parti ;
Né la gramigna, onde corona illustre
Ebbe ne' tempi antichi il buon Romano,
Me la canna che tempra in dolce suono
Spesso al pigro pastore i rozzi amori ;
I^ la menta, né '1 croco, e mille e mille
Senz'altro seme ancor produce e cria
La Terra, umida '1 volto e pingue 1 seno.
I^rchè nella radice , o pur nel fondo
Qoasl è virtù di seme : e'n questa guisa
La Tota canna, poich'un anno intero
Cresi» vestita di sue verdi spoglie ,
Da sua i%d|ce manda, e sparge hi fuori
DEL MONDO CREATO. 12f
Un non so che , lo qual di seme ha forza
0 pur ragione , e l' è di seme in vece.
Né della canna già l' oliva é nata.
Ma dalla canna pur nasce la canna.
L'oliva dall' oliva ; onde s'adempie
Quel che da prima Dio di lor dispose.
E quel che fu nel primo antico parto
Generato di terra, e fuor prodotto
Dalle tenebre oscure in chiara luce.
Di stagion in stagion, di tempo in tempo,
Nel simil suo rinasce e si rinnova,
E nella sua progenie é quasi eterno.
Deh ! pensa come al suon di pochi detti,
E di comandar breve, allor repente
La raffreddata e secca e steril Terra
Senti del partorir la pena e '1 duolo.
E i cari frutti a generar commossa.
Apri del chiuso ventre 1 verdi chiostri.
Come donna pur dianzi egra e dolente ,
Deposto '1 negro manto e '1 vel lugubre.
Veste di ricche spoglie e d' aurei f regj ,
Con arte vaga , oltra l' usato adorna ;
Cosi la Terra, che'n dogliosa vista
Mesta appariva e'n squallido sembiante.
D'erbe e di fiori e di frondose e liete
Piante novelle all' abbellite membra
Fece la verdeggiante e ricca veste.
Tessendo al lungo crin varie ghirlande.
Deh ! pensa teco ancor di parte in parte
Quante fé' meraviglie Iddio, creando ;
E perché resti al cor profondo affisso
L'alto miracol suo, dovunque giri
Gli occhi e '1 pensier nell'opere create.
Ti sovvenga di lui che fece '1 tutto.
Perché non é si vile e rozza pianta,
0 si minuta in terra erba negletta ,
Che rinnovar non possa al cor l' immago,
E la memoria del Fattore eterno ,
E richiamarne 1 miseri mortali.
Prima del fien veggendo i fiori e l' erba.
Pensa fra te che pur di fieno in guisa
L' umana carne si disfiora , e perde
Il suo natio colore : arida in vista
È la gloria mortai ; troncata in erba.
Cade repente. Oggi leggiadro amante,
È nel più verde e più sereno aprile
Della felice sua gioiosa vita ;
Nodrito di pensier dolci e soavi ,
E di speranze giovanili altero ,
E di purpurei adorno e d'aurei freg].
Sparso d' arabo odor la chioma e '1 volto,
Robusto per l'età, raggira intorno
Un gran destriero e lo sospinge al corsoi
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ìVt
POfEM 8ACBL
0 con fstranM pooipa in fimo aipeUo !
Appare altrui aoU*a meatite larve.
Gravi lance ranqtendo in cbiuso arringo;
Domani è tinto di pallor di morte.
Con occhi nella Croole oscuri e cavi :
0 colle membra debiU e tremanti
Preme odiose piume; e ferve e laague
Con inteh^tte voci appena intese.
QuegU di sue Ticcbezieanticbe,onov«,
Da sé raccolte, o pnr da^i avi illustri.
Della sua (ama, e del su'onor superbo,
E da folu seguito ed amil turba ,
Anzi da numerosa e lunga greggia
Di propri servi, e di ministri eletti,
0 pur di lusinghieri e finti amici;
Esce dell'alto suo dorato albergo,
E toma poi con orgoglioso Tasto.
Ed uscendo e tornando , invidia e sdegno
Move nel primo e nell* estremo occorso.
E d*ogn* intomo vede all'alte porte
Accorrer gente , eh* ivi adduce e tragge
Grazia, prezzo, Cavor, mercede e cibo.
Alle ricchezze alta possanza arroge
Di libera città governo , impero
D'armate squadre, e dagl'imitU regi
Onor concesso e potestà suliiime,
E peregrina guardia, in lucid*arme
Temuta e fiera, e *u disusau foggia :
Quinci '1 timore , o di gravoso esilio ;
0 della povertà spogliata e nuda ,
0 di teneture oscure in career tetro.
Di gravi ceppi, opur d* orrida morte.
La plebe e i cavatter perturba ed ange.
Ma che ? lo spazio di una breve notte ,
Fianchi, stomaco, lebbre ardente e grave
L'assale e doau, e da si lieto state.
Da ti sublime altezza, anzi dal mondo
L'Infelice signor rapisce a forza;
Dispogliando repente a lai dintorno
Di questa vita la dipinta scena :
E tanta maestà sparir confnsa
Ratto si vede, e quasi In sogno, o 'noadira.
Così rasiembra nn fior languente e vile
La gloria de' mortali , alta e superba [no
Pu^dianzl: ordì Fortuna è gloeo e scher-
Ma colle cose, onde la vita e'I pasto.
Aver poscia dovean ^ egri mortali ,
Prodotto fn micldlide U toseo.
Nacque col grano la denta instone;
Con gli altri dbi imnumtinenie a^panre
L'eBeboro, e'I color f« bianco e negrow
Apparve nolo atta matrigna ingiusta
Poe l'iconllt : e non rimase occulta
La mandragora In terra : e non s'asooM
U psqnver, che sparge 1 grave snooo.
Dobbiam donque accusar la mano eterna.
Che fece 1 mondo , e vi produsse hi terra
Qnd che la vita poi guasti e corrompa ?
Ma pensar non dobbiam ch'ai ventre in-
gordo
Tutto debba servire , empiendo T sacco,
0 lusingar con soa dolcezza il gusto.
Perdi' ogni dbo preparato, od esca
Nota s'offerse, ed opportuna e pronta :
Ed ha ciascuna « la ragione e '1 modo,
Ond*ella giovi. E se del tauro fl sangne
Fu già Tcleno a te , famoso duce ,
Che pria vinto fuffa«rti 1 re de' Persi ,
Poi te merlcsmo al suo poter soggetto
Far non sdegnasti, eia tua patria anfica;
Dovea però quell' anhnal robusto ,
Che si destina al giogo ed dT aratro,
E 'n molti usi ci giova e'n motti mo<E ,
Non esser nato? od esser nato esangue?
Non bai ragione, onde tu schivi, o fugga
Quel clic ti nuoce, e *1 tuo miglioredegga?
Le mansuete e semplicette agneHe ,
0 pur le capre , abiutrid alpestri
Degli alti monti e dell' incotte rapi.
Sanno sdtivar quel che le affligge e nuoce
Disoemcndo col senso. A te s' aggiunge
Col senso la ragion, celeste dono :
K lunga insieme esperienza ed arte.
Ma da quel che d nuoce , anco so^^enle
Util si tragge ; e 'n prò si volge '1 danne i
E giovevole altrui sovente appare [guise
Quel eh' è dannoso agli altri. E'n questi
Il mal col bene si contempra e mesce;
Talché nulla è da Dio creato indamo.
La cicuta agii stomi è caro cibo;
Né (benché freddo) noce al caldo corpo
Del picdolo animaL Ricerca ancora
La pernice '1 veratro , indi si pasce :
Tal son le tempre, onde si schiva *1 dannn.
La mandragora e l' oppio il sonno allice.
Ma giova ancora alla virtÀ languente
Delle famose donne e degli eroi
VinU dal mal, bencbè dall'enne In^ttf.
Dd buon veratro U buon rimedfteanClon
È nelU filosoAca famiglia
In pregio anoor;perch' egli punge edflstn
L' ingegno usato alle quistion profonde ;
Come di Proto già sepper le figlie,
E '1 forsemiato Aklde, e quel famose,
Ch' al buon Pericle fu maestre e duce»
E li denta ancor rabbiosa fame
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LE SETTE GIORNATE
Rintuzzando reprìme. Or Toigi adunque
L'accuse in grazie : e Dio ringrazia e loda.
Che derìda dal mal fa pronto 1 bene ,
E dalla morte ancor la Tita ei trasse.
E non pensar ch^oltra air impero e *I suono
lydla sua Toce , generare ardisca
Disdegnosa la Terra audace parto ;
Denchè la foUe antichità la finga
ìladre dì fieri mostri e di giganti.
Ma r Infelice e srenturata felce ,
€be non produce mai frutto, né fiore ,
E r infecondo logtio uscir prodotte
Dal suo proprio principio ; e non altronde
Corrotti , e trasmutati in altra forma :
E di coloro ebber sembiante immago.
Di cui dovean poi le partile e i sensi
Germogliar nelle sacre antiche Carte
Inutilmente, e mescolati al vero
Fario men puro, e men sincero In parte :
Siccome ayrien , quando a progenie Ulu*
L'Illegittima prole insieme è mista, [stre
Anzi '1 Signore (stesso i suoi perfetti ,
Ch'ebbero in lui costante e salda fede.
Poi rassomiglia a quel cresciuto seme.
Ch'abbia prodotto alfin maturo il frutto.
E gii per adempir 1* etema legge
Della sua Toce , e 1 suo sovrano impero ,
In un momento avea la Madre antica
Maturati nel grembo i cari germL
Eran fecondi già gli erbosi prati
E 'n guisa ornai di tempestoso mare
Ondeggiavan di splche 1 verdi campi.
Ogni erba, ogni virgulto, ogni arboscello.
Ogni omU pianta , e colle foglie eccelse
Ogni al ber più frondoso e più sublime ,
E ciò che per nodrìme , o per altr'uso
Della vita mortai germoglia e cresce ,
Era già sorto ; e verdeggiando in alto
Con larga copia empieva '1 fertil grembo
Deli' ampia Terra ; e d' importuna pioggia
Non si temea, né d'impro%Tiso turbo,
O di sonora e torbida tempesta :
Che non potea dell* inesperto e pigro
Neghittoso cultor l' indugio e l' ozio ,
O la sua tracotanza , od aria impura
E stemperata, o fulmine, o procella.
Od altro sdegno pur del cielo irato ,
Nuocer al già maturo e dolce frutto ,
O danno fare all' ondeggianti splche.
Né dell'aspra sentenza fl gran divieto
Della terra impedia la copia ancora :
Q>* erano allor più antichi 1 vari frutti
Del peccar nostro, e di vetusta* colpa,
DEL VONDO CREATO. ISB
Ond'a d duro e faticoso colto
Siam condeniiafi,edar)tnrnio1dbo
Collo sparso ndor del proprio ^oho.
E tutti ancora al soon deU'alta Toce
I boschi Terdeggiar con denso orrore
Di folte piarne e d'intricati rami :
E quelli , che drizzar le ter A cime
Sogliono ad del con plft sublime altezza.
Cedri odorati , id>etì , pini e palme.
Premio de' vincitori ; o pur cipressi
Imitatori deU* antiche mete.
Gli umili ancor, come 1 ginepri e i sald
Dispiegavano omai la rerde chioma.
E quelle piante ancor, di cai s'orba
Nobil corona all' onorate fronti ,
Dico le rese e i sacri allori e 1 mM ,
Sorgendo insieme frondeggiar repente,
Con sue proprie virtù disfate e scevre ,
Quari (fi varie note In Tari mo<fi
Da mano etema a lor notizia iscritte.
Ma solamente allor ne* primi tempi
Senza que' suo' pungenti , ispi^ dumi
Spiegò le foglie la pinpvrea rosa.
Alla bellezza poi dd vago fiore
Aggiunta fu la dura acuta spina;
Perch' al nostro piacer sia presso 1 dodo,
E d rammenti 1 peccar nostro antico.
Per cui fu condennata (e ben convenne)
A partorir la Terra ortiche e spme.
Ma come avvien eh' a quel divino Impero
Molte , quasi ritrose e ribellanti ,
Neghino ubbidienza hi fare '1 frutto?
E non sien nate ancor del proprio semet
L' arbore, onde già dose 1 crine incolto
(Siccom'è vecchia fama) il forte Aldde,
Or biancheggiarsi vede, or negra appare :
Ma pur frutti non fanno o queste, o quelle.
Sono infecondi ancora il salce e l' olmo ;
Ma dascuna ha di lor suo proprio seme.
Come vedrai , se ben riguardi e pensi ,
Che soggetto alle foglie è un picdol grano,
Misco nomato già dal Greco industre,
Che pose molto studio e molta cura
In fare 1 nomi , e fabbriconi e finse.
E questa ha forza pur di seme occulto.
Come hanno r altre ancor, che da raffice
Sogfìono germogliar; ma legge impose
L'eterna voce alle più degne e conte,
Di cui far volle Iddio memoria Illustre!
Come la vite e la tranqulfla oliva ,
Di cui runa produce 1 dolce vino,
E r altra l' olio : e 1 vin conforto e gMa
È de' più dolorosi afifitti cori :
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124 POEMI
L'olio d la Intente e lieto 'i volto.
Ma dii potrebbe annoTerar, parlando,
Tante e si raiie di Tìrtù segreU,
E di sembianza, e da si varie parti
Traslate piante , e peregrine illustri ,
0 nostre pare , e sott* al nostro cielo
Cresciute , od in selvaggia orrida parte ,
0 tra le mura pur del proprio aU>crgo ,
Che fanno istoria si ramosa e lunga?
Basu la vite sol , che 'n aito stende
Le torte braccia, e con frondosi giri
All'olmo amica si marita e lega ;
Basta la vite solo a farci accorti
Di nostra vita ; e di natura esempio
A noi si mostra, anzi è più degna immago
D'immagin naturale, o di celeste.
E rassomiglia umilemente altera
Della Madre Natura il Padre etemo.
Padre dei cielo, o pur l'eterno Figlio «
Ch'a sé stesso di vite '1 nome impose ;
E coltor nominò , parlando , il Padre :
E noi , per fede nella Chiesa inserti ,
Di chiamar si degnò sarmenti e tralci ;
Perocch' a noi , com' alla fertil vite ,
Conviensl, o come alla feconda oliva,
Producer largamente i dolci frutti ,
Senza spogliar giammai per tempo, o caso,
Della speranza non terrena *1 verde ;
Ma con sempre fiorito e lieto aspetto
Rassomigliarla , e verdeggiar neir opre ;
Ed offerirne a Dio la gloria e 'I merto,
Ch' è divino cultor di pura mente.
Ma sono in dignità vicine a queste
Quelle felici piante avventurose ,
Che della madre sua son quasi immago ;
La qual è nel cipresso e nella palma
Rassomigliata : e d'odorato cedro,
E di platano ancor non prende a sdegno,
0 pur di mirra la sembianza e '1 nome.
Ma pur queste medesnie ed altre ancora
Utili sono a' magisteri, aH'arte
Di nostra vita e quasi a ciò prodotte
Dalla natura, anzi dal Fabbro etemo
Colla natura insieme alior create.
Altra par nata agli edifici eccelsi :
Altra a tesser di sé le navi e 1 carri :
Altra a far lance , o pur saette ed archi ,
Armi temute nell'orribil guerra :
Altra ci nacque destinata al foco :
Altra a far ombra a' peregrini erranti
Nel mezzogiorno, od a coprir d' intorno
Colle ramose braccia i dolci fonti ,
0 pur le mense fortunate appieno :
SACRL
Ma che sia proprio di dasoma , o come
L'una dall'altra si distingua e parU;
0 quai dentr* alla rozza orrida scorza
Sieno amori secreti ed odj occulti ;
È studio forse d'ozioso ingegno,
E '1 ricercar qual nd profondo grembo
Dell' ampia terra le radici estenda :
Qual nel sommo di lei s' appigli appieno:
Qual dritta nasca e sovra un saldo tronco
Lieta s'avanzi , e s'avvicini al cielo :
E qual cresca , le bracda e i pie distorta,
E 'n molti rami si divida e parta :
E qual umil serpendo, a terra inchine
Le verdi fronde , o non ardisca alzarsi
Senza '1 fido sostegno, a cui s' apprenda ,
Cura oziosa è pur di vana mente.
Ma quelle che diverse e quasi sparse
Per l'aria son con molti rami intorno.
Sogliono aver ancor profonde a dentro
Le sue radici assai distese in giro :
Perchè Natura stabilisce e fonda
Delie superne parti il grave peso
Incontra '1 mormorar di Borea e d'Austro.
Nella nativa ancora incolta scorza
È gran divario. Altra l' ha rozza ed aspra :
Altra men dura : altra più molle e liscia ;
Altra d'una corteccia appar contenta :
Altra di molte si ricopre e veste.
Ma quel che meraviglia In vero apporta ,
È che ritrovi in lor (se ben riguardi )
1 diversi accidenti e i vari esempi
Di gioventute e di vecchiezza umana.
Perchè le piante , ancor novelle e verdi ,
Han polita la scorza e quasi estesa.
Ma s' addivien che per molt' anni invecchi,
S' empie di rughe, ed increspau inaspra.
Ed altre germogliar recise e tronche
Sogliono : ed altra , nel troncare , il ferro
Apporta quasi inevitabil morte.
Altra fu già , eh' impetuoso turbo
Dalle radici sue divelse , e poscia
Ella risorse , e s' appigliò di nuovo
Nel duro grembo dell'antica Madre;
Siccome ben due volte almeno avvenne
Ne' campi di Farsaglia, e 'n altra parte.
Altra non pur, come si scrive e conta.
Nella medesma terra anco s'apprese:
Ma fu talvolta che reciso ed arso.
Il pino trapassò di selva in sdva :
E verdeggiò tra le robuste querce :
Miracool raro di Natura e grande,
Se meraviglie fa 1' alma Natura.
Ma chi riguarda, come 'I buon cultore
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LE SETTE GIORNATE
I Tiii curi dell' inferme piante ,
E dell'egri Natura in lor corregga
Vari difetti, e gli trasmuti in meglio;
Di curar sé medesmo apprenda '1 modo.
II bel pomo affrican , che 'n molle scorza
ìlIUe quasi purpuree e bianclie gemme
Asconde e copre , e poi le sparge aperte.
Onde l'arida sete estingua in parte;
L'addo suo sapore in dolce succo
Cangia sovente. E 1 mandorlo d* amaro
Dolce diviene, e l'amaror maligno
Allatto lascia, se forato è il tronco
Alle radici, e dentro '1 foro infitto
Di pece un cuneo ei ricevendo accoglie
Nella pingue midolla. E 1* orzo ancora
fi medicina alle frondose piante,
E le fa belle oltra misura, e liete :
Tanto può l'arte del cultore industre!
Ma s'egli è neghittoso e pigro all' opre ,
Per negligenza di coltura e d'arte.
Gli alberi vanno ognor di male in peggio.
Altri mutano ancor colore e forma
Senza 1* aiuto di cultore amico.
E la candida pioppa in negro tinge
Le bianche foglie; e si trasmuta in loglio
Sovente '1 lino : ed II slsimbro in menta
Per soverchia coltura ancor si volge.
Cosi r animo ancor, se studio , o cura
Delle sue macchie noi polisce e terge,
Perde 1 natio candore, e tutto annera,
Ower di grande egli diviene angusto,
E d'alto, basso, e sé medesmo inchina :
yu per culto s'innalza , e lieto aspira
Già quasi al cielo, e sé medesmo avanza.
Dunque di coltivar l'umana mente
Apprendano i mortali , e i vari morbi
Sanar dell'alma in sé languente ed egra.
Or chi potrebbe annoverar parlando
I vari frutti , o dimostrar distinU
I colori , i sapori , i propri efletti ,
E la propria virtù mal nota al gusto?
Non sol mlDe maniere e mille forme
D' arbori fanno 1 frutti in mille guise ;
Ma in mia sorte istessa , e 'n una parte
Molta varleti s'osserva e mira
Di color, di figura, o pur di sesso.
Siccome nella palma altri ritrova
Dalla fenmilna sua distinto '1 maschio ;
Perchè com'dia sia commossa, e spinta
D'interno amor, quasi le braccia stende ,
E brama al suo marito esser congiunta.
Ed 11 medesmo awien tra fico e fico : [nasce
Perdiè 'i selvaggio a quel ch'alberga e
DEL MONDO CREATO. 125
Fra le rinchiuse e ben guardate mura.
Si pianU appresso ; o pur si lega e stringe
L' uno coir altro frutto ; e *n questa guisa
L'infermità si cura; e si ritiene
Ch'egli non cangia alfin disperso e guasto.
Qual di Natura è questo oscuro enigma?
Forse 'n tal modo ella c'insegna, e mostra
Che dagli strani, ancora a noi congiunti.
Virtù s'acquista alle buon'opre, e ferma
Costanza. Adunque Italia omal rimiri,
Italia ancor languente, ancora inferma.
Vieppiù che 'n guerra, in neghittosa pace.
Che r interno suo mai non vede , o sente ;
Miri gli orridi monti , e 'n loco alpestro
Cerchi la gente orribile e selvaggia :
Quinci '1 tenero suo, chelangue e cade,
Anzi '1 morbido suo confermi , e 'nduri
Per unione , o per esempio almeno.
Ma in nlun peggior modo e più splacente
Traligna, e perde la robusta pianta
Il suo vigore e la sua prima forza.
S'egli addivien (come sovente Incontra]
Che 'n femmina di maschio egli si cangi.
E quinci l' uomo ancor si guardi e schivi
D'ammollir, quasi donna, il cor robusto.
Che Natura gli die , tra i vezzi e gli agi,
Per ozio, per diletto, o per lusinga.
Ma fra le piante ancor distinte e scevre,
Natura amica amor vi pose, e pace :
Pose fra l'altro inimicizia ed ira.
Il bel pomo gemmato e 'l verde mirto,
0 pur il mirto e la feconda oliva,
Son per natura amici , e 'n breve spazio
Piantali appresso senza oltraggio e danno :
Ma pur la dolce vite e '1 dolce fico
Avversi sono oltra misura , e 'nfestl.
Chi '1 crederebbe? e tu , Natura , insegni
Che tra' buoni talvolta è sdegno e guerra.
Ma si mariu ancor la vite e '1 fico.
Come addivien, quando fra regno e regno
Quetan le nozze l'odiosa guerra.
E chi '1 marito allor disturba e svelle,
Langue la sua consorte In breve, e muore.
Nobile esempio dell'amore umano,
E di fé maritai costante e salda.
Ma '1 caolo s'alia vite s'avvicina.
Tempra quel generoso e grande spirto.
Onde poscia 'l suo vino avvampa e ferve,
E giova agli ebbri: in cotal guisa ammorza
L' intema fiamma fervida e fumante.
Ma d' innocenza han sovra gli altri il vanto
Il bei pomo granato e '1 dolce melo.
Né fanno ad altra pianta oltraggio, od onte.
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ne POMI
Ed innocente Ipinolonalzae spande [bra
Lachioma al cielo, ed ampio q>axioadom-
dm larghi crini e colie bracda estese :
Picdoi loco sotterra ingombra e prende
Colle radid, e sotf^all' ombra amica
Verdeggiano sicuri ii mirto e 1 lanro.
Sotf all'ombra cosi di re possente.
Che di tesoro ingordo, o di terreno
Non si dimostra, e non s' usurpa a forza
De' suo' vicini P occupata parte,
Q^scon molti sovente in lieta pace t
E liorìsconvi ancor gii studj e r arti
DelT eloquenza, e i meritati onori.
Ti sono piante di natura incerta,
E di gemina vita in acqua e 'n terra.
La mirica è fra queste , e spesso abbonda
Ne' solitari luoghi e ne' deserti;
Ne' laghi e negli stagni ancor ci nasce ,
Sembiante a quei che variar sovente
Soglion le parti, e d'un in altro campo
Seguir fortuna, e d'un signore alT altro
Per natura maligni , e per costume.
Ma delle piante ancor chi tace 1 pianto?
Chi può tacer le lagrime stillanti
Dalle ruvide scorze? e i vivi umori
Lucidi, trasparenti, insieme accolti T
Sparge dal legno suo tenace e lento
Sue lagrime 1 lentisco ; e '1 dolce succo
Fuor versa ancor di lagrime odorate
U balsamo ; arbosoel pregiato e caro
Nel regno degU Ebrei. Ha 1 verde Egitto,
E l' Affrica arenosa ancora '1 pianto
Della ferula vide. Il chiaro elettro
È lagrimoso umor, che sparso cade
D'arbor famoso, eh' un bel pianto impetra.
Ma pur troppo 1 parlar s'avanza e
E negli allerti t smisurati campi [cresce,
SÀCBL
Della terra e del mar confine, o freno
Non trova al corso, ond' ei dbpersoeciaiÉe
Per le cose minute andria vagando ;
In cui si grande appare, e si possente
Dio Creator, che fece ancor l'eccelse.
Dunque fla d' uopo di fermarlo, awislo
Dalla necessità , eh' è dura e salda»
Prima ch'alia fatica ii breve giorno
Manchi di questa mia vita caduca.
Voi , che mirate le diverse piante
Negli orti e nelle selve, o pur ne' monti^
Nelle paludi ancora, e negli stagni,
0 pur deir Eritreo nel rosso grembo;
E vagheggiate i verdi tronchi e i rami,
E le fiorite lor frondose chiome ;
Nel poco omai riconoscete 'I mollo :
E col pensiero a brevi e scarsi detti
Gran meraviglie ancor giunger potreste ,
Pensando a quel Signor che fece 1 mondo
Meraviglioso di lavoro e d* arte.
Lo qual disse : Germogli ancor fa terra
n legno , che produca 1 dolce frutto
Sovra la terra. Allor all'alta voce.
Come paleo, che nel suo ferro affisso.
Alle prime percosse ei va rotando ,
E con molte sue rote in se ritoma;
Cosi la Terra va girando a cerchio
Le sue sugioni ; onde si spoglia e veste
E i cari frutti suol produce e serba.
Che pur la sferza con divina voce
Quel che comanda alla Natura, al Qelo :
Perch' dia d* anno in anno i certi giri [pia,
Tolga sembianti al primo. Alfin gli adeoH
Quand'avrà flne'l tempo, e fine 1 mondo.
Ned efia sola avrà quiete e pace :
Ma l Cieli avranno ancor riposo etemo.
GIOBNÀTA QUARTA
te cai tmm crati fi Sole, laLau • le Stella.
Qoel che rimira le contese e I pregi
Del lottatori , o d! chi leve al corso
Le membra ignnde Ui di solenne affretti ;
Odignerrieripurrimpreseernme, [gè.
Diverse In largo campo, o 'n chhiso arrìo-
E I dori Incontri In toraeamento, e 'n gio-
stra;
Sette te s» ste— « sw »ìbmIì lutai no,
Omfè
Con q«elebefan tralordoèUeceatruto:
E col suo proprio affette IncUna e pende
Più sempre ad una parte ; ebraroa espera
La vittoria dai quella : e spesso inaaiza.
Per rincorar l siK»i, la vece ei grido.
Cert chi m eelesU obbietti derni,
B érite cose saisvais e grandi,
Mra It «enrvlglle; o para ascolti
Qoel eh* ogni stilla, ogni ghMldoaraB»
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LE SETTE GIORNATE
vn» incfraMI siplcim 6(1 àitc\
Cooflen eheseco, ami fn sé stesso appord
Gr ìmpeti interni e1 iho ardore el zelo
FerrM», a conteapiar rivofto e Ìso
Tai CMe e tante, in pochi giorni ad suono
Fatte deBbi dhrina eterna Toce.
E dee con afni forza insieme accolta ,
Come compagno e eonw ftdo amico.
Trovarsi nel contrasto, e dar alta,
f^ercbè non si nasconda e non s'adombri
La ferita : on senza Inganni , o falK
Risplcada, e « sua Ince i cori Slostrf.
Ma dM dko! ed a cki ragiono e parlo?
Ifeafene In si faticosa e giasta Impresa
Quasi ardisco di porre i dell in iance,
E posar l'unircrso appeso in Iftra,
Le prime opre narrando, e i primi giorni,
£inatallddmondo:elprM,egtlalU
Principi suoi non ricercando a caso
Fra le menzogne della Grecia antica;
Dove per soo voler s'acdeca, e perde
Altri, fUoMfando, B dritto lume :
0 por nell'Accademia, e nel Liceo :
0 aeir error del tenebroso Egitto;
Ma da caini , che fuor ne trasse , e scorse
1 fidi suoi per nozo*! mar sonante;
Egli mi tragga ancor sicnro a riva
Da qoesto ti turbato e sV profondo
Mar d'Ignoranza e di soperUa umana.
Anzi pnr tu, che lai rassemtari, o Padb«
Sommo, e rinnovi *1 primo e santo escm-
Ttt, che soaiigtihil,semlgft ancora [pio;
D Re del cielo, ond'ei fu quasi immago.
Ma pur nascosa fra gH orrori e Fombra
Ddsecol prisco; e tu se' l' altra or vera
Spirante immago, e simolacro iffnstre
Ddraha gloria sua che nnlla adombra,
Onde co' raggi suoi rBud e splendi.
Piacciaci tanto al mio turbato Ingegno
Compartir di ^oei santo e poro lume,
Cile traslnso da te, condnca e scorga
L'alme gentili, e 1 pellegrìni spirtf.
I m glmmni gUocdd levaro in alto
In bd sereno hiddo, notturno
Airknwrtal betti dell'auree steSe,
Penando all'opre del Fattore elenHr;
Chi è colai che fece 'I cielo adomo ,
EtMlol vati», quasi dipinto
Con A diversi Sor ^ luce e d* auro 7
E come nefle cose esposto a' sensi
Hecessith ttato '1 piacere eccede r
E ae'tt tal gnisa for mirando appresa
Del sonano Di» Is neravigfie eccdio:
DEL MONDO CREATO. «T
E da quel che si vede , e scopre a^ occhi
Fot note poi Y altre invlslbn forme;
Pùssott ben questi empier le sedi intomo
Df questo sacro a Dio teatro, e I gradi ,
Ove b gloria sua si narra e canta.
Oh ! possa lo pur, siccome guida e scorta.
Ch'ignoto peregrin conduce intomo «
E gli ediid , e fe mirabili opre
DI famosa dttà gli addita e mostra ,
Gò^ condor le peregrine menti
De' mortali quaggiù, mai sempre erranti.
Alle subUml meravIgHe occulte
DI quest* ampia dttà r di questa, lo dico,
GHtà celeste, ov'è la patria antica
Di noi figli d'Adamo , e Talta reggia^
In cui gli eterni premj il Re comparte.
Ma poi scacciati hi doloroso esilio
Fummo dal mlcldial demon superilo ,
Che pria dolce n'adesca, e poi n'andde
D'eterna morte, e'n servitù n'adduce
A' dori lacd del peccato avvinti
Con nodi di fortissimo adamante.
E qui potran veder sicuri e certi,
Della nostra immortale e BobH alma
L'alto principio e la edeste ovlgo,
E quella, che repente indi tfamtèae^
OrHéai spaventosa e fera Morte,
Che del Peccato è dolorosa figlia :
Del Peccato, cb^è prole e prlaso partk)
Dd superbo Demonio, a Dio ribeBo,
Prtndpe di maliaia, e quasi lènto,
Ondf ogid and lira noi si versa a spande«
Qui conoscer poiran sé stesd ancora.
Che per natura soa terrea! e fraH;
Bla par della divina e saata destra
DeVctomo Signor fottura ed opra :
E conoscendo le raedesase , akarse
A conoscer Iddio, che fece'i tuttoy
Ed adorare 'I Creator del mondo,
E servire al Signor, dta^ gloria al Padre:
Amar qnel che d naire e d conserva,
Lodv quel din suoi beni a noi coa^MVte,
Principe a noi ddf una e ralna Vito
Caduca, ed hnamstak in torva e'ncMo,
Apprenétr qui potranno. B sai) e stonchi
Noa saran mal dlcckbraiioaprova ; [stra,
Perch' d co' doni ; onde arriccMsenollii-
B to MS qnagglè gif cgd iMftatt ,
Cuniiiawi ancor to a
De' toMd edesti, odcUTi
Regno divino, ove ne ciiausa a pwtai
E r umana spovann lanaisa e 1
Cha ■Bmfwe per sé 1
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128 POEMI
Ma se le cose , al variar de* tempi
Quaggiù soggette , son pur tali e tante ,
Quali e quante fien poi 1* eterne in cielo ?
E se quel che si vede, agli occhi nostri
Piace cotanto , or quai saranno alfine
Gl'invisibili oggetti all*alu mente?
Se del del la grandezza in guisa avanza
Ogni misura deir umano ingegno ,
Chi la Natura senza fine eterna
Fla che comprenda ? E scegli è pur si belio,
0 pur si grande e si veloce '1 Sole ,
E si ordinato ne* suo* obliqui giri ,
Si moderato al mondo, e si lucente,
In guisa d'occhio , che l*adorni e illustri ;
Se mai della serena e chiara vista
Non ci lascia, partendo, appien contenti ;
Bench'egii pur soggiaccia a tarda morte.
Quando che sia : deh ! qual bellezza etema
Nel gran Sol di giustizia altri contempla?
Se sol non veder questo al cieco è pena,
Qual sarà pena al peccatore ingrato
L'esser privo d'eterna e vera luce?
Era già fatto innanzi'] primo Gelo,
E la terra e la luce ancor creata;
E già distinta era la notte el giorno :
Ed era fatto ancor quel Cielo appresso.
Che dalla sua fermezza '1 nome prende.
Gonfine estremo dei sensibil mondo :
E r arida pur dianzi occulta e immersa
Tutta neir acqua, era scoperta in parte
Dall'ondeggiante umore : e'nsieme accolte
Eran già l' acque nel lor proprio loco.
Pieno la terra omai de' propri parti
Aveva 'I grembo, e di fecondi germi.
Tutto d' erbe e di fior dipinto e sparso :
E frondeggiava dell'ombrose piante
La verde chioma ; e pur ancor non era
Il Sole, over la Luna : e quel nomato
Non era della luce etemo padre,
E padre delle cose, e quasi fabbro;
Di quelle, dico, che produce e nutre
La madre terra : e 'i vano e falso errore
De' mortali, che'l senso inganna, e guida.
Quasi fallace e lusinghiera scorta.
Non l'avea fatto Dio. Ma l' opre Ulustrì
Avea fornito Dio del terzo giorno;
E dava omai lieto principio al quarto.
E, sien fotti (diss'e^) i duo gran lumi
Del fermo delo : e questo e quel risplenda
Sopra la terra : e ila diviso e scevro
In disparte del giorno, ed in disparte
La metà delia fredda oscura notte.
. GoildÌis*egU; e fece I duo gran lumL
SACRL
Ma chi disse? e chi fece? Or non intendi
Della doppia persona il grande, occulto,
Ineffabil mistero, e'nfusa e sparsa
La sacra istoria di saper profondo
Rivelato per grazia a' vecchi Padri,
Che nell'antiche carte ancor s'adombra.
Quasi per nube, e ne si vela in parte?
E non conosci ancor dell'aita voce
Quanto giovi a' morUli il santo Impero?
Risplendan , disse Iddio , sovra la terra ,
Per illustrarla, e l'agghiacciate membra
Riscaldar col vitai temprato foco.
Cosi diss'egli; ed ab eterno impose
Che '1 Sole 1 raggi suol spargesse al giusto^
Ed all'ingiusto; eh' all' ingiusto ancora
Voile giovar, chi di giovar e' insegna :
E negi' iniqui ancora ei sparge e versa *
I suo' beni e le grazie in elei cosparte^
E trasfuse dal Sole e dalle Stelle.
Né fu nelle parole, o pur nell' opre
Discorde a sé medesmo 'i Padre etemo,
Perch' ei primier creò la bella luce,
E poscia '1 Sol. Fu senza '1 Sole adunque
La chiara luce? e senza Sole, o Stelle?
Fu certo prima. E come'l corpo all'alma
E come serve 'i carro al proprio auriga ;
Cosi alla prima luce I duo gran lumi
Fur dati, ond'ella ri^lendendo apparse,
Perch' ella da sé stessa agli altri Ingegni
Prima risplende, ed alle pure menti,
Intelliglbil parto, e quasi eterno;
Poi sovra 'I doppio carro a' vaghi send
Nel di riluce e nell' ombrosa notte.
Né mai di carreggiare é stanca, o tarda
Per le strade lassuso oblique e torte.
Fu dunque pura luce innanzi al giorno.
Che poi di raggi adorno II Sol distinse \
Anzi Dio stesso separar la luce
Dalle tenebre volle, e dipartilla :
Ma comandò che separasse il Sole
II chiaro giorno dalla notte oscura;
Perch'alia nobil mente egli distingue
I puri oggetti , e poscia al Sol comanda
Che gli mostri divisi a' sensi erranti ;
Ed alia bianca Luna ancor ministra [la
Del suo splendore, e vuol che questo e quel-
li tempo e l'ore in spazio egual comparta.
Osiamo adunque senza inganno e tema,
Almen coli' animoso alto penalem
A separar dalia sua luce il Sole,
Come nel foco si divide e parte [atra.
Quel di lui che n'infiamma, e quel ch'IUu-
E già'i divise con mirabii visu
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LE SETTE GIORNATE
Iddio, quand'egli al rubo il foco impose ,
Lucido assai , dal suo splendor disgiunta
L'altra propria virtù, quella eli* incende,
Qie rimase oziosa , allora occulta :
Tanto è *1 poter della divina voce
Ctie può del foco risecar la fiamma!
Anzi quando avverrà ch*i prcmj etemi,
E le pene comparta ; allor del foco
Fia la natura alfin divisa e scevra,
E fia la luce destinata al giusto ,
Perch* ei ne goda ; e 1* altra ardente forza
A punir r empio giù nel cieco inferno.
E '1 variar dell* incostante Luna
li medesimo ancora insegna e mostra
Colle cangiate sue diverse forme.
Perchè mentr'ella scema, c*l lume perde,
Tatto già non consuma *1 bianco volto ;
Ma de* suo* rai la candida corona
Con varia immago ora ripiglia, or lascia :
Onde conoscer puoi ch'assai diverso
il suo corpo è da quello, ond' ei s* illustra.
11 somigliante ancor nel Sole avviene ;
Ma*l Sole il lume suo, ch*è preso altronde,
Poìcb*una volta ei se n'adorna e veste,
Mal non depone ; ella del lume altrui
S*ammanta spesso, e spesso anco si spoglia
Con umil visU, e la sua vece alterna.
In questa guisa a duo* gran lumi impose
Che da lor fosse dipartito *1 mezzo
Del chiaro giorno , e della notte '1 mezzo
Perchè 'nsieme non sian confusi e misti,
Né compagnia , ned amicizia al mondo
Fra la luce e le tenebre rimanga.
Ma qual nel giorno luminoso è l'ombra.
Tal nello spazio dell* oscura notte
La tenebrosa ed orrida natura
L* ombra de* corpi cede , opachi e densi ,
Allo splendor de* più lucenti opposti.
E *o sul mattino all'Occidente è stesa,
E verso 1* Oriente a sera inchina :
E '1 Mezzogiorno si raccorcia e stringe ,
E centra ]*Orse si dispiega appena.
La Notte, volta dal contrario lato.
Cede a' lucidi raggi , e 'n sua natura
Altro non è che l'ombra oscura , algente
Ch* esce dal grembo della terra opaca :
E sempre avanti allo splendor diurno
Fugge alla parte opposta , e si dilegua.
In questa guisa impose'! Padre eterno
Le misure del giorno al chiaro Sole :
E fé* la bianca Luna , allorché tutto [pie,
D* argento 'I cerchio , e di splendor riem-
Principe della fredda oscura notte.
DEL MONDO CREATO. 159
Eran quasi per dritto allor conversi
L» un contra l' altro i duo* be* lumi In cielo :
Perchè, nascendo'! Sole, imbrunae perde
Dell' alma Luna la rotonda immago.
E se precipitando il Sol tramonta.
Ella all' incontra in Oriente appare
Sorgendo, e fuor dimostra ornato '1 viso :
Ma in altre sue figure , In altre forme ,
Colla notte spirar non suole insieme ;
Benché nel suo perfetto Intero stato.
Quand'ha colmo di luce'l vago giro,
Incoronata de* suo* bianchi raggi ,
Regina è della notte , e tutte avanza
Di luce e di bellk l'aurate stelle.
Ed in vece del Sol la terra illustra.
Ma '1 Sole è re del luminoso giorno,
E come sposo , dal celeste albergo
Esce tutto di raggi e d' oro adorno ,
Di più lucente e di maggior corona
Circondata la chiara accesa fronte.
E 'n guisa di gigante alto e superlx)
Trascorre 'l ciclo, e '1 signoreggia Intorno:
Tant* egli è grande , e di tal luce ardente !
È grande ancor la vie men calda Luna :
Ma come è grande? o per rispetto altrui
(Se pur riguardi alle minori Stelle),
Od in sé stessa pur descritu e chiusa
Dalle sue linee entro '1 suo puro cerchio?
Siccom* è grande *1 Mare e grande *l Cielo ;
0 perchè l>asti *I suo splendor sereno
Ad illustrar gli smisurati campi
Della Terra, del Mar, del Clel profondo?
Però d* ogni sua parte egual si mostra ,
Qnand*è ritonda, agH Etiopi, agi* Indi,
A' freddi SciU, agl'Iperborei ignoti,
0 sia 'n oscuro Occaso , o 'n lucido Orto ,
0 del ciel tenga più sublime parte.
Né giunge, o toglie alla grandezza alquanto
Dell* ampia terra il largo seno , o *1 dorso ,
Onde minor per lontananza appaia ,
Maggior perchè s* appresse , o s* avvicini ,
Come dell' altre cose In terra Incontra.
Né giammai dal gran Sole è più remoto.
Né più vicino alcun ; ma In spazio eguale
Son gli abitanU In ogni clima estremo.
Pensa fra te se mai da eccelso giogo
D'orrido monte rimirando a basso,
Umil campo vedesti , od Ima valle ,
Quanto I gioghi de' buoi sembrano in visU ,
0 quanto grandi gli aratori istessi :
DI minute formiche ebber sembianza
Senz' alcun dubbio, cnlr* a misura angusta
Cosi accorciarsi, e rannicchiar le me'nbra:
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UO POEMI
Cotanto si consona e si disperde
Della f ista mortale U senso incerto
In mexzo a cosà grande e lun^o spazio,
Ch* appena giunge a* qoe' remoti oggetti ;
Ma se da Tetta, oda sublime scoglio [tenti.
Volgesti 1 guardo al Mar con gli occhi in-
Quanto l'Isole in lui diffuse e sparse
Ti si mostrano in lista; o negranafe
Di care merci e prexiose onusta ,
Spiegando in allo le minute velo
In guisa d'ale, dalla salda antenna
SoTra 'i ceruleo suo spumante dorso;
Certo minor di candida colomba
S' offerse agli occhi la minuta Immago :
Tanto nel vano, e negli qMu^ immensi
L'umana vista indebolisce, e perde !
Già gli alti mona alle profonde vaUi
Credesti eguali, edi rotonda forma, [ca.
Che non apparve *n meszo antro , o spelon-
Nedaltra sua inegual scoscesa parte ;
Ma tutto si nasconde '1 cavo e '1 voto
Per lontananza, e con aperto inganno
Ogni disuguaglianza in lei s'adegua.
E rotonde le torri ancor diresti ,
Bench* abbian quattro Iati e quattro facce ,
E sien rivolte all'Aquilone e all'Austro,
Ed all'altre del mondo avverse pard.
Però senz' alcun dubbio esperto credi
Che 'n lungo spazio ogni lontana immago
Si confonde : e s' inganna '1 senso errante
In molte guise. Adunque è grande il Sole,
Ma quel dì sua grandezza è certo segno.
Che perchè sieii Stelle ioiinUe in cielo,
Da ciascuna di loro il lume sparso,
E *n un raccolto , a discacciar non basta
La mestizia e l'orror di oscura notte ;
Ma solo il Sol eh' all' orizzonte ascende.
Anzi menlr* ei s* aspetta, e pria eh' ei sorga
Sopra la terra , e sparga 1 primi raggi ,
Le tenebre dissolve , e l'auree Stelle
Supera di splendore : e l'aria densa,
E dal freddo notturno in gei risiretu ,
Diffonde e sparge , e 1 liquido sereno
Con vieppliii dold tempre illustra e scalda;
Onde r aure odorate innanzi al giorno
Spirano mormorando : e piove intanto
II rugiadoso e erlitaiiino umore.
E quinci apprendi del Blaestro etemo
L*arte divina, che lontano '1 Sole
Dispose, e'n guisa moderò l'ardore,
Clie per soverchio non infiamma '1 suolo ,
Me per difetto aneor l' agghiaccia , o lascia
Languido e mesto , ed infecondo al parto.
SACRL
E della bianca Luna Intendi, o i
Cose conformi , o somiglianti a queste.
Perchè (siccooM dissi ) il corpo è grande,
E (se ne traggi il Sol) lucente e bello.
Vieppiù d* ogn' altro che nel del rìsplenda:
Ma non sempre si vede , e non riluce
In ogni tempo eoo egual sembJania ,
Ma rioBpie talora *1 voto cerchio;
Talvolta scema si dimostra In parte.
Anzi mentr'ella cresce, oscura e fosca
Divien da un lato : e nel calare Imbruna
Dall' altro : e dell' etemo e saggio Fabbro
Dir non possiamo '1 magistero e l' wte ;
Perchè dar volle in cielo un chiaro eseni-
Col variar dell'Incostante Luna, [pio,
AH* incostanza umana , al modo Incerto
Di nostra vita Instabile e vagante,
Ch' un istesso tener giammai non serba ,
Né 'n fermo stato si mantiene e dura.
Ma cresce prima, e sé medesma avanza.
Sinché di sua grandezza aggiunga 11 som*
Dechina poscia, e si consuma e cade, [mo:
Sin ch* aUln pur s' estingue e toma in nulla.
Dunque né di sua gloria In visu altero
Alcun sen vada , o mostri orgoglio e fasto
Per gran tesoro accolto, o *n sua possanza
Troppo confidi , oltra ragion superbo:
Né per corona antica ed aureo scettro
Altrui rassembri imperioso e grave :
Ma di sé la caduca e fragii parte
Disprezzi, e solo estimi I beni interni,
E l' anima inmiortal , cui nulla estingue.
E delle cose umane I giri incerti
Pensi e ripensi , e *1 suo pensiero affisso
Tenga all'eterne pur, come a suo centro.
E se la Luna impallidita e scema
Col perturbato aspetto unqua l'attrista (
Più dell'anima sua si dolga e gema,
Ch'acqubta la virtù, tesoro e dono
Prezioso del Ciclo, onde s* avanza;
Epoi la perde: e 'I primo onore antico,
E la sua dignitate in sé non serba.
E veramente a' vaghi e lunghi errori
Dell' instabil pianeta uom folle e stolto
Vaneggiando somiglia, e 'n vari modi ,
Come la Luna , si trasmuta e cangia.
Alcun vi fu che della mente umana [me, *
Ch'ha due potenze o pur due parti Inaie-
E r una a far , l'altra a patire acconcia ;
Quella ch'illustra, rassomiglia al Sole,
Quella ch'illuminata Indi rischiara
11 tenebroso e fosco, ei la sembiante
Alla Luna, ch'altronde '1 lume prende.
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LE SETTE GIORNATE
E dell' altrni ipleodor lucente appare.
Perchè la parte in noi soletta a morte
( Se r Intelletto ha parte a morte espoata)
Pur col lume dell' altra alluma ed orna
In sé mille leggiadre e chiare fanne.
Ma quella eh* 1 suo' raggi altra! comparte,
Temer non può di morte *1 duro fato;
Talché Dio la eradea nel aecol prisco
FiloaoCmdo l'ingegnosa turba.
AKrl Dio no, ma creatura e parto
Da Dio prodotto , a cui di Sole 11 nome
Per r alta Iure sua concede e dona.
Ma 'n disparte si stia d* acuto ingegno
L' animosa ragione, e ceda intanto
A quei che più conferma antica fede,
Ed aniraoAa pur ; che meglio 'i vero
D* ogni primo Intelletto, in Dio conosce.
Or dimottriam , come 1* errante Luna
GloTl col varcare, e parte accresca
Le cose che la terra in sen produce,
0 nutre 'ì mar nel salso umido grembo
Perocché '1 crescer suo riempie e eolma
D* umore I corpi, e *1 suo scemar gli scema,
E quasi vota ; in sì soavi tempre
L* umido e 'i caldo ella cotigiunge e mesce.
Perchè fredda non è la bianca Luna,
Com' altri estima : e solo algente appare
A paragon del Sole , onde si scakla.
Però , quand' ella col suo cerchio incero
Mostra dall'alto cielo il pieno aspetto,
Emula vaga del fratello ardente ,
E (se dir lece) quasi un Sol noUumo;
Allor le notti tepide e serene
Son più dell' altre, in cui d' adunca falce
Mostra T immago, o con argentee cerna
S* incurva avanti al Sole , o pur da tergo.
Allor vieppiù germoglia 1 verde tronco
Con nuove frondl e rami, e più s' impingua
L* umida sua midolla entro la scorza :
E più ripiena è In mar la dura conca
Di preiloso dbo ; e pure avviene
Ch'altri dormendo sotto '1 cielo aperto,
La testa grave del suo umor riempie.
Lascio or da parte , come I* aria e 1 venti
Ella commova , o '1 mar perturbi e qiKtl.
E tanto basti aver narrato ornai
DI sua gran^eaza e de' suo' vari effetti ,
Ond'ella giova. E non dee senso umano
Esser giammai di misurarla ardito;
Che quivi 'I suo giudlaio è 'neerto e (alao.
Cotanto ègrande, e 'n cotal guisa Illustra
Oli abiutort e le città disgiunte
Dal vastissimo mar, dall' ampia terra :
DEL MONDO CREATO. 131
0 slan in parte ove dechina 1 Soie,
0 pnr ne' regni della bcAa Aarora :
0 sotto r Orse, e nella 2ona algente :
O pur nella fervente arida fascia ,
Che per mezzo 1 terren divide e dngt;
d'illustra, dico, e quasi al modo istesso.
Noi, altri con obliqui e torti raggi.
Altri con dritti , e queste è vera prova
Ch' ella sia grande, e 'nvan ripugna '1 senso
0 la falsa ragion , che '1 falso affsrma :
E non v' ha loco ingegno di sofista.
Ma quel che fece a noi ^ caro doso
Della mente immorUl, e' Uisegna ancora
A conoscere 'I vero. E quella etema
Sua sapienza, ond' egli fece '1 mondio.
Grande in picdole cose aneor dimostra :
Maggior nelle maggiori a noi la scopre,
Siccom' é '1 Sole e la ritonda Luna, [gli.
Benché (se quello, o queste in parteaggua-
0 paragoni al suo Fattor sovrano)
Verso di lui ch'ogni grandezza accoglie
In sé medesmo, e come cosa anguste
L' universo nel pugno astringe e serra;
E quello e queste avran sembianza e forma
D'avido pnlce, o di formica faidustre.
Fece nel tempo istesso aneor le Stcdlè,
Quei che prima avea latto 1 fermo Cielo
Nel di secondo, e non appieno adorno;
fiench* altri Stelle di nomar presunu
1 sublimi non pur celesti lumi ,
E quasi etemi, e nel suo giro afissi ;
Ma le Comete e ie figure ardenti ,
Che 'n varie forme flaromegglar nell' alte
Aria vegglamo , o nel sublime foco
Che sotto '1 giro della Luna accolto
Con lei s'aggira di perpetoo moto.
Ma queste colassù mai certo loco
Aver nonponno , e pur grandezza e formi.
Od ordine costente : e 'n breve tempo
Sparir dagli occhi, e dileguarsi In tetto
Soglion per l' aria dissipate e ^arse;
Siccome quelle che dal sen fumante
Han della terra '1 nutrimento e l'è
E se la madre lor dinega '1 dbo
Arido, che diviene in breve adusto ,
Viver non possa , onde tra spazj ;
La vite loro è terminate e chiusa.
Talor nonponno un giorno, anco tal volte
Nel punto che s' infiamma ella s' estingui.
Onde quell' animai che 'n riva nasce
Dell* Ipani sonante, e vede appena
Un solo e breve Sol nato coli' iVlba ,
Giungendo Innanzi sera al fato estremo
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132 POEMI
Quell'animi], dlchMo, ch'avara e scarsa
Ebbe più d'altro la Natura e'I Qelo,
Coo sorte sua migliore in terra nasce ,
Ctie nel ciel queste varie accese forme.
£ Stelle pure altri le appella e noma :
Altri Stelle cadenti ; onde sì spesso
Agogna rimirando il volgo errante ,
Se morir ponno , o se cader le Stelle,
Ch'esser dovrian per dignitate eterne ,
0 quasi eteme , e trapassar vivendo
Be' secoli volanti '1 lungo corso.
Ma così parla, chi ragiona a' sensi
Del volgo infermo, e '1 suo parlar gli adatta.
Ma tra queste figure in cielo accese ,
E quasi impresse , e di sua nota aduste ,
Han loco alcune si costante e certo ,
E cosi lunga e cosi stabil vita,
Ch'altri le stima del sublime cielo
Parte non pur, ma beila e cara parte.
Siccom' è quella via lucente e bianca ,
Che del latte al candore i lumi aggiunge
DI tante fisse Stelle ivi cosparse ;
La qual è via eh' adduce ali' alta reggia
De' favolosi Divi : e strada ancora ,
Ond' all' animo umano è aperto '1 varco ,
Per cui discenda nel corporeo albergo,
£ poi ritorni rivolando in alto
Alla sua pura e sua fatale Stella :
Così credcano ; e questa è fama antica.
Ma la Cometa di possente aspetto ,
Ch' i purpurei tiranni e i regi invitti
Andde fiammeggiando e muta i regni ,
Dreve spazio ha di vita a tanta possa ,
E di due anni '1 corso appena adempie.
Cosi nel tempo dell' infanzia umana
Invecchia e muore la terribil luce.
Che dà spavento a' miseri mortali, [ero
Questa giammai tra'! Capricorno e'ICan-
Apparir non ci suol , o pur di rado
Ivi si può mostrare : e pria eh' avvampi ,
Con sua gran forza la dissolve '1 Sole.
Ma oltra queir obliqua e torta strada ,
Per cui fanno 1 pianeti eterno giro, [l' Orse ;
S'Infiamma e splende tra quel cerchio e
Indi , spiegando la sua ardente chioma ,
0 pur la barba ; di sanguigna fiamma
Accesa e sparsa , e paventosa in vista.
Con annunzio di morte altrui minaccia.
E questa ancor, benché dannosa e fera ,
Soni di Stella '1 glorioso nome ,
Che non conviene a sì maligno aspetto : j
Né d'innocente luce unqua si vanta;
Bench* altri dica eh' a Nerone Augusto |
SACRI.
Innocente apparisse; e *n dò lusinga ,
Perch' ella nacque, col lasdarlo in viu ,
Al mondo tutto : e fu nocente ed empia
Più nel salvar sì dlspietato mostro ,
Che in ucdder altrui sembrasse unquanco*
Ma se di queste fu la pura e bella
E sanu luce , fida e cara scorta
De' peregrini regi d' Oriente ;
Sallo colui che di sua mano etema
Formolla In prima e le die luce e moto,
Che parer volontario alior potea ,
Come s'ella intelletto avesse ed alma;
Ma questa fu della divina destra
Opra novella e fatta a sì grand* uopo.
L* altre create già nel quarto giorno
Furon, come si stima, e mente e vita
Ebbero dai celeste eterno Fabbro.
Vita non già, che si nutrisca e prenda
Forza dal cibo , e per digìun languisca «
Cercando col suo corso '1 vitto e l' esca
Dalla terra e dal mar, che sempre esala,
Come alcuni affermar del secol prisco ,
Ch' ebber di sapienza ingiusta fama ;
Ma lieta e gloriosa e pura vita ,
Che'n Dio sempre mirando. In lui s'eterna,
E di sapere e del suo amor si pasce.
Queste divine e gloriose menti
Furon da Dio create il di primiero
Innanzi al Sole, e i bei stellanti giri :
E poi da lui divise il giorno quarto
Ne' propri luoghi ; come accorto duce
I suo' fidi guerrier distingua e squadra ;
E *n guardia lor dispone, e Ìor confida
Città forte ed alpestra e torre eccelsa.
Parte fu mossa a raggirar nel corso.
Non faticoso e non costretto a forza.
Quelle sublimi sue lucenti rote:
E parte ancor, fin dal prindpio eterno «
Alla difesa delle genti umane
Fur destinate da quel Re supremo.
E poi dovean , quai messaggier volanti.
Far manifesto il suo voler in terra, [kIiì :
Portando e riportando, or grazie, or pre-
Grazie divine , ognor veloci e pronte ,
E preghi umani , spesso, e lenti e tardi.
Altre, mal sempre al suo servizio intente.
Stanno fide ministre appresso e 'ntorno,
E sembran quasi innumerabil prole.
Né da quel dì che prima gli occhi aperse
U padre Adamo alla serena luce ,
Tanti del suo corrotto e 'mpuro seme
De' faticosi e miseri mortali
Fur già prodotti a travagliar nel mondo
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LE SETTE GIORNATE
Quanti di quel difilli alati spirti
Far destinati a quell'eterna pace,
A quel piacer die non lia fine , o tempo,
Che gli fa sempre neghittosi e lieti
D'un ozio etemo, e senza officio ed opre,
E senza cura di terreni affanni,
E che gli astringe a quei gravoso impaccio,
Di girar senza posa i cieli a forza ,
Quasi animali alla marmorea rota
Legati, in guisa d'isslon penoso.
Ch'avvinto giace, e sempre è mosso in giro.
Erra egualmente, e'n sua menzogna adom-
bra.
E1 gran maestro di color che sanno: [do,
Quel che 'n tante sue scuole insegna *1 mon-
Seguendo '1 moto e '1 senso, infide scorte.
Errò egli ancor. Ma con men grave errore ,
Quand' ei quelle divine eterne menti ,
Filosofando annoverar presume ,
E 'n numero sì breve accoglie e stringe
1 cittadini del celeste regno ;
Perocché quanti sono 1 vari moti ,
Onde con vari modi è mosso '1 cielo ,
Tanti motori ali* alte spere assegna.
Ed oltra questi non adora , e placa ,
O non conosce nel divino impero
Altri offici, altri Numi ed altri Dei :
E senza proprio ministero ed opra
Non estimò che 'n oziosa vita
Vivesscr pigre e neghittose indamo.
Dunque sol tante , al suo gludiclo errante,
Esser potean , quante a* celesti giri
Potesser poi basUr; gli altri soverchi
Tutti estimava, ed adorati invano.
Finti di Grecia Numi , o pur d' Egitto.
E non s'avvide '1 pellegrino ingegno
Che nella gloriosa eterna reggia
Altri esser denno ancor gli offici e V opre.
Che quella sol di raggirare attomo
L* eterne spere nel contrarlo moto.
E conoscer non volle , o pur s' infinse ,
Che più alto e più degno e nobil fine
Si conveniva agi' intelletti eterni,
DI quello, senza cui soverchie estima
Le nature divine, e quasi invano.
Cbè '1 muover sempre le stellanti rote ,
£ fia corporeo, e quasi a* corpi affisso,
E ne' corpi occupato, e basso officio.
Verso di quel de' più sublimi spirti.
Che stanno appresso e 'ntomo al Re super-
Altro fin dunque più sublime ed alto, [no.
Altro più degno ed onorato oggetto.
Altro più santo ministero, e sacro.
DEL MONDO CREATO. ISI
Numero via maggior ricerca e vuole
Delie menti immortali, e già non debbe
li Signor de' signori , e '1 Re de' regi
In solitaria reggia e 'n voto regno
Regnar quasi solingo , e '1 basso mondo
Empier d'abitatori, onde s'accresca
Dell'imperio terreo l'orgoglio e '1 fasto.
Né dovea dare a* gloriosi Augusti ,
Ed agli altri quaggiù corona e scettro.
Tante genti, tant' arme e tante squadre.
Ed eserciti tanti , e 'n tante guise
Della terra e del mar raccolti e sparsi :
Né rlserbar per sé schiera , o falange ,
Bench'egli basti solo. Ah ! troppoindegno
Era della sua gloria , e troppo anguste
Son le misure, alla materia affisse:
Troppo i numeri scarsi , onde si conta
Tutto ciò che la terra e '1 mar profondo
Nel grembo accoglie, o '1 cielo , esposto
a* sensi.
Altro numero é ancor, che non s'accresce
Per secare '1 continuo, e tutti avanza
I numeri quaggiuso. Or chi presume
D' annoverar le pure eterne menti 7
Deh ! non vedete or quanti raggi intorno
Sparga questo corporeo instabll Sole ,
Lo quai dei sommo Sole é quasi un raggio 7
Or quanti sparger dee raggi lucenti ,
Quante fiamme iassuso, e quanti ardori
Quel primo della luce eterno fonte?
Ma noi cape '1 pensier, né lingua esprime,
E quel che sovra '1 ciel si conta e segna,
Innumerabil sembra a' sensi umani.
E certo alta ragion, giudizio eterno
Mosse! sommo Signor, che fece '1 mondo,
A far più numerosi 1 più perfetti ,
Perché negi' imperfetti ei non abbonda.
Quinci addivien che le feroci belve
Son poche e rare In solitaria selva , [te
0 'n monte ermo e selvaggio : e d'altra par-
Pascono 1 campi i numerosi armenti,
E copiose ancor le gregge umili
Seguono del pastor la fida scorta.
Ma de' figli d' Adamo il seme sparso
Riempie Europa, e l'altre parti ingombra
Della terra , eh' é stretta e bassa mole
S'al Ciel la paragoni, ampio e sublime:
E '1 Ciel de' propri abiutori illustra ,
Più che di Stelle assai , le parti eccelse.
E non contento de* suo' primi antichi ,
E quasi etemi ablutor celesti ,
1 peregrini ancora in sé raccoglie ,
E nati In terra di terrestre limo.
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134 POBU
E r altt sedi alU stranien torba
Lieto prepara; e l' accanpagna e ginace
AU' angelidiescpiadrc^equafii aggaacUa;
Bendiè d'Adamo i mal concetti igU
NoB liaiio aAtto ali* ampio Cielo caterni.
Perckè celeste è l'alu e bdla origo
]>ell' alma amane» e HeU al Uel ritorna,
Siccome a vera patria, e patria antica,
Da quesU della terra ombrosa chiostra,
Ot* eUa vìsse peregrina errante.
E se r uom, cinto di corporee membra
Nacque d* Adam , che di fangosa Urrà
Fa generato, ei pur di Dio rinacqae
Eigenerato poi d'acqua e di spirto ;
E« come erede de* paterni regni «
Aspira alle celesti alte corone.
ila doiie mi trasporta innanzi al tonpo
L'amano amor, che 'n noi si dolce innesta
Nosua natura? Ora 'i mirabii corso
Seguiam del Cielo e delle Stelle erranti ,
A cui , quasi motrici, il Padre eterno
Assegnò quelle eccelse e pure menti:
Non quasi torme, io sua materia iauaense.
Ma quasi auriga al suo veloce carro.
E quinci incominciar del Cielo 1 moti,
L'un dalla destra alla sinistra parte,
L* altro dalla sinistra in ver la destra.
E chiamo destra '1 lucido OrìenU^
Onde si muove 'l primo Gel rouado ,
Che tutu gli altri seco affretu e tragge;
E dal proprio camndn quasi distoma.
Sinistra parte V Occidente appello.
Onde si muovon gli altri, e '1 Sole istesso.
Che por dall* Oriente a noi si mostra
Coli* altrui moto, e nello spazio integro
D*un giorno è ricondotto^ ond* ei si parte.
Perchè 'n un di, che *n sé la luce e l'<Hnbra
Contenga, compie *1 suo perfetto giro
La prima spera : e 1* altre in vario tempo
Col proprio moto faa contrario corso ;
Qual minuta formica, o picciol verme ^
Che da rota corrente è tratto intorno ;
Ed egli intanto alla contraria parte
Da sé medcsmo muove, assai più lento»
In treni' anni sea va correndo acerchio
Quel che rassembra a noi pigro Saturno,
Più veloce degli altri e più corrente :
Ed in due volte sei placido Giove;
Ed in due anni appresso il iero Marie,
Che *n questa guisa ei si conosce e noma
Dal volgo in tetra 1 e 'aun sol anno 'l Sole :
E 'n poco mcn la graziosa Stella,
La qual lieU si leva innanzi ali* alba.
SACBL
E Lucifero ha aane; e poi a'jyy^
Espera detta^aHorckèl Sol tiMo«Ca*
E 'a quasi pari spaalo la sé rUiCBa
QuelgiAarcéBtemiiinglii iPiiaate.
la venti gftomi poscia, e *B setta appvesao
Fa '1 suo viaggio U piA tolda fjna.
Che più veloce sembra; a foeil» a wfeae
Perchè 'n giro minor si vejge, e ricde
Colà più tosto, oade si mosse ìm prima.
E questa fa quasi amestra antica
Di partir r anno f cbc 'a tei BMsi e ti sei
Divise a' soo' Roanni il vecchio Naam;
Perocché tante volte '1 Sol raggiunge ,
Tornando a quel principio onde partissi :
Ma priiaa in quesU guisa 1 Greci anceva
L'avean partito^ e i più vetusti EbrcL
Romolo poi meno al celeste corso
Ch'ai guerreggiare intento, e quasi ra8n>
Delle cose divine , in dicd parU
L'avea diviso : e qaeftt' errar corresse
li saggio re sabin, canuto '1 menta.
In questo modo i dne pianeti ttlostri.
Da chi gli scorge ad perpetuo cara».
Furo ordtaati col lor giro ali* anno.
Anno è A ritomo del corrente Sole,
Dal segno istesso nel medesaw segno
Onde si parte; anzi nel punto,' afissa
Nel segno, quasi a termbie costanta;
Perchè tornando alla meéesnsa stcUa
Onde partissi, dilungaU adqmoto
La troverebbe , e trasportaU a cerchio
Dal primo ciel col soo veloce catto:
Ma chi lo scorge a far la suie e '1 verna.
Questi r Italia e tutta Europa appella
Col nome degli Dei bugiardi e Calsi.
I^la pur Angeli sono, e pare menti.
Dell* alta Provvidenza in del ministre;
La qual dispose per cammina obliquo
1 sette erranti, e 'naKzz* agii altri '1 Soli;
Perch* ei d vari le stagioni e I tempi r
E 'n cpiesta guisa sia cagione ai mondo
Ch'altri nasca, altri muoia, e viu In marte
Trasmuti, e morte in vita,ln giro alterna.
Perehè mentre lontaao II Sol dimora
In quel lato , onde spira 1 anbil Austro,
DI lunghissime notti il aostro adombra r
E l'aria si raffredda e si perturba
D' ogn.* intorooalta terra, e*n folta pioggia
Condensati vapori, e *n larghe falda
Caggioa di neve,cbs poi stretta te gelo
Bicopre'l dorso étgll alpcatrl manti :
Effenaado a' gran flnml 'l ratto cono ,
, Tardigli rende, a qualbLaaida vetro
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LE SETTE GIOWATE
CooTerle I» ptMI e I pigri slafni.
Ma qinii# ei U Meriggio » Bok liuna.
In meBmqamààti f imÌh lotonda^
ParUkftBOltecl giocD* ìb spui* cgoie,
E rarftiteaMi cmì 9Miì tfpnu
Alar Zcir» ipira r allM^ KB rieée
La PriHHivtra ^crdcggiaMe e lieta,
GriTerke e i iOTi, Mn doka
K graricb la terra 'i MB fecaiido ,
Che par «ani cMMka la Rete e'I gMac^
Apre mail iati a* aM>Ti parti, [do,
GeraMgtiai le icrite onWott piasie ;
Maacana gii aatoaM la terra e '• acqaa :
KM CMaenra la pcrpetaa prole,
Inatochel^ìrlpyiiiipièpaò^irapprem
A' freddi rcgaf #lqailoa nevasa.
Dot* d mi Casaro si ritiene, e fmna
Qaaailtaacatsa^efapiàlnBgol giarao:
E con pie tanU pavi ooni per dritto
Sol capa aaairo faaai egli si spaila ,
E Ilaria d'oga'lBlorao a noi riMsMa :
Arida fa la lerra, e i seail sparsi ,
E degi alberi I ftnttti ancor antnra.
la gfta Bwae è i^naatgRljnH T Sole
Oltta BilaBra, e bcb obfeqoi raggi
Spiega pHb d'alto ad ilostrar la terra.
Soa laDgMMlBi asera i giorni esiivi,
E bmiailBH FonWe; ed aU'incoaiio
He^ Wc^BSiaii giarai il corpo opaco
LoagldalBM fi r oaiWe oppoeieal Sole.
Eqoest' arriene a noi, ch*abbÌaaioalbergo
faìraqaelcefdiio, oade ricoraa Apollo,
E r^cro dM dar Orsel BOOM prcade ,
Patte BOB laage ar gelidi Trioni.
E Boi BMi scanpro solo al destro lato
L' fbiij BiMiiMiaia tairerao Borea e il
Carro:
Ed altri sono la pie fervente dima,
1 qual édraano aaoe due giorni Interi
Onera non fanno, tMor^bé gira 1 Sole
Nel cerchio del Meriggio, e d'aKa parte
Con dritti raggi gli risdriara e scalda.
Ed allora addiriene 'n quelle parti
Glie per angusta bocca i cari posai
lUominati aleno Inslno al fondo ;
CflBie ^a Sieae, e 'a Berenice ancora,
E piA lontan, ndT onorata reggia,
Ch' ha doe raasi nel Mio, e qnind eqnittdi,
E dalla suora d Cunbise estinta
Ebbe gii 1 nome, e la faimosa tomba.
Ed oltra r odorata aprica terra
Des^ Arabi felid, ha strana gente.
Che soarge l'ombra 'e ne sortisce 1 nome)
MONDO CREATO. US
H'entnadii i lati, iBcaidia*! Beftaal'Aa-
Eques4'afri«B«aMntrafidBa*iSak [sira
A' freddi regai d'AqailoB iiapaaaa,
E già lieta a' accoglie 'i BBOvo AatBBBO ,
Ricco de' pomi e del sao vin spomaate.
Con verde ancora e pamplnoaa spogUat
Aliara tempra i rat dea Soie eslifo ,
Scema gli ardori, e Toaibraamisa accra-
ElenotticD*giamiÌBlibraaggBagiia; [sca;
Ed iBBacenèe ne coadnce al Verno :
In cui diaaavoMSoldaBQisIparte,
E s*avTkiaa agli Arabi ed agi^ladi.
QocsU soBo del Sole il bmIo e'I cnrao.
Queste dd tea^io le riceade e i giri.
Per cai qai si goiwna omana vita.
Ma degaa ancor di BierarigHa è l'arte
lid Fabbro eterno , e la sttbifaBe ed aita
Sua provvideBsa, ck'alle strade obliqoe
De* sette erranti il termine prescrisse,
E vieppiù angnsU via listrinae al Sole
Perocché sott H Sol giammai non varia
La torta linea, che divide e fende
11 eerchiodeila viu in parti egaali.
GKaltri eMoa faor, o linM, o l'ai tra parte,
Qaal pie, qaal BBCBO : e la feconda Lana
Vagar per tatto '1 cerchio ardiu snoie.
Esce Veaere foar del eercbio istesso,
PIÙ della L^BM aodace e plàfecoada.
E qaiBd avvlea che ae* deserti tacalti
Sia r Africa arenosa e l'India adasta,
DI si vari aniaKi! aodrice e ma<tare.
Né qui biasaur la Provvidenza etema ,
Ch'air ordine del bmmmIo, al sommo, al col-
Di tutte l'altre cose in lui prodotte, [nw
Giungon le dispietate e strane belve
Meraviglia e decoro, e i fieri mostri.
Or BMntre 1 Sol, per l'aluria rotando,
Giassani bob esce dal camndn prescritto.
Mostra con qnestochlaro, lliostre esemplo
Al Maaaita del moado 'I calle angusto.
Da viriate e da legge a lui preismk
E sTegff ha 'ncotttra dall' oppimla parte
La tonda Laaa, ch'ai saperbo Drago
Preme la tesu, aporia coda lagond^.
Le nega i dolci raggi e 1 cWaro Imae,
B *a BKsao si fkappon Parlda terra?
Perché la Laaa impaUdtta adoaAnk
E se la vaga Luna a hd s'aggKnge
(11 che due volle ne' GemdN avviene)
11 Soie in parte a noi s'oacata e vela.
E qafnd avvisa , che se imbrm» e perda
Per difetto lasse celeste luce;
Non è luce mortai nd I
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136 POEMI
Non splendor di fortuna, onde t' abbagli
L'inferma tìsU dell'errante Tolgo,
La qual talvolta non si turbi e manchi.
£ solleva '1 pensiero all' alla e prima
Santa luce divina , e luce etema ,
Che lassù non conosce Occaso , od Orto ,
Né difetto giammai , né scema, o langue :
Ma già di nostra umanità vesti u
Fece seco ecdissar turbato '1 Soie,
Oltra suo stil : con meraviglia e scorno
Della natura lagrimosa e mesta :
Né la cagion conobbe umano ingegno.
Ma come appressi e s' allontani '1 Sole ,
Perchè da sera l' Incostante Luna [ da :
Nasca sempre, e *n sull* alba ella s' ascon-
Perchè Saturno, Giove e '1 Aero Marte
Serbin ordin contrario , Innanzi al giorno
Tutti nascendo, e poi caggendo a sera :
Ed altri affetti si diversi e tanti,
Ch' appaion colassù di spera in spera ;
Varie fur le cagioni addotte in prova
Da varie sette, in contemplar discordi.
Altri, osservando i duo' contrari moti
Ne' cieli , e dal primier conversi e ratti
1 men sublimi incontra '1 proprio corso ,
Disscr che d'ogni cielo il proprio centro
Centro è del mondo, e 'ntomo a lui si volge
Pieno e perfetto '1 lor ritondo giro.
Né questi sovra agli stellanti chiostri
Ilan locato altro corpo ed altro delo:
Ma poser sott'a lor que' sette erranti,
Che fan si varia l'armonia superna,
E l'ammirabil sua celeste lira.
Molte dando a ciascun rotanti spere ;
Come rote diverse, o molti carri
Si danno ad un signor per vari effetti ,
De* quali il porta alcuno, altri 11 riporta
Per contrario sentiero , onde partissi ;
E di globi volgenti e rivolgenti, [da.
Qual più qual meno, il lor giudizio abbon-
ila tre delle portanti e vaghe spere
Concede prima al Sole il vecchio Eudosso :
Tre slmilmente all'Incostante Luna :
Quattro agli altri pianeti. E di que' giri.
Che riportano indietro , un meno assegna
Fuorché alla Luna , a cui nel loco estremo
Uopo non è chi la riporti , o torni.
Ma due poscia Calippo al Sol ne aggiunse
Delle portanti : e due portanti ancora
Giunse al servigio del notturno lume ;
Sicché 'n tutto cinquanta , oltra le cinque ,
Fur numerate dagli antichi ingegni.
Tanti carri di stelle, e d' or cosparsi ,
SACai.
Tante fervide rote e tanti ordigni,
Tanti e si vari moti, e tanti giri
Servono alla suprema etema mole,
Che'n sé medesma si raggira e volge.
E'I gran maestro di color che sanno.
Quel che'n mille sue scole insegna li
Segui costoro, allorché 'n alto intese, [do.
Forse con doppio error, che i corpi accreb-
Molto e molto scemò le pure menti, [be
Ma la novella età vieppiù conturba
L' ordine antico, e spere aggiunge a spere,
E moti a moti ; anzii tremante Cielo
Primo d finge, e quasi infermo e stanco
Mentre eh' egli s'appressa , o fa lontano.
E 'n questa guisa baldanzosa ardisce
Vincer d' arte e d' ingegno 1 secol prisco ,
Volgendo pure , e rivolgendo intomo
Ai proprio centro, che del mondo é centro,
1 vari Cidi, a lor giudldo etemi.
Altri per altra via seguirò Ipparco,
E Tolomeo, ch'alle stdlanti spere
Fa quasi oltraggio , e 'n lor divisa , o finge
I moti e i cerchi assai distorti e strani ;
Mlrabll mostro! e mentre al Sol concede
Tre spere erranti, senza dubbio afferma
Che quella , che fra l' altre in mezzo gira ,
Non fa centro dd mondo '1 proprio centro:
L' ultima m parte ancor distorte e piega.
Afferma ancor che , mentro 'I Sol roundo
Va in questa guisa, or più s'appressa al
centro
Dell' universo, or sen fa più lontano, [chio
Nel maggior cerchio ancora un picdoi cer-
Va immaginando , il qual si muova intomo
Sovra 1 poli suo' propri , e lasci '1 centro
Del mondo fuor del mezzo : e 'n lui ripone
II Sole, ora'n sublime ed altro sito.
Ora 'n più basso : ora appressar la terra ,
Or dilungarsi : or con distorto corso
Contra gii ordin de* Segni andar errando
Ora seguirlo. E nell'istesso modo
Fa ritrosa la Luna, e'I suo bel cerchio
Finge ineguale, e non ritondo appieno,
E la figura le distorce, e'I corso.
Cosi di queste due discordi sette,
L' una ben non dimostra, e non ci appaga :
L'altra, mostrando, é ingiuriosa ed empia
Contra I celesti giri, a cui la forma,
E ritonda e perfetta Invidia e toglie.
E'I lor semplice moto, onde Natura
Disdegnosa sen duole e sen richiama.
E la filosofia seco ripugna
All'apparenza, e eoo ragioni invitte
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LE SETTE GIORNATE
Le ribellanti scuole in terra sparge.
Ma '1 senso ancora alla ragione amico
Mostrarsi può, s* altri in lontane parti
Peregrinando agli Etiopi adusti ,
Giungerà mai nella fervente zona,
Dov* è *1 cinto maggior che fascia '1 mondo.
Itì, se'l Sole in questo picciol cerchio
Incgual si movesse, egual non fora
11 di più lungo alla più lunga notte.
E se la Luna pur nel cerchio Impari
E non ritondo , si girasse attorno ;
Uopo saria mutar talvolta '1 sito [so.
A quella macchia ond" è *1 suo volto asper-
Dunquepiù non presuma ardito ingegno,
Incontrai vero, incontrai ciel superbo.
Finger nuove lassù figure e mostri.
Ma che ? ci aflerma ancori* età vetusta
Le non credute meraviglie antiche.
E de'suo*mÌIie e mille e mille lustri,
E mille e mille il favoloso Egitto
Par che si vanti : e *n più moderne carte
Delle menzogne sue famose e conte
La già vecchia memoria ancor non langue.
E si ragiona ancora , ancor si scrive
Che, nel girar de' secoli volanti,
La prima sfera si rivolge intomo,
Non dall'Orto lucente al nero Occaso ,
Ma dal Settentrione al Mezzogiorno;
E quinci dimostrar (s' io dritto estimo]
Come*! veloce Sol più e più s' affretti ,
Mentr' ei declina pur dal cercliio obliquo ,
E gi'istessi affermar ( crescendo ardire )
Che 1 Sol due volle dal lucente Occaso
Nacque : e due volle ancor mori ncir Orto,
Portando a noi dall' Occidente '1 giorno ,
E lui chiudendo nell'avversa parte,
E '1 mutar di quel punto , in cui fermarsi
CI sembra '1 Sole , e far più lungo 'i corso ;
Che Solstizio chiamò l'antica Roma,
Di tanto variar cagione esterna
Forse credeano ; e fu dagli altri ascritto
All'alto ingegno degli Egizi industri,
E mutato II Solstizio ancor si narra,
Percb'ei fu già ne' lucidi Gemelli,
Or è nel Cancro. É dunque Instabii punto
Quel che sembra lassù sì forte affisso.
Né costante è del ciel l'ordine e l'arte.
Né costanza è ne* corpi , o sien d* immonda
Rozza materia, o di più scelta e pura.
E se pur questo è vero, è vero ancora
Che del Settentrion l'eccelsa parte
Fla od Meriggio alfin cangiau, e volta ,
£ quella hi questa: e '1 Sol, che gira errando
DEL MONDO CREATO. 137
Per le distorte vie d'obliquo cerchio,
Allor farà più dritto alto viaggio
Per quella fascia, ond' è partitoli mondo.
Tante varietati , e sì discordi
Vedrà , quando che sia, l'età futura
Negli ordini supremi ; e pur son queste
Del Qel le veci ; ov' è chi '1 crede, e '1 pensa?
E di ciò la cagion s'adorna e finge,
Mutando regni, an^i pur regi al Cielo,
Da cui r un fu scacciato , e l' alto impero
Già prese delle Stelle alto monarca.
E regnando '1 prìmier , che fu Saturno ,
Dalla parte, or sinistra, il Ciel si mosse ;
Poscia usurpando Giove alto governo ,
Repente *1 volse dal contrario Iato,
E mutando del Cielo il moto e'I giro.
Tutte Insieme cangiò le cose a forza ,
Quaggiù soggette al variar de' Cicli.
Allor, come si finge, uom curvo e bianco ,
E neir ultima età vicino a morte.
Rivolse 'ndietro agli anni li proprio corso ,
E ritornò verso 1* età matura
E già perfetto : e quinci passo passo
Vago giovin divenne , e poi fanciullo,
E con tenere membra alfine infante :
E dall'infanzia giunse al fine estremo
Di questa vita, e si nascose In grembo ,
Pargoleggiando, dell'antica madre.
Oh! di favole antiche ombroso velo,
Per cui traluce l'Incostanza incerta
De* corpi tutti , e de' supremi ancora !
A' quali ha dato Dio perpetua legge ,
E lunghissima ancor , ma non eterna.
Però , quando che sia , riposo avranno ,
Cessando '1 lor continuo -e certo corso.
E ben di ciò vedransl In Cielo i segni
Anzi 'I gran di dell'ultimo spavento,
In cui deve cadere accesa , od arsa
Questa del mondo ruinosa mole.
Allor vedrassi'l Sol converso in sangue :
Ed altri segni spaventosi e fieri
Nel volto mostrerà l'orrida Luna.
Però disse , creando , '1 Fabbro etemo :
Sian I segni ne* tempi , e sian ne' giorni ,
E sian negli anni I segni. E 1 segni or sono
Pur quasi note nella Luna impresse ,
E 'n fronte al Sol medesmo , ond* el ci mo*
Ciò che fa d' uopo alla terrena vita [ stra
De' faticosi e miseri mortali.
Spesso *n turbata vista annunziai cielo
Venti e procelle e tempestosa pioggia.
E l'arida stagion conosce ancora
L' uom già canuto, e per Inng' uso esperto.
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138 PCEBO
Ed una pur di tante cose insegna
Quel eh* è yero Signore e vero Mastro,
Quand* egli disse : Rosseggiando, il Cielo
Già si contrista, onde sarà tempesta.
E questo av vien , quando si muove '1 Sole
Pei^ entro a fosca e tenebrosa nube
Dell* aer denso e 'impuro , onde traluce
Quasi per colorato e grosso vetro ;
Però sanguigno, e quasi involto ei sembra:
0 quand* intorno al Sol si gira e volge ,
Gemino Sole, o pur tre Soli insieme
Fan di sé spaventosa e fiera mostra :
Siccome vide già Tantica Roma ,
Ed ora a* nostri tempi awien sovente
Là sotto i sette gelidi Trioni.
Talor veggìamo entro 1* oscure nubi ,
Distese in lungo variar le verghe ,
1 colori dell* Iri ; e fiero turbo [bo ,
Quinci ancor si dimostra, pioggia, o nem-
Almen d'aria mutata indido aperto.
L'istabil Luna ancor a noi predice
Col vario aspetto 'I variar de' tempi.
Perchè sottile e pura '1 terzo giorno
Stabil serenità promette, e segna;
Ma s' ella 'ngrossa mai l' un corno e l' altro,
SACRL
Quasi vermiglia; allor altrui minaccia
Gran pioggia, e folta; o pur di torbid* Au-
II violento impetuoso assalto* [stro
Ma i vari segni in Ciel vieppiù distingue
Ne' regni d* Aquilon , canuto e scaltro
Per lunga esperienza 1 buon nocchiero.
E se giammai quella che 1 Sol circonda,
Nubilosa corona, o l'auree Stelle,
In sé medesma si dilegua e cade;
Quasi egualmente al suo sparir s* attende
Un placido sereno , e '1 mar tranquillo :
Ma quando ad una parte ella si frange.
Da quella , onde si rompe 1 bel contesto
Dell' aerea corona, attende! vento.
Se da più parti ella si squarcia e solve.
Nascono da più parti i ferì ^irti
Quasi repente, e fan contesa e guerra
In Cielo e 'n Mar, eh' é tempestoso campo
Delle sonore e torbide procelle.
Ma questi segni fa costanti e vari
L'alto voler di Lui che muove 1 tutto.
Cosi gli piaccia a noi pace tranquilla
Mostrar dall' alto : e disgombrar d* intomo
Quel che sovrasta minaccioso e grave
A questa vita procellosa e 'ncerta.
GIORNATA QUINTA.
nella quale fhrono da Dio creati i Pesci e gli Augelli.
L'antico abitator d'estranea parte.
Che tornar pensa alla sua patria illustre.
Dopo vane fortune , e grave esilio ,
E molti in faticosa, e dura vita
Trascorsi lustri , al suo fedele albergo,
Ed al cortese albergator si mostra
Grato , ed amico anzi'l partir estremo.
Cosi noi, che bramiam di far ritorno [pò.
Al Ciel, quando che sia, tardi, o per tem-
Da questa raen sublime opaca chiostra
Della terra, e del mar, che *ntomo inonda,
Da cui moU* aani'l nutrimento e '1 cibo
Sì caro avemmo , e si gradito ostello ;
Dobbiam gli uUind offici e 1 detti e i doni
Di pietate e d' amor ; dobbiamo i pegni
Di Bom Mcura e non mortai memoria
JL cpiesta nostra si pietosa e cara
Nudrice antica V che (anduUi in grembo
N* aecoise, e vecchi ne sostiene e fqlcc :
Aqaasto nar che ne trasporta e pasce;
A questo « onda spiriamo aer sereno.
I narriani» come U santa destri ,
Poiché in tal guisa ebbe ciascuno adorno,
Di vari abitator frequenti e lieti
Facesse tutti alfin nel giorno quinto;
Sicché non vi lasdò spazio, né cGma
Di vasta solitudine, e dolente ,
Né di perpetuo orrore incolto ed enno.
Avea la dotta man del Mastro eterno
Di bei fiori di stelle *1 ciel dipinto,
E pur, com' occhi suol lucenti e vaghi.
Già colla Luna in lui creato 'ISole ;
Quand' egli disse : L' acqua omai produci^
E seco r aria partorisca insieme
Ogni vivo animai che vola e repe.
E nel suo comandar tutti repente
1 fiumi diventar fecondi, e i laghi :
E i vaghi armenti e le squammose tott
De' propri notatori'I Mar produsse :
E quanto ancor d' immondo e di palustre
Limo é ripieno, e senza corsoio moto
Ristagna,edimpaliidainpigroletto, [re.
Sor U'I proprio ornamento e*! proprio e
E non rimase neghittoso* o voto»
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LE SETTE GIOBNITE
AUordiè Dio creò di miov» U mondo ^
Ch'iBmaotiaeiitft gracidar BMCcodo
Nello sUgnaou unor raoe palustrL
E si fatti aniiBai nasccano insienc ;
In guisa, ad eseguire '1 somino impero.
Si mostrar 1* aeque frettolose e pronte.
E tutti quei , di cui potriansi appena
Le ?arie sorti annoverar, parlando ,
Subito nati, in operosa vita,
E tè movente, disegnato a prova
Di qnei che gU cred 1* aUa possaoaa,
Qie BMTar non si può con lingua umana.
Ed aUor prima fu creato, e nacque
Dotato r animai d' alma e di sesso.
Perdiè le piante e le frondose sterpi
Degli arbori , eh' al Ciel spiegar le chiome,
Deneh* abbian vita, onde si nutre, e cresce
DÌdi' umide radici '1 verde tronco,
A'4**?'* non soa, né 'n cara dote
Ebbcr dal Padre etemo *1 senso e V alma.
Onde testiamo , si diversi obbietU :
Beadiè vi sia chi non dineghi, e toglia
Alle icone selvagge, ai roui tronchi
Un ìachiaacsi, un ripiegar sé stesso,
Ha distender 1 rami in cara parte ,
Gh'è qaaai un moto di frondose braccia
Per secret desio d* amore occulto.
Eadie piante ancor stupido senso
Conobbe alena antico, o die gli parve.
Ma resti pur questa sentenza errante
lo quel siteaiio, alor cotanto amico.
CooMr si sia, creati il quinto giorno
Fur gli animanti, a cui non lega, e 'ndura
Bono e tardo stupore i pigri sensi.
E qualunque animale, orepe, o guizza
0 nel somaso delVacque, o pur nel fonde,
Piodatloitt per nUiidire ^ suono
Della divtea ed imaMtabil voce.
Né (ia pochi e brevi delti)aknn rimase
Escluso dai sovraao etera» impero.
Noa qaei, che r aaimal, figttanéo ìa parto,
SogMoa vivo produr,delioi e foche :
Né mcaolpicdoi pesce, oade sovente
La maa dd pescatore a fune avvolta.
Per scerba virtà stupisce e torpe :
Noa chi Tova produce, o chi si copre
Di moUe squaamu , o di più dora scorza :
Noa quei eh' haanole peaae, o pur non
MatattifuraelieparoleaccoltS, [rhanno.
Eqaasi iacfahml sotto cerU legge*
Dei Ufio i laghi aUtator gaiaaanti.
E qaak chanci profondo '1 BMrt alberga :
rqaiiihridhiiilian^' dudscogU t
XL MONDO CREATO. tas
E quei che vaaaoinsiemeh&iagreggìa:
E quelli ancor eh* erran dispera a aaoto :
E le i»alene smisurate e 1' oecIm,
Co* pesci picdolissimi e minuti;
E se fra questi ha pur chi'l molle peso
Del corpo sovra i pie sostiene e porta,
Son di natura ambigua e quasi incerta :
E *1 gemino lor vitto in terra e 'a onda
Van ricercando, non contenti appieno
Di semplie* esca, o d' un sol cibo al pa^to.
E son fra questi le stridenti rane , [gè
E i granchi di più branche ;acoi staggimi-
Il cocodrillo, e '1 nolator cavalio.
Che del Mio trascorre i larghi campi
Ed ondeggianti per l'asciutte rive»
Pcrch' i piccioli, i grandi, 1 dubbj e i certi.
Sotto '1 decreto d' un eguale impero
Esser vario sortirò , e varia vita.
Allorché disse Dio : Producan 1* acque.
E dimostrò colla mirabil voce '
Quanto la vaga ed umida natura
Dell' iastabil umor convenga a* pescL
Perocché quel é l' aria a' levi augelli,
0 pure ad animai che spiri in terra.
Cotale ò r acqua al notator marino ,
Ed a qualunque guizzi in fiume e 'n lagOb
E la ragione é manifesu a' sensi;
Perchè '1 polmon nella sinistra parte
Fra le viscere nostre ha'l proprio sito
Spongioso e raro e trasparente , in guisa
Di specchio, o d* altro che riceve immago
E la ritoma : e si ristrìnge ed apre.
Quasi mantice, 0 folle; e *1 rezzo e l'aura
Spirando e respirando, accoglie e rende ;
E ventilando, è refrigerio al core.
Che di purpureo sangue è caldo fonte.
E coU* istesso spirto , onde rinfresca
L' intema arsura, anco si forma e finge
In vari detti la sonora voce.
Ma die Natura alle guiazanti torme
la vece di pobaon le curve branche :
E mentre le distende e le raccoglie.
Dentro l'acqua riceve, o por la sparge;
E cosi 'a loro '1 proprio oilcio adunpie,
Cb'é quasi uà respirar d'umore e d'oad^
Ma pur voce non manda '1 muto pesce i
Né domestico mai, né mansueto
DivenU : né sostiene! taUo e i vezzi.
Onde palpa e lusinga umana destra;
Benché d' alcuni pur si nani e scriva,
Ch'hao per propria naturaepropriasorte.
Olirai' uso coraun, sonoro spirto :
AUzi suono noa pur, ma voce ancora t
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140 POEMI
Altri quasi parole , In col disUogue
Non ben loquace lingua \ propri affetti.
Percliè non basta al suon Io spirto i ntemo,
Ond* ei si forma , e 1 suo spongioso e raro
Polmone, e la sua Tota umida canna.
Fistola detta; ma la Toce appresso
Sol nella gola si figura e finge.
Alle parole ancor la Hngua e i denti
Son d'uopo; onde non paria, e non informa
Gli accenti suoi quei che di lingua è privo.
M a*l suon neli' altre parti ancor si frange ;
Come nel cinto che traversa e fascia
Le vcspi e I* api , si percuote e rompe
L* interno spirto ; e quinci s*ode un roco
Mormorar, che per Tarla *ntorno aggira.
Altri rompendo neir istessa fascia ,
Che cinge '1 corpo suo, Io spirto Interno,
Canta battendo l' ale : e 1 verdi boschi
Suonano 'ntorno a quei sonori accenti
Della cica'ia a' lunghi estivi giorni.
Ma fra* pesci nel mare, o*n fiume, o*nlago
Alcun non manda fuori o voce o suono ,
Che sia molle , o di crosta almen coperto.
Altri con vario suon garrisce e stride,
Talché del suo strìdor risuona intomo
L'onda sovente, e dal concento li nome
Prese quei pesce in mar, che detto è lira.
Stride '1 pettine ancora, e stride a prova
La rondine marina : e questo e quella
Stridendo vola, e si solleva in alto [tocca.
Con lunghe e larghe penne, e'I mar non
Ma nel fiume Acheloo non solo stride.
Ma voce '1 suo cinghiale aversi crede.
E '1 cucco nolatore ha voce anch' egli ,
Onde al cucco volante è quasi eguale ;
Ma non è vera voce, e voce assembra
L' intemo spirto , che si frega e frange
In quell'orride branche, ond* ei risuona.
Ma sue parole quasi , e sua favella
Tra l'acqua e '1 limo ha la loquace rana ,
Delle paludi abiutriee immonda, [gua,
E quest' awien , perchè ha polmone e lin-
Di cui compiuu è l'una e l'altra parte :
La prima al modo pur degli altri pesci :
E l'altra ancor, che manda 'I roco suono,
AI gorgozzuol s'attacca e si congiunge.
Ed ulular le rane, e gli altri ancora
Sotto l'acque s'udir pesci lascivi.
E l'ululare è un amoroso invito,
Ondc'l cupido maschio alletta, o chiama
La femmina consorte a dolci noaze.
Ma '1 veloce delfino ha voce e suono ,
Perch'ei non è senza polmone e sangue ;
SACRL
Ma non ha lingua, ond'ei formi e distingua
Quel suon che s'ode mormorar sull'acque.
Ma ronfar già dormendo ancora uditi ,
E dormir son veduti umidi pesci :
E quei che dura crosta in voi ve e copre
Hcnchè non abbian Tumide palpebre,
I.c quai, chinate nel soave sonno,
Ilicopron gli occhi a* notatori stanchi.
Ma dal placido lor queto riposo ,
In cui sol mossa è la guizzante coda.
L'accorto pescator conoKe '1 sonno.
Né gli trafigge sol col suo tridente
Ma colla cauta man gli palpa e prende.
K spesso preda fa di quei eh' aflìssi
Sono agli scogli, o nelT arene avvolti,
0 sotto un sasso , o sotto '1 curvo lido
Dormono ascosamente , o 'n imo gorgo.
In questa guisa è col pungente ferro
Presa T orata : e '1 lupo ancor percosso
Si desta appena, in così fisso ed alto
Sopore è immerso : e '1 fin del suo riposo
È col principio di sua morte aggiunto:
Anzi dal breve nel perpetuo sonno
Desto ei trapassa , e se n' avvede appena.
Ma '1 veloce delfin , la grande e vasta
Balena, mentre dorme in mezzo alTonde.
Fuor dal sommo dell'acque innalza e spar^
La sua fistola cava , ond' ella spira : [ gè
E leggiermente le sue penne intanto
Agita e move. E nell'ombrosa notte, [sci
Vieppiù che 'n altro tempo, U sonno a 'pe-
S* irriga ; e pure in sul meriggio estivo ,
Allorché pasce i favolosi armenti
Proteo nelle marine ampie spelonche.
Come creduto fu , le pistri e T orche ,
A cui fa l'alga immonda un pigro letto ,
Dormono i lunghi giorni : e dorme appres-
L' indovino pastor, tre volte e quattro [ so
Già numerate le squammose gregge.
Ma le favole antiche In altra parte [que
Han più opportuno loco. Io taccio adun-
Di Proteo e d'Arion , che tratto a riva
Dal veloce delfin, campò da morte :
E taccio ancora 1 mal creduti amori
Del pio delfino, e del fanciullo estinto ,
Per cui si dolse '1 suo marino amante :
E vinto alfin dal suo dolore insano
Mori gemendo 'n suU' asciutta arena.
Ma se di ciò si nega a prisca fama
Credenza alcuna, almen di fede indegna
Non sia l'antica istoria, in cui si legge
Che la natura ancor pietate insegna.
Quasi maestra a' pesci, e quasi madre.
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LE SETTE GIORNATE
Quinci al cniro delftn le gonfie mamme
Diede, perch*ei nudrisca i cari figli;
Ami ei di noofo ancor nel curvo ventre
Racco^ie i pargoletti, e si rientra
Ond'usd prima il non cresciuto parto,
Quand' è più tempestoso il mar sonante.
Cresciuto poi fra le procelle , e i nembi ,
Sicuro apprende *I gir per Tonde a nuoto,
Senza temer flutto spumoso, o turbo :
Arte paterna : e pur col padre appare
Quat fida aita a' naviganti audaci ;
Ood* antivede '1 buon nocchiere accorto
L* orrida guerra de* contrari venti
E drizza ai porto l*agiUU prora.
Ma qual canuto pescatore, e lasso.
Chiappo le rive del Tirreno invecciii,
0 del mar d'Adria, o dell' Egeo sonoro ,
0 lungo 'I Caspio, o lungo'l ponto Eussino,
0 *n su* lidi vermigli, o dove inonda
Il gran padre Ocean Germani e Franclii,
ScoU e Britanni, od Etiopi ed Indi :
Qual, dico, abbia ivi Tetà sua fornita
Neil* infeconde e solitarie arene ,
E *ntomo a* cavernosi e duri scogli ,
Or r amo ed or le reti in mar gettando ,
Narrar potria degli umidi notanti
Le tante sorti , in cui distinta e scevra
È lor natura e la progenie antica ,
E ben mille maniere e mille modi
IH varia vita , e di costumi e d* opre
Pur variate , e lor diverse parti ?
Perch'aitri ne conosce *1 mar d* Egitto,
E r Eritreo, clie fa Tonde sanguigne:
Altri rircano, e quel d'Assiri e Persi :
Altri quello in cui lava 1 piedi Atlante :
E quello In cui biancheggia Indo ed Idaspe,
Che sono al nostro mare in tutto estrani ,
Od in gran parte peregrini ignoti :
Quanti ancor ne produce in grembo e^>asce
L' Ocean sotto l*Orse, e sotto *1 cielo.
In cui più non appare *1 Carro e l'Orsa ,
Che qui saria quasi mirabil mostro 7
Ma pur da prima gli produsse in vita
Tutti egualmente la divina voce :
E 'n si varie maniere anco distìnse.
E quinci awien ch'altri nel primo parto
Manda fuor 1* ovo : e noi riscalda , e cova.
D'augello in guisa; e non si forma *1 nido,
Né con molu fatica i figli ei nutre;
Ma l'acqua *1 peso in sé caduto accoglie ,
EI fa vivo animai, che guizza e nuoU.
Altri produce l'animai da prima.
Me come 'n terra'l mulo, o pur neli* aria
DEL MONDO CREATO. 141
Soglion molti mescblar l'incerta prole
Lascivi augelli ; ma progenie immista
Si perpetua fra lor sempre feconda
Con legittime nozze ; che natura
Ha certe leggi , ond' i consorti accoppia.
E se pur mesce la murena al fiero
Maschio serpente, l'un depone *I tosco,
L' altra noi fugge , o *1 suo marito abborre.
Nulla sorte di pesci ha d' una parte
La bocca armata degli acuti denti ,
Dall' altra affatto inerme , e quasi Ignuda ,
Come ha fra noi la pecorella e '1 bue ,
E nlun pesce ancor , come si narra ,
Suol ruminare omai sazio del pasto.
Se lo scaro ne traggi : e tutti a prova
Hanno in guisa di sega i bianchi denti
In due fila ristretti : e quinci e quindi
Vario e distinto è il cibo. Altri di fango
Si pasce e nutre : altri di funghi e d' alga :
Altri d* erbe marine, ower palustri ,
0 di quelle ond* i fiumi han verde '1 fondo :
Ed altri corre frettoloso all'esca.
Che suol gettar nelT acque umana destra ,
E pur di cibo uman vago si mostra :
Altri '1 pesce minor nelT amo ingoia.
La maggior parte pur de* pesci ingordi
Scambievolmente si divora e strugge ,
E del maggior sempre *1 minore è pasto.
E spesso ay vien che nell* istesso modo
Quel che pur dianzi del minor satolla
Fece r avida fame , or fugga Invano
Il suo maggior , che lo persegue e caccia :
E dal gran predator sia preso alfine ,
Ed empia l' uno e l' altro '1 ventre istesso.
E questo ancor fra noi più spesso incon-
tra:
Perchè '1 possente a cui fu dato in sorte
Sovra umll plebe '1 grave imperio e'ngiu-
Pasce de' più minuti avido '1 sangue , [sto,
E di qualunque gli è soggetto e servo.
E 'n che diverso è un fiero ingordo petto ,
Ch'avara fame di ricchezze e d'oro
Stimola sempre , e 'nsazlabil rende ,
Dal gran mostro del mar, che mille e mille
Via men forti di lui persegue , ed empie
Di lor la sua profonda alu vorago?
Già colui , fatto ingiurioso ed empio ,
Delpoverel vicino i beni ingombra;
E tu di lui , rapito e preso a forza ,
Godi le prede e le rapine antiche
Con tirannico dente , e rodi e struggi
E quasi parto a tue ricchezze aggiungi
Quel, che 'n molt' anni egli usurpò rapace ;
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142 MEB
E*n guisa tal più delTafwo vrmo^
E deUMngiasto più n'apparì Ingiasto.
Guarda che non t* attenda'! fine Istesso,
Nel quale incappa, esèmedesmoarrolge,
Mentre ^1 altri persegue, il pesce incauto ;
Io dico amo pungente , o nasda , o rete.
Non fuggirai , non fuggirai , superbo.
Dopo tanti , altrui fatti, iniqui oltraggi ,
L'ultima pena, die sovrasta, e tarda,
E qual sasso pendente alfin minaccia.
Or d'un minuto animaletto e vile
Riconosci fhnidie , e i falsi inganirf ,
E fuggi omai di frodi indegno esempio,
n granchio la soave e dolce carne
Brama della marina e nobil conca :
Diffidi preda, e preilosa e cara ;
Perch'a tenero dbo un duro vallo
Fece natura, e drcondoUo intomo.
E perchè *n guisa si congiunge e serra
L' una coir altra forte e salda tesu ,
Che non vi ponno entrar r orride branche
Che fa dunqu'egli ? quando In mar tran-
Sotto 1 sereno delo al chiaro giomo[quiao
De* dold raggi , e del soave aspetto
Gode la conca, e si dispiega e spande ;
Allor, quail di furto ègHì nascoso.
Un picdol sasso entro vi getta : e vieta
Ch'ella più si ricopra e si rinchiuda :
E'n quesu guisa della debH fona
Può adempire i difetti astuto ingegno.
Oh di malizia , e d' uomo iniquo e scaltro ,
Ma pur di rozza e d'inieconda Ungua
Maligno magistero, e muta fraude!
Tu, se brami imitar l'industria e Parte,
Ncir acquistar , de' tuoi vidni 'I danno
Schiva, e non fare a' tuoi fratelli oltraggio,
Fuggi de* condennati'l vile esemplo:
E di povero aver contento e Deto,
La povertà , eh' a sé medesma basti ,
A' diletti molesti , a' servi onori
Umil preponi alT alterezza , al fasto :
E di te stesso in te trionfa e regna;
Che non han regno eguale o Sdtì , od ln<fi.
Né del polipo Indietro i furti io lasdo ,
E 1 falsi inganni ; che se mai Rappiglia
A qualunque s) sia marina pietra.
Egli repente si dipinge e veste
De' colori di quella, e lei rassembra.
Però sci pesce , che trascorre a nuoto ,
Da* sembianti ingannato in lui s'avviene.
Pur duro sasso*! crede in mare occulto ;
E di leggiero è sua rapina e dbo.
DI tal costumi! lusinghieri «ctorfi
8ACB1
Son ne* p«b|i de* poMeotl Anpati,
0 de' regi sublimi : e '■ questa guisa
SincUnan proitti ad onorar l'aiiezia
Della fortuna ; e trasmutartè steari
Sogliono in color mille , e'n raUe forme
Siccome 1* uso , o *1 tempo , ocome cbiMk,
La voglia del signore , o '1 suo diletto ,
Variando tenor , sembianU e vesti.
Parole e modi : e co* modesti inaiene
Sono modesti : e sospirosi In atto
Co' più dolenti; econ gli allegri, allegri:
Protervi co' proterri : e legge e i
Si fanno d' altrui senno , e d' dtrui {
Talché agevol non sembra, o leve cari
Schivar l' insidioso e duro incontro
Di questi in guisa , che si cessi 1 danno.
Che r empietà sotto *1 contrario aspetto
Della pietà suole apportar sovente.
Di tal costumi ancor rapad hipl
Sogllon vestir di maosnelo agndk>
Candido manto , e semplicetti in rista
Altrui mostrarsL Fuggi, abl fuggi, amico,
n costume ^ doppio e si perverso.
Segui la verità. Gradlsd , ed ama
Il sincero candor d'alma innocente,
E la non violata e pura fede, [aweone
Vario è'I serpente e l'angue, e quind
Che 'I condannò sentenza antica e giusta
A trar per terra steso '1 proprio corpo.
Sincero é il giusto, e nulla mente, o finge ,
Come Giaoob, perù l'accoglie e loca
L'alto Signore 'n sua magione eterna.
Ma questo cosi vario e 'ncerto albergo,
Ov'abitlam , vivendo, è l' ampio mare ,
Egrande e vasto,incuiserpendedragfai,
S'aggiran senza fine, e fieri mostri :
E'n lui co' grandi son confusi e misti
I piccioli animali : e tutti insieoM
Saggio governo e giusta legge affrena
I popoli natanti. Ed hai ben onde
Seguir d'alcun tu possa *1 raro esemplo;
Non accusarlo sol, se vizio, o colpa
Di natura imperfetta in lor oonoscL
E prima, tu non pensi , e non rimiri
Come sian compartiti a' vaglii pesd
I propri luoghi , e quasi 1 propri alberghi,
I propri regni, onde da qtiello a <pMito
Non soglìon trapassar, se non di rado.
Gli altnri campi usurpaado, e *1 letioe'l d-
Ma tra' confini suoi quasi ristretto [boT
Ciascun si qiazia entro *1 sonilo regno.
Né geometra i lunghi apai^ ed mnfk
Dirise lor : aè d' alte aian luomo
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LE SETTE GIORNATE
QrcoodòknagkMii iioùdc, algemi.
Né termine tì pose : e d* ogni parte
Quel che lor giova, è largamente aperto ,
E quasi destinato In profiria sorte :
Questo sen questi pcsd accoglie e nutre :
L' altro pasce<]uegli altri: e colle, o monte»
Coir aspre rupi e con distesi gioghi ,
Non gli disparte , e nonrecide M passo.
Ma ceru legge di natura a tutti
Divide con misura eguale e giusta
(Comeèpro di ciascun) Talbergoelloco;
Ove con gli altri sa raduni e pasca,
E qmi , che basii In un sol giorno al vitto.
€ià taU non slam noi, del padre Adamo
rrnifMiinHi prole, e 'n Dio superba ;
PBKsbè noi trasportlam de' padri antichi
I lermiMi 9i4 affissi , ed ampio acqolsto
Facciam pur sempre d'oooupaU terra ,
Casa acasa aggrangendo . e camfpo a caro-
CUtispcssoacltt»te,eregnoaregno, [pò,
Ch*a*vldni si scema, e toglie a forza.
Conobbe prima le balene e Forche
II loco che natura a lor prescrisse ,
E 1 preparate pasto, e'i mar profondo
D* isole desolate oltra I paesi
Abitati occupar , dove non resta
D'akama parte più la stabil terra :
Dove più non appare o lido , o monte :
Dov'arar non si ponno I vasti campi
D* iMiavigabil mare ; ove non giunse ,
Spiando nnove genti e numi regni ,
E noora gloria , il navigante audace :
Ove non prisca istoria, o Tcccliia fama,
Non ardir, non pensiero umano ed alto
Del folle immaginar, la nave approda.
Ma qvel medesmo. Ignoto immenso mare
Ingombrar le balene, eguali a' monti,
Come si narra da nocchieri esperti t
Né d'isola, o cittate oltraggio, o danno
Da lor riceve , o la nemica forza
Provano unqnanco ingiuriosa e'nfesta.
Ma qualunque di lor maniera e sorte ,
Quasi in città , quasi In contrada amica ,
Anzi patema , con antiche leggi
Nelle partì del mare , ove sortilla
Voler divino e sua natura , accampa.
^leragrinando ancor sen vanno l pesci:
E della patria in volontario esilio
Son rilegati In parte ignota e strana.
E si partono interne accolti a stuolo ,
E*n guisa di gnerrier, ch'ai dato segno
L«cian le proprie tende «1 propriocam-
Seguendo^siMiB della canora trombt;[pn,
143
DEL MONDO CREATO.
Allorché '1 tempo destina ^^-^.
Desti daHa posseole antica legge
Della natura, e frettolosi e pram
Verso '1 SeUentrione lian vdtol^^
E gli vedresti di tnrr«nti In guisa
Correr dalla Fropotttide cenginnll
Nel mar Bussino. Or chi li anove ereg^ t
Qua! imperio di rege? o qod d'araldn
Al suon di trombe pubblicato e^to
Il già prefìsso tempo a lor iteMwtra?
Chi guida i peregrini ? Or non conosd
L' ordine eterno che penetra e passa
Per le minute parti, e tutto adempie?
Non fa contesa alla divina legge
Ubbidiente 1 pesce; e a kì centrala
L'uomo, indarno ritroso e ribeManfte.
Perchè ila muto^ non avere a scherno
Il privo di ragion ; che vieppiù féUe
Se' tu , mentre ripugni all' alto impero
Del fie celeste. Odi la voce, ascolta
Del muto pesce le parole e I detti ;
Perchè ci parla quasi '1 moto e f opre.
Onde a peregrinar t' invita e desta ,
Ed a lasciar torbido flutto amaro.
Cercando in altra parte acque più dolci
Ne' regni d'Aquilone, ove riscalda
Men co' suo' raggi '1 Sole, e meno attragge
Delle sue parti più leggiere in alto.
Né l'avaro desio di merci, o d'anno,
Lor muove a trapassare l mari , e i fiuni ,
Come gli Bomml snoi, ma sol d' immiste
E legittima prole amore e zelo.
Ma rioerchiam perch'i giganti alteri
Più la natura non produce, e^tia
La terra pregna deU'orribil parlo :
Ma di elefanti ancora^ e di balene
Non si ripente. E se fatture ed opre,
Son pur della divina etema destra ,
Son buone , e buone fur da lei prodotte ,
Che le predasse grandi, a' monti alpestri.
Ed air Isole eguali : e'I nostro orgoglio
Voile abbassare, e dame sdto spavento
Con quel sì mostruoso e fiero aspetto,
E colla smisurala orribll mole.
Perocché Dio, quando creò primiem
Tanti anlmafì , e si distìnti e vari
E d' opere e di moto e di semMante-;
Altri a senime gfi produsse In terra
Per uso vmano , ubbidienti al nosim
Placido Impero , e talor grave «d aspro.
Per snrgrandezza , «per sua gknfa ancora
Alcuirt altri produsse^ e\i lor4Hmoatra
Quella , che fa gran cose , arte^hioi ,
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144 POEMI
E divina Tirtù, che presso e lunge.
Più, e men dilaramente altrui risplende.
Ma degl* industri Greci il folle ingegno
Le meraviglie del Signore etemo
Rivolse 'n giuoco, ed adombrarle in parte
Volle con varie sue menzogne adorne;
Mentre descrisse oltra le mete e i segni
D'Alcide invitto i favolosi regni
Di que* felici , e ie già illustri e conte
Isole fortunate , e *1 lungo corso
Di temeraria nave : e ci dipinse
Lo smisurato pesce , e '1 vasto grembo y
Che popoli diversi in sé rinchiude;
Talché *1 profondo e tenebroso ventre
Alle genti nemiche, all'arme infeste
È di battaglia un periglioso campo.
Ma le navi da* pesci in mar sommerse ,
Ami da un pesce solo il fero assalto
Fatto a mille superbe armate navi ,
Favola non fu già , né scherzo o giuoco.
Né favola è quel Giona in mar sommerso ,
Ed inghiottito dal vorace mostro.
Ma dell'alto Signor l'aita possanza
Nelle picciole cose altrui si scopre ,
Non sol nelle più grandi. Ecco trascorre
A vele piene e sparse il mar sonante
Con destro vento corredata nave :
E pesce minutissimo repente
Tarda e ritiene '1 suo veloce corso,
Come s* ella radici in mar profondo
Avesse fatte : e quinci al pesce il nome
Dal ritardar fu dato. E gran temenza
Non solo danno altrui balene ed orche,
0 la seca marina , acuta i denti ,
0 'i cane, o quella pur, che spada assembra;
Ma tal pesce é nel mar, ch'ai fine estinto
È paventoso ancora , e'n guisa punge,
Che presto apporta inevitabil morte.
E la piccioia ancor marina lepre
Repente ancide: e pur se agguagli 'I danno
In paragon col prò, l'utile avanza:
E ci giova de' pesci ancor l'esempio.
Ma se te stesso ben misuri e stimi ,
Uom, tu sei pesce , e questa vita éil mare :
Ed alla rete, che si lancia in alto ,
E tanti vari pesci in sé raccoglie,
È somigliante *1 gran regno del Qelo,
Che ne' suo* lacci ne raguna e stringe,
E poi gli eletti ne' suo' vasi accoglie ,
Gli altri fuor getta , e li distingue e parte.
Così avverrà nel consumar del mondo,
Che gli Angeli usdran , santi ministri
Del Giudido divino: e flao divisi
SACRI.
1 rei da' giusti, e quei dannati al foco ,
Questi aila gloria destinati in Qelo.
Vi son dunque de' pesci e buoni e rei :
E'i buon la rete non Involve e lega.
Ma '1 leva in alto, e l'amo noni' ancide;
Ma d* innocente '1 bagna e puro sangot
Di piaga preziosa. Uom , tu se* pesce:
Tu se' quel pesce, a cui l'aperta bocca
Dimostrò la staterà entro nascosa.
E '1 libero voler che 'n te riserbi ,
Son le bilance tue distorte, o pari.
Uom, tu se' pesce ; e '1 pescatore é Pietro,
0 chi di Pietro ha qui sembianza e vece.
Questo mare é il Vangelo, in cui si fondi
La Chiesa, eh' é di Dio sacrato albergo.
Non temer, o buon pesce, o rete, od amo.
Che non ancide altrui , ma sol consacra.
Se pesce sei , fuor delie torbid' onde
Sorgi sublime, e '1 tempestoso flutto
Non ti sommerga : e s' é tempesta in alto.
Nuota sicuro, e ti ricovra al fondo :
Es' è tranquillo'! mar, fra l'onde scherza:
E s'è procella pur sonora, e turbo.
Guarda che '1 nembo impetuoso e denso
Non ti percuota fra gli scogli al lito.
Ma sorgi, omai sorgi dal mar profondo,
E '1 nostro ragionar dall'onde emerga.
Miriamo in allo, alziamo al Cielo i lumi :
Vcggiam mirabilmente '1 llto adorno :
Il sai tratto dall' onde in bianco marmo
Quasi indurarsi : e qual purpurea pietra
Rosseggiar sotto '1 cielo il bel corallo.
Che dentr'al mar fu molle e tener' erba :
E tra le conche biancheggiar lucente
La dura perla , e tra l'incolte arene
Fiammeggiar l' oro : e quasi care gemme
Di più colori le dipinte pietre.
Nutrito ancor nell' acque é l'aureo vello:
Ed ha l'onda 1 suo' fior che sparge e porta
Sovra le sponde : e quindi '1 lucid' ostro'
Anco risplende : e ciò ch'i duci invitti
In lieta pompa trionfale adoma :
Qò che s'adora ne' possenti regi ,
0 ne' purpurei padri oggi s'onora,
È bellezza e tesoro e cara merce
Dei Mare , anzi dei Mar cortese dono.
BfiU'altre aggiungi ancor bellezze e feste,
E marittime vaghe altere pompe.
Spira 'I vento soave, e placid' aura
Con dolce mormorar susurra e vaga,
E 'ncrespa l'onda; che spumoso argento
Pur tra li scogli , o presso al curvo Udo
Somiglia, e spesso a' luddl zafllri
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LE SETTE GIORNATE
L'acqua proronda « ed a* soavi raggi
Del Sol si tiogc di piropi io guisa.
Le Tele sparse ventilar lontano
Yeggonsi bianclieggiando a cento, a mlUe,
E 'n corso superar cavalli e carri.
E spiegar le famose insegne anUclie
Dipinte navi , e co' pungenti rostri
Fender V umili vie : guizzare intomo
Gli umidi pesci : e dimostrar sovente
Il veloce delfino '1 curvo tergo.
E lieti rimbombare a suon di tromba
Le sponde e l'acque, e gli arsenali e I porti
Pieni di navi , e d' altri in varie forme
Contesti legni : e bella antica mole
Far ampia strada a' cavalieri illustri,
E frenar di Nettun l'ira e l'orgoglio.
E i premj ancora, e l'onorate palme
De' vincitori io scorgo, e'n varie antenne
La gloriosa inchino aita Corona, [doso
Ma già com' uom, che dentr' al seno on-
Deir Adrian si tuffi in lieto giorno,
E'n celebrato onor di pompa antica ,
E cerchi i più riposti oscuri fondi ,
E i duri e sotto l'acque accolti scogli ,
E i secreti cbe'l mare asconde in grembo,
Per riportarne su gettata gemma
Tra suo' purpurei padri al veglio duce;
Così dal suo profondo anch'io risorgo,
E dagli oscuri e tenebrosi abissi ,
La bella verità, ch'ivi sommersa
Par che si giaccia , porto in chiara luce ,
E pure agli occhi de' moruli esposta
L'offro da contemplar : né manto appanna
Le care membra, o velo 'i crine adombra.
Or dagli ondosi campi alzarmi a volo
A' Tentosi dell'aria ardisco e tento.
Chi mi dà l'ale'n guisa di colomba,
Perch' io sovra le nubi e sovra i venti
M'innalzi , e fra' volanti al Ciel vicino
Mi spali T Quel che sovra '1 Clel ne scorse.
M'affidi ancor, mi porti e mi sostegoa
Per questo procelloso e 'ncerto regno
Della fortuna , che si varia e cangia
In tante guise; e tanti alberga e pasce
Turbini e venti, e pioggie e nevi e fiamme,
Ond'è turbato degli augelli '1 volo.
Era già ornato '1 cielo , e pieno '1 mare.
Verdeggiavano 1 boschi e i prati e i monti.
Quando Dio comandò che sovra '1 suolo
Terrestre isser volando i vaghi augelli
Per l'aria. In cui s'accoglie e si condensa
Quell'umido vapor ch'esala in alto
Dal freddo grembo dell'opaca terra.
DEL MONDO CREATO. 145
Talché repente gli animai pennuti
Nell'aere incominclaro '1 volo e'I canto*
E chi tra' muti pesci era pur dianzi
Desto , tra '1 suon di tanti augei canori
Or darà gli occhi in preda ai pigro sonno
E neghittoso e lento a' vaghi augelli
Cederà net lodare '1 Re superno?
O'n render grazie a chi ci nutre e pasce?
Quegli due volte a prova, e innanzi al gior-
E quando*! Sol da sera i raggi accogIle,[no,
E l'Oriente scolorito imbruna.
Fan di soavi note un bel concento :
Ed or tacita l' alma , e non sonoro
Trar vorrà l' uno e l' altro estremo tempo,
Che s'appella dal suono, e'n lui si chiude,
E s'apre'l giorno strepitoso e 'ntento
All'opre faticose de' mortali?
Ah ! non sia ver. Ma raccontiam seguendo
Del quinto di le buone e nobili opre.
Sono a' pesci sembianti i vaghi augelli ;
E tra'l notante, e'I volatore alato
È quasi parentado : a quello '1 nuoto,
A questo '1 volo die natura in sorte.
E l'uno e l'altro i liquidi sentieri
Colle sue penne seca e colla coda.
Or mossa alquanto,pr quasi in giro attorta,
Che 'n vece di timon governa '1 corso.
Son diversi però : eh' a' pesci '1 cibo
Ministra l' onda instabile e vagante :
Agli augelli la ferma e stabil terra.
Però al notante necessari i piedi
Non son, come al volante ; e quinci avviene
Che questo n' è fornito , e quel n' è privo.
Ma pur ai crocodillo, il qual sovente
Scende a predar sull' arenose rive
Del Nilo , 1 corti pie natura diede,
Anzi 1 piedi dal suolo ebbero '1 nome;
Che pedo il suol fu detto in greca lingua.
All'incontro un auge! per l'aria a volo
' Si spazia , e sovra V ali ognora '1 peso
Porta e sostiene del suo debll corpo,
A cui piedi negò l'alma Natura ;
Come gì* insegni , nel sublime volo
A mirar alto, a disprezzar la terra.
E quinci porge esempio a nobìlalma.
Ch'aspira al Cielo, e prende'l suolo a scher«
Questo alla rondinella appar simile, [no.
E tra' sassi pendenti In verde speco
Si forma '1 nido di tenace fango.
In cui s' apre a gran pena angusto '1 varco :
Cipselo*ì nominò la Grecia antica.
Altri de' volatori han piedi In sorte ;
Ma pur son male acconci al far rapina,
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146 MEMI
Ed al cacciar; e *1 nutrimento e l'esca
Cercan nell'aria. Annoverar fra questi
SI può la rondinella peregrina,
A cui di piedi in vece è il baaso volo.
Che vicino al terren coll'ak '1 ride;
E quella ancor, ch'è dell' erbose rive
Abitatrice, onde Riparia è detta.
Sono In molt* altre guise ancor diversi
Gii augelli, e di grandezza e di figura,
E vari di color, vari di viu,
IT opere variati e di costumi.
Ora, lasciando addietro! molti modi, [te,
Ond' han le penne scisse, o' nsiemeaggiun-
Quasi di pelle, o di vagina avvolte,
0 fuor di modo pur tenere e nolii ;
Dirò ch'altri sian puri ed altri impuri :
Quegl' innocenti e mansueti, in terra
Scelgono '1 vitto pur di seme e d'erba;
Questi son vaghi di più fero pasto.
Di cruda carne e d'atro sangue ingordi.
Però r unghie pungenti e curvo '1 rostro
Ebbero 'n vece d'armi, e penne al volo
Più dell' altre veloci , onde la preda
Sia tosto presa e lacerata in parti.
E non si fa di questi o stormo, o greggia ;
Ma soglion i feroci andar solinghi
Alla rapina; e sol gli accoppia e giunge
Amoroso desio di cara prole.
Gli altri raccolti sono in vari stormi.
D'amica cotnpagnia bramosi e Heti;
Securi no ; che U perturba e sparge,
E spesso ancide il predator rapace.
E tali son le semplici colombe ,
A cui sì prezioso e bel monile
Fa la natura di colori e d* auro ,
K le gru peregrine e i magri stomi :
Di questi, altri soggetti a grave impero
Non sono, e'n libertà tranquilla vita
Vivon quasi con proprie antiche leggi :
Altri hanno '1 duce , ed ordinali a squadre
Seguon la soorU lor per l'aria a volo;
Altri son propri abitatori antichi
Del suol nativo : altri volar da lunge
Sogliono In terra estrana , e 'n altro clima
Cercar più caldi Soli innanzi al verno :
Altri ritoman pur co' freddi giorni
Peregriuaudo alla stagione estiva.
Tornano al fin d'autunno i tordi a volo
Nel tepido confin del verno algente ,
Dove son tesi lor ben mille agguati
Neil' inospite terra : altri gì' inganna
CoU' infedele insidiosa gabbU :
Alcun gli prende col tenace tìsco :
SACRL
E nelle reti alcun gì' involge e lega.
E la cicogna, ritornando, Inoalia
La primavera le sae verdi insegne.
Altri son della mano a' vessi av^eid.
Che dolcemente gli lusinga e moke.
Ed alla mensa dei signore usatL
Altri son timorosi : e i dolci nidi
Fann' alcun' altri n^i umani albergbL
Altri selvaggi quasi , e quasi alpestri.
Prendono i iuogiii solitari in grado.
Ma gran varietà la voce e1 moiM
Fa ne* volanti augelli , e gran divario.
Altri taciti sono, altri hiquad
Senza musica alcuna e senza canto :
Alcun' altri canori : ad altri insegna
D' assomigliar del suono i vari acceoU
La Natura maestra, e l'uso « l'arie :
E la pieghevol voce In dolci modi
Incfatoa ed alza : altri ritrosi, kidaiti.
Con perpetuo tenore in un sol tuono ,
Mandan fuor sempre l' Immutabil voce.
£ pomposo '1 pavon : superboM gallo :
È la colomba placida e lasciva :
È la pernice perfida e gelosa,
Ch' a depredare I cacciatori aiuta.
Amano alcuni di raccorsi insieme,
E congiunger le forze, e 1 cari alberghi,
<}uasi in una città comune a tatti,
Sott' un lor proprio re : l' impero e *1 telo
Bicusan altri del signor superiM»;
Talché ciascuno a se provvede e pensa.
Sia da quegiì'l principio, onde l'esempio
Prendiam per l'uso deH'uauina vita.
Comujii han l'api le cittadi e 1 tetti
Dì molle cera , e le odorate ceUe :
Comune '1 volo e la fatica e l' opre
Di mirabil lavoro, e i cari pascM :
E comune hanno ancor la prole e i figli ,
Che non son nati in doloroso parto.
D'amor lascivo, il qual congiange e mesce
L'aflaticate insieme immonde memlmi;
Ma colla bocca fuor succhiati e scelti ,
Dagli odorati e rugiadosi fiori.
Poi tutte insieme in bella schiera accolte
Sott' un ordine solo , un solo impero
Seguon d'un re, ch'è venerato a prora.
E non sostiene alcuna uscire a' prati.
D'erbe vestiti, e di bei fior dipinti.
Se prima '1 re non incomincia 'I volo.
E non è questo re per caso «letto,
0 per Fortuna, che so\-enle innaia
A somala i^odestà 1* Indegno e '1 vile;
Né per giiidido dett'errilB volgo z
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LE SETTE GIORNAXE
Né COI— iiaJe éelTantieo Ngoa
DegO Mi ratioU ad tupeiboMli»
S*asiide, gmifio del pMeiM tei*,
E 'meoeiilo tk Imiiiglie é Taal,
Nell'arti peUegfine ineeHo e rouo ;
Mi ptr mtara*! oobll fefno «oqulBU,
E dtaalura te le mli Integie
D'oro Ineena, omà/t s' adorne « aplende :
E gU altri di «raBdeca e di flgnn^
E di cosfri wMienpli awia,
È ben d'acnlae il re ponfente armato.
Ma r acaleo non Ma in far vendetta.
Perchè Ma leggi , aon in breve carta.
Od in iride fegUe, o 'n Irale Mona,
0 'n dorisBlflM pietna lapreMe e atrìtUt,
Mi di ICatura eatfo le meati iaflae;
Ch'Off è pie di poeeMìw< di vakii«.
Più Ti sia di deaienia e di piotate.
Ma qnaliiaque dell'api il re aon segue»
O pur ei BMStia In ubbidir ritrosa,
Ddteaierario ardir tosto si peate,
0 di saa traootaaM, e sente '1 colpo^
Fiero gastigo in sé medcsmo, ad asparo,
Cbe «ià joleMO osir gii inticbi Persi,
Dmdo 1 sé slessi volontaria ummIo.
Moa barbaro re di Persi , o d' ladL,
Odi Saraurti par, o nuovo a prtsM,
Con tanta riverenea al regio scettro
Vide lacbiaatsi 1 popoU devoti;
Quanti ae vede nel alinolo stuolo
Il fonanate re deM'api industri,
Cberarae, onde natura '1 Itoe adorno.
Non usa ne' aoggetti e negli umUL
Odan di Cristo 1 Mrvl, a* quaU è imposto
Che non si renda mai per male il male.
Ma che nel bene il mal s'avanzi e vinca;
Odaa dell'api caste il santo esempio.
Né d'imitarlo alcun si prenda a sdegno;
Ch' ella nei procurarsi il proprio vitto
Non guasu r iltnii cibo, e aol oorroa^M ;
Mi di cera si inge i dold alberghi.
La quii da vari fiorì acoogUe e mesce.
E pur di fiori V iagegnosa, e d'erbe
D* ogn'tetonio spiraati '1 vario odore.
Loca alla sna capace angMta reggia
1 primi foadimenti , e mvti asperge
D' umor celeste rugiadose stille :
Liquido prima, e poi tenace e dcasob
S con cera aottil divide e parte
Minolisslme celle, a cui di sovra
La somma parte, ch'è pendente e cava.
Fa taatBdini,evolte;e i'unaaU'altra [vre
S'appiWMÌBgniutai,cfa'aggiaDiaeaca-
JDBL MONDO CREATO. 147
La vidnaaza lor distringe e lega
Più foste insieme la tenace aiole,
E fa non roinoso a lei sostegna;
Sicché può sostenere '1 dolce peso,
E ritener che giù non caggia 'i mele. ,
E ben si mostra l'ingegnosi poccfaia
Architetto nell' opra, e nel lavoro
Manvigliosi , e saggii e dotti ipplcno
Di quinto '1 i^eometn insegni e troia
Perchè lormò le celle in giusto spMio
Con sei ingoli tutte, e fiinchi «fl^i ^
E non per dritto l' uno ili' altro 4ppoggi%
Ma quelle Infime sedi in guisa adatta
Alle sovrane sue concave parti.
Che nulla ne patisce 'i sommo e l'ino.
Ma come annoverar potrò natraada
De* cari augelli le si varie vite ì
L' estrane gru dentro l'adunco piede
Portano '1 sasM, onde si folce, e Ufan
Tra l'aure incerte l'agitato volo,
Mentre ne' giorni nubilosi e brevi , [bro,
Lasdand' addietro '1 Termodonte, o l'E-
Passano 1 larghi mari , e 'n suU' aprioho
Sponde soglion vernar dell* ampio Nilo.
Tal per savorrainmartra' venti el'oade.
Altre rive cercando, ed altre partii
Regge '1 suo corso la spalmata nave»
Queste han di notte sentinelle e scorte»
Che mentre l'altre in placida quieta
Dormon sicure, van girando intomo,
E le notturne insidie , e i venti e l'aure
Spian da tutte le parti impigre e pronte.
E poi fornita quella guardia, e '1 tempo
Di lor vigilia, a suon quasi di tromba [no
Destan gli addormentati : e gli occhi al son-
Danno per breve spazio : e' n quella vece
Altri succede al faticoso ufficio.
Una precede l'altre, e quasi avanti
L' alte insegne precorre : e poi si volge
Nel tempo dato : e la sua sorte e 1 loco.
Che si conviene al duce, altrui concede,
Dimostran molto di ragione e d* arte
Le cicogne, e 'n tal guisa al tempo btessa
Quasi a spiegate insegne in queste parti
Vengon da più lontano ignoto dima»
E le nostre comici amica guardia
Lor fanno intomo , in ampio stuol cob>
E son fldaU scorual lungo volo [ giunte.
Contea la fona de' nemici augelli;
Come soglion guerrieri inglesi e scoti,
0 germani ed iberi uniti in lega.
Ed in quella stagione in loco alcuno
Non d appai la cornice, e poi ritoma
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148 POEMI
Tinta le piume d'onorate piaglie,
E del già dato aiuto i segni mostra.
Deb I chi descrisse lor sì certe leggi
Di si pietoso officio ? o chi minaccia
Si grave accusa , o pur si giuste pene
Achl gli ordini infermi, e '1 proprio loco
Per Yiltate abbandona in guerra, oin cam-*
pò?
Quinci prendete esempio, egri mortali:
£ l'uomo impari dagli augel volanti,
Quai degli ospiti slan le giuste leggi :
Né chiuda avaro albergator superbo
Le dure porte a' peregrini erranti
A mezza notte , o lor dineghi '1 cibo ;
Se per gli estrani augelli i nostri augelli
Non ricusan d' espor la vita in guerra ,
E de' perìgli altrui si fan consorti.
E guai altra cagion di fiera morte
In Sodoma versò di fiamme ardenti
Dal Ciel turbato spaventosa pioggia ,
Che la ragion del violato albergo
Sprezzata, e rotta? e queir iniquo oltrag-
Ma la pietosa provvidenza e cara, [gio?
La quai delle cicogne è vecchia mastra ,
Destar ben può de' figli il dolce amore
Verso gli antichi loro e stanchi padri.
Quelle d' intorno al genitor languente ,
A cui per lunga età cadere a terra
Sogliono i vanni e le minute piume ,
Stanno pietose : e le già afflitte membra
E nude di pennute e lieve spoglie ,
Scaldano al voiator lassato e grave
Soavemente colle proprie penne ;
E gli porUno '1 cìbo,ond'ei si pasca:
E sollevano ancora e quinci e quindi
Coli* ale il tardo veglio : e 'n questa guisa ,
Le disusate membra air uso antico
Già richiamanti , danno aiuto al volo.
Ma quai fra noi di sollevar 1* infermo
Padre non sembra fastidito e lasso ?
Chi n' impone alle spalle il grave pondo.
Quel eh' è creduto nell'istorie appena?
E non più tosto disdegnoso e schivo
All' altrui braccia le caduche membra
Commette, e '1 mal locato officio a' servi ?
Ora prendiam lodato e caro esempio
Di materna pietate , e non si dolga
Di povertate , o di miseria alcuno ,
Né della vita sua disperi e pianga ;
Mentr'el riguarda '1 magistero e l'opra
Della pietosa rondinella industre.
La rondinella di minuto corpo ,
Ma di sublime egregio, e chiaro affetto
SACRI.
Povera e bisognosa, 'I proprio nido
Ella medesma pur compone e finge.
Prezioso vieppiù di gemme e d' auro.
Perchè d'ogni tesoro è vile '1 pregio
Allato a quell'albergo, in cui s'annida
La sapienza ; e ben è saggia e scaltra
Mentr' ella del volar mantiene e serba
La vaga lii>er(ate : e nutre e pasce
I pargoletti, ancor teneri figli,
Sicuri dall' insidie e dagli assalti
Degli altri augei, sotto i sublimi tetti.
Là dove l' uom ricovra : e per usanza
Al conversar uman cosi gli avvezza.
È' mirabile ancor l'ingegno e l'arte«
Ond' a sé stessa le sue proprie case
Fa senz'aita d'architetto o fabbro;
E le festuche pria prepara e sceglie,
E le cosparge di tenace fango ,
Per congiungerle insieme; e se co' piedi
Non può in alto portar tenero limo.
L'ali d'acqua si sparge, e poi di polve
Arida e leve ; ond' ella fa di nuovo
La fangosa materia all'umll casa.
Con questa, quasi colla, aggiunge insieme
Le già scelte festuche, e di lor forma
II nido a' figli : a cui se gii occhi accieca
Pungendo, alcuno; ella'i perduto lume
A' ciechi rende colla medie' arte.
Or chi di povertà si lagna e plora «
Miri la rondinella : e grazia speri
Da quel Signor, eh' a lei si larga dote
Diede, e sì ricco don d' arte e d* ingegno :
Onde di povertate e di fortuna
Ogni sciagura, ogni difetto adempie
In sì lodata e si felice inopia.
L'alcione, del mar picciolo augello.
Forma di palla in guisa '1 dolce nido
D'arido fior, che '1 mare in sé produce;
E i pargoletti figli a mezzo '1 verno
Dalla tenera scinde e frale scorza
Neil' arenoso lito , in cui depone
Dell' ova 'I caro suo portato peso.
E questo awien , quando da fieri venti
Il Mare a terra si percuote e frange:
E biancheggiando di canuta spuma
Sparge le molli arene , e i duri scogli.
Dell' alcione al desiato parto
È sopito 'I furor d' orridi venti ,
Son quete l' onde tempestose , e 'ntomo
Sgombre le nubi , e serenato '1 cielo :
In si tranquillo e si felice aspetto
De* fidi augelli alla progenie arride :
E 'n sette prima di si lieti giorni
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LE SETTE GIORNATE
Suol covar Tuova la pennuta madre.
Negli altri sette nutre i nati Agli ,
Ed a questi ed a quelli ba'mposto'l nome
Dall'alcione '1 navigante esperto :
Ed al candor di lucido sereno
Da tutti gli altri gli distingue e segna.
Questo ci rassicuri e ci conforti ,
Percliè chiediamo a Dio le grazie e i doni ;
Loqual,se 'n grazia d*un minuto augello
L'orribil placa, e grande e vasto mare,
In mezz* al tempestoso ed aspro verno,
E lo ritiene, e il fa tranquillo e piano;
Cile fari, s'egli intende al nostro scampo?
O se provvede all'uom, suo figlio eletio,
Di sua divinità sembiante inimago?
La tortorcila dal suo amor disgiunta^
Non vuol nuovo consorte e nuovo amore ;
Bla solitaria e mesta vita elegge
In secco ramo, e 'n perturbalo fonte
J^ scic estingue : e de! marito estinto
Così rinnova la memoria amara.
A lui sua castità consena e guarda
A lui di moglie ancora '1 caro nome ;
Perchè solver non può l'iniqua Morte
Le sante leggi di vergogna , e i patti ,
A cui s'astrìnse volontaria in prima.
Quinci la vedovella esempio prenda;
Né baldanzosa alle seconde nozze
S'affretti, e tuffi nell' obblio profondo
L'amor suo primo e la sua prima fede.
L'aquila in allevar la nobil prole
É vieppiù d'altro disdegnosa e 'ngiusta;
Che di tre figli i due percuote, e scaccia
Con gli aspri colpi de' suo' duri vanni ;
E 1 terzo alleva , a cui non manchi '1 cibo.
Che suol rapire '1 predator volante;
£ forse altra cagion più l>ella e giusta,
Non avarizia del nutrir la spinge
Ma severo giadicio , onde riprova
(Com'a lei non convenga) indegno parto:
Perchè volge i suo' figli inverso '1 Sole ,
Sospesi in aria nell' adunco artiglio :
E quel che non dechina a' raggi ardenti
La ripercossa vista e 1 debil guardo.
Ma 'ntrepido nel Sol l'affisa e ferma,
É scelto a prova, e gli altri abborre e sde-
(Pur com' indegni di reale onore) [gna
Con quel suo generoso e gran rifiuto.
Ma gli scacciati entro '1 suo nido accoglie
Quella che rompe 1* ossa, e quinci '1 nome
Prende, od aquila sia bastarda, e nata
DI genitor deforme, od altro augello:
Né gli liscia perir d' orrida fame ,
DEL MONDO CREATO. 149
Ma co' suo' figli lor nutrisce e serba.
E tali son quei duri acerbi padri ,
Ch'espongono i bambini , o sono iniqui
Nel compartir fra' suol l* avere e l' esca
E tutti quei, ch'hanno l' artiglio adunco.
Allorch'i figli timidetU '1 volo
Tcntan primiero , e spiegan l' ale appena
Con mal sicure ancora e 'ncerte penne.
Gli spingon tosto dal paterno nido ;
E s' alcuno al partir è tardo o lento.
Coli' ali sue percosso e ripercosso
Precipitando '1 caccia 'l fiero padre.
Ma verso i figli suoi l' amore e 'l zelo
Della cornice assai dì laude è degno.
Che 'n atto di pietosa e fida madre
Raffrena nel lor primo ardito volo
La debil prole , e lor ministra '1 cil>o
Lunga stagion, perchè s'avanzi e cresca.
E molti sono ancora , e vari augelli.
Cui non fa d'uopo, in generare, il maschio.
Come gravidi sian di vento e d'aura.
Ma son poscia infecondi i nati figU ,
Né fan perpetua la ventosa prole
D' Euro i nipod, o pur di Noto e d'Austro.
Ma senza mescolarsi , e senza coppia
Di maritale amor concepe e figlia
L'avvoitor, che si tardi a morte giunge;
Meraviglioso al mondo, e raro mostro,
Che col secolo suo la vita agguaglia.
Or se deride alcun gli alti misteri
Della nostra divina invitta Fede,
Né creder può che da virginei chiostri
Dell' inutu Regina il Figlio uscisse.
Di sua verginità servando '1 fiore ;
Miri qual dia famoso e certo esempio
Alle cose divine alma Natura :
E quel che può nell' aria augel volante,
Posslbil creda a Dio, che puote'l tutto.
E i medesmi avvoltoi presagio e senso
Hanno quasi divino, ond' è prevlsu
De' guerrieri la morte; anzi talvolta
Sogliono accompagnar l' armate squadre,
Antevedendo la sanguigna strage
Dell'orrida battaglia, e '1 fin dolente.
Ma chi potria delle locuste appieno
Gli spaventosi eserciti narrarti ?
Ch' ad un quasi di guerra orribil segno
Sogliono a schiere sollevarsi in alto ,
Ed accamparsi, ed ingombrar d'intorno
Quant' è largo '1 paese , e i dolci frutti
Pria non toccar, che dal sovrano impero
Lor sia permesso '1 depredare i campi ?
Debbo anco dir, come al meriggio estivo
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fSO POEBfl
Le esmort dette I TercD boscM,
Quasi nel petto iTeado intema Hra^
FMdan sonar con que' conttnni accenti?
0 come 'ncontro ad Sol ripari e schemi
Df Inoflil tenebrosi, e d*ore Cvde
Gerdii 1' ati«el , che dalF antica Atene
Alla sua Diva fti nutrito, e saero?
E com* d soie infra gfi auge! volanti
Adoprl i dend , e in quattro pie si fermi ?
Benché due n*abl>la ralTricano angelio,
Cti' ha tà gran corpo , e di si grave peso,
Sovra dne tanto egK i leggero appoggia ,
E l'aB sue qnad di cnoto spiega:
E cono penda Tun dall'altro avvinto.
Quasi catena Inandiata e lunga r
E 'u qnesta guisa por Natura insegni
Di scambievol amore i fermi nodi :
E come gli occhi delTaugd notturno
Sian somiglianti ad uom, che tvtto intenda
D'omana sapfensa a* vani stndj?
Perchè ài qndio in tenebroso orrore
La vista è forte, e poscia Im lumi infermi.
Laddove 1 Solle tenebre disperda.
Cosi di questi appare acuto ingegno
Nel vano contemplar; ma in vera luce
La debii mente imbruna, e tntu adombra.
Delibo ancodir, come ti svcgH aB*opre
Qi canoro angellin l'acuta voce, [desta
Che Innfe Intuona, e '1 Sol richiama, e
Il peregrin, e 'I buon cultor ne* campi,
L*uno al suo faticoso aspro vlag^.
L'altro a secar k gUi mature spicbe 7
0 dir come ne rompa 1 dolce sonno,
E nMnviti a vegghiar con ida guardia
Contra 1* hisidie d* avversario antico
11 tardo auge! , che già sottrasse al rìsoe
La gran città, dd mondo aka regimi,
A tei scoprendo la notturna fraude,
E *l barbaro crvdel ndt' ombra occulto.
Che per oscure vie saUva in allo
A quel suo trionfale altero nonfe ,
Ove già sorse fai macstale aognsia
Altaroccaall'imperlo,aGiovell tempio?
0 descriver degg'io dd bianco dgna
U divino presagio, e 1 dolce canto.
Anzi l' antivedma e Beta morte?
Onde r alma immortai s* aSda , e spera
Farsi là sovra *1 Od per gtasia eterna.
0 del verme bidiano, a cui natnn
MirabOmente fi lo coma e rai ,
Sspor si varie e si cangiate forme 7
I%r6,voi, che seétndo, Htnstri donne,
Teasete t ritessele in tronchi e 'n fiori.
SACKL
E 'n pM maravIgKooe dire figure
Prezioso lavoro , e cari stami ,
Da lunge a voi mandati indn dagf Indi ,
Per adontar di vaga e moHe veste
Le care membra ; voi, nell* opra, o donne.
Dovete rlcblamar nell' dta mente
Quel ch'altre volte ragionare udiste.
Che risorger dobbiam , ripreso 1 manto
DI nostra nmanltate , e fard etemi.
Tutte vestite allor di foce e d'amo
Rlsplenderete d Sol , che P alme Ulostrn,
Assise in gloriosa ed dta sede,
E & dtro ornate che di perle e d'ostro.
Or a te mi rivolgo , e tu supremo
Fra gli dtri onore avrd negli dd carmi,
Immortd, rinascente, unico aogdto:
E questo fta quasi odorato rogo
Di chiare laudi , In cui la fama antica
Si rinnovi nel mondo, e TaH spandi,
E per questo sereno e poro ddo
Lieta si spari e gforiosa a volo,
A scherno avendo omal gR arabi monti.
Dio, fra gli dtri dipinti e vaghi augelli.
Quel di , che prima dispiegar le penne
Per l'aria vaga d suon dell'alta voce.
Fé' la fenice ancor, come si narra.
Se pur degna di fede è vecchia fan».
E 'n sì mìrabil forma il Padre etemo
DI mortd , rinascente, unico augello
Figurar volle quad in raro esempio
LMounortd, e rinato, unico Figlio,
Che rinascer dovea, come prescrisse,
Qvand' ei ne generò V etemo parla
Loco è nd più remoto ulthno cBmn
Den* odorato e focid' Oriente,
Là dove T aurea portad cid disserra [now
Uscendo *1 S<rf, cbe porta In fronte 1 giof^
Né questo loco è già ricino all'Orto
Estivo , o pur ai* Orto, onde si mosttm
n Sol cinto di nnbl a bmzzo *I verno ;
Blasolo a qndlo, ond* el n* appare, ed esco
Quand'l (^mie le notti Insieme i
Iri si stende negU aperti campi [g
Un torghlssiaw pian : né valle, opoggi»
In qoelP ampiezza sua dechina, o sorge.
Ma qud loco è credulo alzare d del»
Sovra I nostri famosi orridi monti
Sd volte e sei la verde ombrosa fronte.
E quivi senza bace d Sole èsacra
Opaca selva : e con perpelno onoro
Di non caduche fronte è verde *1 bosco.
Che r ondoso Ocean dffconda intorno^
E quando dei' bicendio i segni adimH
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LE SETTE GIOKf ATE
Nel del Iisdd nel carreggiar Fetonte «
Securo 1 loco fu da quelle fiamme.
Equando giacque in gran dlluTio 1 mondo
Sommerso , ei superò le orribili acque.
Né giongon quivi mai pallidi morbi ,
Opur regra Tecchieza, o l'empia Morte ;
Non cupidigia, o &me infame d'oro»
ffon scellerata colpa , o fiero Marte ,
0 pure insano amor di morte iniqua.
Sono r ire lontane , e 1 duolo e *\ lutto ,
E Povertà di orridi panni involu,
E I mal desti pensieri, e le pungenti
Spinose cure, e la penuria angusta.
Quivi tempesu, o di turbato vento
Orrida forza 1 suo furor non mostra.
Né sovra i campi mai l'oscure nubi
Stendono 1 negro e tenebroso velo ,
Né d*alto cade impetuosa pioggia ;
Ma 'n mezzo mormorando in vivo fonte
Lucido sorge e transparente e puro ,
E d'acque dolci e cristalline abbonda :
E ciascun mese egff si versa e spande ,
Talché dodici volte 'I bosco irriga.
Quivi alza rami da sublime tronco
Arbor frondosa, e non caduchi e dolci
Prodono I pomi tra le verdi fronde.
T^ queste piante, e 'n quella selva alberga
Appresso 1 fonte Tunica Fenice,
Che della morte sua rinasce e vive :
Augello eguale alle celesti forme ,
Che vivace le stelle adegua , e 1 tempo
Consuma, e vince con rifatte membra.
E come sia del Sol gradiu ancella «
Ha questo da Natura officio e dono«
Che quand* In Cleto ad apparir comincia
Sparsa di rose la novella Aurora,
E dal del caccia le minute stelle ,
Ella tre volte e quattro hi mezzo all'acque
SomBMrge 1 corpo, e pur tre volte e quat-
Liba quel dolce umor del vive gorgo, [tro
fascia a voto s'imalia, e riede in cima
Dell'arbore frondosa, e quinci intomo
La selva tutu signoreggia e mira :
Ed al nascer del Sole Indi conversa,
Itol Sol già nato aspetu i raggi e 1 lume.
Ma poiché l'aura di quel lucld'auro,
Ondeflanmeggiat Sol, risplende espira,
A sparger glA comincia '■ dolci medi
Il awro canto : e la novella luce
Colla mirabil voce affetta e chiama;
A coi , voce di Cinto, • df Paraas»
Dolce armonèa non si pareggia In parte.
Kè di Mcreorlo la canora ceira
DDL MONDO CREATO. iSì
V assembra , né morendo *1 bianco cigno.
Ma poiché Febo del celeste Olimpo
Trascorre I luminosi aperti campi ,
E perquell* ampio cerchio Intorno é volto.
Ella tre volte ripercossa al petto
L'ali d'oro e dlphite, al Sole applaude
Con non errante snon la notte e 1 gioma
E la medesma ancor parte e dlstlngiK
L'ore veloci , e queO* accesa fironte ,
Venerata tre volte, allln si tace«
Pur come sta del sacro oscuro bosco,
E di que' tenebrosi ed alti orrori
Sacerdote soRnga , a cui son conti
1 secreti del Cielo e di Natura :
Però di riverenza e d'onor degna*
Ma poi , fomiti cento e cento lustri «
NeHa vetusta età più grave e tarda ,
EUa, che già passare a voto i nembi
Poteva e to sonore afte procelle.
Per rinnovar b stanca vita e 1 tempo
Chiuso e ristretto pur da spazj angusti.
Fugge del bosco usato il dolce albergo.
E di rinascer vaga , i lochi sacri
Addietro bsda, e vola al nostro mondo,
Ov'ha suo' regni Timportuna Morte.
E già drizza Invecchiata 1 lento volo
In qoella di Soria famosa parte,
A cui died' ella di Fenice '1 nome.
E di selve deserte Ivi ricerea
Per non calcate vto secreta stanza,
E si ricorra nelF oscuro bosco.
Ed altor coglie delT aereo giogo
Forte palma sublime, a cui pur anco
Compartì di Fenice 1 caro nome ,
Cui romper non potrla co' feri denti
Serpe squammosa , o pure augel rapace,
Od altra ingiuriosa orrida belva.
E chiusi allor nelle spelonche I venti
Taccion fra' cavernosi orridi chiostri ,
Per non turbar co' lor tort>Ìdf spirti
Del belfaer purpureo '1 dolce aspetto.
Né condensato turbo i vani cunpl
Del del ricopre , ed al felice angelo
Togffe la rista de' soavi raggi.
Quind 1 nido si 1^ : sia nido, o tonte
Quelto in cui pere , aedo rinasca e vtv»
L'augd, che di sé stesso é padle e flgBo,
E sé medesrao egli produce e cria.
Quind raccoglie dell' antica selva
I doki succhi , e' più soavi odori ,
Che scelga 'I Tiro, o l'Arabo Mice,
0 Pigmeo favoloso , od Indo a^Nisto,
0 che produca por nd molto grembo
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J52 POEMI
De'Sabei fortunati aprica terra.
E quinci l'aura di spirante amomo,
Colle sue canne '1 balsamo raguna;
Uè cassia manca, o l'odorato acanto,
Né dell' incenso lagrimose stille ,
E di tenero nardo i nuovi germi ;
E di mirra v'aggiunge i cari paschi;
Quando repente '1 varlabil corpo,
E le già quete membra alluoga e posa
Nel vital letto del felice nido:
E nel falso sepolcro ardente cuna
AI suo nascer prepara anzi la morte.
Sparge poi colia bocca i dolci succhi
Intorno, e sovra alle sue proprie membra.
Ivi l'esequie sue si fa morendo:
E debol già con lusingliierl accenti
Saluta '1 Sole, anzi l'adora e placa:
E mesce umil preghiera all'umil canto.
Chiedendo i cari incendj , onde risorga
Col nuovo acquisto di perpetua forza.
Fra' vari odori poi 1* alma spirante
Raccomanda al sepolcro ; e non paventa
L'ardita fede di sì caro pegno.
Parte di vital morte '1 corpo estinto
S' accende, e l' ardorsuo fiamme produce,
E del lume lontan concepe'l foco,
Ond'egli ferve oltra misura, e flagra,
Lieto del suo morir, perchè veloce
Al rinascer di nuovo egli s'affretta.
Splende quasi di stelle ardenti '1 rogo,
E consuma '1 gii lasso e pigro veglio.
Li Luna'l corso suo raffrena e tarda,
E par che tema in quel mlrabil parto
Natura faticosa e stanca madre.
Che non si perda l'Immortale augello;
Ma di gemina vita in mezz'ai foco
Posto in dubbio confin distingue e parte.
Nelle ceneri aduste alfln converso.
Le sue ceneri accolte egli raduna
In massa condensate , e quasi in vece
£ l'occulta virtù d'interno seme.
E quinci prima l'animai ci nasce,
E 'n forma d'ovo si raccoglie 'n giro.
Poi si riforma nel prlmier sembiante :
E dalle nuove sue squarciate spoglie
Alfin germoglia l' Immortai Fenice.
Gii la rozza fanciulla a poco a poco
Si comincia a vestir di vaga piuma,
Qual farfalla talvolu, a' sassi a>^inU
Con debil filo, suol cangiar le penne.
Ma non ha per lei cibo '1 nostro piondo :
Né di nutrirla alcun si cura intanto;
Ma celesti rugiade intanto liba;
SACRL
Dall'auree stelle e dall'argentea Luna
Cadute in cristallina e dolce pioggia.
Queste raccoglie, e fra ben mille odori,
Sin che dimostri '1 suo maturo aspetto
Nelle cresciute membra, indi si pasce.
Ma quando giovinetta omai fiorisce.
Fa ri tomo volando al primo albergo.
E quel ch'avanza del suo corpo estinto
E dell'aduste e 'ncenerlte spoglie,
Unge di caro ed odorato succo ,
In cui balsamo solve , incenso e mirra ,
E con pietosa bocca indi 1* informa ,
E tondo '1 fa : siccome palla, o spera:
E portandol co' piedi , al lucld* orto
Si rivolge del Sole, e '1 volo affretta.
E l'accompagna innumerabil turba
D'augei sospesi, e lunga squadra e densa ;
Anzi esercito grande intomo intorno
Fa quasi nube, e '1 volator circonda.
Né di tanti guerrieri alcuno ardisce
Al peregrino duce andare incontra ;
Ma dell'ardente re le strade adora.
Non il fiero falcone ardita guerra
Gli move, o quel ch'i folgori tonanti
(Com' é favola antica) ai elei ministra.
Qual le sue barbaresche orride torme
Scorgea dal fiume Tigri 11 re de' Parti ;
Di preziose gemme , e d' aurea pompa
Altero, e di corona '1 crine adorno,
Purpureo 1 manto , eh' é dipinto e sparso
Dal lago di Soria di perle e d' oro ,
E col fren d' oro al suo destrier spumante
Regger soleva '1 polveroso corso
Per le città d' Assiria alto e superbo ,
Ov' ebbe fortunato ed ampio Impero :
Tale ancor va , meraviglioso in vista,
L'augel rinato, e con reale onore
E real portamento i vanni ei spiega.
Il color è purpureo, onde somiglia
Il papavero lento, allorch' al cielo
Le sue foglie spargendo, al Sol rosseggia.
Di questa quasi velo a lui risplende
Il collo , la cervice, il capo e '1 tergo.
Sparge la coda, che di lucld' oro
Rassembra e d'ostro poi macchiata e tinta.
Nelle sue penne ancora orna e dipinge.
Pur come in rugiadosa e curva nube ,
L' arco celeste , in cui si varia e mesce ,
Verdeggiante smeraldo a* bel vermigli.
Edagli altri cerulei e bianchi fiorì.
Ha duo grand' occhi, eguali a duo giacinti,
E riluce da lor vivace fiamma ;
E pur gemma somiglia '1 rostro adunco.
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LE SETTE GIORNATE
La tesu ie circonda egual corona.
Come la cinge al Sol co' raggi ardenti.
Son le gambe squamroose, e d'or distinte,
L'ungliie rosate, e la sua forma illustre
Tra quella del pavon mista simigUa ,
E dell' augel che 'n riva al Fasi annida.
Grande è così ch'appena augello, o fera
Nata In Arabia sua grandexza agguaglia ;
Pur non è tarda , ma veloce e pronta ,
E con reale onor nel ratto volo
La reggia maestate altrui dimostra.
Del verde Egitto una cittate antica
Ne' secoli primieri al Soi fu sacra :
Quivi sorger solea famoso tempio
Di ben cento colonne altero e grande ,
Già svelte dal tebano orrido monte;
E quivi, com' è fama, il ricco fascio
Ripor solea sovra i fumanti altari :
E 1 caro peso, destinato al foco.
Alle fiamme credea tre volte e quattro.
Adorando del Sol l'ardente immago.
Fiammeggia '1 seme acceso, e '1 sacro fumo
Con adorate nubi ondeggia e spira,
Talch'egli aggiunge agli stagnanti campi
Di Pelusio ; e spargendo odori intomo,
Di sé riempie gU EUopi e.gl'Indi.
Meravigliando alla mlrabil vista
Tragge l' Egitto, e '1 peregrino augello
Lieto saluta, e festeggiando onora
Repente : e la sua forma in sacri marmi
Scolpita, è in lor segnato '1 nome e '1 gior-
O fortunato, e di te padre e figlio, [no.
Felice augello, e di te stesso erede.
Nutrito e nutritor, cui non distingue
Il vario sesso e lunga età vetusta
Non manda, come gli altri , al fine estremo :
Né Venere corrompe, o 'I suo diletto
Non cangia indebolito, e van dissolve :
Cui di Venere in vece è lieta morte,
Onde rinasci poi l' istesso ed altri,
E colla morte immortai vita acquisti.
Tu , poiché la vecchiezza i mari e i monti
Cangiato ha quasi, e variato '1 mondo.
Perpetuo ti conservi, e quasi eterno,
A te medesmo ognor pari e sembiante.
E tu se' pur del raggirar de' tempi,
E de' secoli tanti in lui trascorsi ,
Di tante cose e di tant' opre illustri
Sol testimonio, o fortunato augello :
DEL HONDO CREATO. f 53
E felice vieppiù, perch' a noi mostri.
Quasi in figura di colorì e d'auro,
L' unico Figlio del suo padre Iddio,
Dio, com' é '1 padre a lui sembiante e pari.
E la Natura col tuo raro esempio
Insegna pure all' animosa mente
(S'ella dubita mai) com'EI risorga
Dalla sua morte, e dal sepolcro etemo.
E benché nostra pura e 'nvitta fede
Abbia lume più chiaro onde e' illustri.
Te non disprezza, e con perpetuo onore
11 tuo bel nome al suo Fattor consacra,
Ch'é sommo Sole, ond' ha sua luce il
Sole.
Fatto avea tutto ornai gli umidi campi ,
Ch' agitar suole '1 vento obliquo, o 1* onde,
Co' propri abiutori il Padre eterno,
S' abitatori pur dell' aria vaga
I volatori augelli, e non più tosto
Son della terra, ond' hanno '1 cibo e '1 volo ;
Quand' egli vide '1 suo lavoro e l' opre
Tutte esser buone, e gli animai feroci
Buoni pur anco : e sua bontate impressa
In lor, qual nota del suo Mastro o segno;
Però gli benedisse. E 'n quesU guisa
Disse : Crescete; e numerosa prole
Tutte l'acque riempia, e 'n sulla terra
In gran numero ancor s' avanzi e cresca
Ogni progenie de' volanti augelli.
E della santa voce il santo impero
Ancora é certa e 'nvTolabil legge.
Perchè dopo tant' anni e tanti lustri ;
Tanti secoli, a volo omai trascoesi
Da' principi del mondo a quest'estrema
E tarda etate, in cui s'appressa 'I fine;
Né progenie di lor, né fera stirpe,
0 per diluvio, o per incendio ardente,
0 per lunga mortale orrida peste,
0 per lor feritate, o per l'insidie
D' umano ingegno, o per l' orribil armi
Estinta non rimase, o scema unquanco;
Ma quasi etema si perpetua e serba.
Tanu della divina e santa Voce
È la virtù che lor difende e guarda ;
Perché sia appieno e 'n ogni parte adomo
Questo che tutti abbraccia e tutti accoglie
Neil' ampissimo sen, capace mondo.
Cosi fu fatto; ed al mattino il vespro
Giungendo, impose fine al Quinto Giorno.
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tu
rOOOSACML
dORKATA SESTA.
«dia qiito ertali» «pdtpMfo di Broli e nTomo.
Là doTc iaBaii» 1 ^
Creduto degli M lueeate alboyo»
8o?n tutte Ift nabl, e iO¥n i la
Nell'aria qntli Ili screM froate,
E dove AKea seUe ave hidd' Mét
Portar lolea f|4 l'oooraU pohre
I^e'viBcUorisa ari le BMnbra asperse^
Propose i lad prcnj a'gteodii lOostrì
L'amica Pisa : e i più veloci e I forU
Vide so¥ealo ia àwàMA lotta^ • 'd corso
AlUicaU: o & coidkfl 1 1 cani
Colle fianride raole air alta aMta
Girarsi intomov o'a ?aric altre coateie
Ricercar pregio • tana e driato giMo :
E vide a prova aacor saWlail iagegai
Far di 8è paragoae, e ti Mec santa^
0 eoo soave por f^coada Ilaria
GU «ft auMwiiliaado ; e ben csaobbo
Cbo pari aoa atea aieteeée o paÉna 7
BU i priad dà acik touaaft aaticha
Talvolu sen passar àuMilari « "aeertl
Scasa coroaa, e sol ael glaraa ssUfo»
la cui naggiof (m ìm fnka e 1 rlsco
Del coDtrasiarey a 1 vesffogaeso scorao
Di ceder violo, diede i cari pregi
Fermo giadldo al visdtar feUce :
E rìailMNBbar tf lalonM il clAva bmoo
Udissi al saoa della caoara txmàbm.
Ma iaquestoqiiaiil agone 0 qaasl caapo
Di sapleaca, ov* adoriaaM» assiso
In altissiiaa sede, a Dio seaiòisatev
Quel, cui perariso'i gMlcarat la terra
Giudice BOA seveso^ ansi ckmcate;
Più sollecka cara, e più gravasa.
Cura Inctftatfonorao pteawo'iigwibi a
Mal glorao estresMv o nelL' estreno corso ;
Io cui di Csticosaaspra caascsa
Quasi coroaa, o ptóiio è posto lanaasl.
Dura pena all' loGoaCro aUrui ailaacda^
Già non è parli giaoco, o pari n fratto
"teqyelcholattacai aenlea,ocanU
ài dolce suoa dallo sonoro coe*^
E'I odo (se lece dlt> caotraslaliidegnot
Cb' Ivi 1 periglio è sai tetldio o sdMBO
Degli uditori : e 'n questo è danno e morte.
Amici, adunque a me pietoso aiuto
Date, vi prego, e quasi lena e spirto :
E di par meco entrate in quest' adomo
llaraviglloso, grande, ampio teatro
Mie cose create; la cui mirando
U magistero del gran Padre etemo.
Quasi per gradi alziam la pura mente
All' invlsibil suo felice Regno,
Ove gì uHini premj altrui riserba.
Né già ricerco io qui verde ghirlanda
D'alior frondóso, che si sfronda, e perde
In breve tempo la vaghezza e 1 pr^io r
0 di palKda pur ftnnosa oliva,
Qual da* gran fonti già dei gelid* btro
La riportè d^ Anfitrione il figlio;
Ma sieno I preg| miei sahite e pace
In terra, e pie negii stellanti chiostrL
Intanto a voi questa corona eccelsa
È pesta imansi, evoi medesmi al vostro
Faro gfvdleio cH lodevol opra
Bramo di coronate. Udite aduuque
Con pietosa adfena, o fidi amici.
L'aspra natnra deirestraaie belve.
Dell' urna gregge e de' terreni armenti,
E dell'uose, cui di terra il Padre eterno
Cre4 dssezso, e da principio omUe^
FormoUo tmperlaeo a scettro, a regno,
E 41 vka iamortal; se propria colpo
Non era a M di fatfeeso esiglfo
Dora cagione, e d^ odiosa morte. [CMo-
Poicb'ebbe *l grande Iddio spiegami
Sovrano, e stesa ancor Flnima terra,
E fermato 1 rltegao io sKsz'airaeqae:,
Che sa«ra e sotto le dbtfaigtte e parte:
E cnmandsto cbe s' aduni insieme
Quella Matura instaMlee vagante r
E imposto al bnto ed alla terra 1 nenev
E l' arida di piante oraau e d^erbe;
Indi si valso a far più bello 1 Mondo,
E dbsdr al giorno ed an* algente noeta
1 doo^ Inali maggiori e pie feuenti,
E tutti varie^di stette e d^aaro
Coa diverso figuro e va^ gferl
I primi corpi, 0 con perpetue tempre
Maravigiieaa fa' la vista, o 1 corsow
Poscia psodotH entr" alT ondoso giussbo
Dell' ac^Bo amaro e dekl i vari pesd,
E nell'aria i volanti e levi augelli;
Disse Dio Creator (e '1 sacro detto
Fu certo impero, e 'nvlolabll legge)
L'anime de' viventi ancor produca
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LE SETTE GIORICATE;
Fogni atrte la t«m, • *iii quattro piedi
Altri appoggi 1 corporeo e grare pondo
AUrt nel suol distea» 1 porti e serpa :
Ria prcgenàe anc» prochna, e Agli
Di qoaliii^iiftaltEO va repende, e kufiraie
Colle fere pradim amentf e gregge.
Cori Dio fece le terrene belve,
E le cornute, o pttr lanose mandre
De'mansuetit e quei ch'ai snol congiunti
Strisciando se n' andar col |^ obliquo.
Donqne animau è quest'antica Madre?
Dunque anlmaba la Terra^ond'eflii alpar-
Quasi femmina, fu bramosae pronta ? [to,
E loco ban pure i Manichei superbi
Di saper vano^ e le meniogne antiche
Di chi filosofando e mente e spirtD
Died* a quesU mondana ed ampia mele?
Lo qual per eatr'a lei trapassa e spirav
Com'a lor|^anre,elcieloel'h»ateffra;
E la spera del Sol hicente e va^pa,
E '1 globo deUa Luaa, e V auree stette;
E dell'aria e del mare 1 larghi campi
Nutre^e misto al gran corpo lo Tari bmmU
Muove agitando le diverse membra?
Ma citi vestire osù d'alma spirante
La terra, o volle dar sua mente al mondo,
fi farlo Dio, non che spirante e vivo
Animai, che tuu' altri accoglie In grembo ;
Male intese di Dio qjuc' sacri detti,
E 'n peggior parte la sentenxa torse^
Pcrch'ahna non avca l'arida terra;
Ma chi le comandò, largUle ancora
La \irtù di produrrei nuovi partL
Né quando detto fu : Germogli 'I fieno,
E ferace di frutti il verde tronco;
Ella 1 produsse allor, siccome occulto
11 si traesse nel profondo seno : [elee.
Né palma, o quercia, o bel cipresso, od
Pur come ascoso dal fecondo ventre
Di fuor mandò sovra l'Inculto suolo;
Ma delle cose, che si fanno, o fersi,
È il divino parlar natura e vita.
Dunque quando '1 Signor disse : Germo^
Intese In sua divina alta favella : [bo.
Non cacd fuor quel che raccoglie in grem-
Maqnelch'ellanon ha, di nuovo acquisti;
E la forza a lei diede il Padre etemo.
E *n questa guisa or le comanda, e dice t
Produca l'ahna; e non dell'alma imiau
Intender vuoi, ma di virtù largiu
Coffa mirabll sua divina voce. [so ;
Ma non comanda alT acque al modoistes-
Soli* impone tt produrcfat serpe e strisda
KL MONDO CREATO. |5S
Coli' alma viva : ed alla terra impone
Che partorisca r anima vivente.
E cosi disse Dio, se dritto esthno.
Perchè neH' acque agli umidi notanti
Compartir voile men perfetta vita;
E men degna natura : e quinci avviene-
Ch' entr* al denso elemento, e 'mpuro e nri-
Abbian via men acuti e puri i sensi, [sto
Grave è r udire, e '1 tor vedere ottuso,
E memoria non hanno, e non s' imprime
Nel senso Interno Immaginata immago.
Né contessa è fra loro, o per lung'uso
Notìzia alcnna, onde 'n si rozza vita
Lar carne, e '1 ventre signoreggia e regna»
Ma ne' terrestri Imperatrice e donna
ÈrafanaingMisa, chotalorsi crede
Che di ragione e d^ Immortale ingegno
EU' abbia larga parta e ricca dote.
Interi i sensi, e nt' presenti oggetti
Acuti sono, e del pulsato impresa
Alti vestigi, e non dubbiose, o'ncerta
Son le memorie; e lor virtà non langne
E colla voce non osenra i segai
Sogliono dar de' lor» htfeml afl^ttL
E quinci 'n lieto, o'nsuoncMenteemesfta,
L'allegrezza si mostra,o 1 duolo apparei
0 di cibo '1 desio di fuor si scopre,
0 rimbombal'amor ch'ealiogi* i
E non può starsi in fero petto ]
Sotto tenera lana, o duro ed j
Ispido vello : onde 1 belar dell* a
E 1 nitrire e '1 ringhiar son quasi note,
E '1 latrar, l' ululare in monte e 'n bosMi,
0 pur lungo un corrente e chiaro fiume
E '1 muggir e '1 ruggir, d'affetto iotema^
Miir altri affetti ancor con mille voci
Suol variando dimostrar Natura.
Dall' altra parte, degH ondosi regni
L'errante abitalor non solo è muta.
Ma immansueto, e dall' usanza abbam
Di nostra vita, e per lusinga o vezza
Hai non s'avvezza, e nulla apprenda, •
prende
Di nostra umanitft : ma schiva e luggi&
D* esser consorte all'anima che regna.
In questa guisa Dio creò nell'acque
Corpi animati, e nella terra ei volle
L' ahne crear, da cui si regge 1 corpo.
Quinci t suo possessor fu noto al hce.
Conobbe l' asinel l' umil presepio
Del suo signor; ma non conobbe 1 pasca
Il nutritor : tale entro l' acque, e tanto
Fb Io stupor di lardo e grave senso I
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156 POEMI
Conobbe rasinel l'usata voce^
E conobbe la via eh' egli trapassa,
E fu duce talora air uomo errante
Nell'incerto sentier, ond* el travia.
Né di più acuto udire, o più sottile
(Se'l ver si narra) altr' animai terrestre
Vantar si può sott* a si rozie membra;
Ma nel cammello portatore eslrano
Di gravi pesi, ed AflTrican dcrorme,
£ dell* ingiurie alla memoria e salda,
Ed Ira grave al vendicar costante ;
E percosso talor l'ira profonda
Lunga stagion riposta In scn riserba.
Pur come estinta, e la ripiglia a tempo,
Rendendo '1 male e '1 ricevuto oltraggio.
Udite voi, che di virtute in guisa
La memoria dell'onte In voi, di sdegno
E d'astio e di rancor nutrite occulta.
Udite '1 paragone, a cui sembianti
Fate voi stessi, mentre l' ire ascose
Tenete pur, come faville ardenti
Sott'ingannevol cenere sepolte :
Ch'accendendosi poscia in secco legno,
O 'n arid'esca, flammeggiar repente
Sogliono, e rinnovare '1 foco estimo.
In cotal guisa l' anima superba
Fu ne' bruti prodotta, e voi l' esempio
Seguite pur delle sdegnose belve.
Ma qual si fosse già nel primo p&rio
L'alma vostra immortai, fia noto appresso:
Or dell'alma ferina a voi si parìa.
L' alma d'animai fero è vita e sangue :
Ma'l sangue 'n carne si condensa e cangia :
E la carne corrotta alfln in terra
Pur si risolve; onde mortale è l'alma
Di feroce animale, anzi piuttosto
Un non so che di morto. Udite adunque
Perch' alla terra Dio produrre Impose
L'anima de' viventi : e come segua
Che l'alma in sangue si trasmuti e volga,
E'I sangue In carne, e quella carne in terra,
E per le stesse vie si volge e riede
La terra In carne, e poi la carne in sangue,
E '1 sangue in alma; onde ritrovi e vedi
Che l'anima de' bruti è sangue e terra.
E non pensar che più del corpo antica
Sia l' alma fera, onde rimanga in vita
Poscia, che '1 suo mortale estinto giacque ;
Ma riconosci le cangiate forme,
E 1 variati giri; e fuggi intanto
Degl'ingegnosi le canore ciance.
Che starian meglio In lor silenzio occulte.
Non hanno questi pur rossore e scorno
SAGRL
Di far che rafant,onde uom ragiona e'n*
tende,
Sia quella stessa onde latrando '1 cane
Sen corse, e sibilando empio serpente.
E flngon sé medesmi in varie forme
Esser mutati, e non pur servi e regi
Sott' a vari sembianti e varie membra
Esser già stati ; ma vezzose donne,
0 pur marini pesci, o piante, o sterpi.
E ciò scrivendo, più di pesce, o tronco.
Si nioslran di ragione ignudi e d'alma.
Ma fra tanti superbi e varj ingegni
Non sorse alcuno In quell'età vetusta.
Che l'anima stimasse o llmo,o terra.
Ma seguendo del moto o pur del senso
(Incerti duci) le vestigia e i segni,
Altri la credea spirto ed aer leve,
Altri foco sottile, o viva fiamma.
Altri pur la stimò nativo umore.
Altri vapor da quel fumante e misto :
Terra nessun. Cosi la Madre antica.
La Terra, dico, che produce e figlia
L'alma de' vivi, quasi inculto germe.
Fu defraudata allor del proprio onore
Da que' superbi, e'n contrastar costanti^
E discordi fra lor ritrosi ingegni.
Ma noi rendiamo aìla gran Madre antica
L'onor dovuto del suo nobil parto;
Kstia figlia cliiamiam l'alma spirante
Di feroce animale. Or non ci caglia
Se nui'a ora di nuovo, o di vetusto
Delle figure della vasta Terra
Osiamo d' alfennar con certe prove.
Quasi giudici giusti in tanta lite.
l*ercir altri vuol ch'ella figura e forma
Abbia di sfera : altri la varia e finge.
Quasi un cilindro, e simigllante al disco t
Altri la fa come sia cesta, od aia,
Vacua e cava nel mezzo, e d'ogni parte
Pur egualmente la polisce ed orna.
E que! , che ratto immaginando al Qelo
Fu come scrisse ne* toscani carmi ,
Indi pur vide, o di veder gli parve
La Terra, che ci fa tanto feroci ,
Quasi una bassa e piccioletta aiuola ;
Ma pur in giro ei la circonda e forma.
Ed altri ancor nelle due estreme fasce,
E neir ampia di mezzo e larga zona
La privò d'abitanti : e nuda ed erma,
E con squallido aspetto orrido in vista
La ci dipinse, e 'n alta neve e 'n gelo
Sepolte figurò le partì estreme.
E '1 maggior cìnto dalle fiamme acceso
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LE SETTE GIORNATE
Sol due zone iasdò soggette al Soie ,
Che mai per dritto non l'infiamma e scalda,
In due grandi emlsperi,e sempre avrerso
Fa con obliqui rai più dolci tempre.
E noi runa abitiam, cliè quinci e quindi
ViTiam ristretti in breve spailo angusto
Dal gel perpetuo, o dall*ardor soverchio.
L*attr9 sott' altro ciel barbare genti
Accoglieva cui sparito è il Carro e l'Orsa.
Ma la novella età discopre e mostra
Ch*ogni di lei gelata, o accesa parte,
L'uom dalla prima sua terrena stirpe
Duro animai costante alberga e pasce.
Talché non sembra l'abitau terra
Timpano più come affermando insegna
Il gran maestro di color che sanno :
Né 'n forma di lorica agli occhi appare ;
Ma pur in cerchio si rivolge e gira ,
Di pomo in guisa che si fende ed apre.
Isola no, che non si giace in seno
Al gran padre Ocean, ma*l tiene in grembo,
G>me osa d'affermar l'età novella,
Che per troppo veder men alto intende.
Ma sia di ciò quel che ragione e senso
Può dimostrar ne' più vicini obbietti.
Or taccjam sue figure, e 1 larghi spaij
Non misuriam qual geometra in giro,
E non voglìam superbi al Re dei cielo
DI sapere agguagliarci e di possanza.
Perch'ei la terra nelle man rinchiuse,
E misurò pur colla mano i mari ,
E tutte r acq uè insieme, e '1 elei col palmo:
Chi pose i monti spaventosi in libra ?
E'n giogo 1 boschi e l'aspre rupi in lance?
Chi tien dell'ampia terra '1 largo giro?
E in guisa di locuste in lei dispose
Gli sparsi abitatori e'I ciel sublime.
Quasi camera sua, si fece in volta ,
Se non il Re, che lui sostiene e folce?
Non affermiamo ancor con vano orgoglio
Quanto l'opaca e tenebrosa terra
L* ombra fosca ed algente innalzi e stenda;
Né come privi di splendor l'errante
Luna, quand'ella giunge 'ncontro al Sole:
Né s' ella di Ciprigna ancora adombra
li vago aspetto e la sua luce imbruni ;
Ma tutti slam per meraviglia intesi
Alla voce di Dio, che corre e passa
Alle cose create , e compie '1 mondo
Nelle parti di mezzo e nell' estreme.
Qual ampia 8pera,o pur marmorea palla,
Ch' é da robusta man percossa e spinta.
Giunge *n loco pendente, ed indi a basso
DEL MONDO CREATO. I57
Dal sito che s'avvalla e *n giù dedlna,
E dalla propria sua volubil forma
Con veloci rivolte in giù rotando
Portata va , sinché le arresta '1 corso
La piana terra , in cui si giace e posa ;
Tal della santa voce al suon commossa
La Natura trascorre, e passa a dentro
In tutto quel che nasce e si corrompe;
E va servando ogni progenie e stirpe
Simile a sé. Anch' ella al fine aggiunga.
E del cavallo il successor corrente
Fa che ci nasca ; e pur sembiante al padre:
Dal tauro '1 tauro con sue dure corna :
Dal superbo leon villoso '1 tergo
Nasce '1 leone, ed ha pungente artiglio :
E 'nsieme col leon l' impeto e l' ira
Nacque, e quel suo magnanimo disdegno.
Onde l'umil nemico a terra steso
Trapassa alteramente, e non l'offende ;
Nacque 1' amor di solitaria vita.
Per cui sprezzai compagni, e quasi abbor-
E per deserte arene, o 'n alta selva [re.
De* Mauri tani , o de' Numidi errante
In caccia e ne' perigli ei va solingo ,
0 pur fra '1 Nesso e l'Aclieloo corrente,
Dov' i leoni producea 1* Europa.
E *n guisa di possente aspro tiranno ,
E per natura indomito e superbo,
Né degna egual, né dell'estremo cibo
Pascer la cruda sua fame profonda :
Cotanto schiva il disdegnoso gusto
L'avanzo di non presa immonda preda.
Si larghe canne ancor le diede 'n sorte
Natura, e grande e sì l'orribil voce.
Che r aito suo ruggir di tema ingombra
1 più veloci e 1 più leggieri al corso,
E sbigottito alfin gli arresta e prende :
Ma dopo 'I pasto egli é giocoso e lieto,
E festeggiando , con gli amici ei scherza
Quasi di nulla tema e non sospetti.
Poi fatto grave nell'età vetusta,
E tardo in caccia, osa'l feroce veglio
Alle città dar periglioso assalto ,
E gli uomini infestar fra l'alte mura.
Ma questa cosi fiera orrida belva.
Quando più superbisce,e*n maggior rabbia
Divenuta crudcl lo sdegno accende ,
Teme d'ardente face, e fugge M foco.
E sbigottito ancora el fugge '1 gallo,
E impaurito é più dove biancheggia
Il bel candor delle spiegate penne.
E la pantera, impetuosa belva ,
£ repente agiUU : a* varj moti
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158 POEMI
Dèli' dntsu Tdece hai corpo aecoodo,
E le membra pfegheroH e leggiere.
E delle macchie sue qoasi dipinto
Mostra *1 bel pardo varlau pelle :
Ed ascondendo 1 soo feroce aspetto.
Coita pittura delle spoglie, alllce
1 semplici animali , e troppo incauti :
Còsi gli prende, e 'nsidTosa fraude
Le giova più nella selvaggia preda.
Che 'I suo corso veloce, o*I Icggier salto.
Ma l'orsa è neghittosa e pigra e tarda,
E di costumi occulti e*n alto ascosi :
E di simil figura ammanta e veste
L* alma feroce : ha grave e rozzo 1 corpo.
Quasi indistinta e mal composta mole.
Ch'entro l'algente ed orrida spelonca
Ha sue latebre, ove s'agghiaccia e torpe.
Ma poscia nel furor s' infiamma e ferve
E cerca d'ogni ingiuria aspra vendetta.
E 'ncontr' al ferro ella s' avventa e ruota
Ne'montl alpestri e piaga aggiunge a piaga.
Correndo quasi a volontaria morte.
Ma pur con lingua industre informa e finge.
Di fabbro in guisa,! suoi deformi orsacchi.
E tu, più rozzo assai d'orsa silvestre,
I costumi de' figli incolti ed aspri ,
Mentr' è 1* etate ancor tenera e molle ,
Non formi, non polisci e non adomi?
Né 'n pietosa opra hai lusinghiera lingua.
Ma in officio cnidel pungente e dura?
E r orsa ancora alle sue proprie piaghe
Sa (com' insegna la Natura industre )
Ritrovarci rimedio, onde risana;
Perchè, quando più son profonde e gravi,
Col verbasco le tura, e l'arld* erba
Terge la parte sanguinosa e secca,
E la serpe d'inferma e scura vista
Di finocchio si nutre : e cosi scaccia
Quell' infelice umor che gli occhi appanna.
L'aquila ancor colla lattuca agreste
Conferma 1 vacillante e debil lume;
La testudine allor , che 1 fero tosco
Della serpe l'andde, e dentro serpe
II pasciuto velen , salute e vita
Dall'origano cerca, e non indarno.
E r egra volpe in discacciar la morte.
Che le sovrasta, osa nel proprio male
Due lagrimette di stillante pino.
E la montana capra, aUorch' affisso
Di pennata saetta in meizo al fianco
Ha '1 duro ferro, medicar sé stessa
Sa con quell'arte che Natura insegna:
E dittamo pascendo , il duro strale
SACRI.
L*esce pm* dalT Interna e grave piaga.
Della schnia 1 leon languente ed egro
Avidamente cerca 1 fero pasto.
E beve 1 pardo della capra '1 sangue.
E pasce I ramoscel d'olivo li cervo.
E tu delPalma tua languida a morte,
II rimedio non trovi? e non conosci
La vera medicina? e non delibi
Succo vital dalle sacrate carte?
E i presagi del tempo ancora insegna
ìlastra Natura, e'I variar del cielo
Dal caldo al freddo , dal sereno al fosco;
E qual tempesta indi minacci, o tubo.
Talché in antiveder la pioggia e i venti,
E le procelle torbidi e sonanti
Talor men dotti son gli umani ingegni ,
La pecorella all'appressar del verno
Di largo cibo si provvede e pasce «
Quasi antcvegga la futura inopia.
Che l'oscura stagion gelando apporta :
E i buoi rinchiusi nel più freddo tempo
Entr' alle calde loro immonde stalle.
Quando la primavera a noi ritorna.
Mossi dal lor nativo e certo senso
La domita cervice , e *1 collo irsuto
Stendono oltr'i presepi,e pur guardando
Braman d' uscire al tepido sereno.
L'istrice ancor nelle sue proprie lustre
Fa doppia quasi porta , onde req>irl ;
E di lor una è volta al nobil Austro,
E l'altra al fiato d'Aquilone algente;
E se teme di Borea *1 fiero spirto,
Contra 'ISettentrion si tura '1 varco;
Ma se '1 vento aiTrican l'offende e turba.
Quel suo foro ventoso incontra chiude,
E si ricovra alla contraria parte.
E quinci chiaramente a' sensi appare
Che l' alta Provvidenza in ogni lato
Trascorre e passa, e '1 tutto adempie ed Of
E per le cose eccelse e per le Ulostri [na:
Non mette ella in non cai l' oscuree basse ;
Ma nel vile animai un certo senso
Suol destar nel futuro, onde proweggia
Egli a sé stesso.E l'uom mai sentire intento
Si starà nel presente , e quasi a bada
Senza pensar nella futura vita t
Deh! rimiri '1 lodato e rar» eaempio
Della formica faticosa e 'ndustre.
Che '1 vitto, onde si pasca al freddo verno,
Ripon la state : e benché lunge ancorm
Slan di stagion molesU i giorni algeoU ,
Neghittosa non cessa, e non s'allenta
La negra turba ; anzi sé stessa awexia
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LE SETTE GIORNATE
Nelle fttfdie, e per gli idnsd campi
Pene Popra non men, che fon et gìonio,
Siodi'aòbia oe* suol spechi 1 gran riposto.
Essa ceH'mighie proprie indde e sega
I cari frutti, e'nomidlti al Sole
Gli asciuga e secca; e 1 bel tempo sereno
Spiando, già prerede 1 lieti giorni;
Talché, qoand* ella I grani a' raggi espone.
Pioggia non stilla dalToscnre nubi ,
E di serenità V indlcio è certo.
Quinci ripon nelle sue celle anguste
L'asciutta messe, e poi la serba e parte;
Custode e dlspensiera e *ntenta all' opre.
E non sol mentre*! Sole accende 1 campi.
Ma le fatiche sue notturne ancora
Dal del rimira la rotonda Luna ;
E quelle più serene e calde notti
Toite al dolce riposo, al queto sonno,
E giunte al traTagliar conUnno e lungo.
Tanta in minuto corpo industria e Iena
IH spirto infirtfcablfe e "ngegnoso
Pose Natura, ch'^è mirabii madre;
Anzi della Natura il sommo Padre
Tanta tirtà le diede in raro dono.
Oh come grandi sono^ oh come eccelse.
Cene merarigUose pollastro etemo.
Tutte r opere tue, che tu facesti
Con Ininiu sapienza ed arte ì
Ma noi nepoti del vetusto Adamo,
Pur, quasi doni di natura e doti,
Abblam molte virtù, che proprie , e nate
CblTignudO bambUi d'^un seme istesso
Sono , ed uscite da* materni chiostri ,
Né legge, od arte, o pur antica usanza ,
0 nuovo esempio le dimostra e *kisegna,
AB* alma ancora semplicetta e vaga.
Ole pargoleggia entr* alle moin membra;
Mi sua propria vaghezza e suo desio
L* indiina , e move con amico affètto.
Chi ne hisegnadVMllar la febbre e i morbi
Seguad e gravi, ond*è languente ed egra
L'umanltateTe d' abborrir la morte
Senza maestro e senz'altrui consiglio T
Non arte , non ragion, non uso, o legge;
Mi quella, che ne la cotanto amld
A noi medesmi , lusinghiera e dolce
nostra natura, ano! rbisegna edetta.
In questa guisa aneor la nebO afana
Dechfan 1 vizio , e volontaria '1 fugge
Senz*altnicura,o magistero, od uso.
E veggendoThrtè, eh'èbeUatn vista.
Se n'inviq^hisce e la ricerca e segue;
Takh* è Alga dfe^ tizi it primo passo.
BBL MONDO CREATO. f 50
Ond'eDa I suo* vestigi indrizza al Qela
Ed ogni vizio è male Interno e morbo
Delf alma inferma, e "h van deslre accesa.
E la Virtù, eh* è sempre al vizio opposta,
È sanità dell'alma; ond'è nell'opre,
E negli offici suoi costante e salda.
E quind a tutti la Giustizia è cara :
È cara la Prudenza : e grazie e laude
Ha la Modestia : e *n più mirabH vista
La Fortezza, virtù dell' ahna invitta,
( Malgrado di Fortuna empia e superba)
S'onora e cole, e simolacri ed archi
Le sono alzali, e sacri altari e tempj.
E queste ha per fedeli e care amiche
L'alma domesticata, e se n'adorna,
Più che di sanità , le membra e 1 corpo.
Amate 1 padri , o voi pietosi figli :
E voi , pietosi padri , 1 figli amate
Senza irritare il giovenile sdegno ;
Che Natura il v' insegna e ven costringe.
S'ama la leonessa, orrida belva,
I pargoletti suoi : se 1 fero lupo
Difende 1 hipicinl , e *nsino a morte
Per ior combatte; avrà suoi nati a scherno.
Più crudel delle fere , il crudo padre?
Tanto rigor, tant' odio, e tanto obbtio
Di Natura sarà nel petto umano ?
0 del materno amor soave e dolce
Forza, che pieghi la feroce tigre ,
E daHa preda , a cui vidna e stanca
Corre anelando , la rivolgi indietro
Alfei difesa de' suol cari parti !
Com'ella trova depredato e sgombro
II suo covil della gradita prole ,
Repente corre : e le vestigia impresse
Preme del cacciator, che seco poru
La cara preda : e quel rapido innanzi
Fugge portato dal destrier corrente :
E per sottrarsi alla veloce belva
(Ch'altra fuga non giova, od altro scampo)
Con questa fraude d* ingegnoso ordigno
Delude la rabbiosa, e sé difende.
Perchè di trasparente e chiaro vetro
Una palla le getu innanzi agli occhi ;
Onde schernita dalla falsa immago
La si crede sua prole, e ferma n corso,
E l'impeto raffrena, e U dolce parto
Brama raccor nel solitario calle ,
E riportario alla sua fredda cava.
E ritenuta pur dal falso inganno
Delle mentite forme , anco ritoma
Ma più veloce assai (ch'ira raffretta)
Dletr* a quel predator eh' innanzi fìigge,
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160 POEMI
E gli sovrasta ornai rabbiosa al tergo.
Ma quel di nuovo col fallace obbictto
Dello speglio bugiardo aflrena e tarda
Il corso della tigre, e si dilegua.
Né dalla madre per obblio si perde
La sollecita cura, e *1 pront* amore.
Ma IMnfelice si raggira intorno
A quella vana e ingannatrice immago ,
Quasi dar voglia a* propri figli il latte.
E 'n questa guisa la schernita belva
La cara prole, e la vendetu ancora
Perde in un tempo, cb' è bramata e dolce.
E se *n (al guisa suol amar la tigre ,
0 la consorte del leon superbo ,
0 del famelic' orso , i propri figli ;
Qual maraviglia fia, s*amar vedrassi
La mansueta ed innocente agnella
E la cerva selvaggia e fuggitiva
Il dianzi nato ancor tenero parto 7
Fra molte pecorelle in ampia mandra
Il semplicetto agnel , scherzando a salti ,
Esce dal chiuso ovile , e di lontano
Ei riconosce la materna voce.
E ricercando dal suo proprio latte
1 dolci fonti affretta*! debii corso:
E dove sian le desiate mamme
Vote del proprio umore, ei se n* appaga,
Me fugge r altre più gravose e piene :
Ma le tralascia : e '1 suo dovuto cibo
Sol dalla madre sua ricerca e brama.
La madre '1 dolce e pargoletto figlio
Fra mille e mille , al suo belar conosce.
In questa guisa di ragion sublime
Ogni difetto un largo senso adempie ,
Che per natura in umil greggia abbonda.
Forse acuto vieppiù del nostro ingegno.
Ma nel suo partorir solinga cerva
Mostra vieppiù d'accorgimento e d'arte,
D'altr' animai, in cui sia parte, o seme
Di provvidenza , e di ragione industre.
Però piuttosto alla pietate umana
De' suoi cerbiatti crede '1 novo parto ,
Delle fere tremende ; e l'aspre rupi,
E le selvagge lustre, e i lochi inculti
Fugge la paurosa : e dove scorge
De' piedi umani le vestigia impresse
Press' alle vie da lor calcate e corse,
Ivi sicura '1 suo portato espone :
E dell' erba sisiclia ivi si pasce,
0 nelle stalle qui ricovra, e scampa
Gli artigli e 1 denti di selvaggia belva:
0 dura cuna in rotta pietra elegge
Là dove s'apre un solo e picdol varco ,
SAGRI.
E 1 pargoletti suol difende e guarda,
E lor da quattro mamme il latte istilla,
E da due mamme quelle a cui Natura
Fu di tal nutrimento avara e parca.
E perch' ella di fele amaro è priva.
Ha lunghissima vita; onde talvolta
Candida appare , e nel candor senile
È venerata dall' amiche genti :
Siccome quella, che sen giva errando
Libera e sciolta, in solitaria chiostra.
Che liberolla '1 suo felice Augusto.
La vaga fama alla famosa cerva
Le corna d'oro ancor figura e finge,
E le circonda di monile '1 colio ;
Ma dell' onor delle ramose coma,
E di questa nativa aKera pompa
La Natura privolle, avara madre:
E ne fu più cortese e larga a' cervi.
I quai le soglion rinnovar sovente :
E lasciando le vecchie a terra sparse
Dal proprio peso, onde son piene e dense.
Rifar le nuove alla superba fronte ;
E ciascun anno un lungo e nuovo ramo
Aggiunger pur delle ramose corna ;
Dalle quali anco germogliò ulvoita
L' edra seguace frondeggiando in alto.
Oh! meraviglia, onde Natura accrebbe
Vaghezza e pompa all'animai fugace,
Ch'è pur fugace, e paventoso e vile
In cosi altero e cosi fero aspetto ,
Armato di sue lunghe e inutili arme.
E '1 suo gran core, onde '1 formò Natura,
Non è d' orgoglio , o d'orgoglioso ardire.
Ma di vii tate e di timore albergo.
E in guisa pur di timidetu lepre
II suo liquido sangue appena ha fibre.
E quinci av>ienche non s'accoglie e strhi-
Tenace e saldo, ma simiglia il latte , [gè
Mal senza quaglio appreso,onde el trascor-
Ma talvolta d'amore acceso e punto, [re.
Nella sUgion, che 'ntepidiu '1 grembo
Apre la verde Terra, e '1 pigro gelo
Già si dilegua, e per disfatta neve
Corron turbati i rapidi torrenti ;
Risveglia'! cervo al cor guerriero ^irto;
E fa battaglia, e di ferire ardisce,
S' alcun per l'alu selva a caso Incontra.
Ed allora non pur le tigri e I lupi ,
E gU orsi informi e la dipinta lince
E'i cinghiai, che fregando al duro tronco
L'orride coste, di tenace fango
Fassl alle dure spaUe aspra lorica;
Ma cupida d' amor la fera madre
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LE SETTE GIORNATE
Erra, obbiiando i pargoletti Inermi,
Cbe non han fatt' ancor gli artigli e *1 Tello.
E 1 più timidi ancora in furia, e in foco
Sospinti son da stimoli pungenti.
Smisurato furor conduce e porta
Oltra il sonante Ascanioc 1 gioghi alpestri
D*lda sublime,' oltra 1* Eufrate e '1 Tauro
L'avide madri del guerriero armento.
Passano i monti, e gli alti fiumi a nuoto;
Fttggon tra sassi dirupati e scogli ,
E per Talli profonde, e non incontra ,
0 Sole, al nascer tuo, né 'ncontro ad Euro,
Ma Terso Borea e Cauro, e d*onde attrista
D'oscura pioggia i cieli il nubil Austro.
Quinci lento Teneno alfin distilla,
Ch'Ippomane chiamò la prisca lingua
Degli antichi pastori : e fu sovente
Scelto già dall' iniqua empia matrigna,
E con erbe maligne , e con parole
Non innocenti fu adoprato e misto.
Tanto potea l'amore e '1 dolce zelo
Di più tenera prole in fero petto :
Tanto ardente desio di nozze immonde ,
Che per natura si risveglia e 'nfiamma,
E negli orridi boschi ad aspra guerra
Move non pur le dispietate belve
Ma 1 duci ancor de' mansueti armenti
Pendon sospesi alla battaglia incerU
Che di piaghe e di sangue '1 petto irsuto
Lor empie e q)arge, e la fronte superba.
Le mute spose, e le cornute torme,
Df cui debban seguir l'audace Impero ,
E la vittoriosa altera scoru,
E non osan partir la fera zuffa
Meravigliando I lor maestri istessi.
E se r amor de'figIi,o quel che aggiunge
Insieme a generar cupida coppia.
Può tanto in cor ferino e 'n rigld'alma;
In quei che fa di sé vaghi e superbi'
Nostra ragione e '1 nostr' umano orgoglio ;
Quanto potrà? Qual meraviglia adunque
S* una e due volte , anzi tre volte e quattro
Per r istessa cagion s' accese ed arse
Dell' odio antica inestingulbU fiamma?
E l'Asia contra la superba Europa
Dì ferro e di furore armata in guerra.
Strage e mine e fieri incendj ardenti
Meschiando ne 'ngombrar la terra e l'onde?
Nel fido cane ancor (se dritto estimi)
Dove manca ragione '1 senso abbonda.
E quel eh* appena 1 più sublimi Ingegni,
Filosofando nell' antiche scuole ,
GoDobber degli acuti sillogismi ,
DEL MONDO CREATO. |$i
Mentre varie figure In varie guise
Tessean di lor con intricati nodi ;
Quell'istesso, dich'io, subito '1 cane
Per sua natura agevolmente apprende;
Perchè trovando le vestigia impresse
Della timida lepre , o pur del cervo ,
Arriva là , dove si fende e parte
Una strada in più strade, e 'ntorno a' primi
Principi delle vie s' avvolge e gira ,
Odorando 1 sentieri , o 1 passi sparsi :
E fra sé stesso in questa guisa intanto
Sembra sillogizzar : La vaga fera [corso,
0 'n quella parte , o 'n questa ha volto '1
0 per quest'altra almen s' indrizza e corre :
Ma non sen va per questo, o quel sentiero,
Dunque per questo calle 1 passi aflrctta.
Così conchiude argomentando '1 cane ;
E '1 pronto senso è di lung* arte in vece
Per cui rifiuta '1 falso , e trova '1 vero.
Né più ne ritrovar le varie sette ,
Scrivendo collo stile , o colla verga
Neir arena del lido , o 'n secca polve ,
Degli argomenti le diverse forme :
Due condennando , come false , a morte «
L'altra approvaro , in cui rimase impressa
La verità, che nel soffiar dell'Austro
Poi si cancella, o nel gonfiar dell' ondi.
E non s' avvede la superba mente
Degli orgogliosi e miseri mortali ,
Che 'n polve é scritta , ed in mhiuta arena
La verità che trova umano ingegno
Senza lume dlvhi che l'alme illustra :
Onde neir imbrunir d' un breve giorno
La si porta e disperde '1 mare e '1 turbo.
E bench' antica età si gloril e vanti
Di sacre note e di colonne eccelse ,
In cui descritte fur le nobil arti
In quel sacro a Mercurio adomo tempio :
E sian per fama ancora illustri e conte
L'altre colonne , in cui serbar credeva
Da' diluvi sicure , e dagl' incendj
Mill' antiche memorie a terra sparte ;
In queste e quelle , nel cangiar del tempo.
Non rimane di lor vestigio , o polve :
SI lunga notte 'utoItc 1 nomi e l'opre.
Ma contra '1 senso de' veloci cani
1 timidi animali han senso ed arte.
Onde sovente 1 lor vestigi Istessi
Sogllon guastar, perché la fuga occulta
Segno palese non discopra e mostri.
E conoscono ancora 1 venti e l' aure ,
Ond'è portato agli odoranti cani
D noto odor, che gli tradisce e j>erde«
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162
P(»1I SACRI.
G06Ì la Pmtridaixa In OBDl parte
Trapassa e giunge , ed ai fugace
De* paurosi dia talora intende «
B spesao lor concede ingiuata preda
AgU anlBMei , e U virtù ferina
Colie spoglie de* finti onora, e pasce
Pur di rapina le robuste forae.
Ha qua! memoria è si tenace e salda
Com' è queHa talor del fldo cane?
0 qual d'animo grato e di costante
Altri può meritar più chiara laude,
Se ardisce '1 fido can col fiero assalto
Scacciar empio ladren dal care albergo,
Vietando i ftirti al predalor notturno ?
Ed al pugnare ed al morire è pronto
GeU' amato signore, e per l'amato
Signore almeno, e conservarlo In fila ,
Sé stesso offrendo a giorlon morte?
Spesso innanzi al sublime altero seggio
De* giudici severi II tdo cane
Fu de' nocenti accusator, latrando.
E spesso '1 muto testimonio indegno
Non fu di fede, e cadde in gfusu parte
Sovra 1 reo la temuta orrida pena,
fai Antiochia già, come si narra,
In solilaria parte estinto giacque
Un uom, ch'un fedci cane avea compagno,
Neil* ora che tra 1 lume incerto e 1* ombra.
La queta notte dal sonoro giorno
Strepitosa divide, e desta alf opre
1 mortai fiitlcosi, e li richiama
Dalle fatiche al lor riposo amico.
E r ucdsor ch'ebbe mercede in guerra.
Era uomcrudel , di sangue e (fi corrucci ,
Che ai pensò celar la iera morte
Sotto l'osant) e tenebroso manto
Della caliginosa e fredda notte ;
B dal medesmo manto andò coperto
In più lontana e più sicura parte.
Glacea nelT atro sangue II corpo estinto
Squallido, immondo e pien di morte 1 voK
Spars* erelntorno a rimirarlo 1 Tolgo, [to;
B can , gemendo in lagrbnevoi suono,
Piangea del suo signor Porrìda morte.
Intanto quel che dell'iniquo fatto
Dianzi contaminato indi partissi.
Per non esser sospetto, e intiera fede
D* innocensa acquistarsi , Ivi con gli altri
A parlar dell' atroce, orribii caso
Facea ritome con sicura fronte r
(Tanta è la IraMie deV umano faigegno)
Entrando fai ^pncBa folu ampia corona 1
Del popol vario, assai pietoso in vista J
S' appresaavi a colui eh' andso giaofiie.
Alor cessando alquanto n fido cane
Dal lamentevoi genito dolente.
Prese della vendetta orribii amrf,
E preso 'I tenne eoa gii acuti denti;
fi mormorando il misera^ verso ,
Tutti converse fai doloroso pianto^
E fede el fatta alla mirabO provn
Solo 1 tenne fra molti e noe lasciol»^
Né raUentoUo da' teaad morsi.
Alfin turbato U reo del certo indlcks
Ritorcer in altrui la grave colpa
Non potea più deU' odio « «eHo sdegno,
E dell' ingiurioso e grave oltraggio ,
Nè'l sospeUo estirpar del proprio lallo
Neti* altrui mente infisso; e'nqnesuguiaa
Far vendetu potea , ma non dilesa
Da un quasi anito aocusator latrante,
E preso e vfaito e condannalo a morte.
Ma chi potrta le BMraviglie antiche
Narrar de' cani, e i rari illustri esempi?
E chi sepolti entro 1* Istessa tomba
Mostrarsi col signor? o 'n rogo ardente
Co* medesimi onor gli accesi ed arsi?
0 'n guerra pur tra folte schiere ed armi^
Celebrar la nativa invitta fede?
Chi da' tiranni , o da' nemici estinti
Oserà di sacrar sanguigne spoglie
Alla gloria de' cani ? e 'n viva pietra
Scolpirli?e'n lei segnar l'imprese e 1 nomi
DI que' Cimosi , che da lunga guerra,
E hmgo esilio trionfando insieme
Co' Adi amici , ritemaro alfine
Nell'alta patria che circonda 1 mare?
Seppelo ben la Grecia antica , e 1 vide ,
Che tant' Isole in seno inonda e chiudle.
Taccio ne' monti e nell'alpestre selve
Tante vittorie loro antiche e nuove.
Taccio i capi reeisi e 'n alto affissi,
E taccio di feroci orride behre
In guisa di trofei sospese spoglie.
Ma dove ancora Io voi tralascio addietro,
0 'n brevisshno dire astringo e premo ,
Destrier veloci , e portatori ithistri
De' cavalieri in ghMtosa guerra,
E 'n polveroso arringo e 'n largo campo ?
Degli onori compagni o del perìglio
Sete guerrieri voi, che mossi a prova
Ai chiaro soon della canora troml>a
Avete parte In sanguinosa preda ;
E 'n auree spoglie e 'n onorata palma.
E 'I vide già non pur r antica Pisa
Ne' vari giuochi , 0 *l celebrato Olimpo ,
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LE SETTE GlOlUf ATB
Mi Tebe e Troia, anzi gli spazi e i lustri,
Cih'ebi>er d'Olimpo misurato 1 nome,
E Maratona e Leotrìa, e posda ed ante
DcUa nobil FarsagUa i piani e i monti ,
Ore portando pria sui forte dorso
Nelle battaglie 1 cavalier novello,
Miracol novo e non yeduto mostro ,
Somigliaste '1 biforme alto Centauro.
Chi potrebbe di toì le-spogUe e i pregj
Narrar appieno, e le fatiche e 1 merti?
Voi spargeste non pur ncli* alte imprese
Gol piagato signore il largo sangue ;
Ma (se creder ciò lece] il largo pianto
Ancor versaste con affetto umano ,
Lagrimando sua dura acerba morte.
Voi parte in gran trionfo, e *n nobil tomba
Co' regi aveste, e con gli eroi vetusti,
E deste '1 nome alla città famosa
Sepolta, e serba ancor la fama e 1 grido.
B voi non di tridente , onde percossa
Partorisca la terra , altera prole
Poste, né vi formò terrena destra,
Mal'aJta voce del Signore eterno.
Più di tromba sonante , al nascer vostro
Principio die, pria che di terra in terra
La sua possente man formasse Adamo.
E questa che più chiara ognor rimbomba
Nella Natura ubbidiente ancella.
Di voi perpetua la progenie e 'l nome.
Ma quel guerrier in voi spirto superbo,
Ch'all'uom quasi vi fa d'onor congiunti,
Umilll coli' esempio li Re celeste.
Che fra ben mille olive , e mille palme
Premer degnò d' un asinelio '1 tergo;
E voi concesse a' gloriosi Augusti ,
A' magnanimi regi, a' duci Invitti:
In guisa tal, che l'alterezza e 1 fasto ,
Ed ogni altra mondana illustre pompa
AD* umiltà conceda 1 primi onori
Ed a queil*umil sofferenza e queta.
Ch'ai mansueto gli omeri prepara,
E nel presepio ha più sublime luogo ,
E più vicino al Regnator celeste ,
Che 'n del tra' favolosi e vani onori
Non ha 1 destriero, o sua fallace immago.
Ma qua! mi porta spaziando , e tarda.
Studio, o vaghezza oitra 'l prescritto girot
Torniamo a contemplar dell' opre estreme
Fatte da Dio la provvidenza e l'arte:
Che provvidenza fu, non sorte, o caso ,
Che dell'atroci, immansuete belve
Fé* la progenie indomita e superba.
Quasi infeconda, e la ristrinse in podil.
DEL MONDO CREATO. 163
Fece air Incontra fertile e feconda
De' timorosi la fugace prole.
Di cui suoi (arsi agevolmente in caccia
Larga e diversa preda. E quinci avviene
Che molti figli suol produrre al parto
La tlmidetu lepre ; a coppia a coppia
Gli partorisce la selvaggia capra.
E di gemelli ancor V agna silvestre
Suoi andar grave, e gcnerarl' insieme.
Perchè non manchi da vorace fera
Consumau la stirpe. E d' altra parte
La fiera leonessa appena è madre
D* un figlio sol , che '1 lacerato ventre
S' apre co' duri artigli ; e 'n quesU guisa,
Ancidendo la madre allorch'ei nasca.
Al nascer suo la sanguinoso *1 varco.
E la vipera ancor fiera mercede
Rende alla genitrice, e fuor se n'esce
Rodendo l'alvo alla pregnante serpe.
Se di vari animali ancor rimiri
Le varie parti , a te non fia nascoso
li magistero del Fattore etemo.
Che nulla fece In lor soverchio, o manco^
Perchè volle adattare acuti denti ,
E quind e quindi alle ferod belve.
Divoratrici di sanguigno pasto.
Ma d' una parte sola armano 1 denti
Quelle , eh' han vario dbo e vari pascb
Ne' verdi prati ; e 'I ruminar concesse
Alle innocenti in oziosa vita.
E le gole e le pelli e i ventri e i aeni,
E le reti coli' altre incerte parti.
Ove s'accoglie, onde trapassa '1 dbo.
Onde nutrisce le diverse membra
Il puro e leve, e l'altro impuro e grave
Poi ritrova all' uscire aperto '1 varco.
Non son vani arUfid , o fatti iodamo ,
Ma necessari ; e di dascuno appare
E r uso , e '1 prò, per cui mantiensi in vita
0 breve , o lunga , l' animai terrestre.
Del cammdlo aflricano è lungo '1 collo
In guisa tal, eh' a* piedi egli s'adegua;
E ^unge all'erbe ove si pasce e vive.
Quasi alle spalle 'l breve collo Umesta
L'orsa e '1 leone e la vorace tigre,
E gli altri tali che di frutto e d'erba
Non hanno '1 caro nutilmento usato
Né son costretti d' Inchinarsi a terra.
Ma sol vlvon di sangue e di rapina.
A qual uso è prodotto , e che ricerca
Qud de' grandi defanti orrlbil naso ,
Che probosdde ancor l' Italia appella ?
Ad animai si grande e quasi vasto ,
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164 POEMI
Che di grandezza ogni terrena avanza
Bestia superba , e gli fu dato ad arte ,
Percliè dar possa altrui tema e spavento.
Quasi di collo ancor roflicio adempie; [gjia
Perocché breve ha 'l collo, e nonTaggua-
A' piedi , e se l' avesse ancor più lungo ,
Mal sostener potria la mole e H pondo.
Però coi naso ci si prov\ede , e prende
Col naso '1 cibo, e *n guisa è cavo a dentro
L'estranio naso, che raccoglie e serva
Nel voto suo del radunato umore
I quasi laghi , onde la sete estingua.
Di fiume 'n guisa poi gì* irriga e sparge.
Come lucido fonte in bianco marmo
Scolpito da maestra e dotta mano.
E d* urna in vece effigiata belva
Con estranee sembianze orrida in atto ,
La qual dal naso, o dall'aperta bocca,
O d'altra parte d'acque infonde eversa
I larghi rivi, e *1 suol n'asperge intorno.
Cosi la smisurata indica fera
Del pria raccolto umor fa larga copia
Mirabilmente , onde '1 suo naso assembra
Fontana, di Natura emula e d'Arte.
Ma coir istesso naso ancor sovente
Suol far l'officio di pieghe voi mano:
In tante guise egli 'l ritorce e stende.
E coi medesmo ancor placido e queto
Ed innocente, ei suol passar per mezzo
Le mansuete e semplicette gregge.
Senza nolar le pecorelle umili ,
Che g^i cedono '1 passo e quinci e quindi.
Ma l più feroci impetuoso afferra,
E leva in aria, e poi gli sparge a forza,
Precipitando orribilmente a terra.
Cosi gran sasso ancor levato in alto
Da macchina, talor mina a basso
Da lei sospinto, o dal suo proprio pondo.
Ma come il collo e la cervice è breve ,
Altramente saria soverchio peso
Del vasto corpo, che s'appoggia e ferma
Sovra i suo' mal composti e rozzi piedi ,
Che non mostran giuntura, onde distinti
Sieno, e le gambe son di trave in vece,
O di colonne alla gravosa mole.
E in guisa d'uomo ei sol l' incurva e piega,
Mentr'egli siede, masi volge e pende
Sempre o sul manco lato, o pursul destro;
Perchè impedito dal soverchio pondo ,
Sovr' entrambi non può star dritto e pari.
Però si vede ognor pendente e chino
Neil' un de' lati allorché siede e posa.
Anzi delle ginocchia ei sol ripiega
SACRL
Le deretane, e l' uomo in ciò somiglia ;
L'altre rigide stansi, e dure e salde.
Onde s'appoggia ad un selvaggio tronco
D'orrida pianta : ivi riposa e dorme
Un suo duro , profondo e pigro sonno.
Ma la pianta si piega ai peso e frange ;
Talvolta ancora ella è recisa e tronca
Dal cacciator, che de' suo' lunghi denti
Cerca l'avorio; eh' è si cara merce,
Onde si faccia poi mlrabllopra,
E di barbara man raro lavoro.
Cade al cader del suo rotto sostegno
La fera belva rulnosa a basso ;
Com* edifìcio , die di scossa terra
11 moto crolla, e vacillando adegua
Al suol, eh' è di ruina ingombro e sparso.
Né potcnd'ella più levarsi in alto,
E dal gemito suo tradita a morte.
Che gli passa coli' arme '1 molle ventre.
Né potean penetrar l' Irsuto dorso
(>>n lance e strali, e l'altre estreme parti
Dell'elefante che si lagna e more.
Ma so\Ta le sue grosse , orride spalle
Ei suol portare in perigliosa guerra
Torre, che grave appar d' armata gente.
E portando il gran peso ei tutto atterra
Ciò che rincontra, e par volubil monte*
Od animata rocca '1 fiero mostro;
Onde solean già gli Affricanl e gl'Indi
Perturbar le nemiche avverse schiere,
E r armi sanguinose a terra sparse
Calcar sovente, e l'abbattute squadre.
Questa gran fera se non more, o cade
In lagrimesa guerra, o 'n fera caccia,
Anni trecento vive ; e senso e spirto
Ha di pietà : talché devota adora
L'algente Luna, che le notti illustra.
Un'altra fera è là nel freddo clima.
Dove l'Orsa del cielo! fiumi agghiaccia.
Né di pietà , né di grandezza eguale.
La qual pensando alla futura fame
Conserva fa del divorato pasto
In un proprio e nativo e largo vase.
Ove '1 ripone al maggior uopo, e '1 serba :
Trattonel poscia, indi si ciba e pasce.
Cosi di cibo l' un , d'umore e d' onda
Provvido l'altro, non patisce inopia ,
In guisa di città ch'assedio e guerra
Aspetu, e 'ntanto si provvede ed empie
Di ciò eh' al vitto uom chiede, i cari alber-
E i larghi vasi e le profonde fosse. [ghl.
Ma pur quest' animai si fero e grande,
Cui Roma vide trionfante e lieta ,
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LE SETTE GIORNATE
Quando Leon sedeanell'alu sede, [guisa
Domato ali* uom soggiace. E 'n questa
Volle mustrar Iddio , che In lutto Tece
I feroci animali all' uom soggetti;
All' uom sua vi?a e sua diletta immago ;
Air uom che 'n guisa d' immortale erede
Delle cose dirlne elegge e chiama
AIl*alta gloria del celeste regno.
E non sol lece contemplar mirando
Negli animali più feroci e grandi «
Quella diTina proYvidenza ed arte.
Che ne' piccioli ancora ella si mostra:
Siccom' ancor non men dell'alto monte,
Che vicino alle nubi al del s* Innalza ;
Mirabil sembra la profonda valle ,
Dove si schivi '1 fero orgoglio e l'Ira
De' venti , usati a ricercar mai sempre
L' eccelse parti ; e si ricovra e scampa
lo queta parte , e sott' un puro cielo ,
Che 'n sé conserva tepido e sereno.
All'elefante, eh' è si fiero e grande,
Spavento dà con paurosa vista
(Cfai '1 crederebbe?) il vile e picclol topo.
Lo scorpio ancora orrido pare a' grandi.
D'arme pungenti e di veneno armato.
Ma non però la temeraria lingua
n suo veneno in Dio rivolga e versi ;
Né gli dia colpa che '1 serpente e 1 drago
Egli facesse ; e '1 verme e '1 picclol angue ,
Che lunge saettando amaro tosco,
Andde l' uom con dolorosa morte.
Cbè 'n questa guisa ancor s'accusa '1 Ma-
Se dalla temeraria età proterva, [stro.
Che ribellando alla ragion contrasta.
Temer si fa colla severa sferza ,
E con dure percosse e dure plaghe;
E 1 medico In tal modo ancor s' incolpa,
Ch' indi ricerca medicina a' mali.
Tu, se confidi In Dio, securo ascendi
II basilisco venenoso e l' aspe,
E '1 leone e '1 dragon sopprìmi e calca;
Che sopporranno al pie sicuro e giusto,
La domita cervice e '1 collo a forza.
E di Paolo l' affidi '1 chiaro esemplo.
Alla cui santa invlolabll destra
(Menir'ei disceso nell'apriche rive
DI Malta, raccogllea materia al foco )
La vipera non die tormento o morte :
Né quel che di leggier s' appiglia e serpe.
Tosco micidiale a lui s' apprese :
Tanto la grazia può d' alma innocente.
Ma debb' io far noiosa e fera Istoria
DI vipere crudeli e di ceraste?
DEL MONDO CREATO. IBS
D' Idre, che di colubri un folto vallo
Sibilando si fan d' intorno al collo
Ceruleo e gonfio, ed all' orribil testa?
Opur d'aspidi sordi al forte carme?
0 di fare, di ceneri e di chelidri?
D' alfasi algente, o del serpente acceso.
Che dardo sembra ? e come dardo 11 tosco,
Uccisor de' mortali, avventa e lancia?
0 pur di te, che più famosa palma
Fra le pesti affricane ancor l' acquisti
Nocendo altrui ? Né solo spirto e l' alma.
Ma '1 cadavero istesso a morte involi
Anzi 'l rapisci e gllel consumi a forza?
Come'l plttor che delie membra estinte
Il pallor, lo squallor dipinge, ed orna
DI colori di morte esangue aspetto.
Parte ci aggiunge orride fere e mostri
Spaventosi, e gli fa sembianti al vero :
Ma dove '1 vero di spavento ingombra ,
Delle finte sembianze il falso inganno
Altrui diletta, e '1 magistero adomo ;
Così con questi miei colori e lumi
Di poetico stil , con queste insieme
Ombre di poesia, terribll forme
Fingo, e fingendo di piacer m' Ingegno
Agii alti ingegni , e dal profondo orrore
Trar quel diletto, che i più saggi appaghi.
Ma pure ischi vo altrui fastidio e scherno,
E per questa di fere e di serpenti
Arida, adusta e spaventos' arena
Più non mi spazio, ed a più lieti obbietti.
Quasi nuovo Caton, mirando lo varco.
Ma 1 frettolosi passi anco ritarda
Larga schiera di strani orridi mostri ,
E di vari animai volanti a stuolo,
Che da putride membra estinto corpo
Produsse, o senza seme, e senza padre
L' antica madre ancor produce, e figlia
Dal riscaldato, e 'nslcme umido grembo.
E queste innumerablll e vaganti
Danno anzi noia, che terrore o doglia.
Quante, oh! quante ne veggio in nubi, o'q
ombra
Volarmi in tomo ed oscurarne '1 cielo! [bra?
Ha chi gli scaccia in trapassando e sgom-
11 tuo lume gli scaccia, o Padre etemo,
Ch'Io chiedo a te, dove dal Santo 11 Santo
Par che discordi, e sia contrario in parte.
Se tu Dio fosti creator di mosche.
Io, quanto lece per ragione umana,
Ch' al tuo lume divin l' illustri o 'nformì.
Oso affermar che tu creasti allora
In lor perfetu età maturi I parti;
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tu POEMI
Di piaste e d' anlfliai perfette uicire
Nel bel pMse della chiara luce
Alla alu voce del tuo santo iBq[>ero.
E non fu akuaa tralasciata addietro
Delle selvagge ed lafeoondc piante,
O pur delle feconde; e gii nascendo
Sin dal principio erano adorne e gravi
Di sue frondi ciascuna, e de' soni fruttL
E non com* oggi avviene, oggi a vicenda,
Mentre sue volte ogni stagione alterna,
Son generate, e non gii tutte insieme.
Prima '1 fecondo seme è sparso in terra,
0 pur la stirpe In suol profondo aiBssa,
E poi nascer vegglam le piante e 1* erba,
Ed avaniar crescendo, e d* una parte
Le radici mandar sotterra a dentro
Di fondamenti In guisa, e d* altro lato
Verso '1 delo innaUarc '1 tronco e i rami ;
E poscia germogliar le frondec i fiorL
Ultimo nasce 'l fratto, e 'ncbino ei pendei
Ma non maturo, uè perfetto ancora.
Appoco appoco d si trasmuta, e cangia
Molli vari sembianti e molte forme.
Prima minuto è si che gli occhi tt*fflin"^^
E quasi dalla vista egli s' Invola,
E rassomiglia gli atomi volanti.
Che d appaion del Sole a* chiarì raggL
Dappoi nutrito dell' umor terrestre.
Ed irrigato da rugiade ed aure.
Si nutre e cresce, e si colora e thige
Come opra d fusse di piuore illustre.
Ma quando Dio creò di nuovo '1 mondo.
Tutte le selve di frondose piante
Perfette egli produsse, e I ddd frutti
Tra' rami si vedean, non mica acerbi.
Quasi appena cominci, anzi maturi
Faceano invito a' non ancor prodotti
Animali, e dovean la fame e '1 gusto
Lusingar tosto alle dolcezze ignote.
Gravida ancora, a quel sovrano impero.
La Terra partorì la stirpe e l' erbe
E i dold frutti, in cui virtù nativa
Era nascosa di fecondo germe,
E di seme immortai, che quasi etemo
Dovea poi rinnovar le cose estinte.
E gli animali poi creali insieme
VesUU fur delle lorpeUi irsute,
0 dì candida, molle e pura lana ;
0 di sue coma e di pungenti artigli
Ciascun apparve immantinente armato
Neil' eU sua perfetu e gii matura.
Né della prima Infanzia allor conobbe [bra.
Alcuno il tempo e 'a non cresdute mem-
SAGRL
Anzi questa gran mole ancor novella.
Questo grande, dich' io, mirabii mondo
Non conobbe l' infanzia, e tutt' insieme
Perfetto apparve, e nell' aspetto adorno.
Ma non fur opre tue gli orridi mostrìt
Opre tue non fur già. Maestro e Padre
Della Natura, ma sol vlrìo e colpa
Della materia a dismisura ingiusta.
Ch'or ha difetto,or nel soverchio abbonda.
E s'addivien giammai che 'I maschio i
Debole, e raro sia dal veglio stanco,
0 sparso dal fanciul, né vincer possa
Con quella sua virtù, che 'nforma e i
Ne' chiostri occulti del femmineo ventre
L' indigesta materia umida, e 'nforme;
Femmina nasce, e eh' ella nasca è d' uopo :
E se non caro, è necessario 11 parto.
Ma d* uopo non è già cbe sia prodotto
Orrido mostro al mondo, e non d nasce
Per grazioso fin, ma grazia, o fine
Non ha nascendo : e la materia invitta,
E ribellante alla miglior natura.
Ch'ai meglio è sempre in operando intenta,
È impossente cagion dd nato mostro.
Ma la materia vinta, e non ribella,
Né 'n contender ritrosa accoglie 'n grembo
Le forme obbediente, e quind nasce
Maschio '1 figliuolo, e di bellezze adorno,
E di fattezze al genitor sembiante.
E chiunque traligna, al proprio padre.
Ed alla stirpe de' maggiori antica
Dissimll fatto, é quasi al mondo un mostro.
E spesso avvien eh' egli traligni in guisa.
Degenerando da progenie illustre.
Che dall' umanità quasi é diverso;
Ned uomo é più ; ma d' odioso aspetto
Del male sparso e mal concetto seme
Un mal nato animai ci nasce e vive,
Ch' é detto mostro; e la natura istessa
Lo scili va ed odia, e disdegnando abborre.
E già, come divolga antica Istoria,
Con testa di monton nacque un fanduUOt
E con testa di bue poi l' altro apparse.
Ed un vitello ancora ebbe nascendo
11 capo di fanciul : l' ebbe di toro
Un' umil pecorella e mansueta.
Bla chi non sa la mostmosa foma
Della chimera? in cui la capra aggiunta
Era al leone, e 1 leon giunto al drago t
E chi non sa siccome accoppia e metoe
L' istessa fama alla giumenta n grifo
Là fra le nevi d' iperborei monti,
0 de* Rlfei, dov' d difende e giumdt
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LE SETTE GIORNATE
L' or ai Inaiato da' aortali enaDti ?
E forme sono ancora illusUi e conte
Quelle che iigurò V antico Egiuo,
O r Affrica arenosa : e questa aiBsse
Ali* uom di bue la spaventosa fronte,
E col Tel ricoprì V altere coma
Giove ancor, nominando *1 falso Nume;
Ed adoroUo in suo famoso tempio,
Ch* un tempestoso mar d' arene intorno
Cinger solea ne' solitari campi.
Quel con laoda di cane altrui dipinse,
O pur impresse '1 suo latrante Anubi,
Oltra mill' altri idoli suoi bugiardi.
E la Giudea dall' aflricano inganno
Non le' diverso il simulacro, o '1 mostro
Quando a Moloc i sacrifici offerse.
Ed a questo fallace e vano errore
Origin prima die Natura errando
Oltra 1 suo fin nel mostruoso parto.
Suol partorir ancor di molte membra
Confusi I mostri, e sul medesmo busto
Molte giunger insieme orride teste,
O molti pie sopporre al corpo istesso.
E quinci preso ardir la fama audace
Briareo fece, ed Egeon gigante,
E gli armò cento mani e cento braccia.
E di corone ancora ornò la fronte
Di Gerlone, e nell'antica Spagna
GoUocollo in sublime ed alta sede;
Ha in quesu guisa forse ella dipinse
L'anima umana, imperiosa, altera.
In cui son tre potenze insieme aggiunte.
Or, lasciando da parte occulti sensi,
E di favole antiche ombre, o misteri ,
Onde sua luce al vero ancor s'adombra:
Simiglìante cagion produce i mostri ,
E d'offeso anima] confonde e guasta
Mentr'al materno sen tenere membra,
O sia difetto di confuso seme,
0 di mj^ria pur maligna colpa,
E Tizio innato : e ciò più spesso incontra
In quei, che fan sì numeroso il parto.
Tal è del gallo la pennuta madre,
E tale ancor la semplice colomba ,
In cui figli talor confuse e miste
Ehber le membra : e con due teste ancora
Fu gii veduto un orrido serpente.
Ed al buon servo di Gesù diletto
In quei sogno divin con sette apparse
L'estranea belva, a cui lasciva donna
Premendo assisa alteramente '1 teigo.
Attrasse i regi agl'impudici amori.
Con KUe è telo r animai di Lema,
DEL MONDO CREATO. i$j
Orrida peste; e rinascenti al Cerro
Fur creduti que'capi , e 'ndamo tronchL
Tralascio alfin dell'animai rinchiuso
Nel laberinto la dubbiosa forma.
E tralascio di Sfingi e di CenUuri ;
Di PoUfemo e di Qdopi appresso.
Di SaUri, di Fauni e di SUvani,
Di Pani e d'Egipani e d'altri erranti;
Ch'empier le solitarie inculte selve
D'antiche maraviglie , e queir accolto
Esercito di Bacco in Oriente,
Ond' egli rinse è trionfò degl'Indi,
Tornando glorioso a' greci lidi,
Siccom'è favoloso antico grido.
E lascio gH Arìmaspì , e quei ch'ai Soie
Si fan col pie giacendo e schermo ed om-
E 1 Pigmei favolosi in lunga guerra [bni;
Colle gru rimarransi , e quanto unquanco
Dipinse 'n carta l'Affrica iNigiarda.
Perchè vero non è che mai prodotti
Fosser sì mostruosi , e vari aspetti
Dalla Natura. E s'è pur vero in parte.
Dio non produsse allor creando i mostri;
Perocché '1 mostro è quello, in cui s'incoi-
DifeUo di materia, o pur soverchio, [pa
Ond' ai suo genitor dissimll nasce;
Ma rade volte : e 'n odiosa vista
E di Natura vergognoso scorno :
0 pur è segno, onde '1 gran Re superno
Sgomenta gli egri e i miseri mortali ,
E minaccia la pena e morte e scempio.
Non fece allor creando il Padre eterno
1 muli , o pur le mule : e quella e queste
Illegittima prole e dubbio parto
Fur poscia d' animai, eh' aggiunse 'nsieoie
Desio sfrenato di natura : e nacque
D'asino '1 forte mulo e di giumenta :
E di pronto destrier veloce al corso
La mula, ma di pigra e tarda madre;
E somigliando '1 generoso padre
Corse talvolta nell'Olimpo a prova,
E riportò correndo '1 caro pregio.
Ed or si gloria di portar sul dosso
Sacri , purpurei padri in Vaticano
In dì festo ed altero e nobil pompa :
E incontra move a messaggieri eletti
Degli alti regi e de' famosi Augusti.
Nacque talvolta del destrier corrente
Il mulo ancora, e l'asina si vanta
Pur anco di veloce e nobil nudre;
Ma l'uno sparge non fecondo '1 seme,
L' altro l'accoglie in non fecondo ventre :
Però nascer non suol del mulo U mulo.
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168 POEMI
Come daU* an TeggiaDi nascer sorente
L'altro cavallo, e nel guerriero anncnto
Succeder generoso al padre il figlio.
E la cagion di dò Tarla s* adduce.
A' corrotti meati il cieco veglio
La reca; quel dich'io per fama illustre,
Ch* al vaneggiar de* miseri mortali ,
Rider soleva; e le sciagure e i danni
Del suo dotto ei degnò continuo rìso.
Ma quel che si lanciò nel foco ardente
D* Etna sublime, e U sua viu (ahi foUe!)
Volle finir nella fumante fiamma.
Giudicò poi che mal s* apprenda Insieme
Il liquido col liquido commisto ;
E si mescoli mc^io '1 molle e '1 denso.
Come addivlen a chi fonde, e disface
I metalli diversi e lor confonde.
Che lo sugno e Fargento in un condensa.
Altri di più sublime e chiaro ingegno.
Che fu maestro di color che sanno,
Qnant' in mille sue scole insegnaci mondo,
Della steriliti piuttosto assegna
La più vera cagione al freddo seme.
Perch' è fredd* animale, e pigro e Urdo
L* asino, e *ntollerante al freddo verno.
Però di Sclzia nel gelato dima
Ei non ci nasce fra le nevi e il gelo ;
Benché tra* Franchi ei nasca, e fra* Brìtan-
E dell* asino nato è freddo il mulo, {ni.
Però sembiante al padre il freddo seme
II figlio non produce in freddo grembo;
Ma s* addita talor per raro mostro.
Meravigliando, della mula il parto.
E *1 mulo ancor, quando selt' anni ei coni-
Si mesce alla giumenta, ed ella espone [pie
Nuovo portito del mirabil figlio.
Ma dove ardente Sol la Siria accende
Sovra Fenicia gii ne' tempi antichi
Solean le mule partorir sovente,
E* de muli nasce an sembianti 1 muli :
Talché passò negli ultimi nipoti
La memoria degli avi , e lungo tempo
La bastarda progenie 'n pregio fue.
Or mancata é la stirpe , e spento *1 nome
Tra* nuovi Siriani e tra* Fcnid ,
Né vantar se ne può Sidone , o Tiro.
Nascer soleva ancor ne* primi tempi
Di cavallo e di cervo il figlio misto.
Che prendeva Tonor di lunga chioma,
E di vaghe ramose altere coma
D* entrambol suo* parenti insieme aggiun-
Illegittimo si , ma bello e grande [ti :
Mlrabll figlio, e leve e pretto al corso.
SACRL
! E poi crescendo gli pendeva al mento,
' Pur come barba fosse, il lungo vello.
Fra gli AiaceU gii 1* antiche selve
Libera già pascendo errante fera ,
Dove pascer solcano i buoi sdvaò(i •
Con muso adunco, e con ritorte coma ,
Con nero pelo, e con robuste membra.
Or non so chi la veggia , o dove appaia.
Benché ne* diml algenti , orridi boschi
Sogliano anco nutrire 1 buoi sUvestrì ,
E sian fra noi famosi e gli uri e Talee.
Ma del cavallo e del corrente cervo
Par che non sia più noto *1 misto figlio;
Né *1 feroce destrier si giunge al pardo
In guisa tal che ne veggiamo *l figlio.
Siccome 11 rimirò Tetà vetusta :
Tanto Tonor della bastarda prole
Manca, volgendo gli anni, e *1 nome e *1 grì-
Equest*awien, perché fatture ed opre [do:
Non fur di quel celeste etemo Fabbro,
li qual perpetue fé* le varie stirpi
Degli animali , e le rinnova e serba.
Mancate son ancor l'estranee e miste
Forme confuse d'animai ferod.
Che press* a' fiumi accoppia Affrica adusta,
D'orribil vaniti fiera e superba,
0 van mancando : che serbarsi In vita
Lungamente non può di vario seme
La progenie illegittima ed inceru.
Sol legittima stirpe é quasi etema.
Siccome piacque al suo Fattor , creando.
Ma gii vidno all'alta e nobil meta,
A cui lasso cursor m* affretto e corro,
Del bonaso m*av>-eggio, e dell'Iena
Lasdata addietro, e dell' orribll fera.
Che r ossa umane trae d' oscura tomba,
E la voce dell' uomo assembra e finge.
Veggio *1 rinoceronte adunco '1 naso,
E veggio te , che d'un bel corno altero.
Purghi del tosco le turbate fronti.
Veggio che fra le nevi e l'alto ghiaccio
Il rangifero, occulto al nostro mondo.
Porta correndo le velod rote.
Veggio miir altri, e nell'algente Zona,
E'n quella che più ferve e più s'infiamma.
Qui non visti animai , ma chiari e conti
Per lungo grido di perpetua fama.
Ma però non ritardo '1 lento corso.
Gii stanco e grave, e li m* appresso e
giungo,
Dove tra le fiorite ombrose piante ,
E tra mille vaghezze e mille odori ,
L' uoffi creato da Dìo m* aspetta e chiama.
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LE SETTE GIORNATE
Quale esperto figliuol , che'o festa e 'n
Spaziò per città calcata, e piena [pompa
Delia minuta errante e bassa plebe;
Se Tede alfine in più sublime parte
Del caro padre *1 venerato aspetto.
Là dov' adorno di lontan rispiende
Un re possente di corone e d'ostro;
Sdegna la Tarla turba , e l'umil volgo,
E là ricovra , ove l' alfida e 'nvita
Presso all'altera maesude augusta
Del genitore antico il lieto cenno,
0 pur l'imperiosa e nota voce :
Tal per questo creato, adomo mondo,
Cb'è città di mortali e d'immortali
Grande e sublime , in cui perpetue leggi
Son prefisse ab etemo al viver nostro.
Por dianzi io m' avvolgea bramoso e vago
Di tante meraviglie, a parte a parte
Tutte cercando , e rimirando intorno :
Onde fermai talvolu i tardi passi
Fra gli animai , che son l' ignobll volgo.
Or che mi s* offre in venerabli fronte
Nel Paradiso il Genitor vetusto
Non diviso anco dal suo Re sublime,
Obbllando tutt' altro, a lui mi volgo,
Ed odo voce che nel cor rimbomba.
Non già da statua del bugiardo Apollo,
0 da ruvida quercia o da spelonca.
Né d'Idolo scolpito in legno o in marmi.
Ma sin dal Cielo, e ben celeste assembra :
Uom, conosci te stesso, o santa scorta.
Che per questo sentiero a Dio conduci.
Perchè la nostra mente a Dio s'indahca
Sovra sé stessa e lui conosce e 'ntende.
Né contemplando i bei stellanti chiostri ,
E '1 gran giro del Sol , che tutto illustra,
Co^ possiam nell' invisibil luce
Conoscer U gran Dio che fece '1 mondo ;
Come dal contemplar la nostra mente
A conoscer la sua leviamo in alto
L'ali del pronto e fervido pensiero.
Che non si ferma negli umani obbietti.
Ma qual luce degli occhi , ove si giri ,
Ore si fermi, ivi rimira e scorge
Prati , selve , campagne e mari e fiumi.
Aspri monti , erti poggi ed ime valli :
Pur non vede sé stessa ; e 'n chiaro speglio
Sol di sé può veder la vera Immago :
Tal mente umana , che tutt' altro intende.
Quanto di fuor di lei dipinge ed orna
La mano e l'arte del gran Mastro eterno ;
Non Intende sé stessa, e non conosce
Quel eh' ella sia , se non s' Illustra al Sole
DEL MONDO CREATO. 169
Di verità , quasi cristallo ardente :
Ed illustrata non rimira , e guarda
Come in ispeglio pur la propria forma,
E quel Signor, che della propria immago
La fece adoma , e di beltà sembiante.
S' ella adunque é di macchie orride asper*
Tergasi, e puro in sé raccoglia '1 raggio [sa.
Delia Divinità, che 'n lei fiammeggia.
Poich'ebbe fatti gli animai terrestri,
L' opre sue buone Dio conobbe , e disse :
Facdam noi l'uom, com'è la nostra Imma-
Simil a noi. Fece la Terra e '1 Cielo, [go.
Pur dianzi e *1 Sole e gli stellanti chiostri;
Né chiese aiuto, o dimandò consiglio ,
Ed or creando l'uomo ei si consiglia ;
Tanta opra fu ! Giudeo protervo ed empio^
Odi la voce del Signor, che parla.
Ed a chi parla? a sé mcdesmoe seco.
Tu , che di verità sol vedi '1 lume.
Siccome per finestra acceso raggio ,
Ritroso e rìbellaiìte ancor repugni?
Né tre varie persone In Dio conosci ,
Quasi sotto un bel velo a noi dimoslre?
Qual sollecito mai notturno fabbro,
0 qual maestro di men nobil arte,
Solo sedendo fra* suo' propri ordigni.
Là dove nlun altro insieme adopra.
Dice a sé stesso , e sé medesmo affretta
Con importuno e frettoloso impero:
Facciam la spada , o pur l'adunca falce
Facclamolmmantinente,o'lcurvoaratro?
Ciance son quélte, anzi calunnie espresse
DI falsa lingua alle menzogne avvezza;
E s'infinge '1 Giudeo, mentre figura
A sé medesmo pur mentite larve.
E come orride belve all'uomo infeste.
In angusta prigion ristrette e chiuse.
Non potend* adempir l'ardente rabbia.
Fremono in quel serraglio, e'n fero suono
Dimostran l'amaror deli' Ira accolto ,
E la natia lor ferìtate interna :
Cosi gii Ebrei sospinti a passi angusti
Osano d'affermar che '1 Padre eterno
Con gli Angeli ragioni in questa guisa.
Con gli Angeli, che stanno a lui d'intorno ;
E gli Angeli ministri all' opre Inviti.
Quasi egli chiami del consiglio a parte
I servi suoi, che sono ail'uom conserti,
E gli faccia signori in sì grand' opra.
In cui l'uomo è creato a Dio sembiante.
Qual magistero al suo maestro eguale
Esser potrebbe? oh sorda e cieca mente«
Oh sciocchezza e follia d'alma profana I
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170 POEBU
Molli seni raccorre « e fargli degni
DI tant* officio, e rifiutare *! Figlio?
Pensa a quel che poi segue: A nostra Immi-
L'uom facciam. Forse unlmmagin sola [go
Ha con gli Angeli Dio? come una forma
ktessa è necessaria al Padre e al Figlio?
Ma nell* uomo, ed In Dio r alta sembianza
Non è figura, o qualità del corpo,
Ma solo è proprio aDa divina mente
L'immago, onde V umana ancor sMnforma
E 'n tre potenze interne Iddio figura.
Perchè siccome Dio sé stesso intende ,
E sé stesso intendendo, ama sé stesso ;
E quinci nasce V Intelletto etemo ;
Ed* ambo quinci e quindi etemo Amore
Spira ; e tre lumi sono, e non tre Dei ,
lui tre persone in un sol Dio congiunte ;
Così la nostra mente io noi produce
La coloniale, e la memoria appresso
Di questa, e quella si figura e forma:
Io guisa tal, die la natura umana,
Bencir una sia da tre virtù distìnta.
In sé dimostra la diviua immago.
Ed in sé stessa Dio conosce ed ama.
Fece ancor somigliante il Padre eterno
L* anima e la ragion, eli* è i* uomo esterno
A sé medesmo , di* é divino amore.
E dell'esterno Adam vestilo intorno,
U tenne occulto » e ricoperto a* sensi.
E si perdi* egli è buono e saggio e giusto,
Pietoso e forte in tollerar gii oltraggi ,
Lunga staglon ne soffre, e non s* affretta
A vendicarsi ; e poi si placa e molce.
Tale ei creò i*uom primo, e 'l feo sembiante
Nel puro amor, eh' è la virtù primiera ,
E d*ogm altra virtù divina e sacra
Impresse In lui mirabilmente i segni.
Come *i pittore alia sua l>ella iounago
Col suo leggiadro sili colori e lumi
Vari, e diversi ognora aggiunge e sparge;
Ed ombreggiando anco le va d'inioroo.
Sin eh* è perfetta la figura e 1* arte ;
Cosi *i Pittor di nostra umana mente
Colorò Tahiia e de* suo* raggi Illustre
TMU la fece, e dd color distinto [lumi.
Sempre accrescendo a lei splendori e
E come lo scultore al bianco
Col doro ferro, e toglie sempre, e
Quel eh* è soverchio, e daU* iodsa pietra
Spira alfin quasi \iva e vera forma;
Cosi togliendo alla materia *1 Fabbro
Odia nalwa glorioso , eterno,
fiadch'avea di più doro e di terrestre, I
SACRI.
L* uman sembianle in viva terra i
Talché divenne l'uom seml>lanle 1
Deffa DiviniU, che *n Dio rìspleide.
Ma quel colori, e la mirabll luce
D'altri falsi colorì asperge e myyMf
La progenie, di*ognor traligna, e perde
Le sue prime sembianze e tutto adombra.
Talché Dio non somiglia, e quasi Msciahra
Pittura tinu col pennd d* Avemo;
Ed affumata in Flegetonte o in Lde,
La nostra umaniUi macchiaU e lorda.
Dunque in sé stesso l*uomo ornai eooosca
Contaminate le divine forme.
E mentre può, si ripulisca e terga, [corpe;
E sempre all' alma aggiunga, e togUa al
Perché simll si veggia al primo esempio,
E Tuom figliuolo al Re del Od si mostri,
E degno erede dd celeste Regno.
Poi benedisse Dio la cara hnms^
Di sé, da sé creata, e disse appreso:
Crescete In numerosa e bella prole :
Riempite la terra , e lei soggetu
Fate ali* arbitrio vostro, al vostro Impero.
Signoreggiate in mar gli umidi pesci,
E ne' campi dell'aria i vaghi augelli,
E qualunque animai si move in terra.
Soggetto sia non meno al vostro regno.
In questa guisa tu creato appena,
Uom, creato re fosti, e l'alto impero,
E la sublime potestatc impressa
Nou ti fu data in secco o fragil legno,
0 nelle pieghe pur di breve carta ,
Perché la rodaalfìn putrido venne:
Ma la Natura scritta in sé rìscrba
L'alta voce divina, e 'i chiaro suono.
Comandi, e '1 ualurale e giusto impero
In terra estenda, e dcntr'al mar sonante,
E nel sublime ancor deli' aria vaga.
Imperioso tu nascesti in prima ;
Or perché dunque servi a' propri afletti ,
E la tua dignità disprezzi e perdi ,
Ligio ornai fauo dd peccato e ser>o?
Perché te stesso prlgionier cattivo
Fai di Satanno, in sue catene avvolto.
Se gii nascendo sei prìndpe detto
Delle cose creale, e re terrestre?
Perché , quasi gettando , a terra spargi
Quel eh' ha nostra natura In sé più degno
Di riverenza e di sublime onore?
Qual all'Imperio tuo prescritto hi terra
É fine? o pur nell* aria, o *n mar profondo ?
Se ben te stesso e lui misuri e scorgi.
Non hai tu peone da volar nd dclo;
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LE SETTE GIOHNATE
lUrardiUi Ragion nuUa riUene.
Qoesu con* ali soe trapassa a toIo
MoB por delTaria I pia TenCosI campi.
Ma del del gn steOantl ed aurei chiostri.
E via meo capo e men profondo 1 mare
£ del ano peràgrìoo e vago ingegno.
Che fa spiando dentro a* salsi regni
1 secreti dell'onde e i sensi e i fondi
E le soe oocolte meraviglie : e quindi
Vìttovioso alfln ritoma In alto ,
IH saper ricco e d'Immortal tesoro.
Cosi per arte dell* ornano Ingegno
Prende tutte le cose e fa soggette.
E disse Dio di doto: Ecco a voi diedi
Ogn'erba, die da seroe in terra sparso
OermoglI, ed ogni pianta. In coi sembianza
È dì soa stirpe: e quinci 1 dbo e Fesca
Avrete t e *1 vitto insieme ancor n* avranno
1 volanti dd del sublimi augelli ,
E I più gravi animai , che 'n sulla terra
Move e trasporta 1* anima vivente.
£ 'n quesu guisa nell'antico stato
DeO* innocenza, anco innocente 1 dbo
Non macchiato di sangue, o d*empia mprte
Contaminato, o da rapina ingiusta.
Fu conceduto all'uomo, e dato insieme
AB* animai , che senza sdegno ed ira
Era soggetto al mansueto impero.
Iton ucddeva ancor d*erba nocente
Mafigno tosco , o pur d'orribll angue.
Ma tutto qud che producea nel grembo
La madre terra era salubre e caro.
I^è tinto ancor s* avea l' artiglio e i denti
L'affamato leone, o'I lupo, o Torso,
Kè l'avvoltolo allor da corpo estinto
Cercava 1 dbo, perchè morto ancora
Non era alcuno , e delle morte membra
Non era ancor molesto e grave '1 lezzo:
Ma pascolar ne* verdi erbosi prati,
In guisa di canori e bianchi cigni ,
E siccome veggiam talvolta i cani ,
•Coi la Natura è mastra, andar pascendo.
DEL MONDO CREATO. 171
E ritrovar la medicina occulta :
Cosi pascevan quel Ferbe novdle.
Ch'or son voraci di sanguigno pasto.
Non si faceva ancor ingiuria in cacda.
Non eran tese ancor l'Insidie ascose
Alla selvaggia e solitaria vita.
E i feroci aoimali ali' uomo amid.
Tutti con lieto e con benigno aspetto
Piaddi , umili Ivano errando intorno
Ubbidienti a quel si giusto Impero.
Perchè non solo re d'orride belve,
E di serpenti, o pur d'augei sublimi ^ *
E di volanti In mare umidi pesd
Era l'uom primo : ma signore, e donno
Ne* propri affetti avea lo scettro e '1 regno,
E 1 suo' propri pensier teneva a freno.
Saldo e costante, imperioso e grave.
Ma polche ribellante al santo impero
Del Creator sprezzò l* alto dirieto;
A lui mostrarsi ancor rit>e]ie in guerra
L'orride belve : e le caduche membra.
Che strugger poi dovea Torrida morte,
Altro cibo nutria di sangue asperso ,
Cibo mortale, a' miseri mortali
Dato per esca in men felice stato.
Dappoiché r acque nel diluvio accolte
Ondeggiando coprir le piagge e i monlL
Ma perchè l'uom, divina e sacra immago,
L'aita orìgine prisca anco riserba;
Non perde il naturai suo primo impero
Sovra le fiere : e può con giusta legge ,
Anzi con giusta e conceduta guerra.
Fame preda e rapina, e cibo e veste
AUe sue faticose e dure membra.
Né questa legge è ingiuriosa ed empia ,
Ma di Natura, anzi del Re superno,
Che fece serve ali' uom l'orride l>eive,
E le gregge e gli armenti e 1 vaghi augelli ,
E gli abitanti ancor del mare ondoso.
Cosi fu fatto. E Dio conobbe e vide
L'opere sue perfette. E 'i sesto giorno
Ebbe qui fine, ed egli in sé riposo.
GIORNATA I^TTUfA.
KdU qoale, trattaodod del Giodicio finale, e della gloria etema, si dimostra il fine per coi fti
da Dio creato V Uomo.
Roma, dappoi die *1 glorioso impero
Ebbe disteso dalT Occaso all'Orto,
E posto 1 freno air Aquilone e air Austro:
Al j>opol vlndtor mirabii vista
DI dno teatri In on sol giorno offerse,
! qua! si congfongean volgendo attorno :
Sicché le genti In Ìor divise e scevre.
Di cui r una pur dianzi all' altra parte
SI suva occulta, coir unirsi insieme
Neil' ampia forma <r nn perfetto giro,
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in POEMI
Sivider tutte; e non rimase ascoso
Alcun di loro , anzi mirando a cerchio
Bipieni i gradi dell* assisa turba.
Meraviglia e diletto ebber repente
Pur dell'aspetto inusitato e novo.
Ma in questo eli' allor fece *1 Mastro eterno
Gran teatro , e volubile e rotante ,
Ch' anfiteatro di sua gloria assembra ;
Bench*una spera sola in sé congiunti
Duo rinchiuda diversi ampi emisperi ,
Pur r uno all'altro si nasconde e cela.
E deir opposte in lor divise genti
Questa mal quella non rimira o scorge.
E gii nulla ne 'ntese, e *n dubbio *isse,
Se pur altri abiunti avesse 'l mondo,
0 fosse in parte solitaria ed erma
La terra ignuda, o sott' all' onde ascosa:
Né perchè sempre intorno M elei si volga,
Sari giammai , che la girante scena
Mostri 1 popoli a noi, eh 'han fissi incontra
1 lor vestigi nella prisca terra,
0 noi co' nostri alberghi a lor discopra
In questi quasi pur distinti gradi.
Per cui s' innalza e si dechina '1 polo.
Ma quel che far non può voiubll giro
Di UnU cieli, e Infaticabil corso.
Fa della mente, che si volge e riede
In 8Ò medesma,ii rapido pensiero,
Gh' è quasi un suo perpetuo e vario moto.
Perchè dinanzi a lui si toglie *1 velo
Della terra interposU ; e 'n Dio mirando.
Scorge nel suo gran lume '1 mondo accolto.
Che divien quasi angusto all'alma accesa.
Che fuor del mondo è ratta ; e nulla adom-
1 popoli co' regni a' lumi interni, [bra
Talché ne' gradi lor disposti intorno
Sol contemplando, il pellegrino ingegno
Scopre i ferini ed ultimi filarmi,
E scopre insieme gli Etiopi e gì' Indi.
E d' un lato gli appare '1 freddo Carro ,
E 'l pigro Arluro; e pur nel tempo islesso
Altro polo, altri lumi Insieme el scorge.
Non perchè '1 mondo a luì s'accorci e sirin-
Ma perché la sua mente in Dio s'avanza [ga,
E divien ampia si , eh' a lei soggetto
L'universo in un guardo accoglie e mira.
Come già vide '1 benedetto Padre,
Ch' all' alto elei di mille accesi lampi ,
Parte seguendo '1 suo pensicr sublime.
Ricerca pur, s'ove '1 Cultore eterno
Segnò morendo '1 luminoso calle ,
li Paradiso a maraviglia adomo
Facesse : e 'n qual estranio ignoto clima
SACRI.
Fiorìsser le felici e nuove piante
Quando pria fu creato '1 padre Adamo.
Era dunque compiuta ornai la Terra,
Compiti i cieli, e gli ornamenti e i fregj
L'opere di sci giorni avean distinte,
E quel meraviglioso alto lavoro;
Quando cessando Dio d' opra novella,
E del crear, ebbe nel di seguente.
Che fu settimo giorno , alto riposo.
Né fu poi Creator di nuova prole ;
Ma le prodotte conserTando in vita ,
Di lor prese il governo. E di quetarsi
Nelle cose create a lui non piacque.
Già fece '1 cielo; ed acqueUrsi in cielo
Non prese in grado. E i bei stellanti giri
Fece; e col vago Sol l'errante Luna:
Né volle riposar nell'auree stelle,
0 nella sfera del sovran pianeta,
Ovver nel cerchio della Luna algente.
Fece la terra ancor, eh' è ferma e salda;
Né riposò nella gravosa terra ,
Che 'n sé medesma si mantiene e giace.
Dove dunque , ed in chi quiete e posa
Ebbe il Fattor di cose eteme e magne?
Ben è ragion che le cosunti e gravi
Sien quelle sole, in cui non prenda a sde-
DI riposare : anzi quiete e moto, [gQO
Non fu giammai senza la stabil parte.
Però sempre si muove '1 elei non tardi
Sovra i suo' poli, e quinci e quindi affissi^
E non si moveria, se stabii centro
Ei non avesse al suo perpetuo corso.
Onde si finge '1 favoloso Atlante,
Che 'ntomo a' poli opposti il ciel rivolge,
E nella ferma terra i piedi appoggia.
E gli animali ancor mobili e vaghi
Mover non si potrian, se 'n lor non fosse
La stabil parte che s'acqucu e posa.
E però quella, che si curva e piega
Nel movimento , é lor di centro In vece.
Dunque se mover debbe il Motor primo
Non sol convenne ch'egli imniobil fosse.
Ma che 'n non mobil parte il moto eterno
Fermasse ancora. E di fermarlo in terra
Ei non degnò. Dove fermollo adunque t
Qual delia terra é più costante mole?
Nell'uom quetullo e l'uomo ai fin dell' o-
Volle crear perclié cessasse '1 moto, [prc
E so moto non fu , l'arte divina
Restasse di crear l' opre moderne.
Più della terra adunque è l' uom costante.
Siccome quei che dell' eterno esempio
È vera immago , e '1 suo caduco e grava
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LE SETTE GIORNATE
Spogliar si deve ; e 'ncoirattibil forma
RlTestendo, lassuso alfin s'eterna
Nella quiete d' invisibil regno.
In questa guisa volle Iddio , creando ,
Mostrar delia sua morte alto mistero,
Quasi in figura ; anzi predir da lunge
Ch'anzi i tormenti della morte il Figlio
Dovea nell' uom quetarsl ; e 'n membra u-
A guisa di mortale, al dolce sonno [mane,
Conceder gli affannati e lassi spirti.
Dunque s* acquetò Dio nelP uom terreno :
E l'uomo in sé non ha quiete o pace?
Non ban quiete In sé gli egri morull ;
Ned opra di Natura in sé riposa.
Ma gira '1 foco nel perpetuo corso
Del ciel sempre inquieto, e sempre vago.
L'aria agitata da contrari Tenti,
È da sé stessa ognor divisa e sparsa.
L'acqua trascorre, e senza pace ondeggia.
E questa, ch'a noi par gravosa e ferma ,
Terrestre mole ancor si scuote, e crolla
Da* fondamenti : e rulnose atterra
Le cittadi, e le terre eguali a' monti,
E I monti stessi; e scissa 'I petto e 'l grembo,
Talor nelle voragini profonde
Scopre i regni di Pluto e l ciechi abissi ;
E l'ultima ruina altrui minaccia.
Ma nel suo Creator pace e riposo
Han le create cose. E 'n sé medesmo
Egli s*acqueu: né d'esterna gloria.
Né d'altro ben, fuor di se 8tesso,ba d'uopo:
Ch'é sommo bene; e con riposo etemo
Governa l* immortai felice regno
Ld, 've dal travagliar ne cliiama a parte.
E se 'n terra nel!* uom queUrsl elvelle.
Fu perché l'uomo in Dio s'acqueU alfine.
Però quand'egli in si mirabil tempre
L'umanitade al suo divin congiunse.
Pose alla vita faticosa e stanca
in sé medesmo alfin dolce resUuro.
E gloria e grazia , onde s' adempie e bea
Nostra natura d' esaltar cotanto ,
In lui si vide. Adunque 'I sesto giorno
All'opre nove fin sul vespro impose.
Né poi nova progenie, o nova stirpe
Egli dovea creare. E ben convenne
Che del gran mondo producesse '1 parto,
E di tutte le specie in lui raccolte,
Col numero di sei, ch'é più fecondo.
Ma dica quel eh' ha la scienza e V arte
Del numerar, com'è pregnante il sei;
E nelle parti sue perfetto e pieno.
Generar poi di 5è varie figure
DEL MONDO CREATO. 173
Di numeri egli possa : e tutto aggiunga
Qò che nelle sue scole insegna '1 mondo.
Dicavi ancor, com'è infecondo il sette,
Pcrocch'egli di sé nulla produce ;
E di nulla é prodotto; e poi sen vanti,
Com* ei farla di gran tesoro occulto.
Or tralasciam, quasi sprezzando, addietro
Quello , onde tanto va gonfia e superba
Mondana sapienza ; e sol ci caglia
Dell* uso de' fedeli antico e sacro.
Onde al settimo di s'aggiunse onore.
L' onoraro i Giudei nel sesto giorno ,
Quando lieti innalzar frondose tende ;
E ricovrar sott' a' selvaggi alberghi.
E l'onorar nel di famoso ancora,
Che per le trombe, e celebrata pompa,
E sonoro , e festante, e pregio al sette
Non men degli altri 11 di propizio accrebbe.
E '1 settimo anno fra gli antichi Ebrei
Fu d'ogni riverenza e d'onor degno.
Perché ne' sei, cli'eran trascorsi avanti.
Lecito era a ciascun fender la terra
Col duro aratro, e ne' solcati campi
Sparger con larga mano 11 fertil seme:
Ma nel settimo poi contento e pago
Ei raccogliea dal non arato grembo
Sol quanto volontaria ella produce.
E sei anni serviva '1 prisco Ebreo :
Libero da fatica e da servaggio
Era '1 settimo poscia. E '1 duro giogo
Degli Assiri superbo oltra l'Oronte,
Oltra r Eufrate in Babilonia oppresse
Anni settanta 1 miseri cattivi,
E nove appresso, e candida rifulse
L' antica libertade al popol servo.
Quando '1 sette col dieci ha pieno '1 giro.
Or trapassiam senza dimora a* nostri.
Ben sette volte il di cade e risorge
11 giusto cui d'Adamo 11 grave incarco,
E la natura sua caduca atterra ,
Ma la grazia '1 solleva; e 'n questa guisa
Di tal numero noi consorti andremo.
Settimo Enoch dal genilor primiero
Morte non vide : e '1 gran mistero adombra
Questa , eh' or vive, ed all' impero estinto
Sorvive ancor Chiesa immortale e santa,
E settimo Mosé dal padre Abramo
Prese la legge, e la cangiala vita,
L* Iniquità scacciata, e '1 varco aperto
Alla giustizia ; e Dio, eh' a noi discende
Con membra umane, ef'av^icina e giunge,
E più santa virtute insegna al mondo
Mln^Umente, e nova legge apporu,
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174 POEMI
Pur daNosè son figurati In parte.
Ed aggiungendo pure al diece n sette,
E sette appresso, dal vetusto Adamo
n Figlio di Maria prodotto apparve.
E poi conobbe ancora *1 vecchio Pietro
Dei numero del sette aito mistero ,
Cile di perdono e di quiete è segno, [ to.
Ma noi conobl>eappien,che dubbio e *ncer-
Prima ne pane, e poscia el pur l'intese.
Che rivelollo il suo Signore e Mastro,
Lo quale in perdonando aperse *i grembo
Delie sue grazie, e de* tesori etemi:
Né sette volte sole, anzi setunta
Sette flato a perdonare insegna.
Onde alla pena di Caino ingiusto,
E già macchiato dei fraterno sangue,
U perdono di Pietro allor risponde.
Quasi dall' altra parte il fallo opposto.
Ma *1 pcrdon del Signore adegua e passa.
Di Lamech condannato antica colpa :
Perchè di leve error perdono angusto
Par che si dia : ma se '1 peccato abbonda,
Ivi la grazia oltra misura avanza.
Ed a chi molto si perdona e 'ndulge.
Molto concede di fervente amore
Quel eh* è verace amante e non s'infinge.
È di perdono adunque e di riposo
Segno '1 settimo giorno, in cui cessando
D Padre etemo, di cessare esempio
Diede all'antico Ebreo, ch'ìndamo or cessa
D'opre e di fede neghittoso e tardo.
E quel settimo di mattino ed all>a
Ebbe, né vide poi la sera II vespro, [giorno,
Ch' ancor non giunge, e non adombrali
Lo qual s'Illustra di perpetua luce.
Ma le veci del tempo, e *1 corso e 1 girl
Chiudono 1 nostri di fra mane e vespm ,
In cui ciascuno ancor s' adopra e cessa ,
Ed al riposo le fatiche alterna ,
Insin che giunga spaventoso in vista
Quei che dee consumar la terra e 'I delo,
Settimo giorno minacciato innanzi
Orribilmente. Allor le mura eccelse
IH questa luminosa antica mole
Espugnate faranno alte mine,
E*! foco vinci lor, pre<lando intomo
Gli umidi regni, e 1 già fumanti e negri
Campi della fervente arida (erra ,
Parrà che tutto abbia converso in fiamma:
Sicché appena dei mondo omai disfatto
Vedransl l'arse e *ncenerite spoglie.
Quasi trofeo della Giustizia etema.
Ma od princìpio deU* orribU giorno,
SAGRI.
In aspettando I nrinacdatl InceiKlJ,
Nozze non si faran , né liete pompe;
E non si cambleran le care merd
Frarindoo*lMauro,o fra lo SdU i
E l' Etiopo : anzi 1 timore adusto,
Né la coltura de* fecondi campi
De' mortali sarà studio e fatica.
Ma d' un novo stupor la terra ingombra
Attonita parrà; parran tremanti
Tutte l*opre di Dio create in prima ,
Per l'improvviso, insolito spavento.
E 1 giusti ancor della sentenza estrema
Timore avranno. Allora il padre AbnoB»
Temerà, non di foco, o di tormento.
Ma del grado d' onore, a cui sortiUo
La provvidenza del suo Re supemo:
E 'n qual ordin de' giusti a lui riserbi
La Giustizia divina i premj e '1 loco,
0 sia '1 primo, o '1 secondo, o siasi *1 temo.
E 'i Re del del foigoreggtando in alto
Dìmostrerassi in bianca nube accolto.
E come nube, ch'é 8quarcÌaU,ovelo«
Icidi a lui dinanzi aperti e scissi
Vedrand rivelar l'alu possanza.
E mille appariranno e mille ardenti
D' eserdto divin falangi e squadre ,
Risplendendo lassù di luce e d'arme.
Fiammeggerà coli' oro il fino elettro
Entr'alle spaventose oscure nubi ;
E vedransi ir vagando a nembo a nembo*
E più di tuoni spaventod udransl
Terribilmente le canore trombe.
Crollati e scossi i bei stellanti chiostri
Tremar tutti vedransi al gran rimbomba.
Tremerà nell'orror confusa evinta
La Natura creata; avran temenza
Gli Angeli stessi, e riverenti in alto
Al fulminante Re staranno intomo.
Qual re de* Persi mai, d'Assiri o d' Ina,
Si coronato fu d'orride schiero
Entr* a presa città, che '1 foco e '1 sangue
Correndo inonda, e orribilmente 'ngom-
E di redse membra, e di cosparte [ bri •
Ruine '1 ferro ancor riempie e colma?
0 qual immago d'illon superbo.
Che fu dal greco ince odio arso e conibuito:
Qual dell* imperiosa alta Cartago
Ruinosa caduta, o di Corinto,
0 di Numanzia pur mina e scempio ;
Qual di tutti, dich*Ìo, confusa e mista
Lagrimosa e sanguigna , orrida immago
Potrà rassomigliarsi al già distrutto
Entr* a fumanU incendU , e vasto i
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LE SETTE GIOAMATE
Che di aè steaso a sé fiat rogo e tomba?
AUor npiH fiano a toIo i giusti ,
£ le nubi aaran carri TolaiUi ,
C^ parterangU, e i duci Angeli eleUi,
D'auiigain vece al nubiloso carro
Qasaui lari Teloce ed alto il corso.
Ri^lenderan come lucenti stelle
Allora i giusti. E dal gravoso pondo
De* lor peccati, e di lor colpe avvinti ,
Cadranno i rei nel precipizio eterno
Oppressi: e non sarà cb'indi risorga
Alcun giammai dall'odioso incarco.
O grande, spaventoso, orrido giorno!
E fia pur ver eh' abbia mattino ed alba?
Né fine imponga a tan l'orrore 11 vespro?
Ower termine fia pur anco affisso
A quel |ran di de' premj e delle pene ,
In quell'ultima sera? E nova luce
Risplenderà meravigliosa, etema
Nel giorno ottavo, onde le menti illustri
Qual Roma già famosa , e nobii opra
Del gran Quirino e del nipote Augusto,
Del novo imperio fondatore e padre ;
Da barbarica man percossa, e vinta
Cadde in sé stessa, e fra mine e morti ,
Io sé medesma poi sepolta giacque;
Col vicario di Cristo indi risorse
Più bella agli occhi della mente intema,
E maggior di sé stessa, anzi del mondo.
Che capace non è del santo e sacro
Tuo regno già fondato in salda pietra:
Tal (s'agguagliar si può la parte al tutto)
Avrà suo fin questa caduca mole
Dell'universo, e col girar del tempo
n girevol teatro a terra sparso
Cader vedrassi iu cenere e 'n faville:
Poi rilauo sarà dal Fabbro eterno;
E risorgendo in più mirabii forma.
Non Ù» soggetto al variar de' lustri ;
Né mal più temerà mina o crollo.
Ma questo ora del del volubil tempio
Fermo sarà col Sole, e '1 torto corso
Fermo ancor fia dell'alte stelle erranti.
Talché i beati avran costante albergo
Là dov' etema fia pace tranquilla,
E non commossa da tempesta o turbo.
Pura invisibil luce, e stabil giorno.
Cui termine non fia l'orrida notte.
Né correr si vedrà da mane a vespro ;
E non avrà coli' ombra il giro alterno.
Né con varia stagion vicenda e corso :
Ma premio avran lassù le nobili alme ,
Di riposo e di gloria in un congiunte ,
DEL MONDO CREATO. ]7S
E fia somma quiete 11 sommo onore.
Là dispensate fian corone e palma *
A' gloriosi , e seggi alti lucenti. '^
E quei, che guerreggiaro in lunga guerra,
Quant'é la viu de' mortali erranti
Sovra la terra , e riporur vincendo :
Dal nemico Satanno in duro campo
Mille vittoriose e sacre spoglie ,
Lassù vedransi trionfando a schiera
Nel gran trionfo eterno, e '1 gran vessillo
Coronati seguir del Re possente
Degli altri regi. E la divina destra
In quel d' eternità lucido tempio.
Onde precipitando angel rubello
Cadde, sospenderà le spoglie eccelse,
E i trofei della Croce. 0 lieto giorno.
Giorno sacro e felice, in cui s'eterna
Da pompa trionfai , la gloria e '1 canto
E la quiete. Allor quiete e pace
Avran le menti rapide e rounti,
Qi' han sì vari i pensicr, sì vario '1 moto:
Ed or fuor di sé stesso un dritto corso
Fanno, alle cose pur caduche e basse
Quasi inchinando, e con distorti giri
Corron talvolta oblique ; e'n sé medesme
Si rivolgon talora , o fanno '1 cerchio,
0 'ntorao a quel divino immobìl centro.
Di cui l'anima vaga é quasi sfera.
E di Fortuna ancor l'instabil rota
Ferma allor fia, s'ella col Ciel si volga.
Riposo ancora avranno 1 nostri affetti ,
Che 'ncontra la divina eccelsa mente
Fanno ritrosi passi , e torto calle ,
Siccome opposti al più sublime cielo
Soglion volgersi ancor Giove e Saturno,
E la stella di Marte e di Ciprigna.
E giusto é ben che s' allor fine avranno
1 moti delle stelle erranti e fisse ,
L'abbiano quegli ancor di mente e d'alma
Umana, ch'assembrar del cielo '1 corso.
Tutti avran pace allor nel fisso punto
Della Divinità. Riposo eterno
Sarà l'intender nostro e '1 nostro amore.
Che 'n tante guise ora si varia e cangia,
E con tante volubili rivolte.
Riposo eterno fia la grazia e '1 merlo,
E 'n seggio eterno. Or chi fra noi s'aUempa
In aspettando '1 giorno, e soffra e speri,
E del tempo e del Fato i duri colpi
Vinca sol tollerando , e giusto oltraggio
Faccia alia displeuu orrida Morte, [pio
E mentre il gran Qemente al primo esem-
La Chiesa informa, ed all'Idea celeste.
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176 POEMI
Seco ciascuno ancor nel puro tempio
Della mente serena Iddio raccoglia ;
E gli figuri il simulacro interno
Di sua pietà. Sia 1* alma il sacro altare ;
Vittima r innocente acceso core ;
Amor di carità sia foco e fiamma:
Così prepari in sé I* interno albergo.
Pur volubile ancora , e pur costante
Ne' giri incerti, insin die *i nudo spirto
Voli a quella sublime eterna reggia ,
Là dov*è *i sacerdozio aggiunto al regno.
Ma dove, oh dove mi trasporta *1 corso
Del fervido pensier? dal giorno estremo
Torniamo a quello, in cui creato in prima
Fu dal celeste il gcnitor terreno.
Dio sparsa non avca la pioggia ancora
Sovra r arida faccia, e *1 secco grembo
Dell'ampia terra ; e'I buoncultorde*campi
Nato non era faticoso air opre.
Ma sorgea dal terreno un chiaro fonte.
Che tutto l'irrigava, e i monti alpestri
Talvolta ancor bagnava, e l'aspre rupi;
Siccome M Nilo il verde piano inonda
Dell' Egitto fecondo, e i lieti campi
Di negra arena ricoperti impingua.
E fosse quello o nube aerea, o fonte,
Era sublime sì, ch'agli erti gioghi
Mormorando spargea l' onde correnti.
Fonte , fonte fu quella , e d' alu parte
Me' principi del mondo ancor novello
Fu a* monti in vece di piovosa nube,
Non pure al polveroso ed umil suolo, [no,
Formò adunque 'I Signore, e '1 Padre eter-
Etemo Dio l' uom di terrestre limo.
Ed in far questa della specie umana
Quasi statua vivente , ei pura elesse,
E sincera materia, allor di nuovo
Dall'acque separata : e '1 misto umore [glio
Colonne e spresse, e quinci e quindi '1 me-
Della terra ei v' aggiunse a prova scelto :
Sicché 'n so non aveva o colpa o vizio,
Quella prima materia. In cui l'albergo
Fabbricar volle alla più nobll alma
Fornita di ragione, e quasi il tempio.
Fu la malizia poi difetto e colpa
Nella materia del corrotto seme ,
Onde la fame e l' importuna sete,
E di languide febbri esangue sclilera,
E la pallida morte alfìn deriva.
Buon era '1 Fabbro, e la materia e l'arte
Fa buona anch' ella ; onde leggiadre ed ai-
fi bea (ormate fur le nove membra [te,
A maraviglia, e forti insieme e belle
SACRI.
Del padre Adamo : e da vermiglia lem
Preser vago color le guance e '1 pelo.
K '1 nome egli medesmo Indi sortio.
Misterioso nome, in cui s'espresse,
Ch'egH'n terra nascea signore e donno
Dell' Oriente e del contrario Occaso ;
E delle parti d'Aquilone e d'Austro.
Nell'alma ancora usò mlrabil arte;
Nò 'n farla riguardò creato esempio,
Ma 'n sé medesmo,e nel suo proprìoVerbo,
Di cui fece nell'uomo divina immago.
E 'n faccia gli spirò spirto di vita :
Non di sé stesso già divina parte.
Coni' altri stima, ma creato spirto,
E soffiato da lui , perch'egli avvivi ,
Ed animato faccia 'i nobll corpo.
Siccome Fidia d'Alessandro invitto
Dappoi facendo 'I simulacro Illustre,
La magnanima fronte al Ciel rivolse;
E ripiegando la cervice altera ,
Gli alti di lui costumi in guisa espresse,
Ch'ei non contento del terreno impero.
Par eh' aspiri alle stelle , e chieda'! Qelo,
Così '1 Fabbro primler la fronte e gli occhi
Alzò deil* uomo alle stellanti sfere ;
Perchè là guardi , onde celeste orìgo
Ebbe l'alma immortai, ch'eterno regno
Parche chieda per grazia al Padre eterno.
Ma tutt' altri animali a terra ei volse
Pendenti e proni , a rimirar costretti
Pur sempre la comune ignobil madre;
Come sien nati ubbidienti al ventre ;
Perchè *l lor fine è pure '1 pasto e *! cibo,
E terreno piacer gli alletta e molce.
Ma se talora olirà ragione in alto
Intende l' uomo , e senza grazia o merto
Aspira al Cielo , e superbisce ed osa ;
Miri la terra, e 'n sé rivolga e pensi
Circgll nato di polve, alfin In polve
Sarà converso; e *n cor superbo appiani
Ogni pensier, che di sé stesso '1 gonfia.
E come quel , che serva, Ignobil madre
Di nobll genitor produsse in vita ,
Spira 'I paterno orgoglio, e l'iree'l fasto
Della progenie antica; e'n alte imprese,
Generoso, talor s'arrischia e tenta:
Poi ripensando alla materna stirpe ,
Al soverchio ardimento ci stringe 1 freno:
Così l'uom dell'antica e bassa madre
L'umll principio suo contempli e guanfi
Il seno, ond'egli uscì, ch'eipr^jneecaka
Con pie superbo, irriverente, audace,
Come 8* egli dal Ciel recato avesse
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LE SETTE GIORNATE
Di materia celeste aspetto, e membra.
Pensi fra sé eh* egli è animai terrestre;
Cile per terra el cammina ; c*n terra ei cer>
11 nutrimento, e si riposa in terra; [ca
E per la terra ancor è in lite e guerra
Sovente, e corre forsennato all'arme;
E non fa grande mai , né lieve impresa.
Se non sovra la terra : e 1* ire estingua,
E gli ardenti dcsirl ammorzi e queti.
Questo pensier, che ali' umiltà V inchina
Alcune volte, altre solleva al Cielo
n suo spirto immortai, che '1 fine affisso
Non loca in terra , o pur neir auree stelle,
Ma nel Signore , al cui sublime seggio
11 del del cielo è quasi terra umile :
Tanto è lontano alla divina altezza!
Ma non sol nell'aspetto e nella fronte,
Mlrabil arte fu dei Mastro eterno ,
Che 'n ogni parte ella trapassa a dentro,
E la celeste ancor figura e forma.
Ma pur siccome in rocca, e in torre eccelsa
Son disposte le guardie intorno intorno.
Onde sccura da notturna insidia
Il nemico lontan discopre e vede;
Cosi a guardia i veloci e desti sensi
Collocò nella testa il Fabbro etemo.
Fé' quasi vallo le palpebre ag^l occhi ,
E le ciglia pelose ; e '1 varco aperse
Alle sonore voci , onde trapassa ,
Di messaggiero in guisa addentro *1 suono,
£ di fuor le novelle al core apporta.
Ma fece all'altre cose '1 passo angusto,
E quell'umide vie rivolse in giro
Qual laberinto, e più spedito calle
Per doppia strada a' dolci odori aperse.
Umida e molle die la lingua al gusto,
Che distingue ì sapori ; e sparse '1 tatto
Per ogni membro umano, e 'ntorno al capo
Fece delle sue proprie e vaghe chiome
Quasi natia corona, ond'ei s'adorna
Qnestm mole , che l'ossa insieme avvinse
Co' nervi , che son quasi 1 lacci e 1 nodi
Tenaci e lenti , ond' ei s'incurva e piega.
Fece quasi di sangue un vivo fonte
Il core, ed altre fonti inteme appresso,
E , quasi rivi di corrente umore ,
Le Tene, che dal core all' altre membra
PorUno'l sangue, onde s' irriga '1 corpo.
E tutta in tutto lui diffuse e sparse
L' alma , che 'n ogni parte è tutta ancora :
Bencbè tre sieno in una , e sien congiunte
Le due moruli all' immortai sorella ;
Perch'ella avvolta entr'a' corporei chiostri
DEL MONDO CREATO. 177
Non sdegni d'abiur terreno albergo.
Sin che '1 Signor la si richiami al Cielo
Da quella guardia , ch'ei la pose In terra.
Nell'alta dunque della nobli testa
Rocca fondoUa, e quasi In propria reggia.
Ivi dell'uom, ch'è quasi un plcciol mondo,
A lei concesse l'onorato impero:
L'altre, come soggette al giusto regno
Nelle più basse parti il Fabbro eterno
Dispose; e rimovendo 1 lochi e I seggi.
Dalle profane separò la sacra
Potenza. E l'ira, eh' 6 di fiamme ardente,
E di vendetta ingorda avvampa e ferve.
Precipitosa pose in mezz'ai petto.
Ed albergolla nel sanguigno core :
Né rinchiusa starà ne* segni angusti :
Ma spesso per timor s'aggliiaccia e stringe.
E'I ventoso polmone appresso el giunse.
Che di mantice 'n guisa, accoglie e rende
L'aure di fuori, e quel calore interno
Col dolce respirar tempra e rinfresca.
La cupidigia le supreme parti
Altrui concesse , e quasi a forza spìnta,
SI ritirò nell'ime -.ivi ricovra.
E quel cinto, che l' uom traversa e cinge,
La divise dall' altra ; e quasi belva
Al suo presepio ivi rimase avvinta.
Avidamente ivi si nutre e pasce ;
Anzi mille rabbiose , ardenti brame
Empier non può famelica 'e vorace,
Ch' ora avaro pensier la fiede ed angc
Con dura sferza; or della face avvampa
Di mille amori, e tutta é foco e fiamma, [to
Questo or avvlen, che l'una e l'altra appun-
Della Ragione ha scosso 'I giogo e 'I freno ;
E nemica si mostra e ribellante.
Ma quando pria creolle li Padre eterno.
Né tumulto, né guerra era nell'alma, [di
Ma somma pace, e 'n sommo amor concor-
Ubbidlan della Mente al giusto impero.
E 'l suo volere era costante legge
All' alma di giustizia ancor amica.
In questa guisa la divina destra
Formò l'uom primo non soggetto a morte;
Ma per grazia, immortai, non per natura.
Come l'Angelo pria di pura mente :
E lui formò là sovTa '1 polo aprico
Dell'antica Damasco ; e vecchia fama
^Se degna é pur di fede) ancor l' afferma.
Poi trasportollo entro l'ameno e lieto
Suo Paradiso, che d'ombrose piante,
E di feconde a meraviglia adorno
Fé' l'arte e l'opra del Cu